L’inquisizione contro gli indios. Il contributo della Seconda Scolastica nella disputa sulla natura giuridica degli indios e sistematizzazione dei crimines: teologi, giuristi, missionari ed inquisitori. Profili generali

inquisizione indios

 

L’inquisizione contro gli indios. Il contributo della Seconda Scolastica nella disputa sulla natura giuridica degli indios e sistematizzazione dei crimines: teologi, giuristi, missionari ed inquisitori. Profili generali

di

 

 Giovanni Di Rubba

 

 

 INDICE

 

 INTRODUZIONE                                                                         

 

CAPITOLO I   L’INQUISIZIONE IN NUOVO MONDO   

 

1  La scoperta dell’America: rapporti indios-conquistadores          

 

2 Legalizzazione dello sfruttamento indios: Encomienda e Requerimiento                                                                                       

 

3 Il ruolo dei principali giuristi e teologici nella definizione della natura giuridica degli indios

 CAPITOLO II   L’INQUISIZIONE IN MESSICO  

 

1 Rapporto tra europei ed indios                                                  

 

2 L’Inquisizione Apostolica-Monastica ed Episcopale                       

 

3 Il Tribunale del Sant’Uffizio                                                             

 

4 Cartagena de Indias                                                                           

 

CAPITOLO III    L’INQUISIZIONE IN PERU’  

 

1 I conflitti tra Pizarro e Almagro e l’ organizzazione economico-sociale degli Inca                                                                                        

 

2 Le prime inquisizioni locali e l’Inquisizione di Lima                           

 

3 La Compagnia di Gesù tra evangelizzazione ed inquisizione

 

CAPITOLO IV   L’INQUISIZIONE IN BRASILE 

 

1 Inquisizione Spagnola ed Inquisizione Portoghese: tribunali a confronto

 

2 L’Inquisizione lusitana in Nuovo Mondo                                       

 

3 L’eresia indigena e la Santitade                                                       

 

CONCLUSIONI                                                                      

 

BIBLIOGRAFIA                                                                     

 

FONTI                                                                                      

 

SITOGRAFIA                                                                         

 

NOTE ESSENZIALI  BIBLIOGRAFICHE E DI COMMENTO

 

 

INTRODUZIONE

 

Con il presente lavoro ci siamo posti l’obbiettivo di analizzare l’opera del tribunale dell’inquisizione in Nuovo Mondo, nel periodo tra ‘500 e ‘600.

Oggetto dell’indagine non saranno tanto le procedure inquisitorie, pure sommariamente analizzate, in particolare per quanto riguarda gli auto da fé, celebrazioni solenni usate dagli inquisitori un po’ come ammonimento un po’ come vero e proprio spettacolo,  per quanto concerne la fase istruttoria ed i funzionari coinvolti, dai familiares, ai commissari, nonché per la descrizione della fitta rete di delatori e del fenomeno dei corregidores da un lato e dei Gesuiti dall’altro che operavano assieme contro l’eresia con metodologie complementari seppur differenti. Nostro scopo è invece lo studio del “diritto sostanziale dell’inquisizione”, del tipo di accuse mosse contro gli indigeni d’America in relazione alla loro fede, ai loro culti, ed alle relative devianze dal credo cattolico.

Nell’analizzare i diversi crimines imputati agli indios non si può prescindere da una comprensione del periodo culturale in cui il tribunale operava. Ci troviamo, infatti, in piena Seconda Scolastica e l’inquisizione sarà largamente influenzata in America, come mai prima di allora, dalle dispute teologico giuridiche di studiosi di università europee prestigiose come Salamanca e Valladoild. Spesso molti teologi formati in tali università andavano a far esperienza nei tribunali d’oltreoceano finendo con l’arricchire in maniera acuta e penetrante le cause loro sottoposte con riflessioni di non poco momento che avrebbero influenzato l’intero modo di pensare di lì a poco in tutto il Vecchio e Nuovo continente.

Per questi motivi utilissima ed imprescindibile sarà la lettura del primo capitolo della presente, in cui saranno analizzate questioni giuridiche di rilevante momento, dalla definizione delle nuove terre e mari scoperti, ai titoli legittimi di appropriazione, sino alla questione più rilevante, la disputa sulla umanità e sulla natura giuridica degli indigeni d’America, nonché sugli istituti di diritto da applicare loro, dato il divieto di schiavitù sancito dalla Sublimis Deus di papa Paolo III.

I successivi capitoli analizzeranno l’azione dell’inquisizione relativamente alle diverse aeree geografiche dell’America latina, in particolare con riguardo ai territori che già all’epoca erano autonomi e indipendenti.

Si inizierà con il Messico, partendo dalla descrizione dell’opera dei primi tribunali monastici e vescovili sino all’istituzione del Sant’Uffizio, dipendente dalla madrepatria. Stesso discorso per il terzo capitolo, con la differenza che la situazione storica peruviana è leggermente diversa ed il tribunale sarà instaurato qualche decennio dopo, causa la guerra che tardava a cessare tra europei ed inca prima e successivamente tra Pizarro ed Almagro.

Saranno analizzati, sia per il Messico che per il Perù, i più importanti ed esemplari casi che vedevano coinvolti gli indigeni ed in particolare, come detto poc’anzi, i tipi di crimines per i quali erano accusati. Si va dalla meno grave blasfemia all’antropofagia ed all’olocausto umano, ma soprattutto, interessante, è la differenza da eterodossia ed eresia, eresia che quasi mai vedeva imputati gli indios, tranne che nei casi di millenarismo e nella brasiliana setta detta Santitade.  Gli indigeni, infatti, non potevano essere puniti dall’inquisizione se non dopo la conversione al cattolicesimo e, una volta convertiti, potevano ricadere in forme sincretiche di culto o in culti pagani veri e propri. In questo caso configurando una eterodossia e non eresia. L’eresia, infatti, richiedeva una base dogmatica solida che mancava invece negli indios eterodossi.

Interessante è anche la questione, molto dibattuta, del patto esplicito col demonio, fatto dagli eterodossi che adoravano direttamente divinità pagane, definite dai cattolici demoniache, e patto implicito, che consisteva nell’utilizzo di alcune sostanze locali dagli effetti psicotropi, tra tutti la coca ed il peyote.

Come detto fanno eccezione i casi di sette millenariste. Era d’uso, infatti, data la profezia locale, che vedeva l’avvento di nuovi dei per quel periodo, e quella cristiana, per cui molti europei anche chierici, vedevano nella scoperta del Nuovo Mondo una imminente parusia, porre in essere delle vere e proprie sette che, sebbene le differenze, avevano una linea comune, volevano porre in essere la Gerusalemme celeste o il paradiso terrestre in America, vivendo liberi e santi, senza corruzione.

L’inquisizione punì queste sette in maniera ben più grave delle altre ipotesi di crimen in virtù del fatto che gli scopi maggiori che si prefissavano gli inquisitori erano maggiormente due: garantire l’ordine pubblico e la pubblica sicurezza e, col tempo, arricchirsi sempre di più. Questo secondo aspetto, che è sempre stato presente nell’inquisizione americana, tanto che la stessa preferiva perseguire ricchi ebrei, criptoebrei e protestanti più che i poveri indios, porterà la stessa, già a partire dalla fine del Seicento, ad essere più indolente, pigra e corrotta, tanto che, sebbene sarebbe stata chiusa solo nel 1821, era già da tempo che non operava per niente.

Un discorso a parte va fatto per il Brasile, trattato nel quarto capitolo. Esso si trovava sotto il dominio portoghese ed in loco l’inquisizione non solo tarderà ad operare, ma non sarà mai presente. Dopo la fase istruttoria, infatti, l’accusato veniva, se lo si riteneva necessario, inviato in madrepatria per il giudizio.

Questa procedura farà sì che lo strapotere in Brasile sia non tanto nei giudici ma nei funzionari laici, i quali facevano il bello ed il cattivo tempo molto più che in altre zone ed erano altamente corruttibili.

Essenziali per la comprensione del Lavoro ed ad Esso imprescindibile le note a fine testo le quali apportano chiarimenti ed approfondimenti che sono parte integrante dello scritto. Per questi motivi invitiamo il lettore  a scorrere pazientemente le pagine ad ogni rimando.

 

CAPITOLO I

 

L’INQUISIZIONE IN NUOVO MONDO

 

1 La scoperta dell’America: rapporti idios-conquistadores

 

Risulta utile, a nostro avviso, prima di analizzare l’opera della Inquisizione in Nuovo Mondo, porre alcuni cenni introduttivi sia di carattere storico che giuridico, necessari per comprendere le modalità d’azione dei tribunali religiosi e il perché della persecuzione di determinate credenze o altri crimines contrari al credo cattolico. Di più, non sarebbe possibile comprendere il perché l’inquisizione fosse recalcitrante a punire, almeno formalmente gli indios, o addirittura ad occuparsene se non si tenesse conto della disputa che ha animato Europa ed America tra Cinquecento e Seicento circa la natura giuridica, o addirittura umana o meno, degli indigeni amerindi[1]. Altresì necessari risultano alcuni cenni al sistema giuridico applicato agli indigeni, la creazione ad hoc di strumenti che consentissero di sfruttare il lavoro degli indios eludendo il divieto di porli in schiavitù sancito dalla bolla papale “Sublimis Deus[2].

A partire dai primi sbarchi nel nuovo continente, ancor prima delle questioni riguardanti le configurazioni giuridiche di diritto internazionale da applicare alle terre oltre Atlantico, ai mari che bagnavano le coste, ai titoli legittimi o meno di dominio e a chi concederli[3], i primi contatti si ebbero con gli indios e furono quelli di impatto più pregnante data la diversità ed il carattere originale dei costumi, delle abitudini alimentari e di quelle civiche e religiose[4]. Tale incontro fu alla base di quella che di lì a poco sarebbe stata la “Disputa sulla natura giuridica degli indigeni” e che avrebbe coinvolto, oltre ai missionari, anche i maggiori teologi e giuristi[5] dell’epoca nonché, in via indiretta, la stessa Inquisizione.

Vita, abitudini e credenze degli indios non costituivano un corpus culturale unico ma un coacervo  eterogeneo basato su riti ancestrali che ne scandivano ogni azione. Non avevano una concezione lineare del tempo né una visione diversificata  dei fatti, di passato, presente e futuro, tutto era uno ciclo statico e permanente, che si ripeteva di anno in anno, di minuto in minuto. Ogni cosa che era già stata prima e con precisione matematica si sarebbe ripresentata dopo un certo tempo[6].

Ma al di là di questa visione più orientale dell’esistenza e di un modo di rapportarsi armonico con la Natura che poteva sembrare fanciullesco e superstizioso all’analisi superficiale di un conquistatore del ‘500[7], c’erano altri atteggiamenti che certo non potevano essere tollerati da un cristiano occidentale, tra questi i sacrifici umani.  Le vittime, spesso appartenenti a ranghi alti della piramide sociale degli indigeni[8], venivano date periodicamente in olocausto alle divinità, al fine non  di ingraziarsi le stesse ma di favorire una rigenerazione temporale.

Ed è dalla descrizione delle usanze indigene che iniziò un processo di definizione non direttamente giuridica ma primariamente etno-antropologica sulla figura degli stessi.  I primi tentativi definitori, infatti, si basano sulle descrizioni dei conquistadores [9], i quali non furono certo indulgenti nella loro descrizione, si passava da una definizione di uomini primitivi ed incapaci di intendere e volere ad una, più feroce di “carribi“, ossia dediti alla antropofagia[10] e per ciò stesso passibili di condizione in schiavitù.

Tale questione, d’altronde, aveva influenza non solo sul trattamento da adottare nei confronti dell’indigeno, ma anche nello stabilire che i territori in cui abitavano erano res nullius, e quindi suscettibili di appropriazione da parte dei coloni senza ulteriori atti, data l’incapacità naturale degli stessi[11].

Per quanto concerne il carattere non uniforme della popolazione indigena, essa era una moltitudine di clan, divisi in differenti zone, di cui è possibile distinguerne due: una prima, che parte dal  Messico per arrivare al ventottesimo parallelo sud, costituita da civiltà più evolute, complesse e fiorenti, Aztechi in Messico assieme ai Tolechi, Maya nello Yucatan; Queca ed Incas nelle Ande. Gli indigeni del nord e del sud di tale fascia erano invece via via meno evoluti, allo stato primitivo e densamente meno popolosi.[12]

Ovvia quindi la reazione successiva di Spagnoli e Portoghesi, pienamente sostenitori della disumanità e minorità  degli indios non solo al fine di occuparne le terre e soprattutto impossessarsi dell’oro e delle pietre preziose che abbondavano nelle città più sviluppate, ma anche di ridurli in schiavitù per far sì che lavorassero nelle miniere come cercatori di pietre preziose[13].

C’era d’altronde questa chiara discrepanza tra gli indigeni, che vedevano gli spagnoli come le divinità attese proprio in quel periodo[14] ed i conquistadores che ricambiavano definendoli dei mostri, subumani, simili più a bestie che ad uomini, di natura schiavile maggiore ancora di quella dei negri[15].

Evidente, dunque, che l’approccio con gli indios fu disastroso a livello popolare ed anche politico, in buona sostanza anche alla visita di Filippo II  nelle Indie i missionari dei luoghi e i conquistadores mostravano la subumanità degli indigeni e ciò non potette che influire su un livello superiore quale quello della disputa teologico-giuridica sulla natura dei popoli del Centro e Sud America.

Il diritto e la dottrina teologica iniziarono, prima ancora di definire in maniera compiuta la vera natura degli indios, a porsi problemi “giuridico linguistici”. Non ancora, in buona sostanza, dunque, dichiararli uomini, semiuomini o bestie,  ma chiarirne la denominazione giuridica cercando di farla combaciare all’assetto teologico come veniva loro offerto dalla tradizione patristico-scolastica e prima ancora biblico-evangelica. Ciò innegabilmente fu il primo passo per liberare dalla bestialità gli indigeni e per far divenire, secondo l’ottica del tempo che fondeva un po’ giuristi e teologi, i “terreni incolti degli indios dei giardini”[16].

Certo i risultati non furono quelli sperati, gli istituti applicati agli indios furono null’altro che un meccanismo per aggirare il divieto di schiavizzarli istituendo una pratica, l‘Encomienda[17] ,che si prestava a soddisfare pienamente i coloni, molto meno gli indigeni.

Anzi si iniziò a cercare di estirpare le vecchie credenze indios, in maniera differente, come i cattolici facevano e fanno da sempre, ossia non solo con la forza ma anche cercando di adattare e sostituire  il culto degli dei con quello di Santi e Madonne[18], ed un esempio in tal senso è la SS. Vergine di Guadalupe, sorta dove prima vi era una zona di culto di una divinità[19] . Ma la maniera più subdola per estirpare la radice culturale indigena fu attraverso una unificazione del linguaggio, la “babele” indios doveva essere ricondotta alla uniformità, sopprimendo ogni dialetto si sarebbe senz’altro eliminato ogni uso e costume, essendo la lingua il mezzo che maggiormente segna l’identità, la storia e la cultura di un popolo. Per questi motivi si cercò di utilizzare il Castigliano come lingua ufficiale, la cui diffusione sarebbe stata obbiettivo centrale per il controllo del territorio[20].

In definitiva la scoperta dell’America creò problemi del tutto nuovi, mise alla prova giuristi, teologi ed inquisitori che dovevano affrontare una sfida importante. Avevano un dominio sconfinato ed eterogeneo che andava uniformato e ricompattato nelle maglie del sistema romanista Europeo. Le questioni da risolvere erano tre: era legittima la sovranità spagnola sugli indigeni? E la guerra di conquista? Ma soprattutto, qual era la natura degli indios?

Ad ogni modo come mostra lo stesso Iannarone[21] ed anche altri studiosi contemporanei, da Renzo Paternoster a Roberto Rughi ed a Luciano Conner, parlare di genocidio degli indios non è né statisticamente né storicamente corretto. Gli iberici furono molto meno spietati degli inglesi, i quali metteranno in atto una vera e propria strategia di sterminio[22] e ancora meno opportuno sarebbe accostare la situazione latino-Americana tra Cinquecento e Seicento al genocidio degli Ebrei hitleriano o ai diversi stermini che, tuttora, coinvolgono in maniera importante Paesi del Continente Africano.

Questa dicotomia tanto attuale quanto assolutrice degli inglesi, cioè, secondo la visione media giunta al grande pubblico attraverso i racconti e i romanzi sui corsari di ambientazione caraibica, inglesi buoni-spagnoli cattivi, o meglio protestanti/laici tolleranti-cattolici intolleranti non ha, come accennato, nessun riscontro concreto. Il cattolicesimo fu ben più tollerante del protestantesimo, a partire dalle disquisizioni puramente dottrinali. Mentre gli inglesi, protestanti,  infatti, legati alla idea di predestinazione e di pragmaticità della fede, ritennero del tutto inutile qualsiasi discussione sulla natura giuridica dei “pellerossa”, limitandosi ad usare metodi incisivi e talora brutali con loro. Gli spagnoli, invece, erano comunque legati alla concezione cattolica di illimitatezza degli eletti e cercarono infatti, seppur in maniera non certo e non sempre ortodossa, di convertire e non eliminare né tantomeno segregare in riserve gli indios. Non dimentichiamo che lo stesso Paolo III il 2 giugno 1537 emanò una bolla, la “Sublimis Deus“, nota anche come “Veritas Ipsa” nella quale negava la legittimità di qualsiasi forma di schiavitù e proclamava una, seppur solo formale, eguaglianza tra gli esseri umani tutti, indipendentemente dalla razza. Paradossalmente, ci sia concesso, possiamo dire che, all’epoca, fecero ben più i cattolici contro lo sterminio, attraverso gli studi sottili della Seconda Scolastica, che gli inglesi, ai quali mancava ancora una cultura filosofica forte in grado di porre in essere basi teoriche di discussione. A tal fine dobbiamo aspettare l’empirismo e il liberalismo classico nonché l’illuminismo, pensatori della tempra di John  Locke furono il germoglio del pensiero laico moderno, pensiero che, ai primordi, fu comunque più inefficace della Scolastica, la quale aveva già basi dogmatiche forti.

Statisticamente possiamo riportare e comparare la percentuale di discendenti degli abitanti del Nuovo Mondo  seguendo i dati fornitici nel 1990 dalla ADN-Kronos[23]:

 

Tabella 1.1 Statistica dei discendenti di locali e coloni nei maggiori domini europei nelle Americhe

PAESI PAESE COLONIZZATORE % AMERINDI %  METICCI % EUROPEI % DISCENDENTI SCHIAVI (AFRICANI O ALTRI)
MESSICO SPAGNA 39% 60% 9%  
PERU’ SPAGNA 45% 37% 15%  
HAITI FRANCIA 0% 0% < 5%  
BRASILE PORTOGALLO < 3% NP NP NP
GUYANA BR. INGHILTERRA 0% 0% < 4% 96%
STATI UNITI INGHILTERRA < 1% ? 85% 12%

 

I dati sono chiarissimi, se vi fosse stato un vero e proprio genocidio non sarebbero così tanti i discendenti degli amerindi e dei meticci nei Paesi che furono sotto la dominazione spagnola, mentre costatiamo percentuali nulle o risibili degli stessi nei Paesi sotto dominazione inglese. Già prendendo solo il Messico si nota come i discendenti di puri e meticci siano intorno al 90%. Ma c’è di più, gli Spagnoli non solo non furono mai interessati ad un vero e proprio genocidio perché religione e costumi glielo impedivano ma soprattutto perché, a livello economico, era certo per loro più vantaggioso far lavorare gli indigeni invece di sterminarli, con istituti e situazioni giuridico fiscali discutibili ma comunque senza procedere a stermini di massa. L’unica eccezione la troviamo in Brasile, e i motivi di una repressione maggiore, seppure non di uno sterminio in massa o di un confinamento[24], degli amerindi da parte del Portogallo rispetto alle colonie spagnole saranno analizzate nel Capitolo IV.

Innegabile che i conquistadores fossero avventurieri violenti e senza scrupoli, attenti solo ad arricchirsi[25], possiamo ricordare Hernan Cortes che sbarcò in Messico nel 1519 per impadronirsi dell’Impero Azteco e delle sue ricchezze, impero allora governato da Montezumba II. Avvalendosi delle armi da fuoco, di cavalli e cani da combattimento compì un vero massacro ma tuttavia la questione si risolse con un, seppur precario, compromesso con il sovrano. Ma di lì a poco, comunque, l’Impero Azteco sarebbe scomparso, a pochissimi anni di distanza, nel 1524. Anche i Maya furono ampiamente saccheggiati e passati a fil di spada tra il ’24 ed il ’46, all’ordine di Francisco de Montejio, e più o meno nello stesso periodo Francisco Pizarro e Diego de Almagro distrussero e saccheggiarono gli Incas e, successivamente il solo Pizarro con un manipolo di circa duecento uomini soggiogò il Perù. Diego de Almagro soggiogò, invece, il Cile, ma entrò presto in dissidio con Pizarro che lo uccise. Il Brasile, invece, fu sottomesso dai Portoghesi nel 1530 e la costa brasiliana divisa in 12 capitaneria. In realtà la vera e propria carneficina di indios fu proprio questa, non va imputata, a dispetto dell’opinione comune, alla Chiesa Cattolica o all’inquisizione ma alla bramosia dei primi conquistadores, che ricevevano lo sdegno da parte delle stesse sale pontificie nonché della Corona di Spagna. Altro terribile flagello per gli amerindi furono i bacilli ed i virus provenienti dall’Europa, malattie che nel Vecchio Continente erano debellate da tempo risultavano sconosciute e fatali in Nuovo Mondo. In buona sostanza la riduzione ai minimi termini degli amerindi non fu dovuta all’inquisizione e fu limitata ai primi tre decenni dalla scoperta delle Americhe.

 

 2 Legalizzazione dello sfruttamento indios: Encomienda e Requerimiento

C’era, dunque, un problema di non poco momento che avrebbe influito sulla azione dell’inquisizione contro gli indios, cioè il fatto che non esistesse una disciplina specifica che chiarisse quale fosse l’effettiva natura non solo giuridica ma anche umana degli stessi. Eminenti teologi e giuristi avevano le idee più diverse in proposito[26], da Bartolomeo de Las Casas, che li vedeva come esseri dotati di ragione quindi umani, non barbari di natura come gli infedeli ma barbari secundum quid, cioè a causa delle situazioni storico-naturali[27] e per questo, se educati ed evangelizzati, non erano differenti dagli europei. A conclusioni analoghe sarebbe giunto Francisco de Vitoria, che difendeva gli indios dalle guerre di conquista, la religione non poteva essere imposta con la forza perché gli indios erano come dei bambini e come tali andavano educati, l’uso della forza era ammesso solo in caso di legittima difesa o se gli indios erano inabili a governare e rifiutavano di sottomettersi[28]. Sepulveda, infine, li vedeva come omucoli incapaci di badare a se stessi, inabili, che andavano sottomessi come il corpo all’anima, la materia alla forma, i figli ai genitori e la donna all’uomo[29]. Tale disputa fu poi risolta, ma non definitivamente, dalla Veritas Ipsa (anche detta Sublimis Deus) di papa Paolo III nel 1537, con la quale si ammetteva e dichiarava l’effettiva natura umana degli indigeni d’America e ne veniva vietata la riduzione in schiavitù[30].

Ma la forma non risolve la sostanza. Già prima della enciclica gli strumenti utilizzati dai conquistadores per sfruttare gli indigeni erano, almeno formalmente, non schiavistici. Le Leggi Burgos[31] tra il 1514 e il 1515 istituirono il sistema della encomienda, figura giuridica che si prefissava di conciliare il diritto di conquistare le terre con quello di preservare gli indigeni dagli abusi[32]. Tre gli obiettivi dell’encomienda:  far rispettare la condizione di vassallo del Re di Spagna agli indios, obbligare il colono a evangelizzare l’indigeno, far fruttare i territori conquistati dal lavoro indigeno[33]. Data l’opposizione di alcuni pensatori e giuristi a tale barbaro sistema, tra tutti Bartolomeo de Las Casas, e date le denunce che giungevano in madrepatria circa gli abusi dei conquistadores, ci furono tre nuove ordinanze: Le Ordenanzas de Granada del 1526, La Real Provision del 1530 e le Ordenanzas de Cubagua del 1533[34], che tentarono di arginare da un lato lo sfruttamento indios e la loro schiavitù di fatto, dall’altro di limitare il terribile e sconfinato potere dei conquistadores che, forti del loro stato, compivano le peggiori angherie restando impuniti.

Altro importante istituto che coinvolgeva gli indios era il Requierimento, ideato e redatto dal giurista regio Palacio Rubios nel 1513, una dichiarazione giurata sottoposta agli indios, letta in spagnolo e quindi incomprensibile agli stessi, con la quale si spiegava che tutti gli uomini discendono da Adamo ed Eva, che a seguito della torre di Babele i popoli furono dispersi, che giunse un Redentore Figlio di Dio e Vero Dio che morì per la salvezza di tutti, che questo affidò, attraverso San Pietro, la potestà spirituale al papato e quella temporale ai re cattolici, quindi nel caso di specie agli spagnoli cui spettava il diritto di colonizzare i Nuovi territori scoperti e di evangelizzarli. In particolare Spagna e Portogallo, regnanti “Cattolicissimi”, secondo il trattato di Tordesillas nel 1494, avevano lo scopo di evangelizzare i nuovi territori scoperti.

Questa lettura veniva fatta ai nuovi indios, sebbene fosse dal contenuto compromissorio, se infatti l’indigeno la accettava nulla quaestio, si sottometteva e gli veniva applicata l’encomienda. Difficile quanto impossibile sapere cosa accadesse se l’indios rifiutava, formalmente la guerra di sottomissione diveniva lecita. Il Requerimiento era insomma una dichiarazione di fatto di guerra o di resa[35].

Tornando all’encomienda istituita dalle Leggi Burgos possiamo affermare che, tuttavia, tale sistema, vuoi per la genericità dei contenuti, vuoi per l’applicazione che ne fecero i coloni, non fece altro che legalizzare lo sfruttamento che già era posto in essere in precedenza.

Iniziò una serie di denuncie da parte dei missionari, tra tutti  quella del domenicano Bartolomeo de Las Casas, il cui contributo sulla questione degli indios sarà decisivo, che si dolse più volte dello scempio compiuto nei confronti dei colonizzati e sperava in una abolizione del sistema della encomienda che non rispettava la figura dell’indios ed anzi la mortificava. Ci furono le tre ordinanze di cui sopra, Le Ordinanzas di Granada del 1526,  la Real Provision del 1530 e le Ordenanzas de Cubagua del 1533, la situazione si fece incandescente e il papa, finalmente, emise  la bolla Sublimis Deus, nota anche come Veritas Ipsa, del 2 Giugno 1537, che chiarì una volta per tutte, almeno da un punto di vista formale, la condanna ad ogni forma di schiavitù dichiarando che “indios vero homines esse” e che lo scopo della Chiesa era di diffondere a tutti gli uomini il messaggio del Redentore. Di più, di lì in avanti per ogni nuovo territorio conquistato sarà necessaria l’opera di evangelizzazione degli indigeni[36], quindi ogni nuovo popolo scoperto sarà composto da esseri umani.

Nel 1549, così, furono emanate dalla Corona le “Leyes Nuevas” che, pur non abolendo l’istituto della encomienda ne limitavano di fatto la durata e stabilivano l’impossibilità che la stessa potesse essere trasmessa agli eredi[37].

Ciò non incontrò certamente il favore dei conquistatori che non solo non accettavano le modifiche ma volevano addirittura trasformarla in “senorios“. Vediamone le differenze definendo anche cos’era l’encomienda rifacendosi alla descrizione fatta da Luigi Carnieri Calò Carducci[38]: attraverso l’encomienda si destinava un certo numero  di indios ad un affidatario spagnolo, l’encomenderos, che, in cambio della prestazione lavorativa dell’indios, gli corrispondeva un salario e gli garantiva l’istruzione religiosa. Attraverso il senorio, invece, si intendeva non solo la piena disponibilità di un bene da parte del colono ma anche la possibilità di esercitare una giurisdizione su un determinato territorio riscuotendo tasse e chiedendo servizi[39].

Il sistema della Encomienda era difficilmente comprensibile dagli indios, i quali avevano una cultura giuridico tributaria del tutto differente. Con riguardo al Perù[40], ad esempio, ma il discorso grossomodo può farsi un po’ per tutte le Americhe, il sistema tributario indios prima dell’arrivo Spagnolo è del tutto peculiare[41]. Al tempo degli Incas, in Perù, l’economia era regolata all’interno della “ayllu”, la comunità locale che costituiva anche il primo nucleo produttivo. Al suo interno era regolata l’agricoltura, l’allevamento e l’artigianato. Gli Incas non conoscevano il danaro e l’oro ed i metalli erano usati solo nelle cerimonie religiose. I “Curacas” erano i capi di ogni ayllu e periodicamente l’Imperatore mandava suoi funzionari a controllare la produzione. Ogni comunità versava un tributo che, però, non era proporzionato alla ricchezza prodotta ma alla manodopera utilizzata. I beni dati in tributo venivano depositati in “magazzino” e utilizzati in caso di necessità. Un particolare tributo era la “mita“, pagata per far fronte ad esigenze di guerra[42].

L’ Encomienda fu abolita solo nel 1791 e nel 1784 fu abolito il “carimbo“, ossia la pratica di marchiare i lavoratori indios. Agli inizi dell’ ‘800 il sistema fu sostituito dalla schiavitù vera e propria[43].

 

 3 Il ruolo dei principali giuristi e teologici nella definizione della natura giuridica degli indios

 

Nel corso di tutto il ‘500 ed il ‘600 si accese il dibattito circa la natura giuridica degli indios[44], vera chiave di volta per la risoluzione di molte questioni che coinvolgevano i domini iberici in Nuovo Mondo. Le discussioni si animarono su un triplice fronte, da un lato da parte dei missionari che si trovavano in loco ed avevano modo di constatare in prima persona gli sfruttamenti[45], dall’altro da parte dei pensatori europei ed in primis dalla Scuola Teologica di Salamanca ed infine, seppur indirettamente, da parte della Inquisizione.

Senza alcun dubbio i pensatori più autorevoli e che diedero un contributo maggiore alla disputa furono Bartolomeo de Las Casas e Francisco de Vitoria.

Las Casas era un domenicano, figlio di uno dei compagni di viaggio di Colombo. Ordinato sacerdote nel 1510, accompagnò Velasquez, nel 1513, nella conquista di Cuba. Rimasto fortemente turbato dal trattamento che veniva riservato agli indios, rinunciò all’encomienda l’anno successivo e, da allora in poi, iniziò la sua opera a difesa degli indigeni, inviando denuncie alla madrepatria e scrivendo diverse opere tra cui la “Historia general de las Indias” e soprattutto la “Brevissima relacion de la destruccion de las Indias“, uno scritto dedicato al futuro sovrano Filippo II ed inviato, come memoriale, a Carlo V. Tale scritto influenzerà successivamente la stesura delle Leyes Nuevas e l’emanazione della bolla papale Veritas Ipsa.

Francisco de Vitoria, invece, oltre ad essere un  teologo domenicano,  fu anche un fine giurista e consacrò i diritti dei popoli indigeni, divenendo un precursore di quella che nel 1789 fu la Carta dei diritti dell’Uomo[46]. A vent’anni entrò nell’ordine domenicano e, dopo gli studi in Teologia a Parigi,  insegnò per tre anni nel collegio di San Gregorio in Valladolid conseguendo il Magistero in Sacra Teologia e divenendo docente a Salamanca. In tale Università istituì un corso di lezioni sul Nuovo Mondo utilizzando un metodo innovativo, quello delle relectio, lezioni straordinarie in cui il docente tornava a trattare un argomento già abbozzato precedentemente approfondendolo e discutendone con gli allievi. Tali lezioni furono fondamentali non solo per la definizione dei diritti degli indios ma anche in materia di diritto internazionale[47] nella discussione circa la legittimità del dominio iberico in Nuovo Mondo.

Bartolomeo de Las Casas può essere considerato il padre della Filosofia del diritto[48], parte dalla concezione unitaria del genere umano affermando il suo punto di partenza filosofico, per cui qualsiasi essere dotato di ragione, indipendentemente dall’aspetto fisico o dalla condizione sociale, doveva essere considerato essere umano. Tale prospettiva si estende alle società. In buona sostanza non esistevano società superiori e società inferiori a priori ma soltanto società più vecchie ed evolute, che potevano fungere da modello per le più arretrate attraverso l’educazione, come tra Europa ed America.  Infine, per quanto concerne il principio di schiavitù, Las Casas riprende la definizione aristotelica di “servo per natura”, affermando che tale definizione non esiste ma potevano esservi solo “servi per accidente”, ossia tali a causa delle condizioni casuali e, per questo, tutti gli uomini godono in principio di tutti i diritti naturali fondamentali.

Las Casas, infatti, divide i barbari in tre gruppi[49]: chi avesse immunità di comportamento ( i conquistadores), i barbari secundum quid, cioè coloro che per causa fortuita non comunicavano bene per arretratezza del linguaggio o mancanza di scrittura, come gli indios. Tale categoria per Las Casas, poteva avere autonomia di governo e, grazie all’opera dei missionari, abbracciare la religione di Cristo. Infine vi erano i barbari sic et simpliciter, barbari per natura, senza il lume della ragione e dai comportamenti perversi, come gli infedeli[50].

La religione è il punto centrale del suo pensiero e il suo referente sono le Sacre Scritture. Pur consapevole della primarietà del cattolicesimo, difende usi, costumi e credenze indios e sostiene che solo l’educazione e non la forza possono convertire gli indigeni, anche se la religione cattolica è l’unica vera.

Michela Porcaro prende in considerazione tre opere di Las Casas per delinearne la filosofia: L’Apologetica Historia Sumaria, il De Unico Vocationis Modo, il De Regia Podestate

Nell’ Apologetca Historia Sumaria Las Casas teorizza che tutti gli uomini, indipendentemente dalle caratteristiche fisiche, dalle condizioni sociali e dal livello culturale sono eguali in quanto dotati di ragione e i loro diritti sono naturali, inalienabili ed inviolabili. Essenziale è l’evoluzione[51]. Non esistono popoli superiori e popoli inferiori, alcuni sono arretrati ma possono raggiungere ugualmente alti livelli di cultura tramite l’educazione. Non esistono, infine, servi di natura. Tutti gli uomini nascono liberi e con diritti naturali

Nel De Unico Vocationis Modo, invece, afferma che la religione è la base su cui si fonda il suo pensiero. Il riferimento portante è quello delle Sacre Scritture. Ciononostante neanche l’universalismo cattolico può portare ad un, comunque erroneo, assolutismo etico. Egli, pur essendo sostenitore della sola Verità del Vangelo, teorizza il principio di libertà religiosa, sostenendo che il Cristianesimo non può imporsi con la forza ma solo con la persuasione dell’intelletto e la forza attrattiva della volontà gettando addirittura le basi del principio di rispetto delle altre religioni e culture.

Il De Regia Potestate è invece lo scritto più politico e Las Casas vi racchiude alcuni principi cardine: la visione contrattualistica[52]: l’uomo è un soggetto comunicativo e l’insicurezza, il bisogno e la precarietà lo inducono a riconoscere l’altro e a stringere patti con questi, il diritto naturale: anticipando il Giusnaturalismo Las Casas sostiene: il patto sociale come costitutivo della società, il governo delle leggi e non delle persone, le libertà naturali, l’uguaglianza tra popoli. I cittadini non perdono, affidandosi ad un sovrano, la loro libertà, anzi quanto più le regole vengono rispettate tanto più la comunità è giusta ed il sovrano non può, senza consenso, limitare la libertà dei cittadini. Con ciò mostrandosi chiaramente contro l’encomienda.

Las Casas, quindi, fu uno strenuo difensore degli Indios e soprattutto del concetto giuridico di eguaglianza con gli europei. In linea di massima, per il domenicano, la religione cattolica può essere praticata da ogni popolo  in quanto la stessa è destinata a diffondersi in tutto il mondo. Per questo ogni selvaggio ha già in sé qualcosa di cristiano che deve essere valorizzato consentendo, tramite l’educazione, di porlo in evidenza e perfezionarlo[53].

Dalle riflessioni di Las Casas nascerà il mito del “buon selvaggio”, tanto caro agli illuministi, soprattutto a Rousseau, secondo cui gli aborigeni sono docili, sottomessi e servili ed hanno una propensione innata ad essere “guidati” verso la conoscenza della verità cristiana.

Roberto Rughi[54]  ci offre una interessante analisi della disputa sulla uguaglianza degli Indios, in particolare su quella che fu definita la “Controversia di Valladolid” che nel 1550 vide in particolare l’opposizione a  Las Casas da parte del filosofo Gines de Sepulveda.

Sepulveda definiva gli Indios degli “omucoli“, gli stessi avevano natura bestiale ed erano dediti già prima dell’arrivo degli europei a feroci guerre intestine compiendo, inoltre, terribili sacrifici umani. Il culto dei loro dei altro non era che il culto di Satana e dei suoi demoni[55]. Non conoscevano arte e scrittura e, sebbene costruissero opere mastodontiche, ciò, secondo il pensatore, non ne sanciva la natura umana, considerando il fatto che anche molti animali sanno costruire opere imponenti.

Riprendendo la Politica aristotelica il Sepulveda afferma la teoria della superiorità della perfezione rispetto all’imperfezione: il corpo deve essere sottomesso all’anima, la materia alla forma, i figli ai genitori, la donna all’uomo, gli indios, come i bambini, hanno bisogno di essere sottomessi agli spagnoli perché gerarchicamente inferiori.

Lo stesso Sepulveda sostiene che vi siano quattro ragioni che legittimano la guerra spagnola: in primo luogo è possibile assoggettare con la forza gli uomini che naturalmente sono soggetti ad essere in una condizione di obbedienza verso gli altri, poi è legittimo mettere a bando il cannibalismo ed altri riti pagani ed infine è giusto salvare gli esseri umani, gli stessi indios nella specie, che i barbari selvaggi sacrificano sugli altari in olocausto. E’ giusta inoltre la guerra che apra la strada alla propagazione della fede cristiana[56]. In buona sostanza è legittimo sacrificare anche mille persone per la salvezza di una sola anima.

Come analizzato[57] nel 1513 Rubios “ideò” il requerimiento, che si rifaceva alla dottrina medioevale della teocrazia papale e che, letto in spagnolo, gli indigeni dovevano accettare se non volevano che fosse mossa loro guerra. Francisco de Vitoria nella sua “Relectio de Indios” critica tale pratica[58] affermando che il potere spirituale del Papa è limitato ai soli cattolici in quanto  Egli non è dominus orbi[59]. Inoltre è un potere del tutto spirituale essendo la fede un atto libero che non può essere imposto agli indigeni senza che vi sia predicazione[60].

La legittimità della presenza dei coloni in Nuovo Mondo, dunque, è per il teologo di Salamanca, legittimata solo dallo ius gentium , dal diritto di socialità, che consente agli spagnoli di commerciare con i nativi. Tale commercio è lecito purché gli spagnoli non ne abusino ed inoltre non può essere impedito in quanto ogni popolo ha l’obbligo di accogliere chi viene in pace a commerciare o a visitare un luogo, ovviamente senza invaderlo o guerreggiare[61]. La predicazione, continua il Vitoria,  non può essere imposta con le armi, il ricorso alle quali è legittimo solo se le popolazioni la ostacolano o impediscono agli altri di convertirsi. Non può, dunque, essere usata per convertire direttamente. La violenza, dunque, è esercitata solo per consentire a tutti di abbracciare la fede senza minacce o interferenze esterne, anzi è una missione dei coloni difendere con la forza gli indios che non possono convertirsi perché impediti dagli altri abitanti dei luoghi.  Altra situazione da ritenersi, infine,  eventualmente giustificatrice dell’utilizzo della forza è il caso in cui gli abitanti delle colonie siano inabili a governare, legittimando, in tal caso, la conquista e le guerre poste in essere dagli spagnoli, ma ciò sempre nell’ottica di tutela degli aborigeni più deboli[62]. Interessante a tal proposito è lo studio fatto da Mauro Mantovani sull’umanesimo giuridico di Francisco de Vitoria, basato sullo studio “Teologia e legge naturale” di Langella. Egli evidenzia le definizioni nuovissime di diritto naturale oggettivo e soggettivo nell’ottica della questione degli Indios e dei titoli legittimi di conquista del Nuovo Mondo[63]. Per Mantovani sia la difesa degli indios che la definizione dei titoli legittimi di conquista designano un passaggio dalla concezione medioevale del diritto a quella moderna, grazie soprattutto ad una nuova ed originale definizione di lex. Rifacendosi alla tradizione tomista dell’Aquinate,  Vitoria definisce la lex naturalis scindendo lo ius naturale dallo ius gentium. Lo ius naturale era posseduto da tutti gli esseri umani ed era la caratteristica che li distingueva da tutto il resto delle cose del mondo. Per questo anche gli indios lo possedevano e da esso ne derivava la capacità di raziocino. Nulla importava se gli indigeni non conoscevano Dio o il Cristo, anche i pagani non lo conoscevano ma ciò non ha impedito loro di convertirsi alla vera fede. Lo ius gentium, invece, pur essendo distinto dallo ius naturalis, affonda le sue radici in esso, ed è anzi proprio grazie allo ius gentium che è possibile la piena realizzazione del diritto naturale attraverso le relazioni tra popoli.

Interessante, per concludere, analizzare il pensiero di un teologo che operò anche come missionario in Perù, tale Josè Acosta, della Compagnia di Gesù.

Le opere di Acosta e la sua azione in Perù sono state per molto tempo nell’ombra, soprattutto a causa della posizione un po’ a favore degli indipendentisti spagnoli nei confronti del papato ed un po’ per il suo ruolo cardine nella condanna del gesuita Luis Lopez e di altri due chierici.

Nato a Medina del Campo da una famiglia Portoghese ebrea, studia prima al collegio di Salamanca e poi in quello di Alcalà, specializzandosi in filosofia e teologia ed iniziando l’insegnamento. Nel 1571 è inviato in Nuovo Mondo per l’opera di evangelizzazione del Perù. Arrivato in loco si trova in una situazione belligerante tra Inca e Pizarro solo recentemente sedata dal viceré Francesco Toledo. Con quest’ultimo Acosta collaborerà alla amministrazione del Paese, elaborando il sistema delle Ordenanzas. Chiave sarà il suo ruolo nel processo dell’Inquisizione contro il confratello Lopez, il domenicano Francisco de La Cruz ed un altro chierico. Nel 1582 svolge il ruolo di Teologo nel Terzo Concilio di Lima , va poi in Messico per studiare la cultura Azteca, utile per la redazione della sua Historia natural y moral de las Indias. Tornato in patria cercò di mediare la conciliazione tra Roma ed i Gesuiti, a favore della loro indipendenza ma sarà accusato per ciò ed anche per il fatto di essere di sangue ebraico. Morirà nel 1600.

Oltre alla “Historia” ed antecedente ad essa fu la pubblicazione  del “De Procuranda Indorum Salute[64].

Questo scritto ha una doppia intenzione di fondo, la prima teorica, ossia ricercare i principi della azione missionaria, la seconda pratica, ossia individuare la realtà umana cui si riferiscono le missioni.

Nei primi tre libri il De Procuranda è ricco di considerazioni politiche circa la questione del dominio spagnolo e la questione della guerra giusta. Importante è anche l’analisi economica fatta con riferimento alla situazione peruviana. In particolare riflette sulle istituzioni coloniale del tributum, dell’encomienda e della reduccion indios.

Acosta cerca nel De Procuranda di trovare delle giustificazioni giuridiche della conquista, asserendo che, i crimini commessi dai primi conquistadores, si prescrivevano, altrimenti si rischiava di fermare la evangelizzazione. Ergo la convalidazione dei domini spagnoli era a garanzia della evangelizzazione. Per quanto concerneva, invece, i nuovi territori, Acosta è d’accordo con Vitoria, basando le sue tesi sullo ius gentium e consentendo la scorta armata degli evangelizzatori a scopo, però, non solo difensivo, come sosteneva il filosofo di Salamanca,  ma anche preventivo.

Nel secondo libro Acosta parla della guerra giusta, affermando che non esiste un organo internazionale e che nessuno Stato può intervenire per difendere i sudditi di un altro Stato dai soprusi dei governanti, a meno che non siano i sudditi stessi a chiederlo. E’ escluso, dunque, l’intervento per idolatria o crimini contro natura. Nel caso degli indios, tuttavia, l’intervento è ammesso anche senza richiesta di questi ultimi, purché si faccia il minor danno possibile e purché non sia possibile sottometterli con altri metodi, come l’intimazione. Ciò perché, per Acosta, non esistono schiavi per natura ma solo a causa dell’educazione e dei costumi.

Il gesuita si occupa anche del tema del governo coloniale, soprattutto criticando l’istituto dell’encomienda, sostenendo che il tributo non poteva essere chiesto se era necessario agli indios come sostentamento. E bisognava escludere, quindi, gli indios più poveri. Doveva, inoltre, essere vietata qualsiasi frode o raggiro nei confronti degli indios che, comunque, rappresentavano, negli scambi commerciali, la parte più debole. Il compito dei religiosi era, infine, quello di vigilare a che non siano commessi tali soprusi.

La “Historia natural y moral de las Indias” ha un fine meno pratico del De Procuranda, nato soprattutto al fine di gestire il dominio del Perù. E’ un’opera composita che si prefigge lo scopo non solo meramente pragmatico-descrittivo, né quello puramente teorico- classificatorio ma, come emerge dal proemio all’opera, ha il fine di innalzare una lode a Dio per la scoperta di un nuovo territorio che viveva nella oscurità delle tenebre e che ora, grazie al Vangelo, poteva finalmente accedere alla luce divina[65].

La Parte I dell’opera ha un taglio sia geografico che antropologico, e si presta a frequenti citazioni di Aristotele, Ovidio, Plutarco etc.

In prima battuta[66] affronta la questione geocentrica, descrive le Americhe, tenendo conto della posizione della terra al centro dell’Universo, della  posizione delle Americhe nel Globo e della  divisione dello stesso in emisferi, quindi circa l’esistenza degli antipodi, passando poi alla descrizione dei nuovi luoghi, della flora, della fauna, dei minerali, del clima. In seguito vi è la descrizione degli usi e costumi indios. In particolare egli ne descrive il culto, le credenze, i sacrifici umani. Tali descrizioni si basano su due popoli, gli Inca, che risiedevano in Perù, dove Acosta operava, e gli Aztechi, che comunque Acosta conobbe da vicino nel suo viaggio in Messico.  Conclude infine la Parte I con la descrizione della politica e del sistema governativo dei due popoli prima dell’arrivo spagnolo, indicandone parallelamente i movimenti migratori.

La Seconda Parte è forse quella più composita . Inizia con la questione della scrittura, ignota agli indigeni. Secondo Acosta[67] ciò è segno della arretratezza della civiltà locale, a tal proposito sottolinea che sono presenti ugualmente segni grafici ma che gli stessi non sono un vero e proprio corpo alfabetizzato ma una serie di immagini e di schizzi che preservano la memoria delle popolazioni. Secondo il gesuita ciò non è peculiare solo degli indigeni, ma si riscontra in molte culture ai primordi, come gli antichi egizi e come addirittura gli stessi cinesi. Egli teorizza che la complessità della scrittura sia direttamente proporzionale, in tutti i popoli, con la complessità dell’ordine politico sociale della civiltà di riferimento.

Stesso discorso fa per le credenze[68], comparando le civiltà indigene con i barbari ed i pagani che credevano in diverse divinità ed avevano riti bizzarri al pari degli amerindi. Di più, Acosta sottolinea che alcuni riti siano molto simili a quelli cristiani ma in maniera perversa . Secondo lo studioso ciò è dovuto all’opera del demonio che opera ad imitazione di Cristo affinché sia lodato e glorificato allo stesso modo.

Per quanto concerne la politica[69]il religioso riprende la distinzione tra tre tipi di governo adattandola agli indios. Il primo , nonché a detta dello studioso il migliore, è la Monarchia, come quella Incas, il secondo è quello delle behetrias, comunità in cui si governa con la partecipazione di molti e, solo in caso di guerra, viene eletto un capo. Un sistema simile si riscontra anche nelle dittature dell’antica Grecia e della Roma repubblicana. Il terzo è il più inumano e barbarico, costituito da indios che vivono come bestie, senza politica e senza legge.

L’ultima problematica riguardava le origini dell’uomo americano[70]. A tal proposito Acosta sostiene la tesi monogenetica, di origine comune degli uomini. Le differenze, infatti, tra bianchi, neri, indios etc., così come tra animali diversissimi da continente a continente, era dovuta esclusivamente ad una antichissima migrazione ed adattamento, l’uomo era stato creato ad immagine e somiglianza di Dio ma, a causa dell’esposizione a differenti agenti atmosferici, aveva assunto colori e tratti somatici differenti. Anzi la scoperta di questa nuova terra segnava, probabilmente, la venuta prossima dell’Apocalisse, ora che tutto il mondo era conosciuto e suscettibile di convertirsi al credo Cattolico.

 

CAPITOLO II

 

L’INQUISIZIONE IN MESSICO

 

2.1 Un Nuovo Mondo. Cenni sul rapporto tra Europei ed Indios

 

Già nel 1516 Bartolomeo de Las Casas chiedeva l’intervento e l’istituzione di una Inquisizione[71] nel Nuovo Mondo. Tale necessità, tuttavia, non era volta alla scopo di punire l’idolatria indigena ma bensì di tenere sotto controllo ed eventualmente processare coloro che potevano rappresentare una minaccia alla evangelizzazione ed alla conversione degli indios, quindi gli ebrei, i criptoebrei, i moriscos, i musulmani, i marrani e, soprattutto, i protestanti, con particolare riguardo agli inglesi ed agli olandesi, responsabili, tra l’altro, della pirateria ai danni della Corona Spagnola.

La necessità di convertire gli indigeni alla fede Cattolica era presente sin da subito tra i conquistadores, già il 25 settembre del 1493,  secondo sbarco di Colombo nelle Americhe, ci furono religiosi con l’obiettivo di evangelizzare e convertire i nativi. Le primissime attività svolte da tali sacerdoti sono sapientemente descritte da Iannorone[72]. Essi erano circa quattordici ed erano guidati da un certo Padre Bernardo Boyl, uomo dottissimo e munito di amplissimi poteri, successivamente definito Primo Vicario Apostolico in Nuovo Mondo. La sua attività però non durò molto, un po’ per le difficoltà nella evangelizzazione ed un po’ per le ostilità che iniziò ad avere con Colombo  chiese insistentemente di tornare in patria. Fu solo nel 1505 che si ebbe l’erezione della Provincia Francescana della Santa Croce delle Indie occidentali, a seguito del sopraggiungere di un più nutrito gruppo di religiosi e laici. In brevissimo tempo sbarcarono nelle Nuove Indie diversi ordini religiosi: domenicani, francescani in primis, ma anche mercedari ed agostiniani e, solo un secolo più tardi, i Gesuiti, ma con azione prevalente nel Perù. Il Messico (chiamato in un primo momento Nuova Spagna)[73] fu il vero centro propulsore della evangelizzazione, si iniziò con i francescani, tra i quali, caro agli indigeni, Toribio di Benevento definito, per la sua carità, “il povero”. Egli faceva parte  dei dodici apostoli del Messico tutti francescani. A loro seguirono domenicani ed agostiniani. Anche in Nuova Granada, l’attuale Colombia e Venezuela, operarono gli ordini religiosi, soprattutto domenicani, che iniziarono ad istituire scuole ed insegnare il Vangelo ed il credo cattolico agli indigeni. Tuttavia le conversioni furono spesso caratterizzate dall’ essere conversioni di massa, veniva battezzato un ingente numero di indigeni al giorno senza che fossero prima insegnati loro i rudimenti cristiani; ciò provocò, successivamente, un facile ritorno ai riti pagani e quindi frequenti accuse di eterodossia, blasfemia, bestemmia e pratica di culti sincretici nei confronti degli indigeni ma non solo, anche di diversi chierici che, vedendo nella scoperta del Nuovo Mondo una imminente parusia, iniziarono ad ergersi come capipopolo e, tramite culti del tutto peculiari e personalissimi, aizzavano le folle di indios stremate dal lavoro forzato, anche se non schiavistico, e ponevano in essere rivolte spesso sedate col sangue.

I problemi che suscitò l’impatto tra queste due civiltà furono di non poco momento. Nei primi decenni della conquista le popolazioni furono decimate non solo dagli eccidi perpetrati dai conquistadores, ma anche d malattie che, già debellate in Europa erano sconosciute agli amerindi, tra tutte il vaiolo. I conquistadores operavano in piena anarchia,   sentendosi legittimati a comportarsi un po’ come volevano con gli indigeni, ciò è testimoniato da una descrizione del 1502[74] di Las Casas circa gli eccidi. Cassi[75] mostra sapientemente come ci sia un interessante binomio tra conquistadores e templari, tra Conquista e Reconquista, in vista soprattutto del fatto che questi avevano una missione analoga a quella dei cavalieri medioevali delle crociate ma con una differenza di non poco conto, se ai musulmani era riconosciuto un proprio status giuridico agli indios, almeno nei primi tempi della Conquista, ciò era negato. E perciò la figura dei conquistatori spagnoli è accomunata dallo stesso autore ad un’altra figura più tarda, quella dei cow boy nordamericani, i quali, in vastissime zone senza legge che protegga né nativi né segni delimitazioni territoriali, partono all’avventura per far propri terreni e ricchezze incontaminate[76]. Ma i problemi giuridici, come ha sottolineato sapientemente Luigi Nuzzo[77], erano prima ancora problemi linguistici, occorreva una nuova grammatica giuridica teologica, o magari un perfezionamento della stessa, data l’abissale differenza culturale cui si trovarono di fronte le due civiltà. Sulla scorta della considerazione degli indigeni come rustici, in quanto bruti e fanciulleschi nonché inclini al vizio, e come minori, in quanto, al pari degli incapaci necessitavano di un tutore, il Concilio di Trento pensò bene di utilizzare le immagini sacre degli artisti ai fini della evangelizzazione. Sarebbe stato, infatti, molto più semplice per un indio imparare i rudimenti cattolici dalle figure piuttosto che studiando il Vangelo[78]. Tuttavia gli artisti dovevano superare un esame circa la loro inclinazione estetica ed ogni nuova opera doveva passare il vaglio delle autorità proprio per evitare che la troppa eccentricità dell’autore fuorviasse gli indios dal concreto messaggio cristiano. Ricordiamo infatti, che ci troviamo in pieno barocco e rimandi troppo sottili ad un classicismo riadattato potevano facilmente trarre in inganno persone non colte alla maniera europea. Il Terzo Concilio Messicano sancì, quindi, la sconfitta definitiva di tale metodo a fini pedagogici in Nuovo Mondo.

Importante è anche, sempre da un punto di vista linguistico, la strategia di controllo messa ad opera dagli Spagnoli. Secondo Antonio de Nebrija[79]occorreva che in tutte le nuove terre conquistate fosse diffusa la lingua di Madrepatria, il Castigliano, di modo che si potesse controllare l’operato dei colonizzati senza incorrere in errori di giudizio dovuti dalla alterità e dalla natura primordiale dei linguaggi locali. Il centro propulsore del controllo era, dunque, l’educazione e per tal motivo ogni villaggio doveva avere una scuola per insegnare la lingua e le nozioni basilari ed una chiesa che insegnasse il vangelo ed il credo cattolico.

 

2.2 L’Inquisizione Apostolica-Monastica ed Episcopale

 

Prima della istituzione dei Tribunali Inquisitori dipendenti dalla Madrepatria, avvenuta in Città del Messico nel 1570, l’opera inquisitoria era di carattere locale e sotto il controllo dei Vescovi. A seguito della bolla di Papa Adriano VI, la “Exponi Nobis“, nota anche come Omnimoda, del 10 Maggio 1522[80], erano conferito agli Ordini mendicanti (Francescani e Domenicani in primis) che fossero giunti in Nuovo Mondo tutti i poteri episcopali, ad esclusione della ordinazione sacerdotale, ovemai nei luoghi ove si trovavano mancasse la figura del Vescovo o lo stesso fosse distante a più di due giorni di cammino. Tale bolla altro non è che una estensione a tutti gli ordini dei poteri conferiti ai soli francescani in una precedente bolla di Leone X. Loro compito, dunque, era anche quello di punire e perseguire i reati di idolatria ed eresia.

La prima nomina ad inquisitore fu quella di Alonso Manso nel 1519, vescovo di San Juan di Portorico, inquisitore apostolico di tutte le Indie  ( all’epoca le Grandi Antille e qualche territorio del Venezuela e del Panama). Egli fu affiancato dal domenicano Pedro de Cordoba il quale tuttavia molto probabilmente non adempì mai al suo officio. Anche Bernardo de Aldrete sottolinea l’importanza della diffusione del castigliano come strategia di controllo, ma da un altro punto di vista[81]. Era necessario insegnare tale lingua perché la stessa svolgeva in quei tempi lo stesso ruolo svolto dal latino nel medioevo, ossia era la base giuridica, politica e religiosa. Se il latino unificò i regni barbari sotto un’unica legge (la codificazione giustinianea) e un’unica religione (il Cattolicesimo) allo stesso modo il castigliano doveva imporre le proprie regole ed il proprio credo, come lingua di riferimento, disciplinando le situazioni giuridiche nuove secondo canoni classici e le dispute dottrinali secondo i canoni teologici nuovissimi della scuola di Salamanca e di Valladoild prima e del Concilio di Trento poi.

Nel 1519 fu scoperto il Messico e, quindi, l’Inquisizione fu diretta proprio dagli ordini mendicanti essendo l’Inquisitore Generale di stanza a Portorico. Si diede vita così a quella che fu detta “Inquisizione Monastica”.  Primo condannato fu proprio un indios, un certo Marcos de Acolhucan, reo di concubinato. Fra Martin de Valencia istituì alcuni processi in Messico tra cui uno portò alla condanna di quattro indigeni nella provincia di Tlaxla, colpevoli di idolatria. Succedettero poi fra Domenico de Betazos, venticinque processi per blasfemia e fra Vincente de Santa Maria che istituì il primo auto da fe[82]. Sotto la mira di questa inquisizione, però, non vi furono solo indigeni ma soprattutto i conquistadores che molto facilmente cadevano nel reato di blasfemia o nella bigamia. E la blasfemia spesso portava alla luce un ben più grave crimine, quello di eresia, vero punto focale della attività inquisitoria e nel quale cadevano molto più facilmente i conversos.  Diverse cedulas reali vietavano inoltre ai discendenti di ebrei e mori  di imbarcarsi per le Nuove Indie[83]. Con l’auto da fe del 1528 avrebbe dovuto concludersi l’Inquisizione Monastica, ma la stessa, forte della bolla di papa Adriano VI, continuò per un periodo ad operare in molte zone ove mancava la figura del vescovo.

Uno dei processi più celebri fu quello in cui Juan de Zumarraga condannò il caciques Texazo don Carlos (Carlos Ometocthzin), accusato di aver criticato l’evangelizzazione ed invitato gli indios a ritornare al loro vecchio credo. Zumarraga[84] nacque nel 1475 a Durango, entrato nell’ordine francescano, dal quale ebbe un’ottima formazione teologica, divenne guardiano del convento di Abrojo. Dopo aver conosciuto nel 1527 Carlo V, quest’ultimo, colpito dall’integrità morale del frate lo invitò ad estirpare la stregoneria nei Paesi Baschi. Avendo adempiuto al suo officio con rettitudine fu nominato primo vescovo del Messico nello stesso anno. La prima audiencia non fu un successo, egli non poteva avvalersi delle bolle papali dati i conflitti con l’impero del papato e fu solo nella seconda audiencia che fu consacrato, nel 1533, presso il convento di Valladolid. Ritornato in Nuovo Mondo cercò di combattere la corruzione presente nelle chiese locali e di bilanciare la politica ecclesiastica con una convinta opera di evangelizzazione degli indios, forte anche della bolla di papa Paolo III  Altitudo divini consilii, la quale consentiva i battesimi di massa degli indios. Nominato inquisitore nel 1535 istruì diversi processi portando alla condanna diciannove indios. La sua politica fu tuttavia ritenuta troppo ostile nei confronti degli autoctoni.  Egli riteneva che gli stessi dovessero essere soggetti allo stesso potere inquisitorio cui erano sottoposti i cristiani europei, senza nessuno sconto dovuto alla loro ignoranza di molti dogmi ed alla loro primitiva conversione[85]Cacique de Texooco fu battezzato dai francescani come don Carlos e ricevette dagli stessi l’insegnamento dei dogmi cattolici. Fu tratto in arresto nel 1539 e condotto dinanzi al tribunale inquisitorio composto da Alonso de Modina, Bernardo de Sahugun e Miguel Lopez de Legazpi presieduto ovviamente da Zumarraga. L’avvio del processo si ebbe a seguito di una denunzia presentata dall’indio Francisco secondo il quale venti giorni prima nel paese di Chiconabtla era stato avvicinato da don Carlos che partecipava ad una processione per invocare la pioggia e scongiurare una epidemia che andava diffondendosi. Alla presenza di Francisco, del cognato e di altri (nel processo ci saranno ben ventiquattro testimoni) don Carlos affermò che era inutile la divisione dei frati in tanti ordini, che era ingenuo darli ascolto e che avrebbero fatto bene a ritornare alla religione degli antenati, i quali in nessuna profezia narravano dell’arrivo salvifico degli europei[86]. Tratto in arresto, la sua casa fu perquisita e si trovarono diversi idoli pagani locali che non si esitò a definirli feticci demoniaci, una vera e propria “fiesta” del demonio. Oltre a tali simboli idolatri la cosa che agli occhi della inquisizione risultava ben più grave era la “perfezione della adorazione”, gli idoli non erano solo conservati o venerati ma addirittura, come emerse da successivi sopralluoghi, si compivano sacrifici nei confronti di essi e quindi vi era una dedizione, affiliazione e consacrazione al demonio in piena scienza e coscienza[87]. Il quindici luglio don Carlos fu interrogato e gli si concesse di avvalersi di un difensore, furono ascoltati i ventiquattro testimoni che deposero, tutti a sfavore dell’imputato. A nulla valse l’opposizione della difesa che sottolineava l’impossibilità di ricercare prove e testimonianze a discolpa data la permanenza in carcere dell’imputato. L’undici novembre fu letta la sentenza di condanna e don Carlos, affidato al braccio secolare, fu arso vivo.  Il processo suscitò non poche perplessità ed indignazioni, l’azione di Zumarraga fu ritenuta troppo repressiva nei confronti degli indigeni. Egli fu censurato con la “cedula” del ventidue novembre 1540 emessa dal Consejo de la Inquisicion, il quale affermò che non era il caso di punire in maniera così dura gli indios in quanto neofiti del cristianesimo (“plantas verdes en la fe“). Le condanne agli indios, da allora in poi, diminuirono e si invitò a trattare gli stessi come i moriscos spagnoli.

Il processo contro don Carlos è esemplificativo di uno dei terreni sui quali l’inquisizione tenderà a perseguire le eresie, cioè il modo in cui si mostrano, come eterodossie e ritorno ai culti pagani. Il regime applicabile a tali casi, è quello della idolatria. Nel caso di Don Carlos era una idolatria perfetta, caratterizzata sia da extimatio che da affectus, quindi sia da intelletto che da volontà, idolatria che avrebbe portato anche alla scomunica. E’ la forma più grave che avvicina gli idolatri agli eretici ed agli infedeli. Gli altri due tipi più blandi erano senza scomunica ma comunque nutrivano l’interesse della inquisizione, l’idolatria senza affectus, ossia quella tipica di negromanti, chiaroveggenti, divinatori e maghi e quella senza né extimatioaffectus, ossia quella praticata solo per la paura superstiziosa consistente nel fatto che il non adorare gli idoli possa arrecare tormenti materiali al proprio corpo in questa vita terrena[88].  Rispetto al resto del Nuovo Modo il Messico è peculiare nella repressione della idolatria, tale situazione porterà ad un conflitto tra vescovi ed inquisizione episcopale e Sant’Uffizio. La non facile opera di evangelizzazione portava gli indios a creare culti sincretici in cui alle credenze cristiane si affiancavano, come figli di una memoria ancestrale, i vecchi culti. E a tal proposito fu proprio la Chiesa Cattolica ad iniziare, paradossalmente, questo sincretismo, come aveva già fatto nei territori barbari del medioevo (pensiamo alla dea Brigith celta divenuta Santa Brigida, tutt’ora protettrice dell’Irlanda). E la permeabilità antropologica che avevano gli indios nei confronti del Cattolicesimo era sottolineata da diverse Autorità Ecclesiastiche[89] nel corso dei secoli XVII e XVIII. La Madonna di Guadalupe, ad esempio, sorse proprio dove vi era in precedenza il culto di una divinità azteca della fertilità, la dea Tonantzin, che dove ora sorge il Santuario della Vergine, aveva un tempio in suo onore, ancora oggi durante la commemorazione dei defunti cattolica si può assistere a riti aztechi antichi miscelati alle pratiche cristiane, nel caso di specie il defunto è velato e gli è posta nella bocca una perla di giada, nel matrimonio, invece, sebbene celebrato con rito cattolico, resta ancora oggi l’usanza tra i messicani di legare prima del matrimonio lo sposo con i vestiti della sposa.  Sempre con riguardo alla Madonna Sahagun[90] si può notare che c’è una assonanza tra la madre degli dei azteca e la Madre del Dio cattolico, entrambe sono invocate con l’appellativo di “Vergine Madre” o di “Santissima Vergine” o di  “Nostra Madre”. A Tlaxcala fu fatta apparire la Vergine proprio nel punto ove spesso appariva Xochiquetzal, la dea delle arti domestiche e a Chiauhtempa, il tempio dedicato alla dea generatrice di dei Toci fu trasformato nel Santuario di Sant’Anna, madre della Vergine. San Michele poi sostituì il dio della guerra, santa Prisca, vergine decapitata, al posto della dea del raccolto con la testa falciata, san Tommaso Didimo ( tommaso significa gemello) fu venerato al posto del “prezioso gemello”, il dio Quetzalcoat. Ma ciò mostrò in sé tutte le sue contraddizioni, i culti sincretici non autorizzati divenivano patti espliciti col demonio, come gli ebrei trasformarono le divinità fenice e cananee in dèmoni allo stesso modo adorare il dio serpente o la dea della sapienza equivaleva ad adorare il diavolo o i suoi legionari. Diavolo che si era mostrato proprio con la similitudine di alcuni riti a quelli cattolici,  presenti prima dello sbarco europeo. Ancora nel seicento, infatti, era normale per un indio che recitasse il padre nostro utilizzare l’appellativo padre, “Tota“, anche per rivolgersi al sole, così come coesistevano, secondo quanto riportatoci da evangelizzatori come Gonzago de Balsaobre e Jacinto de la Serna[91], le orazioni a Lucifero Citlalquey (il portatore della luce) con quelle al Gesù Cristo Vincitore, le invocazioni a San Santiago a quelle nei confronti Nostra Signora Santissima Morte ed era normale invocare alcune divinità prima del raccolto o a seguito di una puntura di scarafaggio.

Successore di Zumarraga fu Alonso de Montufar. Il suo episcopato fu caratterizzato da una linea politica più moderata e meno repressiva degli indios. In piena eco Tridentina spostò la sua attenzione sugli europei, protestanti, giudei e moriscos che, nonostante i frequenti divieti, erano comunque riusciti a giungere in Nuova Spagna e costituivano, come lo stesso Las Casas affermava[92], una grossa minaccia per l’opera di evangelizzazione degli indigeni. Montufar fu particolarmente attento alla censura dei libri, censurò addirittura uno scritto dal suo integerrimo predecessore (che nutriva una non troppo celata simpatia per Erasmo da Rotterdam il cui “Elogio alla Follia”  fu uno dei libri messi all’indice dopo il Concilio di Trento). La persecuzione, quindi, fu nei confronti degli eretici che, a differenza degli eterodossi, risultano più evoluti, hanno cioè una base dogmatica salda, come le grandi religioni europee ed orientali non cattoliche. La sua attenzione si spostò anche nei confronti di alcuni mistici, tra tutti una suora in odore di santità, tale Elena de la Cruz, del monastero della Immacolata Concezione del Messico. Molto probabilmente le accuse furono, però, dovute ad una lite tra Avila e Cortes in cui la famiglia della suora prese parte. Una sorte simile ad una sua omonima, tale  Juana de la Cruz[93], che nella prima metà del seicento era ritenuta la “Decima Musa”, donna profondamente religiosa, mistica e sapiente, venerata quando era in vita già come Santa. Ma, sebbene grazie alla discendenza da una famiglia potente non finì nelle morse dell’inquisizione, fu comunque osteggiata e tormentata psicologicamente dagli ecclesiastici, soprattutto dai Gesuiti ed in particolar modo dal suo confessore, padre Antonio Nunez Miranda. In buona sostanza la donna abbandonò i suoi studi e passò la sua vita ad assistere gli infermi morendo di peste proprio mentre espletava tale servizio.

Mentre la persecuzione contro gli indigeni si placò in Città del Messico, nelle zone distanti più di due giorni era ancora presente l’Inquisizione Monastica, forti della bolla Omnimoda  gli ordini mendicanti avevano piena indipendenza di potere e quindi anche di inquisizione nelle località lontane dalla sede vescovile. Nello Yucatan ci furono diversi abusi e pratiche orribili, nel convento di Mani, ad esempio, il provinciale francescano Diego de Landa realizzò uno sterminio di interi villaggi, gli indigeni si ritenevano rei di idolatria e di sacrifici idolatrici, a Tepican, diocesi di Oaxaca, fu allestito un apparato inquisitorio con lo scopo di spaventare gli indios, a causa del vento le fiamme si propagarono e due accusati furono bruciati. Tutti questi dissidi tra vescovi ed ordini mendicanti accompagneranno l’intera vita delle colonie, ci saranno conflitti sulla giurisdizione e sull’attribuzione delle parrocchie. Su tale sfondo ci sarà la disputa tra Alonso de la Vera Cruz e Montufar, il quale denunciò l’agostiniano di fronte alla Suprema di Spagna.

 

2.3 Il Tribunale del Sant’Uffizio[94]

 

Le contraddizioni aumentarono allorché si instaurò in Messico un Tribunale del Sant’Uffizio non gestito da vescovi o dagli ordini mendicanti ma bensì dipendente dalla stessa Suprema, dalla Corona spagnola. L’ortodossia nel Nuovo Mondo era in grande pericolo, i tribunali inquisitori locali si occupavano di indios, dei neoconvertiti, ma c’era una minaccia molto forte che andava estirpata, l’insediamento nelle Americhe degli ebrei e soprattutto delle religioni protestanti che rischiavano di strappare il primato dottrinale della Chiesa Cattolica in quelle terre, con grave minaccia soprattutto degli indigeni, considerati parte lesa da questo fenomeno in quanto rischiavano di perdere la loro anima a causa delle proposizioni eretiche degli scismatici. In Brasile ed in Florida, addirittura, vi era l’insediamento di una stabile colonia degli ugonotti, a ciò si aggiungeva l’insuccesso della politica di evangelizzazione posta in essere da papa Pio V. Urgeva, quindi, una modifica del tribunale ma soprattutto una revisione circa i poteri da affidare ai sovrani cattolicissimi nelle colonie americane. Nel 1569 Filippo II autorizzò la creazione di due tribunali del Sant’Uffizio, in Messico l’uno ed in Perù l’altro, solo nel 1610 sarà istituito a Cartagena.  Don Pedro Moya de Contrera fu il primo inquisitore ed ebbe il delicato compito di traslare a Città del Messico il sistema inquisitorio della madrepatria, con tutti i funzionari, il fiscal, il notaio verbalizzante, il medico addetto alla vigilanza nella tortura, i familiares, addetti a svolgere la fase delle indagini[95]. L’instaurazione ufficiale avvenne nel 1571 con una solenne cerimonia. Le istruciones che accompagnavano l’instaurazione del Sant’Uffizio furono del tutto peculiari. Lo stesso aveva il compito di perseguire l’eresia in tutte le sue sfumature, dai protestanti agli ebrei ai conversos ma ne restavano esclusi gli indios i quali furono ritenuti di “fresca” evangelizzazione e quindi non soggetti alla giurisdizione della Inquisizione[96]. Tuttavia tale affermazione è solo teorica e mostra in sé la contraddizione della evangelizzazione, sebbene infatti il Sant’Uffizio non era competente sulle questioni che riguardavano gli indios, tali azioni erano comunque svolte dai tribunali locali, soprattutto monastici che avevano in tal modo una giurisdizione quasi esclusiva in materia e che, dalla metà del ‘500 in poi, li renderà più simili a tribunali criminali civili che all’inquisizione. Ma c’è di più, sebbene gli indigeni fossero direttamente esclusi dalla giurisdizione inquisitoria vi erano alcuni crimini che li vedevano comunque oggetto di incriminazione, seppure in maniera indiretta. Si tratta di due ipotesi, da un lato i reati di eterodossia, ritorno al culto pagano, blasfemia e poligamia che configuravano una sorta di eresia ma mai raggiunsero tale definizione[97] e dall’altro i crimini di sedizione, sovversione dell’ordine costituito e negazione della sovranità ispanica che vedeva come protagonisti non solo indios ribelli ma soprattutto capipopolo che spesso facevano parte di ordini monastici e che aderirono a o crearono ex novo sette millenariste  accomunate in buona sostanza dalla considerazione della scoperta del Nuovo Mondo come segno di una imminente parusia che avrebbe visto distrutta la Chiesa di Roma, la quale si sarebbe trasferita rinnovata e purificata nelle Americhe e, a ciò, avrebbe fatto seguito il ritorno del Messia e l’instaurazione della pax universale col trasferimento degli eletti nel nuovo eden, l’America.

Prima di analizzare ambo i casi è doveroso spendere alcune parole circa la persecuzione delle eresie. Gli eretici erano quasi sempre protestanti, soprattutto corsari o mercanti, inglesi olandesi ed anche francesi e la loro persecuzione, sebbene celata dal crimen di cui sopra, era volta in realtà ad un fine pratico: tentare di eliminare il fenomeno della pirateria dai nuovi mari e battere la concorrenza da un punto di vista economico riservandosi, così, un primato su quel “nuovo Mediterraneo” che era il golfo del Messico e le altre zone costiere. Ma la persecuzione più imponente si ebbe nei confronti dei seguaci di culti giudaizzanti, l’Inquisizione aveva nella loro condanna il punto massimo di soddisfazione soprattutto in vista del fatto che i beni requisiti ai condannati o ai prigionieri entravano nelle casse della stessa che, col tempo, si mostrò sempre più ricca, più corrotta, più ignava e più lontana dallo scopo per cui era stata istituita. Lo strumento di elezione utilizzato erano i cosiddetti auto da fe[98] . Il primo fu celebrato il 28 febbraio 1574, annunciato già due settimane prima e si realizzò come un vero e proprio spettacolo, gioco di romana memoria, gradinate per accogliere il pubblico, rulli di tamburo, squilli di trombe. Settantaquattro prigionieri, in maggioranza protestanti ed il “pezzo forte”, condannato esemplarmente e con maggior vigore, fu un certo John Hawking, già pirata catturato nel 1568 dopo la distruzione della sua flotta a San Juan de Ulua. Furono arsi al rogo quattro protestanti di nazionalità diversa. Ma i processi più importanti di questi anni erano, come appena sottolineato, contro i giudei ed i conversos in particolare. Era usanza, infatti, per molti ebrei di andare in madrepatria e farsi fare, dietro ingente pagamento, un certificato di limpieza de sangre, tornando in Nuovo Mondo come cattolici spagnoli; tale fenomeno era chiamato criptoebraismo[99] e, tra tutti, spicca la causa contro la potente famiglia Carvajal che era riuscita ad ottenere addirittura il titolo di governatore del Nuevo Reino Leon. Nel 1595 furono affidati al braccio secolare ben nove membri della famiglia. Un altro auto da fe ancora più imponente si ebbe nel 1649, l’11 aprile. Fu uno spettacolo tristemente suggestivo, come i concerti dei giorni nostri molti spettatori passarono la notte all’addiaccio per non perdere i posti in prima fila. Centonove prigionieri, buona parte del commercio messicano, ritenuti ebrei o criptoebrei, a tutti furono confiscati i beni, venti furono bruciati in effige, tredici arsi al rogo, di cui dodici si pentirono e furono strangolati, solo uno, tale Tomas Trevino si mantenne spavaldo e non rinunciò alla sua fede, morendo con sguardo fiero tra le fiamme.

Tornando alla questione indios nei primi trent’anni la nuova inquisizione condannò diversi soggetti rei di bigamia o blasfemia. Per il primo crimen erano perseguiti soprattutto i conquistadores o meglio i loro discendenti e i mulatti. Il mulattismo, infatti, era un fenomeno che andava sempre più diffondendosi dati i frequenti rapporti misti non solo tra europei e locali ma anche tra neri ed indigeni d’America. Ma tuttavia gli indios avevano poco a che fare con tal costume, è solo episcopale o monastica l’autorità che li condannava, oramai, con l’istituzione del Sant’Uffizio erano gli Europei ed i latifondisti a finire nelle mire della Inquisizione, sempre più corrotta e sempre più assetata di ricchezza e danaro. Stesso dicasi per la bestemmia che raramente era punita da sola ma era spesso accompagnata all’accusa di ritorno al paganesimo o di eterodossia e, nel caso degli europei, di eresia.  Sebbene abbiamo già trattato[100] il fenomeno della eterodossia vale la pena citare ed analizzare alcuni aspetti non tanto inerenti a culti sincretici ma bensì alla stregoneria, la quale è la forma mediana di idolatria in quanto c’è l’affectus ma non l’extimatio[101]. I rituali magici fondavano le loro radici nella religione precolombiana e tracce storiche le troviamo soprattutto in due composizioni: il Popul Vuh e le profezie Maya del Chilam Balam[102]. Ma è soprattutto a livello popolare che hanno fortuna tali rituali magici; diverse sono, infatti, le condanne ed i processi della inquisizione contro maghi, fattucchiere, streghe, stregoni, negromanti, chiromanti, divinatori e soprattutto curatori. Con la conquista spagnola, pur perdendo di fatto il loro ruolo pubblico, tali stregoni mantennero le attività in segreto ed erano spesso consultati più degli stessi medici o dei chierici. Esistevano, per ogni villaggio, diversi teciuhpeuhque, specializzati nel far piovere e diversi tonalpouhque, specialisti nei riti propiziatori del raccolto. vi erano poi i divinatori, interrogati per prevedere il futuro, gli sciamani zahories i quali, entrando in contatto con le forze del male (secondo i cattolici, con gli spiriti dei defunti secondo gli indios)[103] interrogavano questi ultimi sui più disparati argomenti, le fattucchiere, addette alla produzione di legamenti d’amore ed infine gli indovini, che predicevano il futuro. I nahuales, invece, si trasformavano in animali (?)[104] recando danno all’uomo . Esemplare, a tal riguardo, è il caso della denuncia nel 1650 contro una donna che ricorreva al potere magico del colibrì, l’uccello che accompagna le divinità locali dell’amore. Nel 1591, invece, vi fu un processo conto sette donne ree di aver recitato orazioni magiche a giovani donne in cerca d’amore invocando San Silvestro, Santa Marta, San Giuliano e…la Stella luminosa. I titichi erano invece i curatori, medici, chirurghi, erboristi e stregoni ad un tempo. A tal riguardo l’atteggiamento dell’Inquisizione ed anche degli europei contro tali guaritori è del tutto  ambigua, soprattutto riguardo alle erbe mediche utilizzate ed alla loro liceità o meno. Con la scoperta del Nuovo Mondo, infatti, diverse erano le piante con effetti psicotropi, sia stimolanti che deprimenti, ricordiamo, tra i più comuni il tabacco ed il cacao, che nessun inquisitore o autorità si sarebbe mai sognato di punire dato il loro ampio uso ed il largo commercio in Europa. Ma così non fu per alcuni allucinogeni, tra tutti il peyota, usato per la sua capacità di produrre illusioni e stati allucinatori, in alcuni riti religiosi locali. A tal riguardo nessuno mise in dubbio la sua natura diabolica e chiunque ne facesse uso era considerato reo di aver fatto un patto implicito col demonio[105]. Nacque così il principio di colpa implicita che puniva gli indigeni non perché avessero la volontarietà del fatto ma solo quella dell’atto, in buona sostanza erano rei di patti demoniaci pur senza invocare il demonio o le sue legioni ma semplicemente consumando il peyote.  Ma l’interrogativo sorge spontaneo, come mai altri psicotropi, soprattutto anestetici, non erano soggetti al principio di colpa implicita pur generando effetti analoghi? Il chinino, ad esempio, fu largamente usato in medicina come panacea di tutti i mali dato il suo effetto quasi miracoloso su diverse malattie dell’epoca. E ancor di più ambigua è la questione su un’altra pianta, questa volta un eccitante, la pianta di coca. Ma su tale punto ci soffermeremo diffusamente nel capitolo successivo, dato che il fenomeno aveva il suo fulcro soprattutto in Perù[106].

Altro terreno di competenza della inquisizione era quello nei confronti delle sette millenariste che andavano formandosi nel XVI e XVII secolo in America. Nel momento in cui, infatti, i colonizzatori esautorarono le elite locali, soprattutto i sacerdoti, dai loro ruoli pubblici, cominciò una sotterranea rivolta nei confronti dei dominatori. Tali soggetti esortavano gli indios a non sottomettersi all’invasore ed a rinnegare il culto che essi proponevano a favore dei  vecchi culti o, successivamente,  di culti sincretici. Vennero per questo chiamati dogmatizadores, apportatori, cioè, di dogmi alternativi[107]. Oltre al caso di don Carlos di Texcoco già analizzato[108] le cause più celebri furono quelle di Martin Ocelolt ed Andreas Mixcoalt, condannati a morte nel 1537. Successivamente vi furono diversi tumulti che investirono il Messico, nel 1541, ad esempio, gli indios di Nuova Galizia guidati dal capo religioso Tenamaxtli inflissero importanti sconfitte agli spagnoli e solo le truppe del viceré Mendoza riuscirono, con molte perdite, a sedarli, ma gli stessi si batterono eroicamente fino all’ultimo.  Nel 1601, grosso modo nella stessa zona, Acaxees di Topia organizzò una rivolta tra i lavoratori indigeni stremati dalla fatica e dallo sfruttamento che mise in subbuglio tutta la zona. Si riuscì a calmarli solo grazie all’intervento del vescovo Alonso de la Mota y Escobar, che promise loro trattamenti più umani. Altro capo religioso era un certo Tepehuanos,  dalle origini incerte, che, autoproclamatosi Figlio di Dio, guidò una rivolta, convincendo i suoi seguaci di avere poteri straordinari e miracolosi e di comunicare costantemente con il Padre suo, una strana divinità sincretica rappresentata da un idolo che egli portava sempre con sé[109].  Fu questa senz’altro la rivolta più cruenta;  folle di visionari si batterono contro gli spagnoli, forti anche della presenza dei robusti neri che si unirono a loro, si racconta addirittura staccassero teste e strappassero i cuori dei nemici[110]. Solo la armata reale riuscì a tamponare le rivolte a Durango, ma il focolaio dopo un po’ si riaccese, alcuni credevano che sarebbe ritornato re Congun, mitico capo degli Zapotechi, resuscitato a nuova vita in carne e spirito[111]. Le insurrezioni continuarono per tutto il XVII secolo ed anche oltre, sino all’Ottocento. Traendo le somme possiamo dire che gli indios messicani fossero attratti da questa figura di uomo-dio, liberatore, redentore, un po’ come il messia cattolico, ma diverso, metà Gesù metà Barabba. A tal riguardo interessante è uno studio di Serge Gruzinski[112]. Secondo lo studioso il tema ricorrente delle tribù messicane, seppure sparse e non unite politicamente, era la fiducia dell’intervento divino, la sicurezza che sarebbero giunti o erano già giunti intermediari tra il cielo e la terra, dei, semidei o eroi del rango del serpente piumato, il Quetzalcoat, un novello Hermes-Prometeo che insegna le arti e le scienze agli uomini. Tali semidivinità, seppure scompaiono in un dato periodo storico, sono destinate a ritornare ciclicamente per apportare un equilibrio nel mondo ed una divina giustizia.

Interessante è l’analisi dell’eresia perpetrata in Messico da un altro capipopolo, un certo Guillen Lombardo[113] un rivoluzionario che voleva non solo salvare gli indios dallo sfruttamento ma aveva un progetto ben più ambizioso: liberare gli indigeni ed i neri dalla morsa della schiavitù e proclamarsi Re del Messico. Per questo motivo fu accusato di sedizione, tratto in arresto dalla Inquisizione, che lo accusò di utilizzare la magia nera e la stregoneria al fine di sovvertire l’ordine costituito, ed infine condannato. Nel suo scritto Troncarelli nota come vi siano profonde affinità tra Lamport (vero nome di Guillen Lombardo) e Zorro, il personaggio creato dalla penna di Jhonston McCulley[114]. Ma leggende a parte vediamo chi era realmente questo Guillem Lamport. Mago e personaggio eccentrico, probabilmente era un agente segreto della Corona spagnola alle costole del viceré del Messico, il Marchese Villena[115]. Certo motivi per mandare un agente segreto in Nuova Spagna ce n’erano,Villena mostrava, infatti, simpatie non troppo velate per il Portogallo che nel 1621 era insorto divenendo indipendente dalla Spagna. Simpatie manifestate apertamente  dunque, ma non solo, in maniera impacciata, da golpista sciocco e senza un briciolo della diplomazia pur necessaria per porre in essere un colpo di Stato[116]. Il vescovo Palafox scacciò l’imbarazzante Villena che, tra l’altro, aveva suscitato anche le antipatie degli indios[117]. Intanto Lombardo, desideroso di proclamarsi re della Nuova Spagna, coniando addirittura il nome “Nuovo Messico”[118], iniziò ad intessere un rapporto epistolare col Papa, con il Re di Francia, con la Corona portoghese ed anche con l’Olanda. Tuttavia, forse perché stava divenendo troppo potente e pericoloso, e sapeva molte cose, il 26 ottobre 1642, verso le dieci di sera, fu tratto in arresto nella sua abitazione. L’accusa iniziale non fu di cospirazione ma di magia e stregoneria, lo si riteneva reo di aver posto in essere un patto esplicito col demonio attraverso la divinazione. Successivamente il capitano Mendez scoprì le lettere ed ampliò la sua denuncia includendovi la cospirazione[119]. All’Inquisizione le idee di Lamport circa l’indipendenza del Messico certe non parevano bizzarre, basandosi sulla fine disputa teologico-giuridico-politica che vedeva contrapposte diverse scuole di pensiero[120], né tantomeno la stupivano, si è diffusamente parlato in questo paragrafo, infatti, del messianismo che accompagnava i capipopolo messicani dal XVI al XVIII secolo[121]. Tuttavia quello di Guillen Lombardo  fu un messianismo sui generis, né protestante né cattolico, potremmo azzardare quasi laico, evoluto e soprattutto più eretico che eterodosso in quanto coerente e ben sistematizzato ed inoltre figlio della cultura rinnovata che in quel tempo stava fiorendo nel Vecchio Mondo[122]. Il processo lo portò ad una condanna al carcere, da cui fece una rocambolesca fuga  alle tre di notte assieme a dei compari. Tradito successivamente da alcuni amici ritornò dinanzi all’Inquisizione che ebbe meno pietà per lui, se nelle prime udienze i mostrò altero e spavaldo, man mano che passava il tempo, minato nel corpo e nello spirito, si mostrava stanco, spesso non ricordava le deposizioni precedenti e si contraddiceva, parlava per monosillabi. Nell’ottobre 1659 fu condannato a morte.

Causa la sua corruzione, l’Inquisizione in Messico cominciò pian piano a decadere, i processi divennero via via più rari e i posti di funzionari o giudici inquisitori erano ambiti solo perché garantivano immense ricchezze, la macchina burocratica cominciò a funzionare male, le carceri erano umide ed abbandonate[123]. Carlo V tentò di riformarla, poi ebbe un periodo di sospensione, fu definitivamente chiusa ed i prigionieri liberati solo nel marzo del 1820, ma era ormai da anni che operava poco e male.

2.4 Cartagena de Indias

 

Giusto per completezza nella esposizione merita un breve cenno l’Inquisizione di Cartagena de Indias.

Il tribunale di Cartagena de Indias, terzo tribunale del Sant’Uffizio in Nuovo Mondo, fu istituito solo nel 1610, il venticinque febbraio, a causa dell’ampia giurisdizione che  aveva il tribunale di Lima. Precedentemente era stato istituito l’episcopato di Cartagena, nel 1532 e l’Inquisizione episcopale subito dopo, Bogotà ne divenne la capitale e la sede dell’arcivescovato.

La località prescelta fu Cartagena, equidistante dalle Antille e da Lima e non la più evoluta Santa Fe de Bogodà. Ciò ebbe tutte le conseguenze del caso, gli inquisitori erano pochi e rozzi, mancavano dottori in Legge e competenti in Dottrina Teologica, nonché persone con un minimo di istruzione necessaria almeno a svolgere il ruolo di funzionario[124].

Ad ogni modo il territorio di competenza del tribunale di Cartagena era amplissimo, le Antille e Nuova Granada, cioè Venezuela, Porto Rico, Colombia, Giamaica. I processi di cui si occupò furono soprattutto contro i giudei, molto presenti nella zona in quanto era proprio nella giurisdizione del tribunale di Cartagena che sbarcavano marinai e mercanti[125]. Ma non solo, anche gli schiavi neri sbarcavano in loco[126], e tenere a bada gli stessi non era gioco facile. Gli schiavi provenivano dalla Nigeria, dalla Costa d’Avorio, dal Ghana, dalla Guinea, dal Congo, dall’Angola, erano resi schiavi da portoghesi o da islamici e venduti ai possidenti americani per rimpiazzare gli indios deceduti in massa nei primi tempi della colonizzazione[127]. Ma gli stessi erano resi schiavi anche dagli stessi africani, ed anzi in questo caso erano ridotti in schiavitù proprio membri di alto rango, nobili stimati e rispettati che potevano rappresentare un pericolo in quanto possibili eredi al trono. Ciò comportò il fatto che, complice anche la loro prestanza fisica, i loro lavori non erano così duri come quelli indigeni, ma svolgevano una sorta di attività di guardia degli indigeni, una specie di boss, di mafiosi d’alto rango come quelli ahimè presenti oggi negli istituti penitenziari di tutto il mondo. Forti del loro rispetto e dell’autonomia in cui agivano divennero fortemente ostili agli spagnoli ed organizzarono rivolte ad uso di quelle degli indios, anzi spesso coinvolgendo anche loro[128]. Gli insorti neri, divenuti via via più potenti, venivano chiamati cimarrones[129] dagli europei e presto si spostarono da Cartagena al Messico, ponendo in essere anche in loco diverse rivolte. Anche tra i neri c’era poi l’uso di mitizzare alcuni capipopolo e, se non divinizzarli, almeno renderli eroi con poteri e forze speciali e sovrumane. E’ il caso del principe Yanga, di etnia Dinka[130], dalla forza inaudita, si diceva addirittura che aveva ucciso un leone solo con le sue mani, come Ercole. Tuttavia le rivolte furono se non sedate usate spesso a vantaggio dei poteri forti europei, in buona sostanza i potenti si servivano delle rivolte per sostituire o screditare governatori e vescovi. Ad esempio la rivolta di Veraez, che fu liberato dai suoi uomini dopo che, fattosi strada tra le guardie numerose era riuscito da solo a fronteggiarli a fil di spada ed a rifugiarsi in un convento, era in realtà gestita e manovrata da diversi esponenti della classe dirigente spagnola.

Il primo auto da fe di Cartagena venne celebrato nel febbraio del 1614, trenta imputati furono portati tra squilli di tromba e rulli di tamburo dinanzi al tribunale e processati, diversi erano accusati di reati minori. E’ da sottolineare che la compresenza di indios e di neri, di cui abbiamo parlato sopra, comportò a Cartagena anche la presenza di rituali sincretici che miscelavano credo indio e credo africano. Diffusissimi erano, ad esempio, i riti vudù ed altri riti esoterici importati non solo dall’Africa ma anche dalla Francia e dall’Olanda[131].

Il tribunale di Cartagena operò meno degli altri due tribunali americani, le condanne furono ben poche rispetto a Città del Messico e, complice l’inerzia, funzionò sempre peggio, seguendo poi le stesse sorti del tribunale messicano, nel 1821 fu definitivamente chiuso.

 

CAPITOLO III

 

L’INQUISIZIONE IN PERU’

 

 3.1  I conflitti tra Pizarro e Almagro e l’ organizzazione economico-sociale degli Inca

 

La situazione in Perù, fino agli inizi del Seicento, fu molto simile a quella del Messico, inquisizione episcopale-monastica prima, istituzione del Sant’Uffizio a Lima poi, nello stesso anno in cui fu instaurato a Città del Messico, il 1569. Tuttavia la peculiarità risiede nel fatto che in questo territorio opererà, dopo la sua istituzione da parte del Concilio di Trento[132], la Compagnia di Gesù[133]. Inoltre in Perù, rispetto alle Antille ed al Messico, il consolidamento della colonizzazione aveva trovato un altro ostacolo, oltre al problema di come convertire gli indios, quello della resistenza indigena ad opera dei successori di Huayna Capac, l’Imperatore degli Inca[134].

Gli Inca sotto Huayna Capac erano al massimo del potere economico- politico, estendendosi dalla Colombia all’Argentina passando per le Ande. Alla morte del sommo sovrano iniziò una guerra intestina di successione tra i due figli dello stesso: Atahualpa e Huascar. Durante tale frangente giunsero in Perù Francisco Pizarro e Diego de Almagro, entrambi spagnoli. In principio furono scambiati per divinità, accolti in gran festa e trattati in maniera cordiale e reverenziale. Essi giunsero a bordo di Caravelle che gli Inca chiamarono “Grossi Uccelli”, forti della profezia secondo cui gli dei avrebbero fatto ritorno tra gli uomini accompagnati da enormi volatili[135]. Tuttavia la gioia tra gli indigeni finì ben presto. Gli europei cercavano El Dorado e l’avevano trovata:  costruzioni imponenti, valanghe d’oro e di gemme.  Pizarro fece uccidere, per impossessarsi degli stessi ed ingraziarsi i suoi uomini,  prima l’uno poi l’altro erede al trono. Un terzo figlio, allora, tale Manco, meno ambizioso, meno potente e meno pericoloso per gli spagnoli, venne incoronato dallo stesso Pizarro come nuovo re degli Inca[136]. Nel frattempo cominciò una lotta per la supremazia tra Pizarro e Almagro che si protrarrà per diverso tempo, sin quando il figlio di quest’ultimo ucciderà Pizarro.

Dopo circa dieci anni, finalmente, a seguito di diversi bagni di sangue, quasi tutti gli Inca si arrenderanno agli spagnoli. Allo stesso tempo giungerà in loco il viceré Francisco de Toledo[137] e solo molto dopo, nel 1572, terminerà definitivamente la resistenza indigena.

Notiamo le differenze che sussistevano tra gli Inca e i messicani Maya ed Aztechi. Questi ultimi fecero una resistenza molto più blanda e la loro sottomissione ai conquistadores avvenne molto più rapidamente e non solo tra i gruppi sparsi nei terreni più impervi e nella giungla ma anche tra gli indigeni di città importanti. Il motivo è semplice, in Messico il popolo Maya aveva man mano perso il suo splendore e la sua potenza ed all’arrivo degli europei fu molto più docile degli Inca, stesso dicasi per gli Aztechi, che sebbene erano ancora in auge agli inizi del Cinquecento avevano comunque una dimensione accentrata, nelle grandi città, non più un dominio imperiale come quello Inca. Insomma, il pueblos messicano era molto più frammentato, diviso, non c’era un re che dominasse su ampi territori ma diversi villaggi autonomi, sebbene accomunati da un unitario corpus religioso ma da un non più unico potere politico regolatore[138]. Anche l’economia Inca era più avanzata rispetto a quella dei popoli messicani, anche se ugualmente poco comprensibile ad un europeo, abituato ad altre forme meno comunitarie di proprietà. Carducci ce ne offre un ottimo ritratto[139]. L‘ayllu era la comunità locale che costituiva anche il primo nucleo produttivo, essa era regolata dall’agricoltura, dall’allevamento e dall’artigianato molto importante era soprattutto la tessitura. Gli Inca non sapevano cosa fosse il danaro, i metalli preziosi erano utilizzati solo nelle cerimonie religiose ed a fini esclusivamente rituali o ornamentali. I curacas erano a capo di ogni ayllu e l’imperatore, tramite l’invio di propri funzionari, di emissari o di relazioni a lui giunte da parte degli stessi curacas, effettuava il controllo sulla produzione stabilendo una ridistribuzione delle ricchezze nell’impero in base alle necessità di ognuno. Ogni comunità versava anche un tributo che, però, non era proporzionato alla ricchezza effettivamente prodotta ma alla forza lavoro impiegata. I beni dati in tributo erano depositati in appositi magazzini ed utilizzati solo in casi di necessità. Inoltre vi era la “mita“, un tributo speciale che si versava per far fronte ad esigenze militari o anche per finanziare opere pubbliche (costruzione di strade, ponti, edifici di culto). Esso non era pagato periodicamente ma riscosso una tantum, solo quando ve ne fosse l’esigenza[140].

Quando giunsero gli spagnoli si iniziò gradualmente ad introdurre la moneta. Il sistema tributario restò in buona parte invariato ma la riscossione del tributo iniziò ad essere proporzionata non più all’esigenza ed alla manodopera impiegata ma all’effettiva ricchezza prodotta. La stessa mita fu conservata ed addirittura se ne introdusse un’altra[141] (era un tributo molto interessante per gli spagnoli, in quanto faceva leva sulla necessità, e la necessità è un concetto talmente elastico e malleabile che può coprire qualsiasi aspetto, consentendo di imporre tassazioni anche su questioni non rilevanti. Un po’ come l’attuale meccanismo del decreto legge in Italia, usato spesso, soprattutto negli ultimi tempi, come strumento per far legiferare il governo e in maniera molto più veloce, data la vaghezza, che tuttavia circonda i cosiddetti casi di necessità ed urgenza[142]), si trattava della “mita mineraria“, tassa terribile e gravosa che aveva ad oggetto il lavoro in miniera, il suo finanziamento, la manodopera impiegata ed il suo meccanismo economico di funzionamento.

A tale sistema si sostituirà presto l’Encomienda[143].

 

2 Le prime inquisizioni locali e  l’Inquisizione di Lima

 

La Junta Magna[144] celebrata a Madrid nel 1568, portò alla creazione della Inquisizione a Lima nel 1571, ad iniziativa di Filippo II, per motivi analoghi alla istituzione del tribunale a Città del Messico. Vi era, infatti, da un lato la necessità di gestire meglio il fenomeno della pirateria, che riguardava soprattutto inglesi ed olandesi, e dall’altro di salvaguardare gli indios dalle eresie protestanti, ebraiche e musulmane[145]. Tuttavia ciò non significa che precedentemente non vi fosse alcun tribunale inquisitorio, come nel caso del Messico esistevano diversi tribunali che avevano sede nelle città che avessero un vescovo, il quale operava indipendentemente dalla Corona, in virtù del proprio officio. Proprio la frammentarietà della attività inquisitoria in Perù e l’ esigenza di mettere un po’ d’ordine e porre in essere una disciplina unitaria da applicare nella risoluzione dei casi concreti, portò all’istituzione del tribunale centrale di Lima.

Le competenze di tale tribunale erano onnicomprensive, dall’eresia, alla blasfemia, alla sedizione, sino alla punizione dei millenaristi. Per quanto riguarda gli indios, anche in queste terre, come altrove nell’America Latina, gli stessi erano esclusi dalla giurisdizione della inquisizione centrale, erano neofiti, freschi di conversione e non potevano essere giudicati alla stregua di eretici che ripudiavano il cristianesimo con propria scienza e coscienza. Ciò non significa che gli indios non subissero cause, semplicemente tale competenza, anche dopo l’istituzione del Sant’Uffizio nel ’71, rimase dei vescovi[146], come avveniva precedentemente. Ciò deve portarci a riflettere su un punto. Al di là della contraddizione insita in tale decisione che, potremmo dire, sfiora l’ufficiosità, c’è un aspetto sottile ma non poco importante da considerare. Mantenere di competenza dei vescovi solo i processi che coinvolgevano gli indios aveva un fine non solo di correttezza formale ma rispondeva ad una esigenza ben concreta, era in buona sostanza necessario che chi giudicasse gli indigeni lo facesse in maniera non uniforme, adattandosi alla comunità locale. Se cioè un comportamento in una data località poteva essere considerato eterodosso o pagano, perché ad esempio l’indio conosceva bene il vangelo, in un’altra comunità poteva essere tollerato, data l’arretratezza della stessa o anche del singolo indio. Non era possibile punire, dunque, gli indigeni seguendo una dottrina certa come quella dei tribunali centrali ma bisognava, invece, modellarla a seconda del caso concreto e del livello di coscienza del reo. Esisteva, insomma, una stretta correlazione tra tribunale episcopale ed evangelizzazione[147]. Tale punto sarà ancora più sentito in Perù data la presenza che di lì a poco avranno i gesuiti[148], nuovo ordine monastico figlio della controriforma e nato per reprimere l’eresia protestante allo stesso modo in cui i domenicani nacquero per reprimere l’eresia catara. Inoltre è da tener in conto che, anche prima dell’istituzione del tribunale di Lima, le condanne nei confronti degli indigeni sono comunque pochissime, meno di quelle del Messico. Ciò può essere spiegato dal fatto che l’evangelizzazione e soprattutto la conquista del Perù fu più lenta ed in ogni modo sempre in bilico date le frequenti rivolte di cui abbiamo parlato[149] .

La Junta Magna, invece, stabilì regole rigide e fisse per l’inquisizione di Lima, presente era anche l’inquisitore generale Diego de Espinosa che conosceva ottimamente le vicende della inquisizione iberica e le sue falle nel funzionamento. Proprio per evitare tali inconvenienti anche in America si decise in maniera peculiare e chiarissima quale dovesse essere il ruolo svolto da ogni funzionario inquisitore e quali fossero le sue immunità ed inoltre si stabilì che occorresse versarsi un importo fisso al fisco regio. Per evitare, poi, difficoltà di gestione delle cause in tutto il territorio peruviano, data la sua vastità, si stabilì una indipendenza maggiore dalla Suprema di questa inquisizione rispetto alle inquisizioni che erano presenti in madrepatria. Il funzionamento del tribunale di Lima era ben diverso dalle altre inquisizioni  metropolitane, non solo per i reati perseguiti ma soprattutto per gli aspetti procedurali e per quelli finanziari che lo distanziavano un po’ dai primi avvicinandolo alla macchina inquisitoria ispanica[150]. Ai vertici  erano presenti due inquisitori ed un fiscal che rappresentavano il governo regio ed erano anche le massime autorità governative e giudiziarie.

A differenza di quanto avvenne a Cartagena[151] i giudici di Lima erano autorevoli, dotti, esperti di diritto canonico, molti avevano insegnato nelle più importanti Università, alcuni addirittura erano studenti che trascorrevano un periodo in America come giudici per approfondire le proprie conoscenze, vedendo in tale esperienza una importante tappa di studio e di carriera. L’inquisizione, oltre al personale che era presente nelle cause e che stava in giudizio, era composta da segretari, esattori (detti receptors), contabili (i cosiddetti contador), medici[152], notai[153] ed altri impiegati con mansioni minori. Inoltre c’erano gli avvocati d’ufficio, i consultori e i qualificatori (una sorta di consulenti tecnici), i commissari e i familiari (che svolgevano grossomodo la fase delle indagini, una sorta di attuale polizia giudiziaria[154]). Era molto difficile nominare commissari, addirittura spesso gli stessi, data la mancanza di laici adatti al compito, erano scelti tra i chierici, ed anche la scelta del personale non fu particolarmente accurata, si tenne poco conto della qualità di limpeza de sangre, ovunque invece necessaria per far parte all’inquisizione.  L’inquisizione, dati tali limiti numerici che aveva per la scelta dei funzionari, soprattutto per quanto concerne i commissari, la portò ad occuparsi solo delle questioni urbane, lasciando sguarnite di giurisdizione le zone rurali, con particolare riguardo a quelle periferiche dei vicereami di Buenos Aires. Il finanziamento del tribunale avveniva mediante una sovvenzione reale, tuttavia concepita come transitoria, che permettesse la sua sopravvivenza ed il pagamento dei suoi funzionari. Ma le sorti del tribunale furono del tutto analoghe a quelle del suo equivalente a Città del Messico, esso divenne anno dopo anno più ingordo e corrotto, preferiva porre in essere processi contro i ricchi giudei o criptoebrei, quasi tutti di origine  portoghese[155], e contro i mercanti, marinai e corsari protestanti. Nel 1639, a riguardo, venne condotto un maestoso auto da fe che consentì al tribunale di impadronirsi di una ingente somma confiscata ai condannati, diversi milioni di pesos. Addirittura, venuto a sapere ciò, il re Filippo IV di Spagna chiese di avere la sua parte nei guadagni ma l’inquisizione rispose che aveva utilizzato l’intera somma per pagare i suoi debiti, ipotesi improbabile dato che i creditori erano poi moltissimi[156]. Già precedentemente c’era stato un auto da fe, anche se di proporzioni meno imponenti. Il trenta novembre 1587 John Drake, cugino di Sir Francis, un inglese, fu catturato dopo una rocambolesca fuga tra i monti del Cile e condotto a Lima. Egli si convertì al cattolicesimo e se la cavò con una penitenza di tre mesi in un monastero ( oltre al sequestro dei beni, ovviamente, cosa che stava più a cuore all’inquisizione) ma il suo compagno d’armi fu recalcitrante e quindi, dopo diverse torture fu condannato a quattro anni nelle galee cui seguì la prigione a vita. Altro temerario inglese fu Richard, figlio di Sir John Hawkins, che dalla costa pacifica si intrufolò nell’entroterra ponendo in essere con una centinaia di uomini una rivolta armata e riuscendo a conquistare parti di territorio, fino ad essere bloccato e catturato a Quito, nell’odierna Equador. Settantadue suoi uomini furono tutti mandati alle galee, gli altri condotti a Lima e processati, era il 17 dicembre 1595 e tutti i superstiti si convertirono al cattolicesimo, scampando la pena capitale, lo stesso Richard non fu processato a causa dello stato di salute e fece ritorno sano e salvo in Inghilterra, acquistando perfino il titolo di cavaliere[157]. L’inquisizione, sempre più corrotta e avviluppata in se stessa,  finì col divenire solo una macchina per arricchirsi, dopo alterne vicende durante il periodo napoleonico fu definitivamente soppressa nel 1820.

Per quanto riguarda la questione degli indigeni è utile, a mio avviso, soffermarci su due punti fondamentali, la repressione della eterodossia indigena e la questione della coca, strettamente connessa al lavoro nelle miniere degli Inca. Come noteremo la situazione peruviana, sebbene non dissimile dalla messicana, presenta delle rilevanti peculiarità che non possono essere taciute.  Il primo punto sarà analizzato nel prossimo paragrafo, ove ci occuperemo delle missioni e soprattutto del ruolo svolto nell’evangelizzazione e nella inquisizione dalla Compagnia di Gesù. Per motivi di completezza del quadro dei crimines perseguiti, è giusto citare alcuni casi anche divertenti che costituirono le prime cause poste in essere dall’inquisizione di Lima. Erano questioni abbastanza imbarazzanti e che coinvolgevano spesso preti secolari ed ordinari rei di aver sedotto donne indios.  Fra il 1578 e il 1585 si contarono quindici casi, nel 1595 erano ben ventiquattro, di cui uno aveva sedotto ben quattordici donne[158]. Tuttavia tali casi si risorsero con una penitenza che poteva essere la sospensione temporanea, lo spostamento in un’altra comunità o, male che andava, il ritiro per qualche anno in qualche convento[159].

La questione della coca trova una disciplina peculiare rispetto a quella del peyota e degli altri stimolanti o reprimenti del sistema nervoso centrale, già analizzati in precedenza e soggetti al principio di “colpa implicita”[160]. Un quadro esaustivo al riguardo ci è fornito da Cassi[161] . Se nelle Antille, quindi in territorio messicano, gli indios erano sfruttati soprattutto nella ricerca di perle preziose lungo le barriere coralline e le rive costiere, in Perù gli indios ebbero un destino ben peggiore, quello di essere sfruttati all’interno delle miniere per l’estrazione di oro, altri metalli preziosi, o gemme di vario tipo, rubini, diamanti, smeraldi su tutti. Lo sfruttamento era terribile e non mancò, a seguito delle proteste tra gli indigeni e delle posizioni di alcuni insigni esperti di dottrina, Las Casas su tutti,  la promulgazione di disposizioni più favorevoli per i lavoratori. L’encomienda e il servicio personal furono sostituiti con un tributo, la mina mineraria, che migliorò le condizioni di sfruttamento[162] ed inoltre fu statuito un rapporto di turnazione tra gli indigeni che rendesse meno atroce la fatica, si sancì inoltre che gli stessi dovevano iniziare a lavorare dopo il sorgere del sole e fino al tramonto, godendo di una pausa pranzo che variava da mezz’ora ad un’ora. Era inoltre fatto divieto di far lavorare gli indios la domenica e nelle altre festività religiose[163]. Con riguardo alla pianta di coca, da cui si ricava la cocaina, uno degli stimolanti più deleteri del sistema nervoso, la stessa era, prima dell’arrivo degli europei, di appannaggio soltanto delle alte caste sacerdotali che la utilizzavano per fini rituali. Successivamente, a seguito dello sfruttamento degli indios peruviani nelle miniere e nelle stesse piantagioni di coca, era d’uso dare agli stessi la sostanza per renderli meno pigri ed indolenti e facilitarne il lavoro[164]. La coca, inoltre, fruttava un ingente guadagno ai conquistadores, dato il mercato che la stessa aveva anche in Europa, la cui popolazione divenne da subito ammiratrice ed assidua consumatrice della stessa, per fini medicali[165] o di svago. La Chiesa, tuttavia, sin da subito vietò l’uso di questa pianta[166], definita “pianta del diavolo”[167], per i suoi effetti psicotropi. Nonostante i ripetuti tentativi di proibirne l’uso, solo nel 1575 Filippo II ordinò al viceré Francisco Toledo di andare a controllare le condizioni dei lavoratori nelle piantagioni, consapevole del fatto che disciplinare in maniera favorevole il loro lavoro avrebbe diminuito il consumo tra gli operai e diminuito anche le esportazioni e l’uso smodato della sostanza. Si iniziò con lo stabilire che bisognava fissare una quantità massima di produzione di coca, chi superava tale limite era soggetto ad una multa che partiva da duecento pesos. Per migliorare la condizione indigena fu stabilito che l’encomendero che non rispettava il limite, se era la prima volta doveva consegnare un anno di lavoro, se non era la prima volta due anni, mentre i non encomenderos alla prima trasgressione dovevano pagare 1000 pesos, alla seconda 2000  pesos più il sequestro dell’intera partita di droga. Furono infine stabilite altre condizioni più favorevoli ai lavoratori indios, il diminuire il loro lavoro nelle piantagioni (al massimo ventiquattro giorni ogni mese), fu istituito un medico in loco che curasse, munito di sanguisughe e di oli medicali, gli indios feriti. Fu poi affidato ad un visitator il compito di vigilare sul rispetto di tale normativa, ovemai riscontrasse irregolarità doveva riferire e comminare multe[168]. Nonostante tutto ciò l’uso della coca proseguì ancora a lungo e continua ai giorni nostri, sebbene per vie illegali, non solo in quelle zone.

Passando alla repressione della eterodossia, la situazione non fu del tutto analoga a quella messicana e fu caratterizzata in primo luogo dall’ essere una repressione episcopale da un lato, e abbastanza tarda dall’altro, dato che i tribunali episcopali prima del 1571 non operarono molto contro gli indios essendo nel pieno della rivolta Inca e poi successivamente di quella civile. Un altro aspetto peculiare è caratterizzato dal fatto che, se i domini della inquisizione episcopale messicana furono francescani e soprattutto domenicani, in Perù tale opera fu compiuta con maggior rigore da un nuovo ordine monastico, la Compagnia di Gesù, un ordine organizzato come un esercito che aveva il carisma di diffondere il messaggio divino come riformato dal Concilio di Trento.

 

3 La Compagnia di Gesù tra evangelizzazione ed inquisizione

 

I gesuiti giunsero in Perù quasi quarant’anni dopo lo sbarco di Pizarro e dei domenicani che lo accompagnavano ma tuttavia il processo di evangelizzazione e conversione degli indigeni era ancora arretrato dato il conflitto da poco cessato tra pizarritas e almagritas[169]. Era il periodo grossomodo in cui la Junta Magna aveva istituito il tribunale del Sant’Uffizio a Lima e la Compagnia si rese partecipe del grande processo di riforma e di miglioria della qualità di vita degli indios e soprattutto di migliore organizzazione politica giuridica e burocratica del Perù. Sotto tale aspetto i gesuiti furono essenziali, non solo per l’evangelizzazione ma in particolar modo nel perfezionamento degli aspetti teologici della conversione, soprattutto per quanto concerne la somministrazione dei sacramenti [170]. Il programma di organizzazione dei territori del Perù ad opera del viceré Toledo si fondava sulla reduccion, ossia il concentramento degli indios in determinate aree urbane o rurali, al fine di controllarli meglio e sulla istituzione di una nuova figura ecclesiastica, il corregidor de indios, il quale aveva il compito di vigilare sulla condotta degli autoctoni e, ove necessario, porvi rimedio[171]. Il sistema prevedeva anche un controllo sia diretto che indiretto sugli ordini monastici che, come largamente detto nella presente, erano spesso in contrasto con i vescovi ed andavano assumendo un ruolo sempre più centrale e di conseguenza sempre più autonomo dalla Corona. Nell’epoca in cui giunse Toledo in Perù[172] era presente ed ancora ben radicata una setta millenarista, che poneva la giustificazione religiosa della resistenza degli Inca Avilcabamba, sulle Ande. Tale movimento messianico-eretico è ben più radicato degli equivalenti messicani, esso è il Toqui Onqoy[173]. I predicatori di tale setta annunciavano il ritorno delle vecchie divinità andine che avrebbero cacciato gli europei e contrastato il credo cristiano. Tale movimento si basava sulla visione Inca del mondo, costituita da una struttura ciclica del tempo[174] ove tutto si ripete e quindi, gli adepti, traevano la conseguenza che allo sconvolgimento posto in essere dagli spagnoli ne sarebbe seguito uno di entità uguale ed opposta da parte delle loro divinità. La punizione di tale eterodossia che, per la complessità dei dogmi e la diffusione potrebbe tranquillamente definirsi eresia, fu punita, soprattutto dalle inquisizioni locali, con frustate e tosature di capelli[175]. L’anno dopo la istituzione del tribunale di Lima la setta scomparve. Ciò consentì a Toledo di riformare il Perù, nella maniera appena esposta.

I primi otto gesuiti si instaurarono a Lima e operarono la loro linea strategica per consentire la conversione di neri ed indigeni[176]. Organizzavano, infatti, frequenti processioni, letture in piazza del vangelo, cerimonie religiose in pompa magna, di modo da far arrivare il messaggio cristiano un po’ ovunque[177]. Ma ciò aveva dei limiti, se tale sistema, infatti, funzionava bene in Europa, difficoltà aveva in Nuovo Mondo, data la scarsa conoscenza del vangelo in loco e quindi la difficoltà comunicativa. Per di più ben presto gli insediati si resero conto che non era sufficiente tale attività pubblica ed era necessario diffondere in maniera capillare il credo cattolico attraverso il loro strumento d’elezione: la missione itinerante nei luoghi anche più sperduti e periferici del vicereame.

Uno dei primi itineranti, nonché teorico vero e proprio di tale pratica,  fu José Acosta[178]. Egli nacque a Medina da una famiglia portoghese di origine ebraica e studiò nei più prestigiosi istituti, nel collegio di Salamanca prima e poi in quello di Alcalà, specializzandosi in filosofia morale e teologia ed iniziando l’attività di docente. Nel 1571 fu mandato in Perù. Egli collaborò col viceré nella amministrazione della provincia ed elaborando diverse ordinanzas, nel 1574 svolse un ruolo importante nel processo inquisitorio contro tre religiosi tra cui il gesuita Lopez e il domenicano Francisco de la Cruz. Nel 1582,  poi, svolse un ruolo importante nel Terzo Concilio di Lima, partecipando anche alla redazione dei catechismi per gli indios, primi due libri redatti e pubblicati in Perù. Quattro anni dopo si recò in Messico raccogliendo informazioni sulla civiltà Azteca per la stesura della Historia Natural, il suo scritto principale. Tornato l’anno dopo in Spagna fece da mediatore tra Madrid e Roma circa la questione dell’indipendenza o meno della Compagnia. Ma non si attirò certo simpatie, sia per la sua posizione a riguardo, sia per il processo inquisitorio a cui abbiamo accennato  fu accusato due volte di criptoebraismo. Tuttavia la sua fama gli impedì la condanna e passò il resto dei suoi giorni dedicandosi all’insegnamento, sino alla morte nel 1600.

Nonostante gli interventi del gesuita in Perù furono soprattutto di carattere dottrinale (redazione del De Procuranda Indiorum Salute e della Historia Natural de los Indios, nonché ausilio nella redazione di alcune ordinanze emanate da Toledo) egli gettò le fondamenta giuridiche della organizzazione politica del Nuovo Mondo, pronunciandosi,  nel De Procuranda soprattutto, circa i tributi imposti agli indigeni e circa il loro sfruttamento.  Le discussioni dottrinali che animavano il tempo ed erano portate alla luce da Acosta non erano più quelle circa la natura umana o meno degli indigeni e circa la loro soggettività giuridica ma bensì quello di risolvere il problema dello sfruttamento degli indios stessi. Il De Procuranda in tal senso è esemplare[179]. Esso si pone una doppia intenzione di fondo, la prima teorica, ossia la ricerca dei principi fondativi della azione missionaria e la seconda più pratica, ossia l’individuazione della realtà umana cui si riferiscono le missioni. I primi tre libri sono basati su considerazioni politiche circa la questione della legittimità della dominazione spagnola e sulla definizione della guerra come giusta e soprattutto su un ripensamento degli istituti giuridici applicati agli indios, in particolare il tributum, l’encomienda e la reduccion. Partendo dal punto che ci fosse la necessità di un governo civile stabile e di una solida istituzione religiosa che fungesse da guida, egli affermava che la guerra poteva essere condotta contro gli Inca o per legittima difesa o se lo chiedevano gli indigeni stessi sottoposti ad un regime dispotico, ma tuttavia l’intervento era legittimo anche senza richiesta degli indios se gli stessi non erano nella capacità psichico-cognitiva di comprendere la ingiustizia del loro trattamento da parte di un sovrano locale tiranno[180]. In tal ultimo caso, comunque, i guerrieri dovevano fare in modo da compiere il minor danno possibile. Per quanto riguarda i tributi, Acosta denuncia apertamente l’encomienda e altri istituti tributari particolarmente gravosi sostenendo che la tassazione non doveva essere chiesta se necessaria al sostentamento dell’indio, ne erano quindi esclusi gli indigeni più poveri ed in secondo luogo era vietata qualsiasi frode o raggiro nei confronti degli indios che, a livello contrattuale, erano ritenuti da Acosta come dei fanciulli e dunque facilmente ingannabili dagli scaltri spagnoli. I religiosi, in tutto questo, avevano il compito, per il pensatore di Medina, di vigilare su eventuali abusi.

L’azione missionaria gesuita si pose come obbiettivo quello di correggere le conversioni grossolane poste in essere in precedenza e rendere consapevoli gli indigeni circa il valore dei sacramenti, in modo particolare battesimo, confessione ed eucarestia. Frequenti erano, infatti, i battesimi in massa e anche l’eucarestia era data senza particolare attenzione alla esistenza di una precedente confessione, ciò nonostante il Primo Concilio di Lima[181] avesse stabilito che l’eucarestia non avrebbe dovuto essere data agli indigeni, neofiti e quindi non pienamente consapevoli del significato  della transustanziazione.  Gli encomenderos avevano l’obbligo di pagare i lavoratori autoctoni con l’istruzione e l’indottrinamento religioso, ma tale obbligo era sovente, per non dire sempre, evaso. Plaza, visto tale quadro disastroso di livello di conoscenza evangelica tra gli indios, propose nel Terzo Concilio di far redigere un catechismo che fosse diretto ad indigeni, neri e bianchi[182].

Ponendo l’attenzione sulle visite missionarie possiamo partire dalla Historia general de la Compania de Jesu en la provincia del Perù[183]. Era nelle zone in cui mancava un radicamento religioso cristiano che i gesuiti dovevano compiere con più zelo la loro missione. L’azione dei missionari fu molto meno severa di quella svolta dai corregidores ma non meno rigida. Tuttavia i metodi dei corregidores per rintracciare gli indios e portarli nelle piazze dei villaggi o dentro ai confessionali furono troppo rudi e violenti per i gesuiti, i quali preferivano giungere in un villaggio dopo che avevano già operato i corregidores, trovando già gli indios disponibili. Ad ogni modo tale divisione di compiti, da un lato il terribile corregidores che scovava e puniva l’idolatria, dall’altro il buon gesuita che consolava il peccatore mostrandogli la via maestra ed invitandolo a non peccare più, dopo averlo perdonato e spinto alla confessione e dopo avergli insegnato i rudimenti dogmatici cristiani, era solo formale ed apparente e mostra un’altra contraddizione della politica cattolica in Nuovo Mondo. Non ci sono troppi dubbi, infatti, che spesso le informazioni circa dove trovare gli eretici e circa quali pratiche usassero, venissero date, come sottolinea Broggio[184], dagli stessi gesuiti ai corregidores, questi violavano il segreto confessionale ed invitavano, durante la confessione, gli eretici penitenti a fare i nomi di altri eretici, a domandare che culti praticassero e  dove si riunissero[185]. Ciononostante la diffusione capillare del meccanismo delle visite, delle cerimonie pubbliche villaggio per villaggio e delle  confessioni a singoli soggetti migliorarono di fatto non solo la conoscenza delle Sacre Scritture tra gli indigeni peruviani svolgendo un ruolo che i preti locali, corrotti, poligami e concubini, dediti all’avarizia ed alla lussuria,non avevano svolto e dando un esempio di correttezza morale e di sapienza, ma consentirono anche un maggior controllo politico delle zone periferiche, aspetto che il viceré accolse con entusiasmo e che anzi si era prefissato di raggiungere.

In un primo momento la presenza della idolatria e degli idolatri (cosiddetti hechiceros, dal nome della religione autoctona) era ritenuta un fenomeno transitorio che si sarebbe risolto col tempo, a seguito della maggiore conoscenza del vangelo e della maggiore consapevolezza cognitiva degli indios. Esemplare, a tal riguardo è un caso risalente al 1597 in cui furono scovati hechiceros. Un tale Francisco de Loayza spinse gli indigeni a ripudiare la loro moglie e sposarsi secondo il rito autoctono e, di più, rinunciare al cristianesimo a favore della religione dei loro padri. L’azione dei gesuiti fu potente ma misericordiosa, gli stessi si avvalsero del confessionale e della parola evangelica per estirpare l’eresia. In buona sostanza i gesuiti dovevano fare in modo di non punire in maniera materiale, almeno di fatto, l’idolatria ma di usare le armi cristiane. In ciò furono abili, fecero in modo che le descrizioni minuziose dei luoghi infernali, ottenute anche mediante rappresentazione grafica ed artistica[186], fossero tali da inculcare nell’indigeno una paura tale dei castighi cui sarebbe incorso nell’altro mondo se non avesse abbandonato l’idolatria ed abbracciato il cattolicesimo, da superare i racconti analoghi dei loro stregoni.

In conclusione è doveroso citare il caso dell’esperimento di Juli. Nel 1586 la provincia di Juli fu conquistata e si iniziò un’opera di evangelizzazione peculiare, che mirava a due obbiettivi, evangelizzare mediante la cultura e mediante la azione di assistenza spirituale e materiale. Nacque così un borgo che era simile a quelli europei, vi era una chiesa, una scuola, un ospedale, un palazzo del governo. Si tese a diffondere il cattolicesimo con l’insegnamento e a tal proposito fu obbligo di ogni religioso che insegnasse, celebrasse o confessasse in loco di imparare la lingua locale, l’aymarà. Questo esperimento fu fruttuoso e valse da esempio per la redazione delle instructiones di Toledo ideate da Acosta, che aveva visitato il luogo, e del Terzo Concilio di Lima dove si sancì, tra l’altro, l’edizione di libri di catechismo scritti e stampati in Perù.

 

CAPITOLO IV

 

L’INQUISIZIONE IN BRASILE

 

1 Inquisizione Spagnola ed Inquisizione Portoghese: tribunali a confronto

 

Per lungo tempo l’inquisizione spagnola e quella portoghese furono ritenute,  per così dire, gemelle[187]. Le competenze grossomodo erano le stesse ed il modus operandi idem, per questo per diversi anni non si sono indagate le differenze di non poco conto tra le due né c’è stato uno studio sistematico dei casi, analizzati in via oggettiva e con rigore scientifico, perlomeno fino agli anni Settanta del secolo scorso, complice la presenza della dittatura di Salazar in terra lusitana che, come tutti i fascismi, godeva di un rapporto ambiguo col clero romano apostolico, usato talora a fini di propaganda e pur sempre cercando di asservirlo alla causa politica[188]. Per questo le descrizioni di casi e la dimensione operativa del tribunale stesso non furono mai analizzate con lucidità ma nemmeno trascurate. Non mancava, infatti, anche sotto il regime una analisi profonda, seppur non obbiettiva della inquisizione portoghese. Negli anni ’70, liberi dal regime e dal suo sistema di censura, tutti gli archivi furono aperti e iniziarono i primi studi liberi[189]. Tuttavia pare opportuno introdurre alcuni cenni storici molto sintetici sulla storia dei due tribunali iberici.

Nella penisola Iberica, sino a fine Quattrocento, l’inquisizione fu quella pontificia, dipendente dalla Chiesa di Roma ma non ebbe assai presa, dato che gli spagnoli e i lusitani avevano altro cui pensare, presi dalle lotte intestine che coinvolgevano la penisola [190]. Difatti non esisteva una vera e propria organizzazione unitaria ma l’intera penisola era divisa in tanti piccoli Stati ed era soggetta, a partire dai primordi dell’anno mille, ad una intensa pressione dei popoli islamici che la occuparono, ed influirono non poco sulla sua cultura, per circa quattrocento anni[191]. Tuttavia tra l’XI ed il XIV secolo, nonostante le frequenti lotte tra Aragonesi, Borboni, Castigliani e gli stessi islamici, vigeva pur sempre un regime di tolleranza reciproca tra cristiani, ebrei e musulmani[192]. Nel Quattrocento, complice la lotta più intensa contro i mori, la loro progressiva cacciata dalla Spagna, il crescere in Asia della potenza islamica che rischiava di minacciare l’intero mondo occidentale e non più solo le zone bagnate dal Mediterraneo, si segnò un cambiamento di rotta[193]. Nelle zone ove i cristiani avevano riconquistato il loro dominio molti ebrei e musulmani, impauriti da eventuali provvedimenti espulsivi o sanzionatori nei loro confronti pensarono bene di convertirsi al credo cattolico. Questi erano definiti conversos ma chiamati in modo dispregiativo “cristianos nuevos“. Tali soggetti, convertiti per convenienza, erano ancor più volgarmente chiamati moriscos, cioè, dall’arabo, “adottati”, se musulmani convertiti, o addirittura marrani, cioè porci, se ebrei convertiti[194]. Convertirsi per convenienza era agli occhi della Chiesa uno dei più gravi peccati, configurando la fattispecie di apostasia, cioè di allontanamento volontario dal dogma cattolico, allontanamento che sussisteva, nel caso dei nuovi cristiani, perché loro, pur all’apparenza cattolici, continuavano in segreto a conservare la loro fede originale ed addirittura, cosa ancor più grave per un cristiano, a celebrare celatamente i loro riti religiosi[195]. Se, dunque, l’opera della inquisizione non era stata importante in quei regni, se ne sentì la necessità proprio in quel periodo perché occorrevano tribunali specializzati in materia religiosa per smascherare criptoebrei e moriscos. I tribunali civili, infatti, non solo non avevano le competenze adatte in materia ma soprattutto non erano organizzati, non funzionavano in maniera soddisfacente, occorreva una macchina repressiva avanzata, con persone che si dedicassero alle indagini ed altre che giudicassero in maniera efficiente e competente i casi. Ma affinché ciò fosse accaduto sarebbe stato necessario che tutti i popoli iberici fossero uniti sotto un unico sovrano, e se ciò era iniziato a concretizzarsi con la Riconquista, trovò il suo culmine nel 1479, col matrimonio tra Elisabetta di Castiglia e  Ferdinando, divenuto in quell’anno re d’Aragona[196]. Nel 1478 i due sovrani chiesero l’istituzione dell’Inquisizione. Da un punto di vista formale la stessa funzionava grossomodo come la pontificia, tuttavia era più organizzata ed i suoi funzionari ed il suo personale dipendevano dalla Corona e non dal Papa, ed era la Corona stessa che istituiva sedi centrali e periferiche, nonché nominava anche i giudici competenti[197].

L’istituzione formale fu ad opera di papa Sisto V, nello stesso anno in cui ne fu richiesta l’erezione, il 1478. Autonoma e potentissima sin da subito, fu una vera e propria macchina del terrore, soprattutto sotto il primo dei domenicani che la dirigeva, tale Tomas Torquemada. I metodi atroci furono più volte condannati dallo steso papa che, sotto pressione egli stessi vescovi spagnoli, denunciò i metodi del tribunale, notando come fossero condannati tanti fedeli non per eresia o altri crimines ma semplicemente per la sete di danaro. Tuttavia di fronte al potere della Corona il papa capitolò e nel 1483 istituì il Consejo de la Suprema y General Inquisicion che di fatto e di diritto divenne il vertice cui facevano capo tutte le inquisizioni iberiche. Tale Suprema, quindi, sostituì il potere papale.

Vediamo brevemente le procedure. Scopo dell’Inquisizione non era la salvezza dell’anima dell’accusato ma ottenere il bene pubblico ed infondere negli altri la paura[198]. L’inquisitore, almeno nei primi tempi[199], viaggiava di località in località. Giunto in un villaggio elencava solennemente i crimines, le varie forme di eresia, giudaismo, islamismo, stregoneria, patto demoniaco. Poi gli abitanti erano accolti per ammettere le loro colpe e, una volta fatto, erano puniti e poi perdonati. Tuttavia, per essere perdonati appieno, occorreva che denunciassero complici e correi. Ciò, indubbiamente, creava un clima di tensione e di delazione insostenibile. Tutti denunciavano tutti pur di scampare l’avvio del processo[200]. Formalmente il processo prevedeva che l’arresto dovesse essere necessario solo previa analisi di una commissione di teologi e giuristi ma praticamente erano frequenti i casi di carcerazione preventiva[201]. Le deposizioni processuali, così come le dichiarazioni  sotto tortura, erano annotati scrupolosamente da un notaio e da un segretario. La confessione sotto tortura, per essere valida, doveva essere ripetuta in condizione libera. Durante la tortura non doveva esservi spargimento di sangue o rottura di arti[202]. La pena di morte, invece, era riservata solo agli eretici impenitenti o a chi, già pentito, fosse ricaduto nell’eresia. Una volta emessa la sentenza il condannato veniva affidato al braccio secolare e, se prima dell’accensione del rogo si pentiva, veniva graziato, facendogli risparmiare il dolore delle fiamme attraverso la strangolazione[203].

Passiamo al Portogallo. Nel medioevo i portoghesi non avevano avuto bisogno di una inquisizione[204] nonostante detenesse un’importante minoranza ebraica[205], minoranza che comunque non infastidiva, non era infatti proprio concepito il problema dei conversos in quanto in Portogallo si applicava il regime papale di protezione degli ebrei e del loro culto. Intorno al 1492, però, gli ebrei triplicarono, molti erano fuggiti dalle persecuzioni della vicina Spagna. Se il re Giovanni II ignorò il problema, Emanuele I fu costretto ad assecondare il volere della Corona spagnola di espellerli, altrimenti non avrebbe acconsentito al suo matrimonio con la figlia dei re cattolici. In un primo tempo il re cercò di spingerli al battesimo, ma fallendo. Non aveva un potere importante, era un piccolo regno quello portoghese che aveva da poco iniziato a conquistare qualche territorio in Nuovo Mondo nonché l’Angola e l’Indonesia. Forte della ribellione antigiudaica[206] che si accese tra il popolo, re Emanuele cercò di espellerli, ma con scarsi risultati. Così, nel 1515, pensò di ricorrere ad uno strumento che tanti risultati aveva fruttato alla vicina Spagna, l’Inquisizione. Tuttavia, quando nel 1515 il re chiese al papa l’istituzione del tribunale in terra lusitana, questi, forte dell’esperienza che aveva avuto con la Suprema spagnola, praticamente un cane sciolto rispetto al potere del vescovo di Roma, accettò alla sola condizione che il capo della inquisizione fosse designato dal papa stesso. Il governo portoghese rifiutò. Col tempo i marrani aumentarono e il nuovo imperatore, Carlo V, prese le difese del flebile regno riuscendo a strappare un compromesso allo Stato Pontificio: l’inquisizione portoghese non sarà una ma ce ne saranno quattro, tre avranno un capo nominato dal papa, una un capo nominato dal re portoghese. Nel 1580 il Portogallo fu annesso alla Spagna e quindi l’inquisizione spagnola fu estesa al piccolo regno, nel 1640 il Portogallo fu di nuovo indipendente. Il problema degli ebrei non era più così sentito. Forti delle persecuzioni, molti di loro rifugiarono nella più tollerante Italia, tuttavia il nuovo re, Giovanni IV, bisognoso di danaro, iniziò a perseguire gli ebrei convertiti, per appropriarsi delle loro ricchezze, ma la peculiarità fu che lo fece direttamente, cercando di neutralizzare l’inquisizione la quale lo scomunicò. Di lì a poco sarebbe morto ed il suo successore tardò ad arrivare, il trono rimase vacante per dieci anni ma, nel frattempo, il papa aveva già provveduto a sospendere l’inquisizione senza tuttavia abolirla. Dopo la pausa illuminista la stessa riprese le sue attività, almeno formalmente, sino al 1821, anno della soppressione.

 

2 L’Inquisizione lusitana in Nuovo Mondo

 

Già agli inizi del Cinquecento i portoghesi fecero il loro ingresso in territorio brasiliano ma l’effettiva occupazione dello stesso ebbe luogo solo negli anni Trenta, quando la Francia[207] metteva in discussione il dominio portoghese sino ad allora composto da piccole feitorias che funzionavano come centri di scambio. Nel 1534 il sistema dei capitani ereditari entrò in funzione a Sao Vicente ed a Pernambuco, zona di estrazione della canna da zucchero.

Fu più o meno intorno a quegli anni che entrò in azione il Sant’Uffizio in quei luoghi[208]. Pero do Campo Tourinho, donatario di Porto Seguro, fu tratto in arresto dall’Inquisizione Portoghese e portato a Lisbona per essere ivi giudicato con l’accusa di blasfemia[209]. Questa sarà una caratteristica costante della situazione brasiliana. In loco, infatti, l’Inquisizione vera e propria ed in un certo senso, se non autonoma, almeno con una gestione particolare completa dei casi, non si istaurerà mai[210]. Gli imputati, infatti, saranno sempre mandati in madrepatria per essere giudicati e condannati. Ciò segna una sostanziale differenza rispetto alla Inquisizione Spagnola presente negli altri territori della America Latina che, come abbiamo visto diffusamente nei capitoli precedenti,  pur dipendendo dalla Suprema, conduceva autonomamente processi, condanne ed esecuzioni.

In Portogallo i francesi costituivano una vera minaccia per i portoghesi e per la loro espansione coloniale. A tal riguardo esemplare è la condanna posta in essere nei confronti di Jean de Bodes, disertore della Francia Antartica[211]. Il procedimento fu quello che sarà poi da sempre seguito in territorio brasiliano. Condotta in loco, da parte dei Gesuiti, una istruzione segreta sull’eresia dell’imputato, nel 1560 il vescovo di Bahia[212] decretò il suo arresto e l’ordine di condurre lo stesso in Portogallo. Quivi l’Inquisitore Generale ordinò la sua incarcerazione. Egli, dinanzi al tribunale, ritrattò ed abiurò le sue posizioni eretiche[213].

Un aspetto altrettanto importante da sottolineare è costituito dal fatto che, almeno nei primi tempi, il criptoebraismo e le altre persecuzioni religiose non furono oggetto di particolare interesse per l’inquisizione locale ed, anzi, ciò favorì  la presenza di un ingente numero di religiosi diversi dai cattolici che trovarono rifugio in Brasile per scampare ad altri luoghi ove subivano una terribile persecuzione[214]. Nella seconda metà del Cinquecento, tuttavia, vi furono numerose denuncie per criptoebraismo ma si arrivò solo a diciassette processi istruiti, e per quanto concerne il luteranesimo  i processi furono addirittura più pochi, tredici. Numerosi furono, però, i processi per reati differenti, sessantotto per proposizioni eretiche, ventinove per blasfemia, diciotto per riti pagani, ventiquattro per sodomia, nove per bigamia e sempre nove per sacrilegi, trentasei per cause ignote[215]. I nuovi cristiani subirono una blanda persecuzione a causa del fatto che essi costituivano una importante risorsa per il Brasile, ed anzi fungevano da deterrente, dato che frequenti erano le rivolte poste in essere dagli indigeni. Serviva una folta popolazione bianca che, quantomeno, seppur con un credo diverso, li tenesse a bada. Paradossalmente, quindi, in Brasile l’Inquisizione si occupò diffusamente di indios[216]. Tuttavia la questione circa la competenza giuridica sugli indigeni non fu del tutto chiara. Formalmente, come nelle altre parti d’America, una volta che si fossero convertiti al cristianesimo, la competenza per eresia e reati affini[217] spettava ai tribunali civili, ma ciò valeva più che altro sulla carta e non realmente. Il Re mandò nel 1579 una delega al vescovo brasiliano Antonio Barreiros nella quale si affermava che la competenza sugli indios spettava a lui e non all’inquisizione[218]. Ciononostante quest’ultima continuò ad occuparsene, anche se all’apparenza in maniera indiretta. Suo scopo, infatti, sembrava non solo di ordine pubblico ma soprattutto di contenimento del potere che i gesuiti stavano avendo in quei luoghi tramite la loro azione missionaria[219], un po’ come in Perù.

L’opera inquisitoria, a partire dai primi decenni del Seicento, si fece più forte. Furono inviati commissari da Lisbona e questi avevano il potere di nominare notai[220] e familiari, tuttavia era di loro competenza solo la fase istruttoria, non potevano trarre in arresto alcuno né tantomeno giudicarlo, il sistema era sempre quello del rinvio in madrepatria[221]. Nel 1630 il domenicano Antonio Rosado fu commissario ad Olinda, quest’ultimo riteneva di aver avuto in concessione dall’Inquisizione Centrale non solo il potere istruttorio ma anche quello di trarre in arresto e di confiscare beni[222]. Ma la sua opera fu molto poco idealista, non era certo mosso da intenti politici di controllo né tantomeno mosso da spirito religioso, ciò che gli interessava era semplicemente mettere le mani su quanti più beni potesse, confiscandoli agli indagati. Casi analoghi si contano sulle dita di una mano, il sistema largamente più diffuso era quello descritto supra.

La possibilità di fare carriera entrando a far parte del corpo inquisitorio non era un caso isolato. Spesso non erano solo i privilegi, le immunità, i vantaggi economici a spingere i soggetti a diventare operatori civili[223] della stessa ma anche la possibilità di ascesa sociale che l’appartenenza alla stessa comportava nonché il fatto che far parte della stessa significava ricevere preventivamente un attestato di limpeza de sangre[224],il che garantiva la attestazione che il soggetto era cattolico a tutti gli effetti e da più generazioni, quindi non vi erano origini ebraiche, nemmeno remote. Nemmeno indios, neri o musulmani erano negli alberi genealogici di chi possedeva tale attestato. La purezza di sangue era una sorta di questione d’onore nella società[225] . Emblematico è il caso di un mercante di spezie e coloniali, tale Antonio Goncaves pereira di Minas Gerais. Figlio di agricoltori portoghesi, si arricchì in Brasile grazie al fiorente commercio che aveva instaurato a Minas Gerais. Ma la ricchezza non bastava, gli occorreva un titolo al fine di godere di un privilegio sociale di riguardo e così chiese di entrare come civile nella Inquisizione. Dopo il processo di attestazione della purezza di sangue divenne familiare. Per arrivare a ricevere tale attestato l’inquisizione svolgeva un lavoro certosino, indagando minuziosamente il passato del candidato per un periodo che variava da uno a sei anni. Si ascoltavano testimoni e si analizzavano documenti delle generazioni precedenti Tutte le spese erano, inoltre, a carico del candidato. Dato che come abbiamo visto le incarcerazioni e i giudizi non avvenivano in loco ma presso Lisbona, era proprio tramite i familiares di sangue puro che si istaurava un regime poliziesco in cui la madrepatria sapeva tutto, perfino ciò che c’era affisso nelle chiese, del Brasile e non solo le indagini in corso[226]. Le troppe richieste circa l’entrata nella Inquisizione come civili spinse nel 1720 il re Giovanni V a limitare il numero di familiari che godevano di privilegi.  Furono fissati in trenta per Bahia, venti per Rio e dieci per Olinda[227].

Il sistema inquisitorio brasiliano si basava perlopiù su una vasta rete di delazione che vedeva protagonisti chi già era incarcerato, in un’ottica tipica di sconto pena-sistema di terrore, e sulle denuncie spontanee o provocate dagli editti di madrepatria letti all’interno della comunità. Oltre al personale civile che aveva funzioni istruttorie, per quanto concerne il clero vi erano vescovi e vicari dei tre episcopati (Rio de Janeiro, Pernambuco e Bahia, nonché a fine Seicento, quando Bahia divenne arcidiocesi, anche Maranhao), gli ordini, in particolare i carmelitani a Bahia, i francescani a Rio e soprattutto i Gesuiti[228]. Quindi il clero, assieme ai familiares, svolgeva autonomamente o di concerto l’attività inquisitoria. In Brasile i notai non erano solo scrivani dei commissari ma operavano essi stessi come commissari. Ma l’organizzazione importante della rete civile di funzionari della Inquisizione si sviluppò in maniera tarda, prima a Bahia con casi isolati, solo nella seconda metà del Seicento a Rio e nel Pernambuco e, in tutta la colonia, addirittura bisognerà aspettare il Settecento.

E’ solo verso la fine del Seicento che in Brasile l’Inquisizione agisce con mano più ferma, complice la necessità di rafforzare l’impero portoghese e la scoperta dell’oro a Minas Gerais. Iniziarono i celebri auto da fè come nel resto delle Americhe ed allo stesso modo furono presi di mira i nuovo cristiani, prima trattati con più clemenza[229]. Per quanto concerne le professioni furono nella mira dell’ Inquisizione in primo luogo proprietari fittavoli ed agricoltori, poi i commercianti ed infine artigiani ed ecclesiastici, quasi nella stessa percentuale[230].

 

3 L’eresia indigena e la “Santidate

 

Come appena accennato[231] la repressione dell’eresie e dei reati similari attribuita agli indios, sebbene formalmente di competenza dei tribunali criminali civili e sotto la direzione vescovile, non suscitò l’ indifferenza dell’Inquisizione che, di fatto, se ne occupava diffusamente, soprattutto per quanto concerne quelle rivolte o ribellioni a carattere millenarista che minacciavano seriamente la colonia portoghese perché presenti molto più che in Messico o in Perù[232]. Il motivo di tale diffusione è, a nostro avviso, riscontrabile soprattutto a causa del fatto che i territori lusitani delle Americhe restarono per lungo tempo sguarniti di tutela legale-teologica, le repressioni iniziarono tardi e ci si trovò a dover affrontare nemici molto più organizzati e pericolosi, molto più legati al territorio ed a capo di singoli villaggi con capi politico-religiosi che godevano di molto rispetto tra gli indigeni.

Il fenomeno si diffuse già con l’inizio del Sedicesimo secolo e vi fu posto rimedio definitivo nel 1590 circa, anche se non fu mai del tutto eliminato e molti rituali, più che altrove, sono sopravvissuti sino ad i nostri giorni[233], esempio eclatante ne è il Carnevale di Rio e di altre città brasiliane, miscela di riti cattolici e ancestrali e che conserva diversi aspetti di quella che fu la massima setta eretica americana[234], la cosiddetta “Santità indigena”[235].

Le notizie a riguardo sono molto dettagliate, ciò soprattutto per gli incartamenti degli inquisitori che ne descrivono diligentemente rituali, forme e devianze. Dei processi principali ci occuperemo di qui a breve, per ora merita a nostro avviso di essere descritto in cosa consisteva questa setta, come si articolava e quali erano le sue credenze ed i suoi dogmi. Per far ciò è utile partire dal contributo di Vainfas alla sua definizione[236].

Il nome Santidate (Santità) fu dato dagli stessi gesuiti, ma usato non in senso positivo, tutt’altro, a determinarne la sua perversità e imitazione del rito cattolico[237] e la sua intensa valenza mistica che aveva per i locali. La lingua del posto (lingua topi) definiva la cerimonia caraimonhaga o acaraimonhang, che tradotto significa “fare santità”. Si iniziava con l’ingresso nel villaggio di uno stregone,  il grande stregone (pajé acù), dotato della capacità di fare da tramite tra umano e divino e di entrare in contatto con gli spiriti dei defunti, degli eroi del passato ed addirittura delle divinità[238]. Il Pajè, accolto con una cerimonia solenne, era portato in una sorta di tempietto indigeno, il maracà, ed iniziava una preghiera intensa assieme ai fedeli con la quale, anche tramite l’uso dell’erba magica, che tuttavia probabilmente era solo tabacco[239], iniziava le sue orazioni, fatte al cospetto di una zucca con bocca ed occhi, una di quelle che si usano tuttora ad Halloween[240], di provenienza celtica,altro popolo che, tra l’altro, aveva un simbolismo molto simile, soprattutto per l’adorazione dei defunti. Tale zucca era però piumata, tipico degli indios, si ricordi il serpente piumato Maya, e tutta adornata. Curioso era inoltre il contenuto della preghiera, si narrava di un Diluvio purificatorio primordiale, del tutto simile a quello descritto nella Bibbia alla Genesi, per proseguire poi nella speranza che tutti facciano ritorno alla Terra sem Mal[241], la terra senza male, dove non si coltivano campi, non si procaccia la selvaggina, ma tutto è offerto a chi vi accede. Tale posto sembra un po’ il paradiso terrestre cattolico, o anche la Gerusalemme Celeste ebraico-cristiana. Ancor più singolare è il fatto che lo stregone invocasse il pai grande, il Grande Padre, dizione del tutto simile al Padre Santo cattolico. Non deve stupirci, quindi, che con il passare degli anni la cerimonia assunse una sorta di valenza sincretica, soprattutto grazie a nuovi adepti o capi che altri non erano se non gesuiti fuggiti dalle missioni e che abbandonata in parte la fede, trasformarono il grande padre nel padre nostro, il fumo del tabacco con l’incenso, le invocazioni con le litanie del rosario e via discorrendo. Tuttavia la cosa più pericolosa e che maggiormente destava la preoccupazione delle autorità, era costituito dal carattere sedizioso della setta. Durante le cerimonie, infatti, si invocava il grande padre anche, se non soprattutto, per eliminare i nemici o farli soccombere, a che le loro lance si spezzassero e morissero irrimediabilmente, o che fuggissero[242]. Ovviamente i nemici dell’epoca altri non erano che i portoghesi.

La Santità più importante documentata in Brasile si ebbe nel secondo Cinquecento a Jaguaripe, presso Bahia. Questa fu quella maggiormente soggetta al sincretismo tra riti cattolici e aborigeni, a capo vi era un indios battezzato, tale Antonio che si autoproclamò vero ed unico papa, emissario di Dio in terra e la sua donna fu consacrata da egli stesso come Maria Madre di Dio[243]. Il neopapa indios poteva comunicare e scomunicare, proclamare santi e nominare i vescovi. Cabral de Tade cercò di dissuadere Antonio e i suoi (circa trecento indios) ma con scarsi risultati, l’unico beneficio che aveva ottenuto era che i membri della setta cessassero il loro esodo e si insediassero nelle terre di Cabral de Tade. Tale movimento certo non si attirò le simpatie né dei padroni delle piantagioni, i quali necessitavano di sempre più schiavi, né chiaramente dei membri della Compagnia di Gesù che constatavano e si lamentavano dell’evidente carattere eretico[244] della Santità di Antonio. Quindi, come ovvia conseguenza, nel 1585 il governatore Manuel Teles Barreto organizzò una definitiva spedizione per mettere fine alla setta, entrato in città distrusse la chiesa degli indios e tutti gli idoli senza che alcuno opponesse resistenza. Ciononostante, per lungo tempo, la parola Santità continuò ad indicare qualunque setta o eresia millenarista che minacciasse, anche se ovviamente in maniera più blanda e meno diffusa, l’ordine pubblico[245] della colonia portoghese.

Nel 1591 vi fu la visita inquisitoriale e si processarono tre adepti. La causa di cui ci sono pervenute più notizie data la vastità degli incartamenti è quella intentata nei confronti di Cabral de Taide che, come appena detto, prima cercò di sedare la rivolta millenarista ma poi la ospitò e ridusse nei suoi territori. Sin dall’inizio il proprietario terriero si mostrò collaborativo ma omise diversi aspetti dell’eresia e diversi fatti rilevanti, mantenendosi grossomodo in una posizione di arroganza nei confronti degli inquisitori. A mano a mano il suo atteggiamento mutò e divenne molto collaborativo, ammettendo anche le proprie colpe pubblicamente[246]. Fu condannato alle spese processuali ed all’esilio per tre anni dal Brasile, non fu applicata una pena più severa visto che aveva collaborato, che era di famiglia nobile e che sussistevano altre attenuanti generiche. A Lisbona Cabral tentò di impugnare la sentenza ma la sua istanza fu prontamente rigettata dalla Inquisizione Centrale.

Un’ altra visita si ebbe nel il venti marzo 1593 da parte del visitatore Furtado de Mendoca. Egli si occupò di un’altra setta molto fiorente in Brasile, quella dei mamelucchi[247]. Eresia strana e bizzarra, la stessa era costituita da i figli di europei e donne indios che condividevano molte credenze ed usi del popolo tubi. Erano ricoperti da imponenti tatuaggi, avevano naso ed orecchie perforati da ingombranti anelli o orecchini[248] ed erano adusi a praticare l’antropofagia, il massimo crimine che ai nostri occhi può imputarsi agli indios ed ai mamelucchi, ma senz’altro il non più grave per l’inquisizione dell’epoca[249].

Queste eresie, sebbene cessarono in Nuovo Mondo, giunsero agli orecchi degli europei e costituirono un importante campo di analisi filosofica  (e dall’ottocento ad oggi antropologica o etnologica[250]) sui riti indios. Tra gli autori sono senz’altro da ricordare Giovanni Botero e Du Jarric. Entrambi descrivono balli, riti, usanze, costumi, pratiche religiose, orazioni degli indigeni dell’America lusitana.

 

CONCLUSIONI

 

I casi di condanna nei confronti degli indigeni da parte dell’inquisizione in Nuovo Mondo sono molto pochi a dispetto del senso comune.  Non solo, le pene risultavano mai severissime, spesso blande o limitate ad una penitenza molto meno gravosa di quelle inferte dall’inquisizione spagnola in Europa.

I motivi di questo atteggiamento tollerante e quasi “materno” dei tribunali religiosi nei confronti degli indios sono sostanzialmente tre e collegati tra loro.

In primo luogo la Seconda Scolastica aveva posto in essere un impianto sistematico di opinioni circa gli indios che, seppure con argomentazioni e conclusioni spesso diverse da pensatore a pensatore concordavano su un punto fondamentale: gli indigeni avevano natura umana, seppure secondo molti non evoluta, e per questo andavano educati e convertiti, quindi non erano punibili prima di abbracciare la fede cristiana e, se per i primi tempi trasgredivano, andavano trattati con magnanimità, in quanto certi errori erano scusabili a chi, senza una educazione europea, era fresco di conversione.

Ma c’è un secondo motivo altrettanto importante, gli indigeni erano utilissimi per i lavori nelle piantagioni e nelle miniere, per questo andavano tutelati. Anzi, anche in questo caso la Chiesa Cattolica cercò di fare il possibile a che non venissero sfruttati. L’encomienda, la condanna al feudalesimo ed alla schiavitù, la turnazione di lavoro, il tetto massimo di ore lavorative, il riposo domenicale e nelle festività, sono solo alcuni degli interventi a favore dei locali.

L’ultima ma non meno importante ragione del trattamento magnanimo era dovuta al fatto che l’inquisizione aveva come obbiettivo fondamentale non solo la tutela dell’ordine pubblico, ma anche l’arricchimento, e quale migliore occasione se non quella di combattere i protestanti olandesi ed inglesi, dediti spesso alla pirateria, o i ricchissimi ebrei e criptoebrei. Sebbene venale, tale azione aveva anche una giustificazione teorica importante. Se gli indios erano freschi di conversione occorreva preservare la loro fragile anima da contatti con europei non cattolici che avrebbero potuto discostarli dal messaggio evangelico.

Dove l’inquisizione fu più ferma e severa è nella repressione delle sette millenariste, non solo per motivi teologici ma soprattutto per ragioni di ordine pubblico. Le stesse configuravano il crimen di sedizione e rischiavano, un po’ come inglesi e francesi, di minacciare il potere della Corona di Spagna e per questo andavano condannate e fatte placare col sangue.

E’ dunque da rilevare che la causa della morte di un numero ingente di indios è in prima istanza circoscritta ai primi decenni del Cinquecento, quando l’inquisizione non era stata ancora nemmeno istituita in Nuovo mondo. In seconda istanza la carneficina è dovuta ai primi conquistadores, spietati cercatori di ricchezze che agivano in completa anarchia e furono ammoniti già all’epoca da teologi e dalle stesse sale pontificie.

 

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NOTE ESSENZIALI  BIBLIOGRAFICHE E DI COMMENTO

 

[1] Disputa che ha smosso tutta l’elitè di pensatori europei che hanno cercato di sistematizzare il loro pensiero attraverso i canoni della Seconda Scolastica. Cfr. infra par. 3.

[2] Paolo III, Sublimis deus, o anche detta Veritas ipsa, 1537.

[3] Questione che, per l’economia del discorso, non tratteremo ma che risulta, comunque, quanto mai interessante. La prima giustificazione del possesso delle nuove terre trovava la sua ratio nell’istituto dell”inventio. I giuristi si trovarono ad affrontare  un mondo del tutto nuovo anche per quanto concerne botanica, zoologia, scienze minerali, etc., problemi nuovissimi ma che si tentò di risolvere con le categorie antiche, quelle tomiste. Il dominio sulle terre era giustificato, secondo Alonso de Veracruz, dall’usucapione, tuttavia lo stesso autore si accorse che mancava un requisito fondamentale, se c’era  res habilis titulus, possessio tempus, mancava comunque la bona fides. Per questo Solorzano Pereia ritiene che l’unico atto legittimo a giustificazione del dominio sia la donatio papale, spingendo a ritenere, oltre all’usucapione,  anche l’inventio e l’occupatio illegittimi Per quanto concerne il mare, l’Oceano Atlantico, detto anche Mar Tenebroso o Gran Mar Oceano, fu una categoria estremamente interessante perché consentì ad eminenti pensatori, Francisco de Vitoria, Vasquez de Menchaca e successivamente Ugo Grozio, di gettare le fondamenta di quello che sarà il moderno diritto internazionale.  Per quanto concerne i conflitti tra portoghesi e spagnoli circa il diritto di appropriazione e dominio sui luoghi scoperti, possiamo notare come il problema fu risolto sin da subito da papa Paolo III che, con la bolla Inter coetera del 1493, tracciò la cosiddetta raya, ossia la linea , letteralmente riga, che divideva i domini catalani da quelli lusitani. Per approfondimenti in merito si consiglia A.A. Cassi., Ius commune tra Vecchio e Nuovo Mondo.  Mari terre, oro nel diritto della conquista, Milano 2004Prima parte.

[4] Peculiarità spettacolare, che gli europei non avevano trovato in nessuna altra parte al mondo.

[5] Per la stragrande maggioranza esponenti della Seconda Scolastica.

[6] Non stupisce tale visione, tipica di tutti i popoli che non abbiano subito una influenza diretta della cultura giudaico-cristiana, la quale ha una concezione lineare e finita del tempo.

[7] Dei conquistatori, si noti bene, non dei pensatori  i quali compirono, come vedremo infra 1.3, uno studio approfonditissimo dei loro usi e costumi.

[8] Le vittime erano esponenti della nobiltà, non classi infime o medie. Può sembrarci strano ma essere offerti in olocausto era un onore anche per il  sacrificato.

[9] Cassi, Ius commune cit., p 247.

[10] crimen contro natura, cfr. cap.4 par.3.

[11] Considerarli alla stregua di bestie consentiva loro di essere padroni dei territori. Ciò nacque soprattutto quando furono scoperti i primi popoli della costa caraibica, selvaggi pacifisti che andavano in giro nudi ed erano organizzati in piccoli villaggi. La natura bestiale sarà forzatamente sostenuta dai conquistadores anche quando si scoprirono i grandi imperi, attaccando non la loro arretratezza tecnica ma bensì quella morale.

[12]R.  Iannarone , La scoperta dell’America e la prima difesa degli indios. I domenicani, Bologna 1992, p 24.

[13] Confronta a proposito cap. 3 par. 2 ed anche cap.4 par.2.

[14] Sempre secondo la loro condizione ciclica del tempo che gli consentiva di prevedere gli eventi con una precisione matematica. Non dimentichiamo che indigeni d’America, soprattutto gli appartenenti ad imperi fiorenti, conoscevano molto bene il corso degli astri, erano abili astronomi ed astrologi e riuscivano anche a prevedere inondazioni, maremoti, eclissi e cicli siderei.

[15] Cassi A.A., Ius commune cit., pp.256-264.

[16] L. Nuzzo , Il linguaggio giuridico della conquista. Strategie di controllo delle Indie spagnole, Napoli 2004, p. 192.

[17] cfr. infra par. 2.

[18] cfr. cap.2par.2 ed anche cap.4 par.3.

[19] F. Troncarelli , La spada e la croce. Guillen Lombardo e l’inquisizione in Messico, Roma 1999, p. 47. Si tratta del luogo ove sorgeva un tempio eretto alla dea Madre, tipica divinità protostorica. Possiamo inoltre affermare che il cattolicesimo fosse adattissimo alla mentalità indios e non solo il viceversa. Gli indigeni erano un popolo fatto di culti diretti, tramite apparizioni. E chi poteva dialogare meglio con loro se non la tradizione cattolica che, ancora oggi, ritiene prodigiose le apparizioni mariane. Paradossalmente gli inglesi protestanti/laici in erba, non avrebbero potuto fare meglio.

[20] Nuzzo , Il linguaggio giuridico della conquista cit.,  pp. 229-231. Il castigliano doveva unificare nella fede moderna allo stesso modo che fece il latino nel medioevo.

[21] Iannarone , La scoperta dell’America cit., pp. 57-62.

[22] Lo sterminio cui ci riferiamo è quello degli indiani del Nord America. Un’utile precisazione prima di proseguire,  non rinnegando il laicismo contemporaneo, la critica che qui muoviamo è al laicismo in erba-protestantesimo che finì con l’essere meno tollerante del cattolicesimo. Lo sforzo teorico che fece la Seconda Scolastica lo faranno i paesi riformati, quelli che sono  centro propulsore dell’età Moderna,, solo tra fine Seicento ed inizio Settecento. Ciò non è tanto dovuto alla permeabilità cattolica ma alla millenaria tradizione che essa aveva,  a differenza di una religione e di un modo di pensare che non era ancora fiorito. E a tal proposito sarebbe interessante, ma esula dalla presente trattazione, notare quanto la Seconda Scolastica abbia influito sull’empirismo e sull’illuminismo, gettandone le fondamenta e facendone addirittura intravedere un superamento, in un’ottica meno eurocentrica, prima ancora che gli stessi germogliassero.

[23] AAVV, La colonizzazione spagnola in America, http://www.culturanuova.net/storia/2.moderna/la%20colonizzazione%20spagnola.php.

[24] In Brasile si userà l’inquisizione come strumento di controllo e contenimento ma anche di condanna dell’indio, tuttavia ciò trovò l’opposizione dei missionari locali, soprattutto della Compagnia di Gesù, anche se gli stessi erano comunque collaboratori dell’inquisizione nella maniera che vedremo nel Capitolo IV.

[25] Un po’ come i cow boy che ricercavano l’oro nel West, ma allo tesso tempo un po’ come i templari, che avevano il compito di convertire, e quindi un limite al loro divertimento sconsiderato e fine a sé stesso ed alla loro cupidigia. Vedi a proposito cap.2 par.1.

[26] La questione sarà analizzata in maniera più approfondita infra par. 3.

[27] L.G.C. Carducci.,  Nuovo Mondo ed ordine politico, Rimini 1997; pp. 31-32.

[28] Martin R.H., La lezione sugli indios di Francisco de Vitoria,  Milano 1999; pp. 72-80.

[29] R. Rughi , La disputa sulla uguaglianza degli indioshttp://win.storiain.net/arret/num151/artic6.asp.

[30] La bolla ha una importanza epocale. Risulta essere a tutti gli effetti il primo atto ufficiale nel quale fosse sancita la piena uguaglianza, seppure solo formale, degli uomini indipendentemente dalla razza di appartenenza.

[31] Cassi, Ius commune cit., p. 309.

[32] La stessa diverrà di fatto un espediente giuridico per eludere il divieto di schiavitù degli esseri umani sancito dal papa nel 1537.

[33] Ivi, pp. 310-312. Il lavoro quasi schiavile degli indigeni era giustificato dal fatto che in capo ai coloni vigeva l’obbligo di provvedere alla propria istruzione di base e soprattutto di catechismo cattolico.

[34] Ivi, pp. 318-325.

[35] Aggravata dalla incomprensione dell’indio. Tale sistema aveva il solo scopo di salvare la forma giuridica, non di convertire o rendere edotto l’ignaro indigeno.

[36] Evangelizzazione completa ed effettiva, nonostante il Requerimiento.

[37] Così cercando di limitare non tanto lo sfruttamento degli autoctoni quanto lo strapotere feudale dei coloni.

[38] Carducci, Nuovo Mondo cit., p.26.

[39] Un vero e proprio potere feudale e per di più senza possibilità di controllo da parte dei vertici, viceré e Corona.

[40] Cfr. anche infra par.3 e cap. 3 par. 3.

[41] Ivi, pp.27-28.

[42] Un sistema unico al mondo, soprattutto in vista del fatto che non si trattava di un primitivo sistema  economico di villaggi aborigeni ma bensì di un sistema economico accentrato, imperiale, ma completamente differente dal feudalesimo europeo del medioevo.

[43] Ciò non deve stupire, nell’Ottocento non si badava tanto alla forma o alle dispute teologiche.

[44] Ricordiamo che siamo in piena Seconda Scolastica.

[45] cfr cpa.3 par.3 e cap.4 par.2.

[46] Anche in questo caso ci fu un primato, agli inizi del Cinquecento la teorizzazione di Vitoria fu la prima ad enunciare, in chiave giuridica e non solo teologico-filosofica, l’uguaglianza di tutti gli uomini, indipendentemente dalla religione, dallo stato etnico o evolutivo e dalla razza.

[47] Vitoria è, infatti, in maniera quasi  unanime ritenuto l’ideatore del diritto internazionale inteso in chiave moderna, materia che fu costretto ad abbozzare proprio a causa della scoperta delle Americhe che mettevano in crisi il sistema medioevale dello ius gentium.

[48]Porcaro M., La filosofia del diritto di Las Casas, http://etd.adm.unipi.it/t/etd-05092012-191157/

[49] Carducci, Nuovo mondo cit., pp.31-32.

[50] Certo quest’ultima categoria può apparire contraddire la postulazione fatta essere razionale-essere umano. Ma non stupisce, gli infedeli erano considerati senza ragione e dai modi inumani perché costituivano un serio pericolo per l’Europa, soprattutto in quell’epoca in cui iniziavano ad avanzare non solo più attraverso il Mediterraneo ma anche da oriente.

[51] Sul concetto di evoluzione confronta infra Francisco de Vitoria.

[52] Anticipando pensatori illuministi, Rousseau soprattutto, che fece suo il mito del buon selvaggio, ma anche il contrattualismo di Thomas Hobbes.

[54] Rughi , La disputa cit.

[55] Per il culto deviato ad imitazione del cattolico cfr. cap.4 par.3, in cui la questione è trattata approfonditamente.

[56] In opposizione a Las Casas che riteneva la Fede dovese essere comunicata e trasmessa tramite l’intelletto, mai con la forza.

[57] vedi supra par. 2.

[58] Martin R.H., La lezione cit., pp. 61-63.

[59] Una critica che è quantomai attuale, ossia se il papa sia il pastore dell’umanità o dei soli cattolici.

[60] In ciò concordando con Las Casas.

[61] Ivi, pp. 65-72.

[62] ivi, pp. 72-80.

[63] M. Mantovani, L’umanesimo giuridico di Francisco de Vitoria, http://www.docsity.com/itdocs/LumanesimogiuridicodiFranciscodeVitoriaSalesianumdoc.

[64] Carducci, Nuovo Mondo cit., pp. 42-47.

[65]Ivi,  pp.88-91.

[66] Ivi, pp. 91-92.

[67] Ivi, p. 96.

[68] Ivi, p. 99.

[69] Ivi, p.101

[70] Ivi, pp. 105-106

[71] B. Las Casas ,  Memorial de catorce remedios,  1516.

[72] R. Iannarone ,  La scoperta dell’America e la prima difesa degli indios. I domenicani, Bologna 1992, pp. 82-89.

[73] Nel corso della trattazione, quindi, l’uso dell’una o dell’altra espressione saranno considerati come sinonimi.

[74] Iannarone , La scoperta dell’America cit., pp. 52-57;  i conquistadores si mostravano spietati e senza scrupoli, non esitavano, quando se ne presentasse l’occasione, di passare a fil di spada qualche indios, senza una ragione precisa ma solo per puro divertimento.

[75] A.A. Cassi , Ius commune tra vecchio e Nuovo mondo. Mari, terre, oro nel diritto della conquista, Milano 2004, p 417.

[76] Interessante notare, a tal proposito, come la Chiesa abbia un atteggiamento ambivalente nei primi tempi della Conquista, sebbene condanna fermamente gli atteggiamenti inappropriati degli spagnoli in America, dall’altra è conscia che non ne può fare a meno, essendo gli stessi un validissimo strumento per evitare che quei territori finiscano in mano Protestante.

[77] L. Nuzzo, Il linguaggio giuridico della conquista. Strategie di controllo delle indie spagnole, Napoli 2004.

[78] Ivi, p 217.

[79] Ivi,  pp 229-238.

[80] AAVV, Dizionario Storico dell’Inquisizione, Pisa 2010,  p.  787.

[81] Nuzzo, Il linguaggio giuridico cit.,  pp. 238-247.

[82] AAVV,  Dizionario Storico cit., p. 1037; letteralmente significa atto di fede, una sorta di pentimento, che in genere avveniva in massa, e che era concluso con il rogo o con solenni punizioni. Strumento molto utilizzato, soprattutto in queste zone, per mostrare al popolo cosa accadeva a chi si allontanasse dal credo Cattolico.

[83] In realtà spesso era facile aggirare il divieto, era d’uso, tra gli ebrei, andare in madre patria e farsi fare, pagando profumatamente, un attestato di “limpieza de sangre“, che accertasse la loro discendenza da famiglia cattolica. Questo fenomeno era noto come  criptoebraismo e  fu molto combattuto, ma spesso risultava difficile da scovare, anche perché molti criptoebrei erano ricchissimi e, non di rado, secondo Rodriguez ., Potere ecclesiastico e inquisizione nel secolo XVII luso-brasiliano: agenti, carriere e meccanismi di promozione sociale, San Paolo 2013, alcuni entrarono anche a far parte della stessa Inquisizione.

[84]  AAVV,  Dizionario Storico cit.,  p. 1722

[85] Paradossalmente, per quanto insensato e terribile il pensiero di Zumarraga era quello che, strictu iure, riconosceva la piena umanità degli indios, la loro piena capacità mentale, negando ogni minorità rispetto agli europei, e la uguaglianza giuridica con gli altri popoli. Ovviamente, però, si trattava di una eguaglianza formale, sostanzialmente gli indios non potevano sapere che le loro azioni erano contro il Cattolicesimo e dunque punibili e quindi non potevano esser pienamente colpevoli.

[86] Tipico esempio di eterodossia, in tutto il mondo di quei tempi, e con origini ben più remote,  infatti, l’inutilità della gerarchia ecclesiastica, della messa, dell’esistenza di diversi ordini monastici è stata discussa. La differenza sostanziale tra eresia ed eterodossia è sottile e spesso i termini vengono  utilizzati come sinonimi. Tuttavia, analizzando il significato letterale  e il costante utilizzo  scientifico dei termini,  possiamo notare come il discriminante consiste nella solidità o meno della base dogmatica-teologica del credo. In poche parole, se erano critiche importanti ma superficiali, nel senso di non dogmaticamente penetranti, si parla di eterodossia, se il credo era corposo e composito si può parlare di eresia.

[87]  Interessante la codificazione sulla idolatria fatta nel Settecento dall’erudito Ferraris, Prompta Bibliotheca Canonica, Bologna 1746.  In questo caso, secondo lo studioso, si tratterebbe di idolatria perfetta, in quanto il culto del falso Dio o della creatura proviene sia da exitimatio che da affectus, operano in parole povere sia l’intelletto che la volontà. L’adorante sceglie il culto deviato in propria scienza e coscienza, è la forma più grave. Da ciò deriva un duplice peccato mortale, la infedelitas contra fidem e la superstitio contra religionem. Quando sono presenti ambedue si configura il crimen di eresia.

[88] Ivi.

[89]  F. Troncarelli ,  La Spada e la Croce.  Guillen Lombardo e L’inquisizione in Messico, Roma 1999,

  1. 45.

[90] B. Sahagun ,  Historia General de las casas de la Nueva Espana, Mexico 1975, pp. 765-766.

[91] J.J.. Sepulveda,  Brujera, 1542,  p. 174.

[92] Las Casas , Memorial cit.

[93] Troncarelli,  La Spada e la Croce cit.,  pp. 58-59.

[94] Il termine Sant’Uffizio non deve trarre in inganno. Non si tratta dell’inquisizione pontificia ma di una inquisizione centrale per ogni zona del Nuovo Mondo che dipende direttamente dalla Corona di Spagna e non dal Papa.

[96]  AAVV, Dizionario Storico della Inquisizione, Pisa 2010,  p. 1038.

[97] Abbiamo accennato alla differenza tra eresia ed eterodossia. Possiamo, per comodità, occupandoci del Nuovo Mondo, affermare che né il ritorno al culto pagano, né il culto pagano stesso degli amerindi, né le sette millenariste configureranno mai il crimen di eresia, mancando la base dogmatica solida è più giusto parlare di eterodossia. L’eresia in questi luoghi era quella delle diverse sette derivate dal Protestantesimo (ugonotti, puritani, e via discorrendo).

[98]M. Baigent  R. Leigh, L’inquisizione. Persecuzioni, ideologia e potere,  Milano 2000.

[99] Letteralmente ebraismo nascosto. Fenomeno cui si è già accennato che consisteva nella falsificazione delle proprie origini ebraiche attraverso falsi attestati di limpieza de sangre rilasciati in madrepatria.

[100] Vedi  supra par. 2; l’eterodossia ed in particolare la natura criminale della stessa in quanto idolatria perfetta;  Ferraris,  Prompta Bibliotheca cit.

[101] Ibidem;  ciò si verifica quando l’intelletto del soggetto riconosce l’assenza di essenza divina negli idoli ma è portato alla loro adorazione esterna dalla cupidigia e da altri “cattivi affetti” . E’ il caso della demonolatria dei maghi, in tali ipotesi l’idolatria è detta “ordinaria”. Tuttavia, a ben vedere ed anche se il confine è sottile, Ferraris sostiene che la divinazione e la magia non sono tanto fenomeni idolatri ma costituiscono due fattispecie a sé stanti.  La superstizione “ratione rei cultae“, tributata cioè ad una divinità differente dalla cattolica, si suddivide, a detta del pensatore, in cinque categorie:  idolatria, magia, divinazione, vana osservanza e maleficio.

[102] Troncarelli ,  La Spada e la Croce cit., pp. 70-72.

[103] La dottrina cattolica nega la possibilità che si possa entrare in contatto con i defunti o con il mondo dei morti, secondo loro le manifestazioni spiritiche  altro non sono che contatti con demoni infernali. A tal proposito, le Sacre Scritture sono precise:  Luca 16, 19-31 (  […] Per di più tra noi e voi è stabilito un grande abisso: coloro che vogliono passare da voi non possono, né così si può passare sino a noi); Deuteronomio 18, 10 (Non si trovi in mezzo a te chi fa passare suo figlio o sua figlia per il fuoco, né chi esercita la divinazione, né astrologo, né chi predice il futuro, né mago, né incantatore, né chi consulta gli spiriti, né chi dice la fortuna, né negromante, perché il Signore detesta chiunque fa queste cose) Levitico 19, 31  (Non vi rivolgete agli spiriti, né agli indovini; non li consultate, per non contaminarvi per mezzo loro. Io sono l’Eterno, l’Iddio vostro).

[104] La loro vera funzione ci è ignota, essendo un culto che non è sopravvissuto sino a tempi recenti e dunque tutto ciò che sappiamo proviene, ovviamente, solo dalle descrizioni degli Europei.

[105] A differenza del patto esplicito di cui supra par.2. La differenza sostanziale consiste nel fatto che, ove il soggetto ponga in essere una adorazione diretta con il demonio o con demoni minori, attraverso malefici, patti, divinazioni e magie (queste ultime sono pur sempre sottomissioni esplicite in quanto per ottenere i poteri oracolari o la capacità di influire sulla natura e sugli uomini occorre seguire sempre dettami precisi di Satana, ricordiamo, infatti, che per la Chiesa di Roma non esiste magia bianca o nera, sono condannate ambedue) si avrà un patto esplicito. Nel caso del patto implicito, invece, c’è una presunzione di colpa, si punisce non l’atto di adorazione ma l’adorazione stessa è diretta conseguenza del consumo dello stupefacente. Una sorta di “actio libera in causa“, l’elemento volontaristico retrocede al momento in cui si era coscienti di assumere lo psicotropo e i suoi effetti allucinatori, frutto dell’azione demoniaca, sono la conseguenza dell’atto libero e  volontario posto in essere  prima dell’assunzione.

[106] Vedi cap. 3 par.3; in Perù la posizione della Chiesa nei confronti della coca fu ambigua, ciò perché la stesa trovava largo utilizzo nelle miniere ove veniva somministrata agli indios per renderli più svegli, laboriosi e resistenti alla fatica. Interessante il fatto che molti, tra tutti il giudice dell’Audiencia di Characas Juan de Matienzo (Matienzo,  Camminan biene si les dan coca. Gobierno del Perù, Buoenos Aires 1910, p. 14) notassero come gli indios fossero oziosi, pigri, indolenti, poco avvezzi alla fatica e non corpulenti. Per questi motivi la pianta di coca poteva essere un ottimo rimedio contro questi “vizi”.

[107] Anche in questo caso risulta difficile definire  questo fenomeno eresia. A scanso del nome i dogmatizadores  non avevano una base dogmatica forte, i culti rappresentavano sincretismi fantasiosi ed asserviti alle rivolte indios. Di più, non era nemmeno un corpus dogmatico unitario, i dogmatizadores cambiavano il proprio credo a seconda non solo delle zone, ma dei fini pratici che dovevano raggiungere. Anche tale fenomeno, a nostro avviso, andrebbe collegato nell’alveo della eterodossia più che dell’ eresia.

[108] Vedi supra par. 2.

[109] Interessante culto sincretico, non tanto per la vicinanza al Cattolicesimo quanto piuttosto al Protestantesimo. C’è una netta distinzione tra padre e figlio, il figlio non è il “redentore” ma il “liberatore” ed ascolta gli ordini del Padre celeste, il feticcio che Tepehuanos portava sempre con sé.

[110] I neri erano ovviamente più corpulenti e più forti degli indios. Non sorprende, tra l’altro, che la natura preminentemente politica di tale setta abbia somiglianza anche con la tradizione della costa occidentale dell’Africa, da cui provenivano gli “adepti forzuti”.

[111] Altro interessante culto sincretico, il “liberatore” che resuscita alla maniera cristiana (in carne e spirito), che giudica come il tremendo Dio dell’apocalisse e che, aspetto più interessante, ritorna perché si è compiuto un ciclo storico, aspetto questo tipicamente amerindo, la concezione giudaico-cristiana, infatti, aveva una visione del tempo lineare non circolare

[112] S. Gruzinski ,  L’uomo dio del Messico, Roma 1987,  pp. 14-20

[113] Troncarelli , la spada e la croce cit.

[114] Ivi, pp. 332-335; Lamport era un uomo dalla doppia vita come Zorro, aveva un amico di nome Diego con cui operava, era ovviamente amico dei locali e loro protettore e contro le ingiustizie delle autorità corrotte, fu aiutato dai francescani, evase di prigione e fece evadere l’amico Diego, spiegò i suoi gesti con manifesti ed ordì una congiura. Su come il mito di Lombardo giunse all’autore di Zorro, Troncarelli sostiene che ciò sia avvenuto tramite il generale Vicente Riva Placido, affiliato alla massoneria come McCulley e grande ammiratore del capopopolo messicano.  Sempre con riguardo alla massoneria un altro autore ( Carpeoro, Zorro maestro segreto della massoneria di rito scozzese, http://www.edicolaweb.net/he09902a.htm) nota come la Z simbolo dell’eroe sia anche un simbolo massonico, abbreviazione del termine arabo zizon o ziza ed indica la rinascita e lo splendore .

[115] Ivi, pp. 106-107; la tesi sarebbe suffragata dal fatto che Lambert non lavorava pur vivendo nel lusso, inoltre inviava molte lettere ad un mittente sconosciuto. Viveva poi in aperto concubinato restando impunito  ed indagò privatamente sul viceré per conto del vescovo Palafox.

[116] Ivi, p. 110; perfetto incosciente non si risparmiò certo gaffes evitabili, clamorosa quella fatta quando gli regalarono due cavalli, uno di Pedro di Castiglia e uno di Don Cristobal di Portogallo. Ovviamente il viceré affermò senza riserve che preferiva il portoghese. Ma non è tutto, iniziò a compiere atti indipendentisti e vanagloriosi in Messico, si faceva accompagnare da paggi come il Re contro l’uso comune, i sedeva su uno scranno più alto e soprattutto inviò due battelli nelle Fiandre con 80000 pesos per comprare armi e infine mandato anche una nave a Li9sbona piena di portoghesi proprio nel 1641, anno della rivolta. Questi portoghesi ammutinarono senza troppi fronzoli il capitano spagnolo. Il ruolo di Lamport nella redazione della Relation a Palafox emerge dagli incartamenti e deposizioni del suo processo , conservati in duplice copia  all'”Archivio General de la Nation”  di Città del Messico e all'”Archivio Historico National de Madrid” dagli stessi incartamenti emergono altresì le circostanze del suo arresto e le accuse che andremo di qui a breve ad analizzare.

[117] Ivi, p 114; gli indigeni erano stremati dal duro lavoro, una volta deposto il viceré una delle prime decisioni prese dal vescovo fu migliorare le condizioni lavorative degli indigeni.

[118] Nuovo Messico non sta ad indicare un nuovo territorio scoperto, come avveniva all’epoca della Conquista, ma bensì un Messico rigenerato, splendente, come la zizon o ziza araba.

[119] Ivi, pp. 125-132; l’accusa probabilmente era stata solo formalizzata nel momento della scoperta delle lettere, è evidente, infatti, che Palafox già conoscesse le intenzioni di Lamport, così come conosceva le sue amicizie influenti non solo col pontefice e con i principali sovrani europei, ma anche con diverse personalità del luogo. Il Padre Provinciale ed i francescani, infatti, reclutarono ben 400 indios arcieri per metterli al servizio di Guillen nella rivolta, c’era poi l’amico Diego, segretario del viceré che agiva con l’appoggio del vescovo.

[120] Ivi, pp. 211-213; Placios Rubios riteneva che la donazione divina del Nuovo Mondo era analoga a quella che Dio fece ad Israele, la Spagna doveva intervenire nelle Americhe per sconfiggere l’idolatria, così come aveva  fatto Giosuè con la tribù di Gerico. Nelle sue “Relazioni” Cortes era di diverso avviso, pur legittimando la guerra ai fini di conversione, affermava che il rapporto politico si basava più sul vassallaggio, già noto alle tribù azteche che potevano, quindi, essere gestite meglio con quella disciplina. Francisco Lopez Gomara sostiene addirittura, nella sua “Historia general de las Indias“, che solo i discendenti dei nativi sono i veri proprietari, ciò prendendo le mosse dal mito platoniano di Atlantide. Ovviamente l’Historia di Gomara fu bandita dal Papa. Per quanto riguarda ulteriori approfondimenti sulla questione giuridica circa la  proprietà delle terre scoperte rimandiamo al primo capitolo.

[121] Cfr. i casi di Carlos di Texcoco, Martin Ocelot, Andreas Mixcoalt, Tenamaxtli, Acaxees di Topia, Tepehuanos.  Gli indios come sappiamo, d’altronde, attendevano la venuta di un salvatore proprio in quei tempi e, oltre a capipopolo un po’ coinvolti e fanatici c’era anche chi ne approfittava per consolidare il proprio potere, pur non credendo al messianismo millenarista. Tra tutti interessanti i casi di Francisco de la Cruz, che affermava di essere una sorta di nuovo David biblico per il Perù e di  Salomon Machorro che profetizzava invece l’arrivo di un nuovo Elia in Brasile. Tra l’altro sappiamo che Machorro era anche in contatto con Guillen ( Lewin B., Singular proceso de Solom Machorro-juan de Leon, israelita liornes condenado para la Inquisicion, Messico, 1650). Questi ultimi due casi sono davvero interessanti, inoltre, perché si tratta di un millenarismo veterotestamentario, quindi confacente più a Protestanti ed Ebrei che a Cattolici. Nel caso di specie i due “profeti” erano ebraici.

[122] Lamport era un assiduo lettore di Erasmo da Rotterdam che, tramite il suo “Elogio della follia” ispirò molto l’azione dell’imperatore del Sacro Impero Carlo V, ma fu successivamente bandito dalla Chiesa di Roma; di Tommaso Moro che nella sua “Utopia”, ispirandosi alla Repubblica di Platone, voleva l’abolizione della proprietà privata ed un governo capeggiato da saggi più che da re o governatori; infine di Tommaso Campanella, aveva letto più volte “La Città del Sole” e la stessa fu ispiratrice anche di Palafox al quale il ribelle l’aveva fatta conoscere ( Troncarelli , La spada e la croce cit., p. 228)

[123] AAVV, Dizionario Storico cit.,  p. 1039.

[124] Per quanto la giurisdizione di Cartagena fosse amplissima era comunque considerata zona periferica, gli eminenti teologi e giuristi che animarono il dibattito sulla natura degli indigeni, sulla disciplina delle nuove terre, sul regime giuridico applicabile alle nuove situazioni e alle nuove dispute circa competenza, giurisdizione e potere di governatori, vescovi ed ordini monastici, preferivano trasferirsi per motivo di studio in zone più evolute, Messico e Perù su tutte, dove effettivamente la presenza attiva degli europei era maggiore e c’era più possibilità di  stimoli intellettuali. La giurisdizione di Cartagena comprendeva le prime terre scoperte e le stesse erano abitate da selvaggi, gruppetti etnici isolati. Non c’erano né oro né gemme preziose ,  ingenti invece  nelle zone dei grandi imperi Inca, Azteco e, anche se estinto, Maya e che suscitavano l’attenzione dei conquistadores e degli avventurieri d’Europa.

[125] Sebbene sbarcassero lì tutti coloro che provenivano dall’Europa ed anche gli schiavi dell’Africa occidentale la zona era pur sempre zona di transito. Gli stessi erano diretti in Messico, Perù e Brasile, dove i mercanti potevano curare i loro affari ed i neri lavorare nelle piantagioni, nelle zone costiere o nelle miniere, in ausilio agli indios.

[126] L’arrivo di navi cariche di schiavi nei porti come quello di Cartagena era uno spettacolo terribile, inumano, tragico. a tal proposito Alonso de Sandovano ci racconta uno sbarco avvenuto nel 1618, descrivendo la malnutrizione dei neri, arrivati come scheletri, completamente nudi e poi rinchiusi in un recinto, i morti erano  buttati a terra come bestie, preda delle mosche (Sandoval A., Tractatus de instauranda Aetiopum salute, Madrid 1648,  pp. 109-110).

[127] I decessi erano dovuti ai terribili massacri perpetrati dai conquistadores, che spesso agivano in piena anarchia suscitando imbarazzi anche alla Corona e alla Chiesa di Roma, i cui interventi non tardarono ad arrivare, ma anche da malattie sconosciute agli amerindi sebbene debellate in Europa, influenza comune, vaiolo e via discorrendo. Confronta il primo paragrafo del presente capitolo ed il capitolo I per un’analisi più approfondita circa gli eccidi ai danni degli indios.

[128] Spesso i neri facevano di più, abusando del loro potere rendevano a loro volta schiavi gli stessi indios, fisicamente meno possenti. Ciò in un qualche modo favoriva le rivolte, essi si ritagliavano un proprio spazio di libertà che li rendeva potenti ed insofferenti nei confronti dei padroni europei.

[129] Il termine cimarrones significa selvaggio ed era usato dagli europei in senso dispregiativo. Erano gruppi altamente organizzati, con una struttura paramilitare, avevano gradi e gerarchie proprie (Troncarelli , La Spada e la croce cit., p. 84).

[130] Si noti che, come detto poc’anzi, i capi di questi squadroni di ribelli erano nobili di alto rango nelle loro terre.

[131] I riti vudù e molti riti africani sopravvivono ancora oggi nell’America Latina, importati dagli schiavi erano anch’esso uno strumento di controllo nei confronti degli altri schiavi. Gli africani, infatti, credevano fermamente a tali riti e alla possibilità di influenzare la vita di una persona e soprattutto la loro salute tramite un’azione a distanza che avveniva e tutt’ora avviene tramite l’utilizzo di un feticcio.  Ma i riti esoterici erano importati anche da Francia e Olanda ove vi fu una vera e propria esplosione di libertà. La Corte francese era interessata a queste tradizioni esotiche di cui aveva sentito parlare attraverso i racconti dei governatori delle proprie colonie, e l’Olanda era un po’ il rifugio di eretici e maghi, perseguitati soprattutto nella penisola iberica, tra tutti ebrei cabalisti, negromanti, ed alcune sette islamiche fiorite in Spagna

[132] 1545-1563

[133] M. Baigent  R. Leight ,  L’Inquisizione, persecuzioni ideologia e potere, Milano2000, pp.148-150;  La Compagnia fu fondata dallo spagnolo Ignazio da Loyola. Ex militare, a seguito di una ferita in battaglia ebbe una intensa conversione  e dopo diversi pellegrinaggi, iniziò a predicare, suscitando anche le antipatie dell’Inquisizione. Il 27 settembre 1540 papa Paolo III, che aveva preso a simpatia Layola, istituì formalmente l’Ordine. Questo, benché non usasse armi, era comunque organizzato in maniera militare e con un compito preciso, estirpare il Protestantesimo tramite la predicazione e la cultura. Possiamo ritenere che la fondazione di tale ordine monastico nacque con lo stesso scopo per cui nel XII secolo fu istituito l’Ordo Predicatorum, i domenicani, i quali,  più istruiti del clero secolare, dovevano estirpare l’eresia catara attraverso la ragione, come i Gesuiti col Protestantesimo, con le sette da esso derivate, nonché con un” Modernismo laico” che in quell’epoca andava diffondendosi.

[134] L.G.C. Carducci , Nuovo Mondo ed ordine politico, Rimini 1997, p. 13.

[135] Costante presente in tutti i miti sudamericani, non solo negli imperi maggiori, Maya, Aztechi ed Inca, ma anche tra gli indios che vivevano in piccole comunità. Ciò può indurci a pensare che le diverse popolazioni erano spesso in contatto tra loro, o più probabilmente lo erano stati in tempi remoti, prima dell’arrivo degli europei.

[136] Manco era non solo meno ambizioso ma anche tentennante negli atteggiamenti con gli invasori, sebbene era loro accondiscendente in quanto li riteneva effettivamente divini posso notarsi delle esitazioni, delle posizioni ambigue. Ciò soprattutto per le antipatie che si creeranno tra il sovrano ed il popolo, soprattutto a causa degli eccidi compiuti nella decennale lotta tra Pizarro e Almagro.

[137] Primo viceré del Perù

[138] Gli Inca erano in auge ed in pieno splendore nel XVI secolo anche perché fu un impero formatosi in maniera più tarda, con una economia più sviluppata, un esercito funzionante ed un sistema governativo e successorio ottimo. Ma c’è di più, la grandezza Inca, come nota Hagen V. V., L’impero degli Inca,  Roma 1976, pp. 18-19;  era dovuta anche al fatto che gli stessi erano riusciti a sottomettere le popolazioni preicaiche (Chavin, Mochita, Paracas, Nazca, Tiahuanaco, Chimù) prendendo da ognuno  l’aspetto culturale, economico, giuridico,  che più sembrava funzionare. Ad un approccio superficiale, infatti, sembrerebbe che i preincaici siano popoli senza cultura, ma oggi sappiamo che in realtà gli Inca erano riusciti ad inglobare la loro cultura, quasi di modo che, appropiandosene, la rendessero propria, cancellandola dai popoli da cui l’aveva attinta.

[139] Carducci,  Nuovo Mondo cit., pp. 27-28;  ma confronta anche Hagen V. V.,  L’impero degli Inca cit., p. 41 e pp. 66-70.

[140] Non sorprende il fatto che da questa descrizione economica e sociale di funzionamento dell’Impero sia nato il mito del “buon selvaggio”, caro a Bartolomeo de Las Casas e poi a Rousseau , nonché le visioni utopistiche del “governo ideale” cui scrissero, tra glia altri, Moro e Campanella.

[141] Che ben poco aveva a che fare con il concetto tradizionale di mita, ma che anzi era volta ad aggirare il divieto di schiavitù degli indios sancito dalla bolla papale “Veritas Ipsa“.

[142] E, ovviamente, data la lentezza del sistema legislativo italiano, a causa del quale l’eccezione diviene la regola. Almeno fino all’introduzione dell’Encomienda in Perù fu così anche per la mita, bastava una necessità di introiti del governo locale per creare ad arte una necessità e riscuotere il tributo (per l’ordinamento italiano confronta l’art 23 Cost che sancisce la necessità che un tributo sia imposto tramite legge, quindi non tramite un atto del governo come il decreto legge, e 77 Cost, secondo cui per l’emanazione del decreto deve ricorrere necessità ed urgenza, cosa che nel caso dei tributi, all’apparenza, sembra esserci sempre ma l’abuso è frequente, spesso con decreto legge vengono introdotti degli obblighi formali o dichiarativi la cui entrata in vigore è rinviata nel tempo, per cui l’uso del decreto legge sembrerebbe non autorizzato) .

[143]  Figura giuridica che si prefissava di conciliare il diritto di conquistare le terre con quello di preservare gli indigeni dagli abusi. Tre gli obiettivi dell’Encomienda:  far rispettare la condizione di vassallo del Re di Spagna agli indios, obbligare il colono a evangelizzare l’indigeno, far fruttare i territori conquistati dal lavoro indigeno, lavoro, dunque, che era svolto in cambio della educazione e della evangelizzazione del lavoratore. Cfr. cap.1 par.2.

[144] M. Merluzzi , Religione e stato politico nell’età di Filippo II. La Junta Magna del 1568 e la nuova politica coloniale spagnola, Pisa 2007, pp.  191-196; la Junta nasce con l’obiettivo di migliorare il governo del Messico e del Perù dagli abusi perpetrati dai coloni. Lo scopo principale, seppur indiretto, fu quello di tutelare gli indigeni. Ciò in quanto fine dell’assemblea decisionale era un miglior sfruttamento e un controllo più marcato sui territori conquistati. Furono riveste le Leggi Nuove, il sistema dell’Encomienda, si cercò anche di risolvere l’annosa lotta tra clero e laici sul dominio delle terre americane e, per quanto qui più interessa, fu istituita l’Inquisizione centrale.

[145] Ritenute ovviamente pericolose, da un lato per la salvezza degli indios, che potevano convertirsi a religioni diverse dalla Cattolica, da altro lato pericolose anche perché possibile baluardo di Stati diversi dalla Spagna.  Per maggiori approfondimenti  vedi cap.2 par.3.

[146] Quella dei Vescovi era una inquisizione molto sommaria e poco funzionale, aveva molto in comune con i tribunali criminali civili anche se leggermente più compositi ma pur sempre poco interessati ad analizzare e studiare i casi, oltre che condannare gli imputati come faceva invece l’Inquisizione monastica o il Sant’Uffizio.

[147] Sebbene sommaria, dunque, l’Inquisizione vescovile era dottrinariamente meno capace ma pragmaticamente efficiente nel giudicare i crimines  calandoli nel contesto locale in cui avvenivano.

[148] Quella dei Gesuiti è una questione molto delicata ed interessante, essi posero in essere una macchina evangelizzatrice di non poco momento ed arrivarono a costituire comunità simili a quelle europee, in cui la chiesa era al centro del villaggio e ne scandiva lavoro e preghiera. Inoltre evangelizzavano in maniera mai vista prima nelle missioni data la precisione e lo scrupolo nella trasmissione del vangelo attraverso catechismi scritti dall’ordine proprio ad hoc per gli indios. Su ciò ci soffermeremo  infra par.3.

[149] Si fa riferimento, ovviamente, al conflitto con l’Impero Inca ed alle successive lotte intestine tra Pizarro e Almagro

[150] A differenza del Messico l’inquisizione di Lima era organizzata in maniera scrupolosa e non vi era la sommarietà presente a Città del Messico, spesso basata su arresti, dovuti alla fitta rete di delatori, e a imponenti auto da fè in cui gli imputati sfilavano, avevano la possibilità di rinnegare e poi venivano arsi, strangolati, o rimessi in libertà con una più o meno grave penitenza da scontare. A Lima il sistema procedurale era complesso e sarà di qui a poco descritto.

[151]Zona che sebbene fosse di sbarco per tutte le navi che volessero approdare in America Latina era considerata periferica e per tale motivo l’inquisizione centrale, sebbene istituita, era composta da laici e chierici non dotti, esperti e competenti. Nessuno studente o teologo, infatti, riteneva interessante trasferirsi in loco.  Vedi più diffusamente cap. 2 par. 4.

[152] I medici avevano un ruolo chiave nella tortura, essi infatti analizzavano volta per volta lo stato di salute del suppliziato, accertandosi che non avesse lesioni mortali e che fossero rispettate le norme ferree che richiedeva la tortura, come ad esempio quella di non spezzare le ossa.

[153] I notai, al pari dei medici, erano presenti nel momento del supplizio e in udienza, essi verbalizzavano le dichiarazioni del torturato. Esse, per essere valide,  dovevano essere uguali sia durante che dopo la pratica della tortura.

[154] I familiares, soprattutto, avevano amplissimi poteri, potevano trarre in arresto chiunque in base anche ad una sola testimonianza o alla presenza di poche prove, avevano amplissimi privilegi, giravano armati e facevano spesso uso dei segni distintivi dell’Inquisizione per avere benefici personali, anche se quest’ultima pratica era spesso condannata dagli stessi giudici.

[155] AAVV,  Dizionario Storico dell’Inquisizione, Pisa 2010,  p.  907;  gli indios, dal punto di vista economico, d’altronde, avevano ben poco da offrire agli ingordi funzionari inquisitori. L’origine portoghese dei perseguitati, poi, non deve sorprenderci data la lotta tra Portogallo e Spagna non tanto e non solo per i domini americani ma soprattutto al fine di indebolire i lusitani che, forti della loro recente indipendenza, erano interessati a fare affari commerciali più che a conquistare nuove terre.

[156] Baigent Leight ,L’inquisizionecit., pp. 111-113.

[157] In realtà, come è esemplificativo in questi due casi esposti, l’inquisizione peruviana non era neanche tanto interessata a fare stragi di sangue, a torturare, ad ardere. Ciò che le bastava era rendere inoffensivo il nemico e prelevare le sue ricchezze. Ciò fatto non era difficilissimo scampare la pena capitale o la galea. Paradossalmente, dunque, questa ingordigia rese il tribunale sempre meno pericoloso.

[158] Non a caso il mulattismo si diffuse non solo per le attività dei conquistadores o attraverso matrimoni tra soggetti liberi, una mano sostanziale la diedero anche i missionari europei.

[159] Questi atteggiamenti protettivi dei propri pastori perpetrati dalla Chiesa di Roma sono sempre stati tollerati e giustificati in vista di un interesse maggiore. ancora oggi incontriamo comportamenti simili nei confronti del fenomeno dei preti pedofili, i cui provvedimenti presi dai superiori sono spesso blandi ed insufficienti.

[160] La colpa implicita è una colpa che sussiste per la sola presenza della volontarietà dell’atto, mancando la volontarietà del fatto. In buona sostanza, sebbene il consumatore non facesse alcun patto diretto con il demonio, come avveniva ad esempio nella divinazione o più compiutamente nel culto pagano o ancora maggiormente nel culto demoniaco volontario, la colpa era comunque presente, sebbene meno grave,  perché l’elemento volitivo non sussisteva al momento delle visioni allucinate, quindi per i cattolici del tempo diaboliche ( sostanzialmente si entrava in contatto con le legioni infernali), ma retroagiva al momento in cui il soggetto assumeva la sostanza. In quel momento, infatti, l’arbitrio non era viziato e quindi l’azione punibile.

[161] A.A.Cassi,  Ius Commune tra vecchio e Nuovo mondo. Mari, terre oro nel diritto della conquista,   Milano 2004, pp. 356-370.

[162] Per quanto terribile la mita mineraria rappresentava pur sempre una tassazione evoluta, come quelle europee. Si tassava l’indios in relazione al lavoro svolto ed alla produzione, riducendo la schiavitù di fatto posta in essere dalla encomienda.

[163] Interessante questo trattamento umano posto in essere nei confronti degli indios. Tuttavia non bisogna ingannarsi, ciò era dovuto alla corporatura fragile dei nativi, che morivano frequentemente durante il lavoro asfissiante e quindi necessitavano di turnazioni più leggere. Ciò a differenza dei neri, che dovranno aspettare per ricevere un trattamento simile.

[164] D.R. Cornejo,  Memoriale  sugli accordi col Perù,  1570.

[165] L’utilizzo della coca a fini terapeutici, soprattutto per gli stati catatonici, resterà in uso sino agli inizi del Novecento.

[166] Il primo divieto si fa risalire sin dal 1551, quando si tenne il primo concilio ecclesiastico di Lima. I chierici erano preoccupati non solo per gli effetti psicotropi ma perché gli stessi erano usati in cerimoniali religiosi pagani, quindi demoniaci.

[167] Ivi,  p. 51.

[168] Stupisce lo zelo con cui si sanziona l’uso della coca ma la severa punizione era dovuta non solo a motivi religiosi di cui sopra ma soprattutto agli effetti deleteri collaterali che aveva la pianta. E’ vero che gli inca la utilizzavano spesso masticandone le foglie ma l’uso diffuso e massiccio che se ne faceva nelle piantagioni , anche tra lavoratori non indigeni, creava una sorta di ipernervosismo, aggressività e grandiosità che spesso sfociavano in rivolte contro gli sfruttatori. Possiamo dire che la proibizione, dunque, aveva anche lo scopo di tutelare l’ordine pubblico.

[169] La famosa guerra civile di cui si è diffusamente discusso  supra par. 1.

[170]P. Broggio , Evangelizzare il mondo, Roma  2004, p. 102; nonché, per una analisi approfondita delle modalità di esercizio dei sacramenti da parte dei Gesuiti in Nuovo Mondo è utile la consultazione di A. Prosperi, I tribunali della coscienza, Torino 1996, pp. 650-679, in cui sono trattati ampiamente i diversi “riti di passaggio”, questioni inerenti i sacramenti che i Gesuiti trattavano, costellati di spiegazione e predica,  nelle loro visite alle comunità indios.

[171] I corrigidores non erano semplici perfezionatori della morale indigena, censuravano comportamenti che definivano deviati ma erano anche un efficacissimo strumento di controllo sia dell’operato dei chierici che dei possibili germi sediziosi in seno ad usi indios.

[172]  Carducci, Nuovo Mondo cit.,  pp. 55-56

[173] Sicuramente una eresia più che una eterodossia. L’aspetto dogmatico era evoluto e coerente e poneva le proprie radici sulla millenaria tradizione Inca.

[174] Evidenti le analogie con le religioni orientali, interessante notare che la visione rettilinea del tempo è figlia solo della tradizione giudaico-cristiana.

[175] Altro esempio di azione blanda dei tribunali religiosi contro gli eretici. Certo punire esemplarmente era necessario, ma frequenti condanne a morte avrebbero acceso maggiormente gli animi dei ribelli indigeni, per questo la punizione, la pena, doveva essere severa ma non estrema.

[176] Questi otto Gesuiti furono anche i primi corrigidores e, per tale officio, si divisero un po’ i compiti.

[177] Prosperi, I tribunali della coscienza cit., pp. 646-649.

[178] Gesuita formatosi alla Scuola di Salamanca, colto esponente della Seconda Scolastica.

[179] Carducci,  Nuovo Mondo cit., pp. 42-47;  nonché Broggio ,  Evangelizzare cit., pp. 106-113.

[180] Come abbiamo visto nel primo capitolo gli esponenti della Seconda Scolastica che si occupassero della questione degli indios, sia se fossero a loro favore sia se fossero per il lo sfruttamento e la loro natura subumana e quindi giuridicamente minore, ponevano in essere una  modalità relazionale che gli analisti transazionali definirebbero rapporto adulto-bambino. Sul punto è utile la lettura dell’opera di C. Todorov , La conquista dell’America ed il problema dell’altro, Torino 1986.

[181]Broggio , Evangelizzare cit., p. 114

[182] A tal fine, come avverrà in Brasile, i missionari Gesuiti dovevano imparare la lingua locale, gli usi, il modo in cui le popolazioni apprendevano la tradizione. Per questo Acosta scrisse i suoi due volumi sugli indigeni. Per educarli e rendere salda la fede non occorrevano battesimi di massa ma far acquisire agli indigeni in maniera solida il credo cattolico.

[183] Ivi,  pp. 117-121.

[184] Ivi,  p. 118.

[185] Era un po’ il giochetto del poliziotto buono e di quello cattivo. Le conversioni si basavano su una intollerabile rete di delazioni e denunce anonime, da un soffocante clima di paura e sospetto.

[186] Le arti visive saranno molto utilizzate dalla Controriforma per la conversione degli analfabeti, anche se in America con le dovute precauzioni, superamento di un esame di idoneità da parte dell’artista, rappresentazioni senza troppi richiami classici o mitologici etc. Di ciò si è parlato nel 2.1 con riferimento al Messico.

[187] Non a caso della inquisizione portoghese in sé si sapeva ben poco. Era quella spagnola ad essere oggetto di studio e critica.

[188] Invero analisi non mancavano ma le stesse erano superficiali e senza scrupolo scientifico.

[189] Interessante a proposito la lettura di G. Marcocci, Trent’anni di storiografia sull’Inquisizione portoghese. Quesiti aperti, reticenze, prospettive di ricerca (1978-2008), Pisa 2009.

[190] M. Baigent M.  R. Leight , L’Inquisizione. Persecuzioni, ideologia e poteri, Milano2000,  p. 81

[191] R. Renzetti R., Inquisizione: Torture, bracieri, roghi morte. Parte II: L’inquisizione spagnola,  Roma 2013, pp. 7-12

[192] I musulmani secondo la loro visione comunitaria, hanno sempre tollerato i cristiani come gli ebrei, riconoscendo le due grandi religioni monoteiste e consentendo addirittura il culto, purché all’interno di una sorta di ghetti. Non riconoscevano invece i credi pagani. Nella penisola iberica, addirittura, questo clima di tolleranza era ben più marcato e segnò un vero e proprio sviluppo per la Spagna medioevale.

[193] Cambiamento avvertito dagli stessi musulmani spagnoli. La pressione che facevano gli islamici ad oriente avrebbe rischiato se non di compromettere di soggiogare la cultura cristiana europea.

[194] F. Cardini M. Montesano,  La lunga storia della inquisizione. Luci ed ombre della leggenda nera, Roma 2005, p. 113.

[195] Anche questo aspetto dobbiamo considerarlo dal punto di vista dell’ordine pubblico. La conversione forzata ed il seguente culto nascosto della religione originaria costituiva una minaccia perché celava in sé la possibilità che, non abbracciando in scienza e coscienza il credo, musulmani o ebrei convertiti potessero essere focolaio di rivolte. Un po’ come avveniva con i millenaristi indios.

[196] Matrimonio che, di fatto, riunificò le corone dei maggiori casati iberici: gli aragonesi ed i Castigliani.

[197] Baigent  Leigh, L’Inquisizione cit.,  p. 82.

[198] Ivi, p. 86.

[199] Successivamente i viaggi inquisitori scomparvero. La pigrizia e l’avidità degli inquisitori facevano sì che demandassero ad altri, delatori e soprattutto familiares l’attività investigativa, restando loro comodamente in sede e limitandosi a presiedere la fase processuale.

[200] E si capisce, dunque, come le accuse fossero fantasiose e coinvolgessero spesso persone ignare ed innocenti.

[201] Spesso, come avveniva nei tribunali criminali civili, gli accusati potevano passare l’intera vita in carcere in attesa di giudizio, soprattutto, paradossalmente, se la colpa non suscitava il vivo interesse dottrinale o era di minore rilievo o altresì se la classe sociale dell’accusato era meno abbiente.

[202] per questo, in Spagna, si utilizzarono diversi supplizi che aggiravano il divieto: la toca, o supplizio dell’acqua, che introduceva notevole quantità d’acqua nella gola del suppliziato, il potro, la ruota alla quale veniva legato il condannato, la garruca, che consisteva nel legare i polsi del condannato e sollevarlo lentamente da terra. Per una lettura approfondita dei supplizi si può confrontare Cardini  Montesani , La lunga storia cit., pp. 58-66.

[203] Ciò comunque in assonanza al principio di pietà della Chiesa Cattolica per chi si pente, anche se in punto di morte. Veniva, infatti, posto dinanzi al condannato, prima dell’accensione del rogo, un crocifisso che, se il condannato baciava, gli consentiva la scappatoia dello strangolamento.

[204] A differenza della Spagna, ove operava, nel medioevo, l’inquisizione pontificia.

[205] Più del 3%; R. Camilleri, Storia dell’Inquisizione, Roma 1997, p. 47.

[206] Ribellione dovuta al periodo di crisi economica che si trovava a fronteggiare il Portogallo.

[207] Anche la Francia era intenzionata a ritagliarsi il proprio posto al sole in Nuovo Mondo, a creare colonie in quella che era definita la terra dell’oro.

[208] AAVV,  Dizionario Storico della Inquisizione,  Pisa 2010,  p. 220

[209] In realtà la sua accusa di blasfemia, come tutte le accuse del genere, era una forma di accusa più blanda del crimen di eterodossia. Non era in sé la singola frase oscena, contro Cristo o i Santi, ad essere punita, ma il germoglio di una credenza deviata che iniziava a sorgere attraverso pensieri che non erano conformi al credo. Azzardando potremmo definire la blasfemia una tentata eterodossia, nel senso che è il punto da cui può nascere, se non estirpato in tempo il pensiero, un credo eterodosso o addirittura eretico.

[210] Il motivo è alquanto semplice. Il Portogallo non aveva mai avuto una esperienza con l’inquisizione, la stessa si formò in madrepatria come extrema ratio ed era soggetta, come analizzato supra par. 1, ad un compromesso delicato tra papato e corona. Per questo non si insedierà nelle colonie, né americane né  africane o asiatiche, ma eserciterà il controllo sulle stesse dal Portogallo, dalle sedi centrali.

[211] Parte dell’Antartico era colonia francese. L’accusa a Jean de Bodes di proposizioni eretiche, nel caso di specie filoprotestanti, era, come evidente, una punizione al suo essere francese più che all’eresia in sé che, non ci stancheremo mai di dirlo, era una scusa per controllare l’ordine pubblico o il pericolo di dominio da parte di potenze estere.

[212] Quindi la sommaria istruzione, in assenza di inquisizione locale, è condotta dagli ordini monastici e la decisione finale circa il rinvio o meno all’inquisitore in madrepatria spetta al vescovo del luogo.

[213] Se la cavò, quindi, con poco, una semplice penitenza.

[214] Il perché l’abbiamo appena detto nel par. 1. In Portogallo, infatti, il problema dei criptoebrei  o degli ebrei ortodossi non era mai stato un vero problema. Nel medioevo erano tollerati, nella prima età moderna idem, tanto che il fenomeno del criptoebraismo non sussisteva proprio, potevano i giudei praticare liberamente il loro culto, come in Italia. Le persecuzioni iniziarono solo più tardi, a seguito delle pressioni della corona spagnola.

[215] AAVV; Dizionario cit.,  p. 220

[216] Anche se tale affermazione va presa con le pinze. Soprattutto in vista del fatto che le punizioni e le condanne che vedevano coinvolti i locali non erano particolarmente severe, gli stessi non erano ancora convertiti o erano freschi di conversione e per questo, anche la fattispecie giuridica per la quale potevano essere processati e condannati non era chiara. Sussisteva poi un altro problema, il conflitto di giurisdizione tra tribunali civili criminali ed inquisizione.

[217] Vedi molto diffusamente supra, capitolo II e III.

[218] A lui inteso nel senso di alla corona, cioè il vescovo aveva la delega imperiale per trattare i casi e risolverli in loco senza effettuare il rinvio all’inquisizione in madrepatria. Questo gap giurisdizionale era figlio della perenne lotta tra corona ed inquisizione, ricordiamo che a capo della portoghese c’è il papa in maniera maggiore del sovrano.

[219] Anche la questione dei Gesuiti è peculiare, nati dalla Controriforma avevano un potere ben ampio e a volte quasi indipendente dal papato, e poi erano mal visti dai coloni in America per un fatto molto semplice: il loro progetto missionario e le loro comunità indios stavano funzionando, ottenendo conversioni sentite e sincere tra gli indigeni e, se questo era lo scopo della Chiesa Cattolica, non si può dire che fosse anche quello dei coloni, meglio per loro un popolo asservito e bestiale che uno cattolico.

[220] Sempre per verbalizzazioni istruttorie e non processuali.

[221] Questi funzionari furono inviati per due motivi: in primo luogo per esercitare un controllo circa la fase istruttoria, ossia se la stessa era compiuta in maniera efficiente e completa, non tralasciando crimines per negligenza o corruzione dei vescovi, poi perché l’inquisizione voleva tenere d’occhio l’opera dei Gesuiti, per i motivi largamente esposti supra.

[222] Dubbi sussistono circa la veridicità degli ampi poteri delegati al funzionario. Lo stesso, tra l’altro, come vedremo tra breve, non aveva certo la tempra morale per svolgere il compito che diceva assegnatogli dalla inquisizione, era anzi molto più corrotto e corruttibile dei locali.

[223] Ricordiamo che i familiares e gli altri funzionari erano laici e non chierici.

[224] questione già trattata con riguardo al Perù e al Messico, vedi a tal proposito supra, in particolare 2.3. La limpeza de sangre assicurava al soggetto di non essere accusato di criptoebraismo, per i motivi da qui a breve esposti.

[225] Confronta Aldair Campos Rodriguez,  Potere ecclesiastico e inquisizione nel secolo XVIII luso-brasiliano: agenti, carriere e meccanismi di promozione sociale,  San Paolo 2013; è una delle più approfondite trattazioni circa i funzionari della inquisizione brasiliana e circa i loro abusi di potere.

[226] Aspetto che conferma il compito di “controllori dei giudici istruttori brasiliani” da parte dei funzionari civili.

[227] La limitazione numerica era volta anche ad evitare la corruzione dilagante anche tra i funzionari. Maggiore è il potere, d’altronde, maggiore è il pericolo della corruzione.

[228] Non sorprende che fossero quasi del tutto assenti i domenicani. Non sorprende perché la mancanza dell’ordo predicatorum in Brasile, ordine monastico maggiormente formato a livello dogmatico-teologico, ha fatto sì che non si sviluppasse, come in Messico ed in parte anche in Perù, una dottrina composita dei crimines. Era infatti quasi del tutto assente la disputa che ha animato le principali scuole  teologiche europee e la stessa inquisizione americana, i cui giudici si erano quasi sempre formati in quelle scuole, circa la natura giuridica degli indios o il concetto di eresia, eterodossia, patto esplicito o implicito. L’influsso della Seconda Scolastica, insomma, era davvero una semplice eco lontana. I Gesuiti, per quanto colti, non hanno animato a pieno la discussione ma ne hanno realizzato la sua applicazione pragmatica, attraverso la messa in atto delle famose comunità indios, la stesura di catechismi per gli autoctoni ed i neri, etc.

[229] Per i motivi già esposti. Era necessario che ci fossero alleati “bianchi”, per quanto non cattolici, per tenere a bada i lavoratori indios e neri.

[230] Dato abbastanza curioso. Sui fittavoli, nulla quaestio, erano una classe ricca, commercianti idem, gli agricoltori probabilmente furono in gran numero perché non europei, indigeni addetti alle piantagioni, quindi facili a cadere nelle mira dell’inquisizione in Brasile. Gli artigiani, per la maggioranza sempre indios, la scamparono, non esseno interessanti né a livello di controllo sociale né per ricchezza. Gli ecclesiastici, poi, sebbene abbienti, figurano all’ultimo posto per ovvi motivi, erano l’elitè dirigenziale. Come sempre, dunque, anche questi dati mostrano come l’inquisizione americana fosse strumento di garanzia dell’ordine pubblico e di arricchimento per gli inquisitori e gli altri funzionari.

[231] Vedi supra par.2.

[232] Motivo della maggiore presenza di millenaristi in Brasile è molto probabilmente l’iniziale aura di tolleranza che coinvolgeva i territori portoghesi in Nuovo Mondo.

[233] Qui non si tratta solo di sincretismo cattolico blando, di manifestazioni religiose minori riadattate o di divinità trasformate in Santi, Cristi e Madonne ma di veri e propri culti ancestrali che i governanti, nella impossibilità di adattamenti o estirpazioni, lasciarono pressoché invariati, pur rinchiudendoli nell’alveo del culto cattolico.

[234] Si parla ovviamente di America Latina, da notare che nel Nord America non si parla mi di eresia né di eterodossia, sebbene il luteranesimo possa apparire più tollerante, come effettivamente è per le religioni europee (non dimentichiamo che molti puritani, ugonotti, mormoni, luterani di altro tipo, ebrei, scapparono nel territorio ove attualmente sorgono gli USA ed il Canada proprio per sfuggire alle persecuzioni cui erano soggetti nei loro Paesi) risulta essere stato ben più spietato con gli autoctoni, che ad oggi risultano confinati in delle riserve. Nei territori cattolici, invece, ciò non è avvenuto, prova ne è la massiccia presenza di mulatti. L’inquisizione e il sincretismo tipicamente cattolico e figlio di una, se vogliamo, ben celata, capillare, impercettibile, ma pur sempre presente politica di tolleranza implicita nel credo stesso, ha fatto sì che si preservassero molti più autoctoni in Sud America che nelle altre parti del continente. Per un confronto statistico si invita la consultazione della tabella 1.1.

[235] Nominata in lingua spagnola semplicemente “Santitade“.

[236] AAVV,  Dizionario cit.,  pp. 1368-1370

[237] Su questo l’inquisizione e la maggior parte degli scolastici sono concordi. La manifestazione demoniaca consisteva spesso, come abbiamo già accennato per il Messico, con riguardo alla antropofagia ed altri riti, nella perfetta imitazione del rito pagano rispetto al cattolico. Imitazione di sicura provenienza demoniaca non solo perché i riti erano asserviti a divinità differenti dalla cristiana ma soprattutto perché erano presenti prima dell’arrivo degli europei e, non potendo gli indigeni conoscere il cattolicesimo, sicuramente tale imitazione era di origine infernale. Certo tale interpretazione era antropologicamente discutibile ma, nonostante l’antropologia come scienza vedrà i suoi primi studi solo nell’Ottocento, interessante è notare voci dissenzienti già all’epoca, in particolare confronta  Bartolomeo de Las Casas, Brevissima relatione dalle Indie; Josè Acosta, De Procuranda indiorum salute; e, dello stesso Acosta, Historia Natural de las Indias; nonché il  cap. 1 par. 3.

[238] Defunti, eroi del passato e divinità erano, ovviamente, per gli inquisitori demoni.

[239] Di sicuro non era cannabis, la stessa era praticamente sconosciuta agli indios e fu portata in Nuovo Mondo solo il secolo successivo dagli europei. Il fatto poi che non sia uno psicotropo come il peyote o la coca è dimostrato che l’utilizzo di tale “erba” non era sanzionato in sé non costituendo patto implicito col demonio, nei termini indicati nel cap. 3. par. 2.

[240] Rito simile al celta, ciò non deve stupire, la zucca è il frutto dei morti un po’ in tutte le religioni pagane che hanno una concezione circolare del tempo: la zucchera svuotata è il simbolo della risurrezione dai morti, essa ha all’interno tanti semini che rappresentano appunto i morti degli inferi (inferi intesi come al di là, terribile ma irrimediabile seppure temporaneo, non come inferno della visione giudaico cristiana contrapposto al paradiso) che dopo un periodo di tempo risorgono a nuova vita.

[241] Ecco il tipico esempio di imitazione perversa del credo cattolico. Terra senza male, paradiso terrestre, Gerusalemme eterna o campi elisi. Ciò ci induce a riflettere sul perché la Santitade sia una eresia e non una eterodossia. La base dogmatica, infatti, come stiamo vedendo, è ben solida, coerente e sistematizzata correttamente.

[242] Incredibile altra imitazione del credo, tanto più perfetta perché imitazione del Vecchio Testamento, del famoso “Dio degli eserciti”.

[243] Si noti in tal caso lo sforzo con cui gli indios apprendevano, almeno nei primi tempi, il dogma cattolico: una grande madre di Dio vergine ed incarnata per consentire l’incarnazione della divinità, seguendo la logica indigena, non poteva che essere essa stessa divina e quindi, essendo sposa di Cristo, moglie del presunto incarnato, ossia tale Antonio. Una logica molto più semplice ed all’apparenza, coerente rispetto alla cattolica che segue la logica fin dove inizia la fede e con la fede pone in essere una nuova unica logica che lascia intuire, percepire, ascoltare il sussurro del Vero ma mai comprenderlo a pieno. Gli indios, così come gli antichi greci o gli altri pagani, rispondevano ben male a tale logica, applicando al divino le categorie primarie terrene ed umane.

[244] Eretico e non eterodosso.

[245] Ulteriore dimostrazione di come le preoccupazioni dell’inquisizione fossero l’ordine pubblico e l’arricchimento. Le punizioni agli eretici furono tanto maggiori quanto maggiore era il carattere sedizioso della setta.

[246] Il motivo di tale, diciamo così, “indebolimento mentale” è superfluo ricordarlo. I metodi dell’inquisizione non erano certo, ci sia consentito l’ossimoro, ortodossi, e Cabral de Taide era sicuramente provato dalla carcerazione dura, non dalle torture, almeno nella maniera ufficiale della verbalizzazione notarile, in quanto non risultano, ma sicuramente dalla minaccia di torture.

[247] Da non confondere con gli omonimi miliziani musulmani, i mamelucchi sono il nome con cui si designava un particolar tipo di meticci in Brasile, i figli di bianchi ed indios. Strictu iure, invece, mulatti erano i figli di bianchi e neri, cafuzo di neri ed indios e negri bianchi una particolare categoria, quella di bianchi a tutti gli effetti che però mostrassero tratti somatici tipici degli africani.

[248] Peculiare sincretia non catto-indigena ma afro-indigena.

[249] Sebbene tale rito suscitasse lo sdegno di scolastici ed inquisizione era considerato un crimen contro natura al pari però della sodomia. Rientra talora anche all’interno dei riti di “imitazione demoniaca perversa”, divorare uomini offerti in olocausto era la deriva perversa del consumare il corpo ed il sangue di Cristo nella eucarestia.

[250] Su tutti interessantissima la lettura di C. Todorov , La conquista dell’America. Il problema dell’altro, Torino 1986.

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