Pompeian Lady, John William Godward, 1916
“La luce entra tiepida”
Ai bordi di quel fiore
dalla vetrina guardo
in basso
non ci sei più,
qui di fianco a me
il tuo corpo respira piano
e le foglie ingiallite
e la lettera dischiusa
e lei di cui mi hai detto
ed io che mai l’ho letta;
ed è buio più di prima
dopo questi anni,
vedevo te
rifratta e lontana
nube presente
massimamente tu
che non c’eri,
l’alterigia noncurante nostra
illuminava la materia
nella nostra ultima uscita di scena.
Quindi ti ricordi
e c’eri e un senso
l’aveva
l’umidità rosea delle gote
alla deriva
sulla spiaggia
tra i gorgheggi nostri d’assoluto
ottobrini,
due mani intrecciate
ed ora il freddo
della pioggia,
solo il vento in su la soglia,
il sogno che sfumò
un tempo
ora è in frantumi
e non ci sei.
Dov’è il candore
delle sere estive,
dove l’immenso,
la stagione scolorita,
dove la voglia,
la rimostranza,
l’intima lotta,
l’ultima,
e la bellezza
dell’amore
nell’amore
e per amore.
Soffia furente
l’anima spenta
e il desiderio
è un incontro mascherato.
È già finita
mentre cercavo te.
Quei giorni a quell’incrocio
volavamo come anime pure
come sofferenti
anime ribelli,
quel giorno ti ricordi
il nostro accordo,
ora o mai più,
uniti io e te,
tu mi cercavi.
Quel giorno lo ricordi
o è solo spento qui,
di fianco a me
nel tuo volto smorto,
l’incoscienza porto
e la riprova odorosa.
La nostra dualità
via di qui.
Ti sei incendiata come
si fa
quando
le anime volano
in silenzio
e non chiedono
più
verità.
“Un lamento lieve si percepisce attorno ai due. Poi è silenzio.”