Santidade, il composito movimento eretico che fece tremare governatori ed inquisitori. Una ricerca di Dio naturale

La repressione dell’eresie e dei reati similari attribuita agli indios, sebbene formalmente di competenza dei tribunali criminali civili e sotto la direzione vescovile, non suscitò l’ indifferenza dell’Inquisizione che, di fatto, se ne occupava diffusamente, soprattutto per quanto concerne quelle rivolte o ribellioni a carattere millenarista che minacciavano seriamente la colonia portoghese perché presenti molto più che in Messico o in Perù. Il motivo di tale diffusione è, a nostro avviso, riscontrabile soprattutto a causa del fatto che i territori lusitani delle Americhe restarono per lungo tempo sguarniti di tutela legale-teologica, le repressioni iniziarono tardi e ci si trovò a dover affrontare nemici molto più organizzati e pericolosi, molto più legati al territorio ed a capo di singoli villaggi con capi politico-religiosi che godevano di molto rispetto tra gli indigeni.

Il fenomeno si diffuse già con l’inizio del Sedicesimo secolo e vi fu posto rimedio definitivo nel 1590 circa, anche se non fu mai del tutto eliminato e molti rituali, più che altrove, sono sopravvissuti sino ad i nostri giorni, esempio eclatante ne è il Carnevale di Rio e di altre città brasiliane, miscela di riti cattolici e ancestrali e che conserva diversi aspetti di quella che fu la massima setta eretica americana, la cosiddetta “Santità indigena”.

Le notizie a riguardo sono molto dettagliate, ciò soprattutto per gli incartamenti degli inquisitori che ne descrivono diligentemente rituali, forme e devianze. Dei processi principali ci occuperemo di qui a breve, per ora merita a nostro avviso di essere descritto in cosa consisteva questa setta, come si articolava e quali erano le sue credenze ed i suoi dogmi. Per far ciò è utile partire dal contributo di Vainfas alla sua definizione.

Il nome Santidade (Santità) fu dato dagli stessi gesuiti, ma usato non in senso positivo, tutt’altro, a determinarne la sua perversità e imitazione del rito cattolico e la sua intensa valenza mistica che aveva per i locali. La lingua del posto (lingua topi) definiva la cerimonia caraimonhaga o acaraimonhang, che tradotto significa “fare santità”. Si iniziava con l’ingresso nel villaggio di uno stregone,  il grande stregone (pajé acù), dotato della capacità di fare da tramite tra umano e divino e di entrare in contatto con gli spiriti dei defunti, degli eroi del passato ed addirittura delle divinità. Il Pajè, accolto con una cerimonia solenne, era portato in una sorta di tempietto indigeno, il maracà, ed iniziava una preghiera intensa assieme ai fedeli con la quale, anche tramite l’uso dell’erba magica, che tuttavia probabilmente era solo tabacco, iniziava le sue orazioni, fatte al cospetto di una zucca con bocca ed occhi, una di quelle che si usano tuttora ad Halloween, di provenienza celtica,altro popolo che, tra l’altro, aveva un simbolismo molto simile, soprattutto per l’adorazione dei defunti. Tale zucca era però piumata, tipico degli indios, si ricordi il serpente piumato Maya, e tutta adornata. Curioso era inoltre il contenuto della preghiera, si narrava di un Diluvio purificatorio primordiale, del tutto simile a quello descritto nella Bibbia alla Genesi, per proseguire poi nella speranza che tutti facciano ritorno alla Terra sem Mal, la terra senza male, dove non si coltivano campi, non si procaccia la selvaggina, ma tutto è offerto a chi vi accede. Tale posto sembra un po’ il paradiso terrestre cattolico, o anche la Gerusalemme Celeste ebraico-cristiana. Ancor più singolare è il fatto che lo stregone invocasse il pai grande, il Grande Padre, dizione del tutto simile al Padre Santo cattolico. Non deve stupirci, quindi, che con il passare degli anni la cerimonia assunse una sorta di valenza sincretica, soprattutto grazie a nuovi adepti o capi che altri non erano se non gesuiti fuggiti dalle missioni e che abbandonata in parte la fede, trasformarono il grande padre nel padre nostro, il fumo del tabacco con l’incenso, le invocazioni con le litanie del rosario e via discorrendo. Tuttavia la cosa più pericolosa e che maggiormente destava la preoccupazione delle autorità, era costituito dal carattere sedizioso della setta. Durante le cerimonie, infatti, si invocava il grande padre anche, se non soprattutto, per eliminare i nemici o farli soccombere, a che le loro lance si spezzassero e morissero irrimediabilmente, o che fuggissero. Ovviamente i nemici dell’epoca altri non erano che i portoghesi.

La Santità più importante documentata in Brasile si ebbe nel secondo Cinquecento a Jaguaripe, presso Bahia. Questa fu quella maggiormente soggetta al sincretismo tra riti cattolici e aborigeni, a capo vi era un indios battezzato, tale Antonio che si autoproclamò vero ed unico papa, emissario di Dio in terra e la sua donna fu consacrata da egli stesso come Maria Madre di Dio. Il neopapa indios poteva comunicare e scomunicare, proclamare santi e nominare i vescovi. Cabral de Tade cercò di dissuadere Antonio e i suoi (circa trecento indios) ma con scarsi risultati, l’unico beneficio che aveva ottenuto era che i membri della setta cessassero il loro esodo e si insediassero nelle terre di Cabral de Tade. Tale movimento certo non si attirò le simpatie né dei padroni delle piantagioni, i quali necessitavano di sempre più schiavi, né chiaramente dei membri della Compagnia di Gesù che constatavano e si lamentavano dell’evidente carattere eretico della Santità di Antonio. Quindi, come ovvia conseguenza, nel 1585 il governatore Manuel Teles Barreto organizzò una definitiva spedizione per mettere fine alla setta, entrato in città distrusse la chiesa degli indios e tutti gli idoli senza che alcuno opponesse resistenza. Ciononostante, per lungo tempo, la parola Santità continuò ad indicare qualunque setta o eresia millenarista che minacciasse, anche se ovviamente in maniera più blanda e meno diffusa, l’ordine pubblico della colonia portoghese.

Nel 1591 vi fu la visita inquisitoriale e si processarono tre adepti. La causa di cui ci sono pervenute più notizie data la vastità degli incartamenti è quella intentata nei confronti di Cabral de Taide che, come appena detto, prima cercò di sedare la rivolta millenarista ma poi la ospitò e ridusse nei suoi territori. Sin dall’inizio il proprietario terriero si mostrò collaborativo ma omise diversi aspetti dell’eresia e diversi fatti rilevanti, mantenendosi grossomodo in una posizione di arroganza nei confronti degli inquisitori. A mano a mano il suo atteggiamento mutò e divenne molto collaborativo, ammettendo anche le proprie colpe pubblicamente. Fu condannato alle spese processuali ed all’esilio per tre anni dal Brasile, non fu applicata una pena più severa visto che aveva collaborato, che era di famiglia nobile e che sussistevano altre attenuanti generiche. A Lisbona Cabral tentò di impugnare la sentenza ma la sua istanza fu prontamente rigettata dalla Inquisizione Centrale.

Un’ altra visita si ebbe nel il venti marzo 1593 da parte del visitatore Furtado de Mendoca. Egli si occupò di un’altra setta molto fiorente in Brasile, quella dei mamelucchi. Eresia strana e bizzarra, la stessa era costituita da i figli di europei e donne indios che condividevano molte credenze ed usi del popolo tubi. Erano ricoperti da imponenti tatuaggi, avevano naso ed orecchie perforati da ingombranti anelli o orecchini ed erano adusi a praticare l’antropofagia, il massimo crimine che ai nostri occhi può imputarsi agli indios ed ai mamelucchi, ma senz’altro il non più grave per l’inquisizione dell’epoca[249].

Queste eresie, sebbene cessarono in Nuovo Mondo, giunsero agli orecchi degli europei e costituirono un importante campo di analisi filosofica  (e dall’ottocento ad oggi antropologica o etnologica[250]) sui riti indios. Tra gli autori sono senz’altro da ricordare Giovanni Botero e Du Jarric. Entrambi descrivono balli, riti, usanze, costumi, pratiche religiose, orazioni degli indigeni dell’America lusitana.

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