Dialogo con l’Amazzone sulla Soglia del Tempo

Dante Gabriel Rossetti; La Dama del Graal; 1874

 

L’eco lontano

rimbomba tra le stalagmiti,

 

odore di fumo e tamerici.

 

Nostra dama sull’orchestra,

oscura e trepidante funesta.

 

La gabbia dei sinceri addii

tristi rotano lì intorno,

 

la fiamma dei cabalistici ulivi.

 

Follia e Dionisio

vivi nelle vene e nella scure,

 

amore bazzicante.

 

Sento la forza arcana,

la potenza ancestrale,

la violetta scismatica ragazza.

 

E poi l’incanto dei pensieri

scuri dal sapore lieve.

 

Amore,

dici a tua volta,

il maestrale nostrano

non è la furia scandinava

dei tuoi servili temporali,

succubi domani deleteri.

 

Sei stupenda

scandita dalle percussioni,

sbellicata dagli archi

e dai mesti sultani

che si inchinano

e che fremono al tuo giacere

 

l’estasi del dire!

 

Io sono qua,

l’alba dell’età,

l’anima del sagrato,

l’ombra del segreto.

 

E non ho le seducenti mani

a tempo sul ripiano,

sgomito dall’altopiano,

banalizzo i sentori

dell’incauto oltraggio.

 

Sei di sbieco senza fiato,

sei svilita e xilofonata,

spiega e metti in piega

il discorso che s’innalza,

subisci pure gli odori.

 

Sento un po’ la pioggia

e non ho quel gomito carnale,

quell’archibugio astrale,

quel rimpianto sconfitto,

quel petto trafitto.

 

Resisti a quel sopruso,

mangi pane e burro,

scruti la soffitta

e non è eclissi il sole nero,

 

l’atomo del vero.

 

Ti ricordi ancora,

ho lacrime d’assenzio,

germoglia lo smeraldo,

travalico i monti,

ti guardo negli occhi,

la mia testa sul tuo pallido petto,

rosa ebenacea sul mento

e cuore in fermento.

 

Oh godo alla vista della luna!

 

oh godi del significato incarnato

e in apparenza manifesto!

 

trasfigurata effige catara,

provenzale sonata,

tubinghese teologia,

atavica pazzia,

orda indoeuropea stanziale,

cornuto vitello d’oro,

taurino messaggio,

belante miraggio,

 

allucinato istante bendato.

 

In erba lo spirito ribelle,

furore eroico e giovanile ardore,

luminescente oscurantismo

penombrato,

gotico rifugio,

magico sguardo

diretto verso patrie

senza confini,

verso la pace universale.

 

Tu non obnubili il ricordo,

vivi pensando al futuro

come ritorno,

eterno,

 

che caruccia la tua veste,

picconata la maldestra sorte,

allestita la cattedra

del libero dissenso.

 

Dolce ragazza

piena di vita

coi tuoi occhi di morte

risorgi dalle fiamme

a mo’ di fenice,

di ciclico liquore,

di acciglio senza dolore.

 

E trovo te tra le foglie,

mista all’incenso,

al vitale fermento,

al sesquipedale discorso,

all’inutile raffronto,

al subliminale rivolo residuo.

 

Dall’Africa all’Asia,

dal Caucaso alla Grecia

e alla Germania,

dal gracile al possente,

dal cainico  Pluto

all’abelico Eros.

E senti che sono qui

 

vivido nel paese del bel sì,

in astio ed adiuvato

dall’anelito delle belve

in rissa

e dei rami spogli

ma verdognoli

con lo scettro in mano.

 

Speranza non avrà

chi non ama e piangerà.

 

Sono sempre qui,

volo a tratti sugli anfratti,

sui viali e sui terrazzi,

sulle brume e sui ruscelli,

sui ghiacciai

come sai riflessi

 

i birrai e gli animi suadenti.

 

Io vivrò, ancora.

 

Senti che ho voce ruvida,

senti che ho cadenza angelica.

 

“Valida sarò,

non perderò l’albume

della materia

ossia l’essenza universale

e micidiale

sarà il mio gesto d’amor

davvero si inchineranno

pantere

e poggeranno falchi

sulle spalle,

 

aquile sguazzeranno sul mio capo.

 

Questo vino è sacro

come il bosco celtico,

limitato e inaccessibile,

invisibile,

 

in noi.

 

Guido di sfuggita

ma atterro il grido

e do forza agli afflitti,

sano le ferite,

mastico i prepotenti

e rigurgito la loro violenza,

la eclisso e la punisco

con il rigore anarchico.

 

Ci sarà salvezza su quella panchina,

non temere.

Io non ho paura,

 

schiaccio gli invasori

impostati a mo’ di beffa

e li tramuto in squallidi

diademi a tre teste,

 

idre da quattro soldi

che moriranno d’inerzia,

deponete le spade

e i giavellotti,

non c’è bisogno,

morranno di illusioni,

 

sì proprio loro e non noi.

 

Tu chino con le mani agli occhi,

è ora di sorridere,

è giunta la riscossa,

 

l’eterna felicità.”

 

Io sotto i lampioni

passeggio trasmutando la luce,

trasmigrando i nostri sogni,

concretizzando l’etereo,

 

“non aver paura della verità,

della virtù e della conoscenza,

sono qui con te,

 

cacciatrice e viaggiatrice.”

 

Lo sai torneremo

nella nostra fortezza,

il mondo ai nostri piedi,

i deboli al trono,

gli umili all’altare.

 

Vivremo per sempre.

Lascia un commento