I VACCINI ANTICOVID. Chiacchierata informale con la dottoressa Domenica Rea, ricercatrice presso l’ Istituto nazionale Tumori IRCCS Fondazione Pascale

  1.  Buongiorno dottoressa, questa crisi pandemica sembra proprio non voler allentare la presa.

Per fortuna da quest’anno è iniziata la campagna vaccinale ma ancora tanti sono i problemi e le discussioni in merito all’efficacia delle cure. Ci troviamo in un vero e proprio marasma di opinioni.

Vuole spiegarci un po’, in modo semplice,  il meccanismo d’azione dei cinque vaccini che vanno per la maggiore, Pfizer, Moderna, Astrazeneca, Jonson&Jonson e Sputnik?

Buon giorno! È vero questa pandemia non vuole proprio allentare la presa; siamo sempre più confusi e disorientati. Ma i vaccini sono un’arma valida per arginare e tenere sotto controllo la diffusione della malattia.  In Italia oggi i vaccini anti-Covid a disposizione sono quattro:

  1. Il Comirnaty, vaccino Pfizer mRNABNT162b2,
  2. il Covid-19 Vaccine Moderna,
  3. il Vaxzevria prodotto da AstraZeneca e Università di Oxford,
  4. l’Ad26.cov2.s prodotto da Johnson&Johnson,

Si tratta di vaccini con differenti caratteristiche e meccanismi d’azione, che tuttavia condividono un rigoroso percorso di sperimentazione.

Il vaccino Pfizer-BioNTech e il vaccino Moderna utilizzano il mRNA, cioè un parte del codice genetico che porta il messaggio codificante la proteina Spike, per “educare” il nostro sistema immunitario a riconoscerla  e neutralizzarla. Questi due vaccini veicolano l’mRNA della proteina Spike all’interno di nanoparticelle lipidiche. Le due soluzioni vaccinali funzionano di fatto allo stesso modo. I vaccini contengono le informazioni genetiche che vengono trasferite all’interno delle cellule umane, in una forma impossibilitata a replicarsi, ma che stimola l’espressione della proteina S (spike).  Questa proteina – che coincide con quella attraverso cui il virus si aggancia alle cellule bersaglio – una volta in circolo stimola una risposta immunitaria, portando il corpo a generare anticorpi neutralizzanti, proprio come se fossimo stati attaccati dal vero virus. Entrambi, però, richiedono una doppia iniezione, a qualche settimana di distanza: 21 giorni per Pfizer e 28 per Moderna.

I vaccini Astra Zeneca, Johnson&Johnson, e Sputnik utilizzano, invece, la  tecnologia dei vettori virali. Ovvero il  un vaccino è costituito da un vettore virale incapace di replicarsi, nel quale è stato inserito il materiale genetico della proteina Spike; non il messaggio come negli altri 2 vaccini. Quindi un virus inattivo viene usato come trasportatore del materiale genetico della proteina spike per portare tale materiale nelle cellule umane. Una volta somministrato, l’adenovirus penetra nel nucleo delle cellule dove fornisce il codice genetico per produrre la proteina Spike, dando inizio così ad una serie di processi che innescano ed attivano alla fine la risposta immunitaria e la produzione di anticorpi specifici contro il virus.

Il vaccino COVID-19 AstraZeneca utilizza un adenovirus di scimpanzé e sono previste due iniezioni a distanza di almeno dieci settimane l’una dall’altra. Quello Johnson&Johnson un adenovirus umano (Ad26), ma è prevista una sola somministrazione.

Il vaccino Sputnik, a differenza degli altri 2 a vettore virale, sfrutta due vettori differenti. Nella prima iniezione viene utilizzato il virus Ad26 (lo stesso di Jonson&Jonson) per la prima dose e Ad25 per la seconda, a 21 giorni dalla prima. Una scelta, quella di utilizzare due vettori differenti, utile a ridurre il rischio di riduzione di efficacia della vaccinazione. Il vaccino Sputnik V, dunque, è in realtà la combinazione di due vaccini, ma sappiamo ben poco in merito.

La differenza, spiegata in termini semplici: il messaggio mRNA della proteina Spike contenuto nei vaccini Pfizer e Moderna permette di saltare alcuni passaggi che portano all’attivazione della risposta immunitaria e tale materiale non entra nel nucleo delle cellule, differentemente dal materiale genetico presente nel vaccini a vettore virale attenuato che viene veicolato nel nucleo delle cellule. Quest’ultimo da origine ad una prima risposta che  esce dal nucleo e segue poi gli stessi passaggi degli altri 2 vaccini fino all’attivazione della risposta immunitaria.

  • E la terapia al plasma? Come agisce contro il Sars-Cov2 ed efficace per tutti?

La Terapia con plasma iperimmune è semplice: nel sangue delle persone guarite sono presenti anticorpi utili a combattere il virus. Questi vengono prelevati (sotto forma di plasma) e iniettati in un malato e potrebbero aiutare quest’ultimo a guarire dal Covid-19. L’utilizzo del plasma a scopo terapeutico non è affatto una novità; e per Covid-19 sono in fase di sperimentazione diversi studi e i risultati, seppur ancora preliminari, sembrano fare ben sperare. Non è però tutt’oro quello che luccica: solo circa il 30% dei potenziali donatori risulta idoneo (impossibile quando si ha una scarsa quantità di anticorpi e malattie concomitanti o anche storie di trasfusioni).

  • Si sono avuti alcuni risultati quasi immediati, su alcuni soggetti, con gli anticorpi monoclonali. Quando è possibile il laro utilizzo e su che tipo di pazienti?

Proprio per i limiti nella donazione di plasma iper-immune, una possibile soluzione al problema è  proprio utilizzo degli anticorpi monoclonali. Il principio è lo stesso, però, in questo caso si andrebbero ad iniettare solo gli anticorpi, senza plasma necessari e in quantità elevate. Niente problemi di approvvigionamento perché questi anticorpi possono essere prodotti in laboratorio. Nel  plasma delle persone guarite si identificano le tipologie di anticorpi monoclonali umani in grado di neutralizzare il virus e si producono in laboratorio queste ultime, in gran numero.

Una volta ottenuti -e dimostrata l’efficacia- questi anticorpi potranno essere somministrati a tutte le persone che sono risultate positive al test in modo da fermare l’infezione in corso. Sicuramente potranno essere usati come profilassi alle persone in prima linea che sono ad alto rischio di infezione, ma da ripetere ciclicamente in quanto non vi è alcun coinvolgimento della memoria del sistema immunitario. Detta alla “Carlona” un po’ come l’anti tetanica…

  • La profilassi vaccinale sta seguendo fasce di età, a partire da quelle più a rischio-gli anziani, coloro che hanno patologie pregresse, poi operatori sanitari e forze dell’ordine, quindi docenti, operatori dell’informazione e della giustizia- i minori sembrerebbero gli ultimi della lista, salvo mutamenti di indirizzo politico, da scienziata crede sia un modus operandi corretto?

La risposta non è semplice per me, perché coinvolge temi di ordine pubblico, sociale e politico, e non prettamente sanitari o scientifici. Posso dirti che, la vaccinazione deve raggiungere tutti, in tempi idonei, e che sicuramente i bambini e gli adolescenti a questo virus hanno risposto con una sintomatologia meno aggressiva. Certamente , a mio avviso, si poteva” fare meglio” sulla campagna vaccinale.

  • In merito ai cosiddetti “asintomatici”, che hanno già sviluppato una, mi passi il termine,  “dose” di anticorpi, corrono rischi nel sottoporsi a vaccinazione?

Le raccomandazioni, attuali, per i soggetti che hanno contratto il COVID 19 sono quelle di non sottoporsi al vaccino prima di 90 giorni dall’ultimo tampone negativo ed è raccomandata una sola dose vaccinale.

  •   Sappiamo che tutte le cure preservano rischi, anche di ordine infinitesimale, crede che il rapporto beneficio-rischio, almeno nel breve periodo sia Altamente Accettabile?

L’efficacia dei vaccini COVID-19, considerando la profilassi completa, ovvero le 2 somministrazioni che accomunano 4 tipologie su 5 è oltre il 90%. Parafrasando Paracelso, tutto è veleno, e nulla esiste senza veleno; solo la dose e la condizione del soggetto ne fa un rimedio. I benefici di questi vaccini sono enormi, e hanno dato un impulso notevole anche alla ricerca; hanno ridotto le ospedalizzazioni e la sintomatologia, ed anche la trasmissione. Quindi SI è accettabile la presenza di casi di trombosi, effetti avversi anche gravi in questo momento.

  •  Il Sars-Cov2 è un virus soggetto a mutamento, un po’ come quello influenzale. In base alla sua esperienza crede che, un giorno, potremmo finalmente dominarlo, debellarlo o quanto meno scemarne la potenzialità lesiva?

…Sono convinta che la ricerca proseguirà in tal senso dandoci vaccini anti Covid 19 sempre più sicuri, ed il vaccino anti-Covid lo faremo assieme a quello dell’influenza ogni anno, a seconda delle varianti predominiamoti, sperando che tutto ciò sia presto un lontano ricordo.

Giovanni Di Rubba

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