Dante Gabriel Rossetti; Dante sogna alla morte di Beatrice
Oh Trofonio
dagli arbusti zampillanti,
rinfresca di oblio
e rimembranza
le mie membra stanche.
Il corpo riposa,
la biancastra balestra
cromata ai bordi,
deposta ai piedi
del reclinato ed interiorizzato
ardire di Cassiopea
nel biasimo del formicolio
ricciuto farneticante.
Non senti? Non aspetti?
Rinchiudi il tempo
col suo cipiglio dilettevole,
con la sua brama di assorbire,
spugna dei nostri sensi,
spugna dei nostri intelletti,
spugna del nostro aspetto.
Saetta con me al tuo fianco,
o ricordo!
Nel punto più lontano
del flusso mnemonico
la libera associazione di gelso,
il riporto a domani di gesso,
il paradisiaco gesto.
Nel delirio da te,
madre possente dei racconti,
nacquero damigelle
che seducono orfei dal bel canto,
unico sentore d’infinito,
unica possibile percezione di scienza.
E fluttua dunque. Fluttua
servendosi di questo corporeo
ammasso di membrane
lievi l’elettricità del divino.
C’è ostilità e scissione
tra i due termini della questione.
Il ponte quadrimensionale è questo?
È qui il pensiero?
Vittima dei due opposti
seppur coincidenti?
La bellicosa e aggraziata Mnemosine
procede, esula dalla realtà carnale
succube a Crono,
è su punto di infliggergli
il colpo della mortale indifferenza.
Nulla scorre se la musica
immutabile dà forma all’implasmabile.