Spettro oramai opaco del ricordo

Clizia; Frederic Leighton

 

Erminia

 

Erminia,

et in arcadia ego,

tagliuzzate le vene

più di un anno fa,

musica dell’mp3 nelle cuffie

in riporto

mista di canzoni d’amore.

 

Sguardo alto sotto la doccia,

principessa delle serate

uno sprazzo sereno

e poi pupille dilatate!

 

Il treno che ci accompagnava

nei discorsi vuoto è ormai,

un filo solo si addipanava,

naufragava

verso incogniti prati azzurri

 

cori serali

e lamenti mattutini.

 

Poi le grida di rabbia

erano voci velate

soffocate

e dal tedio offuscate.

Dall’oblio sepolta

 

il candore della pelle

non ha saputo il vento smorzare.

 

Tenuti insieme per mano

tracciavamo costellazioni

sognanti

e veementi sprazzi di noi,

 

frammenti di domani.

 

Il gaudio dei tuoi dolori,

la noncuranza nemica.

 

Muta,

la società la risposta

ai tuoi desideri non l’ha data.

 

Erminia carta stampata

e disegno

di ogni costellazione,

 

nella melodia

del mio ultimo accordo.

 

Discorsi folli

 

Pioggia toccante

e cinematografica nella tua mente.

 

Sete giallognola

e aspra tra le gengive

e gli incisivi sporgenti.

 

Stracolmi di euforia

gli ubriachi della sera

ondeggiano a sinistra,

 

lieve il caduco introito di destra,

spalmati come cioccolata

i neuroni

o pronti all’assedio bellicoso,

 

un grappolo d’uva.

 

Messaggi telepatici

ed incanto bilingue

della nazione destrimane

e cilindrica,

 

sensazioni di quiete.

 

E la tempesta a volte

segue questa calma

nell’incrocio di sguardi,

 

pensieri ovattati.

 

Il vichiano corso e ricorso

dei bestioni e degli umani,

 

dei villani e dei baritoni,

privi di titoli accademici,

 

i maestri distratti dalla natura,

pensieri malandati

dall’incuria guizzante della paura.

 

È la follia la molla della storia,

è questa la verità

neanche amara,

 

ha un retrogusto dolciastro.

 

Siamo in simbiosi.

 

Ci esuliamo come assediati

ma siamo noi lo specchio del destino.

 

Il mondo sbarazzino,

lo sguardo tuo non è da meno,

mangiucchiamo qualcosa,

hai fame?

 

Prendi ciò che sai

tanto la fame si dissolve

come un fantasma,

 

comportamento alimentare

da adolescente sbadata

a ingurgitare patatine vertigo.

 

Il nido d’uccello

è il nostro fisso sguardo,

 

un’altra fissazione.

 

Discorsi folli come la storia

che si muove come quei tre ubriachi.

 

Una sigaretta accesa,

l’odore del vento si confonde

con quello del tempo

 

ed ora leggi a ritroso

quello che ho scritto

e quello che scrissi.

 

Il circolo indo-nietzschiano

è l’inizio dell’origine

e la fine del principio finale,

 

è un susseguirsi di invettive

contro poveri cagnolini

che si mordono a trotto la coda,

 

se l’immagine è il serpente

nella dannazione edenica

il re del mondo

ha maledetto anche il tempo

 

che dissipa e consuma

i nostri corpi giovinetti.

 

L’astrazione matematica

delle cose naturali

perde il contatto con la realtà,

 

ma nel paradosso è quella

l’unica certa verità.

 

La matematica infallibile

dà più volte segni di resa.

 

Il vero iperuranio è nei pensieri

dei poeti

non nelle quattro assurdità

del teorema dei carabinieri

o del coseno di gamma,

 

cercalo piuttosto nella pioggia

sulla sabbia,

 

astratta ovviamente

dalla mente sensibile e cordica,

 

la mente dell’anima.

 

 

La sedicente saracena

 

La sedicente saracena

con un velo che le copre il capo

e le spalle

sorride timorosa alla finestra.

 

Federico il mecenate

nella corte siciliana

a comporre sonetti e canzoni

coi suoi notai ed amministratori,

 

fiduciari di versi.

 

Tartari che scendevano

come nebbia,

beduini sepolti

dalla foschia del fumo

o dalle sostanze  violacee

che inalavano in sostituzione

per mistica ascensione.

 

È l’inverno che tarderà quest’anno,

che mostrerà il varco montaliano

ed atteso,

è l’autunno che libererà

il giogo delle catene,

senza pretese.

 

Lungo il tratturo antico al piano

si abbeveravano i pastori

mentre D’Annunzio sorvolava Vienna

con manifesti

inneggianti alla patria e al pacifismo.

 

È l’inverno che si spera

libererà dall’oppressione afosa

dell’indifferenza,

 

è l’inverno della speranza,

della mia assurda pretesa,

quella di viver la vita,

 

la pretesa folle di felicità

seppure solo sfiorata,

colta in un attimo di verità.

Alle porte del destino

 

 

Alle porte del destino

di nuovo io e te mano nella mano,

con le bocche traboccanti

di bacche balbettanti

e claudicanti

per i temuti incanti,

 

parlare a stento,

come assordati

e respingere le insidie

della paura

cogli abbracci reciproci

e remoti nella loro attualità.

 

Esser pronti per un lungo viaggio

in una difficoltosa foresta,

temere la tempesta,

il vuoto e qualche naturale vendetta,

poi perdersi allibiti

dallo spettacolo dei pini,

degli abeti, delle querce

e sentirsi come ginestre

sperse eppure coraggiose.

 

Dici no, dici che nei sofismi

sull’essenza un ricordo può servire,

alla ricerca di quello perduto

non trovo resa.

 

Passeggiare per le strade isolate

con il calendario tra le mani

ignorando itinerari,

 

domandarsi la conservazione caratteriale

se può avere quell’influsso astrale

di cui tu mi parli sempre,

 

poi capire che la scrittura,

il cielo è tutto e dio con lui,

 

sì è così le scosse telluriche,

i maremoti, le maree,

le temperature

e gli aspetti caratteriali

ce li dan le stelle

nel loro superbo danzare.

 

Oppure no, dici no,

dici non generalizziamo, c’è l’eccezione.

 

Ma ti dico, è questo il punto,

non c’è regola che tenga,

 

le nostre vite sono solo anarchiche

eccezioni figlie però

di un sincretismo universale.

 

Hai da accendere?

L’accendino l’ho dimenticato.

 

Incedi con passo leggero

 

Incedi con passo leggero

coperta solo del tuo velo,

il mare scosso dal tuo adagio

e l’erba cresce ad ogni palpito,

sboccia un fiore ad ogni gesto.

 

E poi ti vedo tracciare le parole

che non sai ascoltare,

con la grazia delle piante rampicanti

ti adagi sul mio corpo e gli dai vita.

 

E sono in preda ad un affanno,

ma le tue mani già lo sanno,

sapienti carezzano un sorriso

che dalle labbra inonda il viso,

 

un’esplosione di colori.

 

E continui a tracciare

storie che non vuoi raccontare,

e continui a ricoprire

questo vento col silenzio.

 

Poi tra i flutti sembri scomparire,

come Venere a ritroso

ritorni sirena generata

da una conchiglia innamorata.

 

Ed è ancora sera

 

La sera stende il suo manto,

un sole rossiccio m’illumina,

 

è incanto.

 

La sera stende atmosfere

celate agli occhi degli orbi,

della dualità trinitaria

persa nei borghi

scanditi da chiare pupille

della docile ragazza

con le cuffiette alle orecchie

 

e un refrigerio nella mente.

 

Sembra che non bastino parole

a smorzare i silenzi,

 

sembra che non bastino silenzi

ad incutere i tuoi tepori serali.

E dallo sguardo sperso scruto

 

rimasugli d’incenso,

le nostre serate

sono leggere ed estive,

indimenticabili ed indimenticate,

come due natanti all’incrocio

di piatti suoniamo

melodie nell’afa sbiadita,

 

può darsi la penombra

un mistero ditirambico ci sveli.

 

Ed è ancora sera.

 

La mia passione è svilita,

sembra infittirsi la voglia

di respirare l’uno ed il tutto.

 

Ma come può un germoglio

sfiorire senza appassire,

 

può nel ricordo vivere

senza svilire,

 

ed è la memoria che mi salva

dal tedio e mi affligge

come rovescio di medaglia

celtica e incisa su bronzo

 

restio all’incrocio di sguardi,

 

e tu ancora mi guardi

e strizzi l’occhio.

 

Ed è ancora sera.

 

Restò una dolce viola candida

 

Le fondamenta del mio pensiero

tracciavo con cura,

vittime dell’arsura

del lavorio incessante

come sciami di formiche,

fisso in maniera salda

il trivio e il quadrivio

come cardo e decumano,

 

la realtà triplice

come pietra di volta,

quella d’angolo

una giravolta etilica

e candidamente rubiconda.

 

Poi mi assalirono mille dubbi,

 

tutto da capo,

tutto da rifare.

 

Poi mi assalirono mille problemi,

 

il tutto è già scritto

con piume d’oca,

 

ma ne varrà la pena?

 

La salda pietra

sotto la scossa del reale

perse il barlume di vero

e a colpi tellurici

rovinò a terra.

 

Restò una dolce viola candida,

 

restò solo una come dolce empirea

rosa candida

frammento di memoria

e flusso coscienziale.

 

Conosci a fondo le mie paure

 

Si lamenta nel tormento atroce

di un’età senza più voce.

 

Conosci a fondo le mie paure

più segrete e già scrutate

dagli attimi fuggiti,

come adolescenze in bilico,

 

passeggiate in bici.

 

Potrei ora divagare,

potrei sfiorarti con le mani.

 

Potrei ora silente

fiatare il mio ultimo lamento.

 

Ma credo che la prospettiva

del domani si imponga inaudita,

 

mi stia fuggendo tra le dita.

 

Conosci a fondo, amore,

ogni mio dolore

per questo corpo vittima del vento,

 

del passo tardo del tempo.

 

Potrei parlare.

 

Potrei dimenticare.

 

Ma la mia voce muta

continua a sognare,

 

tra un po’ è già autunno,

qualcosa cambierà?

 

Potrei dirti ti amo di sfuggita

e poi baciarti e perdermi così

nell’oblio dei sensi.

 

Il peso specifico è annullato

 

Il peso specifico è annullato

da un possente fluido appena condensato,

col bagliore degli occhi

creerei le immagini

 

e la matita è capovolta.

 

Insula in flumine nata,

la tua sveglia nel dormiveglia,

la tua curva sospesa

da elettrochimica resa

d’intenso incenso

gettato a quintali

su muschi e licheni,

 

dai, diamoci un altro bacio.

 

E attraverso il ritorno ondulante,

non è musica quella che esce

dai lobi auricolari,

la tua chioccia è punta

dall’anello di roccia

che solo l’aere profondo

e tenue dà,

 

la tua incudine ed il tuo martello,

la falce e il grano cosiddetto.

 

Giallognole avversità

in tramonti di verità,

 

sopita sei un po’ svilita,

non ti fa più effetto

il tossico detto,

non una sola parola,

non una speranza,

non una motivazione

se non melodie perse nel tempo

che vogliono farmi continuare.

 

Continuare a ondeggiare,

come pazzo in su le scale,

sto solcando un’epoca nuova

e la gente indifferente muore

oppure passa e sorride,

 

qualche spicciolo per le sigarette,

le meno costose,

 

qualche danno collaterale

per poter continuare.

 

E finirei con un bel,

nel blu dipinto di blu.

 

Irrequietezza malinconica

 

Un’irrequietezza malinconica

e trasognata la mia

al di là della realtà,

 

magari un cenno del tuo dito

o un allettante invito intellettuale

potrebbe di nuovo tracciare

speranza nel mio animo

 

in frammenti,

 

eppure l’ansia che mi uccide,

il tedio e l’accidia

dei giorni sempre uguali,

 

sei eterea a due passi

ma mi sfiori appena.

 

Magari mai tutto è perduto,

nella mia gioventù potrò ascoltare

ancora silenziosa,

 

leggere le tue poesie

in riva al mare

 

con quel clamore calmo

delle onde che ci accompagnava,

 

manteneva il tempo la notte

che in refrigerio ti raffreddava

 

e tu sul mio corpo accovacciata,

 

io ora invece mi domando

che ne sarà del futuro,

dei miei giorni,

davanti a scelte sempre più sbagliate,

 

ma il risvolto della medaglia

c’è sempre,

sono un frammento d’uomo

alla ricerca di una luce soffusa

e di parole scritte anche alla rinfusa,

 

sei eterea dinanzi a me e mi sfiori,

non mi abbandonare!

 

Qual è la verità?

 

Lei dove è

se è vero che ti cerca.

 

Tra di noi dei segreti

mia forma priva di sostanza

che rifletti solo bagliori mattutini

 

ma ti manca l’assonanza

con le tue parole,

 

sfiorami ancora,

te ne prego,

sono nulla senza te.

 

Qual è la realtà?

 

È solo la nostra immaginazione,

 

un triangolo sperso e maledetto

dall’illusorio tempo,

 

io ti cerco come limpida

acqua di sorgente,

pura mia assidua brezza mattutina,

ti dirò come sempre

le mie parole gettate in aria

da un sorso di vento.

 

Potremmo fare i sofisticati coi sofismi

e magari avere pur ragione,

 

potremmo continuare a disegnare

questa nostra vita separati

 

ma un filo labile ci lega

e non possiamo farne a meno.

 

Spero solo tornerai ragazza

destinata alla più somma melodia.

 

Qual è la sincerità?

Due parole dette di sfuggita,

 

dimmi quale è il tranello

per uscire da questa miserrima

condizione umana,

 

trascendere noi stessi?

 

Guidami tu,

o mia ragazza,

dall’armatura alabastrina

e il volto paonazzo

e i capelli mossi

di quel carminio così intenso .

 

Mentre la gente guarda distratta

 

E mentre la gente guarda distratta

il libero airone palustre

si lancia al di là del confine terreno,

mondi sotterranei lo attendono,

 

trema già la mano al pensiero.

 

Un caffè

ormai tra angusti rifugi,

svogliati e disincantati,

volati come cenere,

 

smascheri il volto ed è già autunno,

 

il volo di chi va via in migrazione

è un balenare di lucciole

ormai abbandonate

nelle tetre follie cumane.

 

E poi i papaveri rossi,

sangue lucido ed oblio,

potenza dei sensi,

espansione mentale,

 

rigurgito come al solito astrale.

 

Vola nel cielo

resistendo alla calura

e vola che la stagione

sarà un groviglio vago

di temperatura,

 

già vedo le stelle,

il vino rosso nei bicchieri,

mille palloni poetici

in trotto nell’aere,

 

mille spume,

mille effluvi d’incenso,

 

e vola,

dimenticando quanto ardore

il sole sprigiona

intrappolato nelle sue redini

sottili.

 

E l’afa rimane.

 

Giocare a tresette

tra uno spaghetto e un sorso di vino

con nosferatu che è sazio d’assenzio,

potrà vivere già da oggi,

con un cambio di rotta,

la mia più sublime speranza,

 

il desio del domani.

 

Ed è silenzio.

 

Maschere di ghiaccio

sono sulla spiaggia,

rendono oltraggio

all’ultimo notturno spasmo,

 

e che pace l’aurora,

 

l’amore e i colori.

 

Non so se è sentimento

il brivido che ho dentro,

ma puoi guardare languidi

gli occhi al crepuscolo,

plasmati come violette.

 

Vola su ripiani desolati,

avvoltoio di pentimento,

 

frescura, frescura,

tu mi dici e sorridi,

ma lo sai,

già lo sai che cadrà

l’ultima stella confusa

e noi saremo preda

di una nuova serenità.

 

Stella,

vola che si attutiscono i miei timori,

le parole e le esplosioni di incertezza,

vola,

 

non smettere spauracchio

del presente

che sei nella mia mente,

un sorso d’acqua pura

ed è subito mattina.

 

Volano i colori,

nel cielo temperato,

 

vola il tuo ultimo desiderio avverato,

 

vola e non trova pace

l’euforia della giornata

ciclotimica e daltonica,

 

vola e l’incanto scolorisce

nel momento più intenso.

 

O mia Regina

 

E se volessi cambiare argomento,

un fiume in piena arresterebbe

il turbamento,

in fondo un tantino assorbo

quelle parole,

poi ne invento, poi le scordo.

 

Cosa c’è dentro me,

un falco in volo possente

e incatenato

che della vita ha percorso

solo qualche fiato sfumato.

 

Un vortice, il solito maestoso,

quello che spaventa,

la rimessa, la stupida paura

è come assedio che mi storpia

quando in temperature avverse

muto rotta e dovrei disincagliare

il raggio luminoso e porgerlo

al di là dell’ultimo fuoco,

 

hai visto? è già scaduto

il biglietto del tram,

 

il viaggio della mente

un treno in salita che abbassa

l’attenzione ed attendo la tua profusione,

 

l’importante è dire assurdo

quando ce n’è bisogno,

gira a vuoto l’ultimo accordo.

 

O regina nella polvere celata

ed improvvisamente illuminata,

sorgi coronata e districata

tra risucchi di biancospini.

 

Ed io da falco

cerco libero attracco

contro il mondo e per il mondo

ad un tempo,

 

carino il tramonto dei nostri sogni

è la rinascita per nuovi giorni serali

e imbellettati.

 

O regina nella cenere

riarsa divieni

ad un tratto materia eterna,

 

un flusso d’amore sgorga

nelle vene

ed è già passione

 

il bacio in tensione.

 

Perdendo il filo un po’ per vizio

un po’ per capriccio,

 

ti scrivo altre due righe,

è già un impiccio,

 

ti chiedo e poi mi schiudo

pronto a ripartire,

o mia regina.

 

Ad altro non penso

 

Sai, mente annebbiata,

mentre mi concentro

ed entro in contatto coll’Un invisibile

che prende forma,

 

ecco,

comunicazioni celebrali

introito restio

dell’inconscio collettivo,

 

allineata la nostra costellazione

con il bacio che dai

in riva al mare,

 

damigella decorosa

eppure così viola

 

il congedo delle piante

che tramite angusti sentieri

percorriamo,

 

senti già il trastullo delle onde,

il mutamento ciclico,

il nostro allibito confronto.

 

Le spiagge dorate

son granelli della tua vita,

 

l’eternità l’abbiamo conquistata

lottando con schiere di draghi

e cavalcando liocorni d’oro bianco,

 

il piercing è uno spasmo,

una noia vederlo cadere

ad ogni movimento

del tuo nasino intimidito,

unione di spirito e corpo.

 

L’estate schiarisce

e tra un po’ i variopinti colori

degli arbusti saranno pensieri di domani,

saranno speranze e respiri profondi,

come l’anima che ascolti,

 

la musica respiro della stessa,

la musica spirito manifesto,

 

ti bacio

e ad altro non penso.

 

Parole al vento nel silenzio

 

Parole al vento nel silenzio,

nell’intrigo destinato

ad un sussulto per un bacio

sul tuo collo scoperto,

 

incandescente.

 

Quale è il senso

delle tante frasi sconnesse,

 

dei periodi campati in aria

come atolli od emissari

di una nostalgia canaglia

o di un effetto a collo di bottiglia,

 

filtro per le stupidate fatte

con l’intenzione di cucire abiti spenti

dai tuoi occhi sempre più accesi.

 

Tanti sogni e poche speranze

ma nell’ostinazione il sentimento

che permane figlio dell’ambizione

e non di rampantismo

come luce un po’ soffusa

nella nostra dimora ambita,

 

un arredamento etnico

e tre canti al mattino

per svegliare i dormiveglia

che scrutano la nostra vestigia

di figli di un dio dimenticato

eppure così vivido e sentito

nella nostra interiorità.

 

(Pochi grammi di zucchero nel caffè,

pochi baci ma buoni,

io in realtà non smetterei

di stringerti a me).

 

Il viale sussurra nell’estate,

c’è un vento freddo nel ricordo,

il materasso con l’accordo primordiale

della scintilla universale.

 

(Pochi grammi d’assenzio,

vino caldo,

un letto su cui dormire con te,

un altro canto).

 

Piccolo scritto

vai tra paesi, monti, colline

e città, urla come il tempo

che passa

e rendi vivido il ricordo

della sua fascinosa bellezza

che esulta come un mare in tempesta

o come lo scorrere di un fiume

all’ombra della cresta.

 

Ipotesi astruse sul tuo polso

 

Ipotesi astruse sul tuo polso

perché la pioggia ci risucchia

in un vortice abissale,

soli io e te,

inauditamente la questione

da logica diverrebbe estetica

e passerei ad una estrosa

epistemologia ma del metafisico.

 

Ti vedo un po’ stordita

sarà l’effetto della polvere

e del polline tra le dita,

 

credo meglio riprendere dal basso

per puntare al cielo candido.

 

Allora con sospetto guardo

un oggetto od un soggetto

e scopro l’identità, tra l’uno e l’altro

 

non vi scorgo diversità,

 

non sono utensili heideggeriani

ma soggetti dotati d’anima,

 

lo senti il dolce romore

della macchinetta quando sale il caffè,

sembra gridare, sveglia!!!

 

non sono solo qui per te?

 

Ma d’improvviso

sarà quel tuo profumo

che si impone sensualissimo

 

e allora lo confermo

 

è un’anima cosmetica

la tua dolce essenza di cobalto.

 

Tutto cambia in mutamento statico

 

E sei arrampicata ai tuoi spasmi,

fumi un’altra sigaretta in silenzio

mentre lo spirito del diamante,

supremo ardire,

sfacciato ti sfiora un po’.

 

Alzi un poco la testa nello sbuffo,

chissà a che pensi,

se al tepore dell’autunno

o alla congiunzione astrale dell’inverno

che riporterà tutto alla normalità.

 

Riflettendoci sopra

un po’ d’erba cresce

sui piedi fatti a conchiglia,

 

i pensieri assorbiti,

una eco lontano,

 

mi sfiori la mano

 

mentre si agita la maretta

della rivolta studentesca.

 

“Siamo noi soli”,

 

dici e sorridi e tremi,

 

hai voglia di me.

 

Ed allora un abbraccio plurimillenario,

un approccio geologico e atmosferico

dei nostri corpi che si sfiorano,

 

la pazienza delle tue nobili trincee,

le placche della Pangea

che si dividono ma un giorno

in congiunzione questo eterno movimento

sarà la libertà tanto sognata

dal nostro fermento,

 

poi un sorso di vino,

 

mi stringi un po’ più forte,

 

ti do la mia coperta

 

ma restiamo mano nella mano

 

avvinghiati all’abisso.

 

E finalmente dalle tue parole

tradirò un ricordo,

sarò sempre più libero,

un Icaro distratto

ma fremente come il segno

che hai impresso sul tuo polso.

 

E in silenzio prolungato,

quasi meditativo,

 

scompare dalle cose

e dalle persone

ogni tratto negativo,

 

i valori hanno fallito,

guardiamo ad una nuova filosofia,

lo studio sistematico

dei fondi di bottiglia,

 

fondi dove alberga

l’anima più pura

e che deve esser solo manifestata

dallo spirito.

 

E stasera, ti dico,

tu lo emani.

 

Tutto “peace and love” il nostro incontro,

bandiere d’Assisi con la pace,

spillette trasversali con i teschi,

un po’ un “memento mori”,

un po’ pars destruens.

 

Ed allora zitti

costruiamo con un bacio arrogante

 

nell’etimologia distruggeremo

questo inferno di schifo,

 

questo impero claudicante.

 

E passa il tempo,

ormai un ricordo lontano,

fondo di pietrine di fumo

e di rimasugli di ciliegi sottospirito,

 

magari tu che sei l’assenza ,

dimmelo per sempre,

 

dimmelo tesoro

che ti adoro e ti rinnovo

i sentimenti come clandestini a bordo,

 

perché sei la più bella,

tira un’altra pall mall

e scorgi il sole che sta nascendo ad est,

ci illumina l’intenso,

 

ci apre le porte al mondo sconosciuto

del domani che poi altro non è

che una nostra speranza,

includibile nel presente.

 

E tutto cambia in un mutamento statico,

 

sei la dolce essenza

fluorescente della vita,

 

sei il pensiero,

 

l’aurora del mattino,

 

sei il mio sonno,

 

compagna di Morfeo nella notte,

 

mia dolce Selene,

 

Artemide cacciatrice

 

e Pallade rivoluzionaria,

 

ti coprirei di baci

come fosse pioggia al sole.

 

Ti amo così,

un po’ pateticamente,

 

e tutto il resto

domani

sarà un surplus ma immanente

nell’animo nostro.

 

E’ scesa l’ultima goccia

 

E’ scesa l’ultima goccia giù

del tuo sapore viola,

credo che sia il motivo

della nostra trattenuta

nella stiva pleonastica e fantastica.

 

Il gran cerchio del tempo

rosso e blu

più lungo di così,

da pi greco alla sponda del sollievo,

 

in realtà sei il mio sogno per metà,

sola contro il mondo sei tu.

 

Non ti aspettavo sai,

stasera più che mai

il mio corpo è proteso

alle tue gambe intrecciate

ai mie capelli.

 

No, non farlo, non distruggermi,

 

nel tuo pensiero lascia spazio

al mio futuro.

 

Poi ritorna quel nostro circolo perverso

menato per l’aia

come fondo di grondaia,

 

i tuoi occhi dal luccichio insolente,

i tuoi sogni da sabarazzina un po’ invadente.

 

Nel puro,

intenso godimento.

 

Godimento.

 

Agitazioni spastiche,

tardo rock.

 

E passi di sfuggita,

mordicchi un po’ le dita e mi dici,

sono stanca di viaggiare,

posa l’auto all’autogrill.

 

Posa?

 

Un panino e poi,

cento lire nel jukebox,

 

ondeggi a stento quando premi

il cuore lento,

 

sei bella sai quando sospiri

e alzi le mani,

 

come a dire non lo so.

 

Tra gli accordi sei distesa

come arresa e me lo dici

come pupilla dello stelo un po’ inclinato,

un po’ svogliato,

dai tuoi sogni agitato.

 

Novembre

 

La marcia ingranata

nell’accelerazione infestata,

qualcosa da dire,

 

pensare col tempo agli errori

e all’ipocrisia per scoprir

se il domani è congelato e insicuro,

poi ad un tratto dirsi

che non ne vale la pena

e sorpassare senza accostare.

 

Ti amo e lo sai,

vado via e ne soffrirai,

resta pure a fianco a me,

 

non arrenderti mai.

 

Porsi degli obbiettivi

a colpo di chitarra,

schiudere le porte,

sorseggiare una birra scura

piangendo della tua frescura autunnale.

 

Le violette sedentarie

ma attente,

i baronati e gli inciuci,

le chiacchiere da comare heideggeriane,

 

in questa riunione sovversiva

cogliere l’egoismo dei fiori,

 

scroccare un passaggio

se va a fuoco l’autovettura,

 

sentirsi immortali,

e rider di gusto degli errori,

agli errori

 

poi piangere di nuovo ed aspettare te.

 

Ti amo e lo sai

che mai ti dimenticherei.

 

Impastare del formaggio

 

incrociando nuovi sguardi

ma lasciandoli alla deriva

per tornare da te

che sei la mia vita.

 

Passaggio inconcludente,

 

fine deludente.

 

Gradisci del latte nel caffè, amore mio

 

Una parola non la puoi mai consumare

se sopra l’acqua volteggia

a dorso come un crinale,

 

e regge il mondo

su queste circostanze indissolubili

mentre io e te passeggiamo

come due stranieri,

 

quanto dolore è esploso

in un attimo in me,

 

che confusione hanno generato

le tue azioni,

 

ho studiato a fondo le intenzioni,

capendo che è l’attimo che conta,

 

la nostra pura apparenza

che volteggia in aria

come un pallone a incandescenza

col gas nobile e stizzito

che ti fa perdere per un momento,

solo uno,

il fiato.

 

Sgocciolano come arpeggi

le parole e cerco appiglio

nel mio cuore docile,

 

ma sei in riva al mare,

il cielo minaccia un temporale,

le onde investono il succinto vestito

che mi fa impazzire,

 

ho creduto a fondo che fosse l’infinito,

non ti so scordare,

 

anima graziosa.

 

La spiaggia imbevuta

e tu tra il telo imbacuccata,

 

credo che metà del sogno

l’ho già scontata.

 

Partono prorompenti

i treni alla stazione,

senti il fischio e immagini i vagoni,

 

i nostri pensieri fuggono

ed è già ieri,

 

tutto statico e immobile il destino,

 

due dita incrociate, la follia del mattino.

 

Mentre continuo a scrivere

e parlare al vento

i tuoi capelli sono mossi

al mio fermento

 

e mi stringo questa volta

un po’ più forte al cuore.

 

Guardo una foto

e si scatena la rimembranza

dell’attualità,

 

le scorciatoie rese viole del pensiero

per raggiungere un sentiero

in cui io ti tengo la mano,

 

tu mi dici di sentirti strana,

sarà colpa del tempo

o delle Parche il lamento.

 

Magari il futuro

cambierà tante cose

perché figlio della nostra più intima

speranza,

 

ma devi crederci, amore,

 

anche se a volte rallenta il cuore,

Davide disse, fermati o sole.

 

Sgocciolano altre parole al muro,

impresse con l’acrilico

della ripetizione,

 

lo sciocco riff dell’azione,

un abbellimento per la colazione,

 

ho creduto e vincerò

anche se resto attento,

solo, in un mare di frumento.

 

Parole sulla tua bellezza

e sulle nostre perversioni,

gradisci latte nel caffè,

o mio amore?

 

Riff

 

Penso dunque volteggio

come solfeggio

e vado all’inverso,

 

la percezione extrasensoriale

è fluido nel fruscio degli spiriti,

Dostoevskij al bar,

 

non è sperimentazione l’emozione

ma prova pratica pronta

per essere ignorata dal passante

incurante della musica,

 

un altro gettone nel jukebox

e pochi spiccioli al mendicante

col violino elettrico della relatività,

 

o almeno credo.

 

Cosmico il ricordo

fisso in me,

 

una malattia la linea bianca

tra genio e follia,

 

si accavallano le gambe

nel discorso che saltella

come la civetta da un posto qua e là,

 

bene dove canta

male dove guarda

 

e tu non consideri per niente

il fatto che siamo soli,

 

l’io presuppone un relazionarsi

finto e a metà,

 

ciò che guardiamo negli altri

è solo proiezione della nostra assenza,

 

credo.

 

L’apparenza l’unica possibile

manifestazione dell’essenza,

 

il traffico della città

all’ora di punta

è un coltello teso

alle mie braccia

che solca la verità

 

due tre olivastre vestali

e vergini di clausura

in contemplazione

 

come ad adorare

il sapore di un bignè,

 

buono il crauto

di prima mattina

all’aeroporto di Bruxelles

 

mentre il parlamento di Strasburgo

è bilingue

esclude il bel sì,

 

magica speranza.

 

Ok, va tutto bene,

due parole e poi,

 

e poi,

 

stop.

 

Intro estroso

 

Intro estroso.

Dentro noi c’è

l’entusiasmo di uno spirito beffardo.

 

Intro estroso.

Non sempre vale la pena,

non sempre è giusto continuare.

 

Intro estroso.

Parla con lo status divino,

sei apparenza sublime e stemperata,

puoi tacere senza essere ignorata.

 

Intro estroso.

La paura del nostro abisso

muterà solo se ti fisso.

 

Forse il silenzio

dei tuoi occhi

non è che pura fantasia,

 

forse il temperamento

del tuo dito sollevato in meditazione

è sintomo di eccitazione

 

al di là della sensualità

già insita nelle orme

che mostri con pudore,

 

forse dal nulla nascerà un sussulto,

quello che avevi senza dimenticarmi,

 

gira il verdetto della nostra poesia

scevra di senso

e pure così concentrata

in mille navicelle notturne.

 

È giunto il momento,

è venuta l’ora,

cosa sono io per te?

 

dillo senza fiatare,

è giunto il momento di realizzare

i sogni miei,

tuoi e di noi tutti.

 

Intro estroso.

Sono ammutolito,

dal venticello allibito.

 

Intro estroso.

Credo di divagare,

ma saltando da un pensiero

a un altro puoi anche tu volare.

 

Affinché distruggessimo la materialità

della violenza

con l’amore dell’anima nostra

ormai incandescente

 

mi spiegasti il sistema

avviluppato su sé stesso.

 

Guarda il vero

 

(Nella Terra di Mezzo

un rombo sul tetto a strapiombo).

 

Ero fermo alla stazione

con l’intenzione di mirare

treni nella noia heideggeriana

e avevo il viso pieno di furore

 

(guardavi tanto

mentre ti raccoglievi

nel pianto)

 

nel sentirmi vivo

come non mai nel disquisire

con la panchina ,

una qualunque

 

(piacere tangente)

 

ma a volte anche le scritte

rendono l’inanimato immortale.

 

Solitudine,

 

( soluzione),

 

beata inquietudine

 

(dannata volubilità).

 

Continuavo

 

(la tua vita è diversa

se senti l’odore donzella),

 

allunga le braccia

 

(ma se puoi perdi)

 

solo se lo vuoi però

 

( non arrenderti),

 

non perdere in divagazioni

quello che dice il tuo cuore

è puro e semplice e lo conferma

 

(guarda lì)

 

il tramonto partenopeo.

 

(Il pub era pieno di gente)

 

qua usano pinte dipinte

 

(ordina pure un doppio jack)

 

e due crodini serali

per le future prossime

invasioni nelle aurore boreali.

 

(Guardati attorno

rischi di perdere il controllo).

 

Mi colpisce diritto al cuore

il tuo pudore

e quell’occhietto ribelle

 

ma anche il silenzio tenebroso

delle apparenze,

la donna perfetta

 

(le invasioni continuano

nella Terra di Mezzo)

 

che brama in tutta fretta.

 

Guarda bene,

ripeto guarda il vero.

 

Nel sorriso del mattino

riposi ancora,

che carina, mia sbarazzina.

 

Guarda lì,

 

ripeto,

sona il bel sì.

 

(La notte trascorsa da un locale

a un altro,

la birra a fiumi,

prego

esula per i drink

il ghiaccio,

così mi piaccio,

riposa pure,

e tu sorridendo chini il capo

come a dire sì).

 

Il lieto rumore delle tende

 

Il lieto rumore delle tende

mi rimanda sincero a te.

 

Tra le strade viaggia

l’anima tua

che non risponde

ai miei quesiti

 

come un soffio della guardia

di frontiera che controlla

il desiderio perverso

del mio intento.

 

Viaggia la mente

e ritorna a te,

alle serate erbose

tra i fumi dell’incenso.

 

Ed è solo un momento

che mi vedo

sfiorire nell’età matura,

 

vorrei che una foto

prendesse vita

e ritornassi magari un po’ tu,

 

ragazza dagli occhi colore del cielo,

anarchica per semplice complessità,

penserai, chissà,

se qualche volta di sfuggita a me.

 

Sta arrivando il nuovo anno

e chissà se qualcosa

davvero cambierà

o sarà solo il frutto

di una nostra più illuminata umanità.

 

Nella mia stanza un sussulto

e c’è un’immagine di te,

magistra et ancella.

 

E fuori il collocamento chiudiamone un altro,

siamo soli io e te

e non te ne accorgi nemmeno,

passa il tempo e siamo cambiati

ma qualcosa dentro te

di me ancora c’è.

 

Il lieto rumore delle tende

mi ricorda le tue gambe divaricate

al vento dell’estate.

 

Poche parole

su uno scrittoio antico,

questo sono io,

eccomi qui,

tante abitudini che non ho perso

in bilico tra un’anima antica, paura e il nuovo corso

che sbalza e fiorisce,

 

fumiamo ancora la stessa marca di sigarette?

 

Il lieto rumore delle tende

 

mi sussurra che darei ancora

tanto per te.

 

Candido

 

Una speranza inviolabile,

sigillo impresso sulla cartapesta

delle tue emozioni,

ascolta il silenzio,

la via eccola qua,

legami indissolubili,

passioni carnali

intrise di spirito sgocciolato

come dalla nebbia intriso,

sembri ciò che non sei,

come a dire violetta,

 

la passione svanisce in fretta.

 

Candido,

il canto di cicale

nel paradosso invernale,

 

sei luce che sorprende

e inaspettata promessa,

sei il vuoto di una stanza

che è ricolma di te.

 

Candido,

se l’ottimismo è un fuoco

che riverbera,

la sensazione pulsionale

è la risposta che cauta

e paziente ci attende,

 

un saluto,

bacetto estroverso.

 

Dici e sorridi

che ripeto sempre le stesse parole,

ma quando le hai impresse nel cuore

l’acqua raggio non distrugge il colore,

tuffiamoci dagli scogli che c’è il mare

di sapienza che spalanca

le braccia nell’attesa,

siamo soli ancora io e te,

 

che tramonto stupendo

inzuppato nell’acqua

come biscotto proustiano del ricordo.

 

Candido,

se l’eroico furore

ci porterà oltre il confine del sapere,

se la mente si espanderà

oltre il tuo pudore,

due parole te le dedico

e tu per me che fai?

 

Sei gocciolina perversa

e già lo sai.

 

Candido è solo

quello che blocca la scrivente,

dai continua a scrivere parlando

col tuo micino dolciastro.

 

Tu animal grazioso

 

Tu animal grazioso,

tu senza ormai più suono,

dipingi gli ultimi istanti

come nebbie atroci e beffarde,

sale il mi minore

della nostra storia

e rappresenta lui in silenzio

la nostra stessa clemenza,

la nostra verità.

 

Un carillon suona

per rimembranza o triste rimando,

al posto di cose ci sei tu.

 

O animal grazioso,

 

o fulgida sordina.

 

Passa trionfale

l’armata letale

 

e noi ridiamo del gioco di parole,

 

anacronistici in questo mondo parallelo,

 

c’è un sentiero dalle mille biforcazioni

 

e poi c’è il tuo dolce volto

e poi ancora tu,

 

mio passato, presente e futuro

a un tempo.

 

Passa e non dà scampo

se non guardi nello specchio

quel che ti ho detto.

 

I cardi questa sera

struggeranno l’atmosfera.

 

Teologia sperimentale

 

E vaghi per il deserto

senza spalle coperte.

 

Ti sorge un dubbio intramontabile,

le statue non sono più le stesse

senza il sorriso di terracotta.

Le anime sperse negli anfratti,

le scorgi facendo trentuno

e si salva il rifugio mentale.

 

Cosa vuoi che conti

chi tu sia in questo mondo,

 

l’esser sé stessi più autentico

è per il parallelismo non euclideo.

 

Ammide di nucleoside

proteso al vento contrario,

 

l’introito netto della meccanica,

il quanto ed il bosone,

 

la gemmazione delle piante,

tachione

le betulle e la fotosintetica

interruzione delle stanze poetiche

che in un attimo ti rimandano

al creatore, la vita nova

è vuoto contenitore aperto

ad altri contenuti sconosciuti,

 

etica etilica,

nel vuoto si ripropongono

situazioni estrose

che non sai rifare

nella realtà annullando

l’esistenza della stessa,

 

se l’infinitamente piccolo

altro non è che infinito

allora è massiccio il peso dell’elio

nel comunque infinito cielo

dove vola per dispetto il palloncino

e tu resti china.

 

Nelle regole

di derivazione non scorgi mica

la biologia del sogno,

 

l’onirica teoria del sonno.

 

La storia sta sempre lì.

 

Suoni dolci come le mandorle

e il lillà.

 

Dimmi amore il passo tenero,

dove sta?

 

Cerchi le parole

 

Cerchi le parole,

quelle nella giusta ondulazione,

va bene così non va,

ma se sposti il tuo sguardo

il fiore sboccerà.

 

Potremmo periodare senza verbo,

no che non ha senso

ma bastano le tue labbra,

sarà che senza te

è tutto più difficile,

 

anche quella dannata parola,

che volava sui campi di grano,

nelle nottate medioevali

su boschi fitti di lupi,

 

ma io oramai ti conosco,

guardo quel tuo viso,

quello che sogna di navigare

sulle nubi

e condottieri da distruggere.

 

I piccoli aforismi,

ne abbiamo fatti tanti,

generici e bislacchi,

specifici per ogni occasione,

 

ossequi alla signora,

 

e allora tu ti volti

come sai fare

con le lenzuola da violare.

 

Ma questa volta credo

sia la definitiva,

 

non hai altro da espormi,

mi soccorri,

ma non è solo della tua carne

e delle tue parole che vivo

ma anche del tuo profumo

delizioso,

 

quel profumo che inebriante

sboccia come fiore tra le piante.

 

E se proprio vuoi sapere

qual è il segreto,

tu sei,

 

prigioniera scalza nel tuo tempio,

 

ed ovemai di me dovessi ricordarti

strizzami l’occhio

e manda sopra il mio respiro

quel tumulto

come quando.

 

Ora mi guardi,

sorridi come sempre

e sempre altera sei,

io sotto il tuo manto sapiente

sarò un piumino incandescente,

 

ho voglia di una birra doppio malto

per smorzare un poco la tensione

e tu che sei ovunque

la dipingi ed io già sorseggio

quello che è il mio piumaggio

e punteggio.

 

Ponendo un punto fisso

 

Ponendo un punto fisso

e ben nascosto

sul tuo profilo ingiallito

mi accorgo attonito

che le parole sono lontane

dai gesti,

 

risuona nel mio inconscio

un pensiero sepolto

ed è questo il motore

delle mie assurde confusioni.

 

Ti vedo ancora passeggiare

incappucciata per le nostre vie

e chissà se ancora ti ricordi di me.

 

Passa un altro giorno

nel tempo che non esiste

ed allora ti chiedi insolente

se sprechi cosa,

 

diamogli un nome a questa inesistente

dimensione vissuta e cresciuta

coi nostri patemi d’animo

 

e con le nostre gioie inconcludenti.

 

Non so davvero

se ancora mi pensi

se il tuo mondo così vicino al mio

si è ormai dissolto

 

senza mai venire al dunque.

 

Nel silenzio tu,

 

chimera eterna

 

non ricordi e gira la banderuola,

il pensiero è sempre di traverso

dove quel punto è l’unico

immisurabile granello

che ci tiene ancora uniti

e di cui tu forse

non hai più memoria.

 

Non puoi dimenticare

quando schivavi i miei passi d’amore,

 

quando non c’era altro tra noi,

 

quando assaporavamo l’anima

dell’assoluto quella notte

da soli seduti,

 

quando ascoltavamo

le nostre parole,

i nostri monologhi

erano inconfondibilmente

l’uno per l’altro,

 

con te tornerei

mia epoca lontana,

 

in un attimo le cose cambierei,

ma il passato è dell’oggi il domani.

 

Tutto è nostro

 

Sul piano di un abisso ti miro,

tu sei dissacrante come sempre

ed io coi miei occhi ti investo,

c’è qualcosa che mi insinua,

è il tuo pensiero anzi il vederti

così chiara nella mente,

 

tutto si è adagiato ai nostri piedi,

tutto risponde solo ai nostri comandi,

tutto arriva dall’assoluto,

tutto può essere nostro.

 

Ascolta la melodia del sempre

dalle pupille sgorga l’incenso,

 

sprizzi di nubi oscure

per chiarire il nostro punto,

 

tutto è nostro,

tutto ruota attorno a quel segno,

 

tutto anche l’amore più urlato,

 

tutto anche l’amore mai esistito,

 

tutto anche me e te.

 

Tutto!

 

Sogni astrusi ma convinti

per sanare le tue indecisioni,

guardo ancora più giù

con vertigini audaci aspettando tu dica

 

sì,

 

è pronto l’ormeggio del desio intramontabile.

 

Tutto è nostro solo per amore,

 

tutto è nostro solo per capriccio,

 

tutto è nostro per delizia

 

tutto anche me, il mondo e te.

 

Due o tre parole

 

Due anzi tre parole nel vuoto,

aspetta un minuto che guardo,

due o tre parole nel vuoto,

aspetta.

 

Le storie di signori

incontrastati dal dominio,

nelle ore perse tra il Danubio e il reverse,

si avvicina la festa di Berecyntia,

allora Lilith pone un guanto nello stagno

con la dolcezza di una quiete mal dimessa.

 

Gli orologi a pendolo

con il cucù,

 

l’integrale inverso

che scapita sulle scale.

 

È tutto un caos,

 

ci pensi tu?

 

Due o tre parole

e salgo su,

 

guardo all’orizzonte il mare,

 

due o tre parole

e mi tuffo nell’immensità

del cielo di Modugno.

 

Sognai passioni inconfessabili

che in limo litis et salis agli opposti fisici

delle sinapsi fecero da giudice,

 

io ti invoco,

 

scendi o dea dai mille volti,

 

il tuo gesto è scaricato dall’ira.

 

Ho perso il sonno

in questo sogno

dall’incenso adorante,

 

le storie non si inventano,

 

scendono da sé

 

come calzate da febbraio

accanto al rimario.

 

Parlami un po’ di te

e delle passioni,

 

io ti invoco Brigith,

 

e mi scordo della 7up.

 

Le ombre della polvere

umanizzate dal soffio di vento,

 

oh passione, passione eterna,

 

rigira l’ LP da te

in mancanza di THC.

 

E la musica va.

 

Trallallero trallalà,

 

banalmente ti amo,

 

dimenticando i fiori.

 

Due o tre parole,

un tiro,

ti adoro Hathor delusa.

 

Ah!

 

Son coriandoli

i tuoi,

buttati all’aria,

vibra il suono,

penso o no,

la mia base musicale

che si perde tra i grovigli

di storie serie

e mai inventate,

 

sentirai la verità che ascende

quieta fin lassù,

dammi il mi, nel bel sì,

tutto fatto alla rovescia

 

e lo dico, ti sei svestita,

campata in aria la pretesa,

e non val la pena sprecare

altri fumetti se fai l’indiana

sulle scale tutta dipinta

tra le tue stesse brame,

 

ok, d’accordo va bene,

scacco alla regina.

 

Ah! che bello il riporto!

lo stavo aspettando

in questa realtà frazionata

 

quoto perfetto,

 

e non parlo del social network.

 

Ah! che bello l’inverso!

 

Lo componiamo

e poi facciamo il reverse,

 

credo che così ti senti perfetta.

 

Questo è il ricordo,

da sfiorire e da capire,

poi aspetto Godot,

poi mi perdo

nella tundra adagiata a dessert del desio,

 

e siamo alla frutta.

 

Questo è quanto,

 

suggerimento,

 

ascolto ancora,

quel folletto,

gira nella mia penombra

il monacello un po’ ubriaco,

è prima mattina,

pensa al tempo,

 

non ci sento

e non penso.

 

Ah! marasma perfetto!

se lo dico e scrivo

ti oscuri e dai senso

al flusso di parole,

ulissico e filmico,

 

ciak al primo arrivato.

 

Ah! che bello così!

Dai non ti spostare

dall’asse cardinale,

vedo che ci sai fare.

 

Questo è quanto penserò

quando in silenzio per non svegliarti

me ne andrò,

 

e non è un tabù,

 

che ne parliamo a fare.

 

Te lo dico così

 

L’antropologia culturale

dell’atomo di idrogeno

che esplode per contorno,

forza, dai, continuate

che le storie sono semiserie,

c’è il fondo di verità nella follia,

puoi pure rimarla.

 

E cosa vuoi che dica del mondo

che mi aspetta,

delle persone che passeggiano

indifferenti e dispettose,

tal altre vanagloriose,

piene di sé e senza rimpianti

cancellano con un colpo di spugna

la gente che diventa fluorescente fluido

da rigettare per i gomitoli di lana

che non sanno tessere o aspettare.

 

Te lo dico così, senza pudore

e farneticando un po’,

 

la folla che ostacola i miei pensieri

mi sta in sordina

se penso fremente a me stesso

incandescente e pronto

ad esplorare ciò che voi non sapete vedere.

 

Un’altra apparizione,

la madonna e la pietas,

nella tundra oscura

 

una ragazza che addomestica

la lonza, la lupa e la leonessa sbronza,

 

le rivoluzioni culturali

seguono soltanto la stima

della musica

e son frutto di una realtà sfiorita.

 

Cosa pensate che vi dica

 

se non c’è più fiato dalla mattina?

 

Sono un semplice balbettante

dinanzi alla verità divina.

 

Che dolci illusioni atemporali,

 

ah! che passioni!

 

Il pensiero nuovissimo

non lo riesco a scorger.

 

L’epoca della vendemmia

è giunta all’ora terza,

 

pensaci un pochino,

se vuoi faccio l’inchino.

 

Sei un miraggio come reggia diroccata

 

Sei un miraggio

come reggia diroccata,

la tua immagine che riflette

sul mio corpo

e vive ancora in me.

 

Sono in un giardino fatato

appisolato

mi immergo nel verde

ma non dimentico te

che sei in ogni cosa

stupore e disincanto.

 

Ho una vertigine

 

assurda

e mi viene la voglia

di ritornare a un passato

indefinito e lontano.

 

Un sapore disperso

e spaurito sono ora io.

 

Nei roveti roseti turbati

e tanti diademi trapunti

dalle dodici costellazioni

ed immensi come un retrogusto

d’infinito sono i giorni miei

che trottano a ridosso

di un eterno ritorno.

 

Nella foresta nera

un’atroce rimessa di fiati

che accordano la voce

ad ogni tuo passo felpato,

 

come pioggia il manto

che hai appena tracciato.

 

E come vorrei fissare questo momento

su filigrana

ma passa il fluido nascosto

del senso della parola

ad una velocità superiore

alla luce

ed ogni tempo si confonde.

 

Piove

 

Piove

sulle tamerici riarse

dal tempo perdute

e dal senso delle tue parole confuse.

 

Averti è ormai il passato

ma sei atroce.

 

E sento che non c’è più

il verso di ogni lacrima

che ha perso direzione,

 

ti schiarivi nell’autunno

mentre l’estate mi aiutava

a conoscerti ma come eri

e sei veramente

lo avevo solo sospettato

 

e, credimi,

fa troppo male

il sole del mattino

quando sveglia tu non sei più

al mio fianco,

 

e ignorami,

inventa un’altra scusa

ancora ora

che non siamo più insieme,

 

spreca una parola maledetta

ora che non mi puoi far male

perché ho già sofferto

e questo non lo puoi sapere.

 

Piove ancora

nel campo dove i fiori

germogliano malgrado te.

 

Averti è ormai

solo un sogno

ma adesso che non ti ho

più al mio fianco

forse

potrebbe essere il futuro,

 

un sentimento che sgusciava

via dalle mie mani

e credo che era solo un sogno.

 

Piove e non so aspettare.

 

Aspetto

 

Ma sono solo fitte speranze

quando respiri piano

appesa a un punto di domanda,

oppure all’angolo di quella strada,

 

così, giusto un po’ immersa

dentro i tuoi pensieri

mentre un attimo di sfuggita

mi guardi,

 

come un passante che attira attenzione

chissà per quale misterioso rito

ti ascolto e ti sento

a me un poco più vicina,

 

saranno gli occhi

o forse il tuo cappello,

sarà il tuo volto

che sembra da ragazzina,

 

così, dicevo,

ti ho più vicina,

 

guardi l’orologio

come fosse l’ora determinante

in un rapporto

e poi ti accarezzi

il polpaccio con la suola,

 

guardi a terra rimuginante,

è solo fiato sperso tra le piante,

credo sia questa la tua conclusione,

 

scisso lo ione come fosse

indivisibile iato,

 

sillabeggi come fosse niente,

e me ne accorgo dal tuo dito

sospeso

che come in bicicletta ondeggia

e divide con sapienza

le mie parole in sezione aurea,

rispettando metriche duecentesche,

 

è solo un attimo per le chiare acque fresche,

adagi infine il tutto su un pentagramma,

il rigo musicale lo leggo

e un po’ mi piace,

 

ricorrono le stesse parole

ma le note sono così disilluse

da farmi sognare di andare distante,

su una nuvola lontana

o in altri paesi,

 

lo vedi che non ti sei arresa

e neanche io,

è un balaustrino che ci rende

perfetti

 

leggendo le nostre balbettanti

imperfezioni

ed una nuova marca,

un marchio,

un simbolo od altro

racchiuso dentro al libro,

 

per pudicizia sempre chiuso

e sigillato,

me lo porgi con longhissima manu,

sembri avere ius vitae ac necis,

 

che bello quel pensiero di rivolta,

giochi col fuoco, cara,

e si sta facendo sera,

 

in piena notte so che leggerai

o con un dito in bocca solo immaginerai,

 

e giro l’angolo

e non mi hai più in traiettoria,

ogni balistica è stravolta

dai tuoi sguardi

 

che piegano palazzi e sassi,

 

in un attimo è la confusione

che ti raddolcisce,

 

ma poi sicura prendi

e sfoderi la spada triste

dalle tue labbra in movimento inclinate,

pallida e dolce in un secondo,

 

e te lo dico topomasticamente,

non ci giro attorno a quell’intorno

costruito, ma come fai a pensarci?

miri il dito ormai trafitto,

sembri morente quando tutto

è chiaro,

su per le scale del gaudio inesistente

e vago, ecco, vedi,

sei sullo stesso piano

e non ti inclini

con la metafisica di un autotreno,

sei irrigidita ma sorridente,

hai solo un attimo per i pensieri in fuga

mentre ti sento trottare e roteare

come dardo astrale.

 

Comunque se non vuoi è lo stesso.

 

Come ti posso contenere

con la musicalità delle mie povere

e sempre le stesse parole?

Potrei provare a disegnarti

se il tuo volto non mi sfuggisse,

ma in ogni istante di questa primavera

anticipata germoglia già il pesco

e non te l’aspettavi,

 

germoglia dalla mia finestra

e giuri che non ci credevi,

con un atteggiamento sbarazzino

sai socchiudere e lasciare immaginare

le porte del destino,

 

amore

è come mandorlo confuso,

verrà il giorno e avrà il tuo nome,

impresso sulle soglie in declinazione,

santi numi mi pensi!

 

è tutto appena appena sperato

e nato,

mi sai confondere

e come te poche ci riescono,

bellina mia, mia dolce,

per te sta calando il sole,

per te le stelle e la falce di luna

che sorride beffarda ma silenziosa

e fissa ti guarda e sa capirti,

 

ecco che scende la scala musicale,

con la chitarra proprio mi vuoi cercare,

guardi diritto e sai di avermi trovato,

ma poi ti fermi e non sai finire

 

e così dici ho poco da spartire

con i miei stessi spartiti

che viaggiano da soli,

partiture come flussi di coscienza,

 

è l’attimo della tenerezza.

 

Comunque se non vuoi è lo stesso.

 

Ah! o mio dio!

 

La musica governa

ogni evoluzione culturale,

e così lo puoi capire,

adoremici che credete nei numeri

senza contare nella loro

intrinseca unicità sonora.

 

Non credo sia dedotta

la frase che ho scomposto,

Hegel era un coglione,

Aristotele lo sa pure fingendo

che ad un certo punto l’uomo

si fermerà,

ma credo, e qui Darwin non lo sostengo,

che non è mai iniziato

un mutamento

che la realtà è unica

nella sua staticità.

 

Ah! o mio dio!

 

Fingendo indifferenza,

la tua incredulità mi fa un baffo,

sai.

 

Non mi tange la tua stupida verità,

gli ideali, il matrimonio e la famiglia,

che realtà imborghesita e monocromatica.

 

La benedizione fa un ammicco

alla reale condizione di castità,

 

ci credi per davvero all’inscindibilità?

Le tue rivelazioni a mezzo tono

sono sempre le stesse.

 

Che pensieri sociali,

odio la società preferisco

una comunità d’intenti

non viziata dal pregiudizio dialettico

della tua imbecillità parascolastica

e parascientifica.

 

Ah! o mio dio!

Ci credi veramente?

 

È una follia la mia vita,

ma mi sta bene così.

 

L’evoluzione culturale

dipende dal tuo gusto musicale.

Non credere neanche un attimo

di poterne fare a meno,

 

è la sfericità delle iperbole sonore

come Venere strabica

che ti rende perfetta.

 

Ah! o mio dio!

Ci credi che basta un dito.

 

Ah! o mio dio!

 

Piccola Selene

 

Gli odori soffici

della nuova stagione balbettante,

appena appena stonata.

 

Gli odori

mi invadono le sfere eteree.

 

Passeggio tra le strade

gustando infusi di marzapane,

in sul monte della verità

rivoluzioni eterne,

 

c’è necessità di incubi svelati

per divenire esseri entropici dei sogni.

 

Gli odori dal vento cullati

nel mondo inclinato

di questa dimensione

di cui non sempre vediamo

la sfericità imperfetta,

 

sto bene senza,

dici impiegata come un bosone solo,

 

questa frase è falsa.

 

Gli odori della realtà di Maya.

 

Pulsazioni destromani

e perversioni mancine e strabiche,

 

qual è la verità?

nulla indulgentia sine scientia.

 

Custodi un po’ stolti

dei misteri egizi,

introiti in sé incupiti.

 

Gli odori dal senso svelato nel verbo.

 

Gli odori per te piccola Selene.

 

Bacio di Giugno

 

Quando il sapore del canto inviolato

stringeva nel volto

una nuova incursione

del logos che dal fiato

come indomita brezza

portava al concreto

io stesi le parole

e rimasi in silenzio

ascoltandoti ancora

pronunciare le tue superbe

dolci effusioni.

 

Era di maggio

oppure di marzo

che il tempo stringeva

ed andavi veloce,

 

più chiara ad ogni incitazione

ed era solo l’inizio del vanto

e notte si fa.

 

Tu mi premevi il corpo

col ventre dicevi

parla ancora

ma io più mi chiedevo

e più non sapevo.

 

Era una storia scalfita dal fuoco

e ora è solo un miraggio autunnale,

una scusa,

qualcosa che non so più ricordare.

 

Stringimi più forte

dicevi invadente

ed io lo feci soffuso

a palpebre dischiuse

 

mentre il canto proseguiva

ed io imbavagliato un accordo

continuavo a seguire.

 

Era il sapore

del bacio di giugno

o un precluso venir mano mano

nel senso di questa attuale,

spietata eppur incantevole primavera

che i fiori rinchiusi liberare mi fa.

 

Era o è,

cosa mi dici al trasbuardo

 

era l’ultimo sguardo,

una storia che nella genesi

trova l’epilogo,

 

era o è ma così è sempre stato

mentre cambi aspetto,

pure tu coperta dalle viole

o dal pesco,

 

era di marzo,

era che il giugno fiorì.

 

Io criptavo messaggi segreti

e tu li decriptavi paziente e indolente,

dov’è l’arpa? dov’è il pizzico o il volo d’augello?

dov’è il mantra incastrato?

oppure dov’è il mio rimario?

 

Fa un po’ tu,

io resto sullo scoglio a guardarti.

 

Era di giugno

e non me lo scordo

se il marzo inviolato

è passato col rosso.

 

Goccia di te

 

Una goccia di acido acetilsalicilico

nella mente in giro solforico,

ogni cosa a collo di bottiglia

tra le mani agitate nella soluzione.

 

Un ricordo inconciliabile

con la tua celebrale iperattività

ma non mi rispondi se voglio cercare

la fonte imprevedibile

dell’elisir filosofale aureo,

 

come dall’imbuto su posto fluisce

lo scritto di ogni libro

e il certame di ogni libero pensiero.

 

Ecco là, ecco lì,

che si può continuare anche solo sì o solo no,

comunque trovando le risposte

a quello sconfinato mondo

che hai dentro sopito

e che si vuole risvegliare.

 

Pensaci ancora!

 

Suvvia inoltrati

e non aver paura.

 

Ciò che poi nascerà

dal mondo nostro sepolto

non è ritrosia imperiale

ma sapienza sesquipedale

e chiara come la tua mossa fulminea.

 

Abbracciami!

 

Suvvia lasciati andare.

 

Penso a te ed ogni cosa

è stoltezza e miseria.

 

Penso a te ed ogni rivoluzione

è fatta solo a tua immagine

e simiglianza.

 

Penso a te ed ogni intrusione

è solo vispa abbondanza.

 

Penso a te!

 

Ciò che è in subbuglio in me

è frutto del tuo sguardo introspettivo

e di ogni cosa che riguarda il volto

e te,

 

l’aspetto linguistico

di un gioco intramontabile.

 

Poi improvviso un raggio di sole

e un incontro desiderabile

e post meridiano

e direi telepaticamente sconnesso.

 

Adorabile!

 

Scaglia ogni vuoto inesistente

perché stracolmo della tua

magna intelligentia

 

quasi al di là di ogni umana comprensione,

potresti anche stare in silenzio,

intuirei comunque il tuo verbo

perché spirito della tua immensa

apparenza manifestabile.

 

O sì o no

è questo il dilemma,

 

scegli un teschio per porti

sul baratro,

 

ma non sai e non vuoi varcare

il confine se trapunto

ed infestato da insuperabili spine.

 

Ciò che per me rappresenti

è l’oltre limite,

è il limite di ogni destino

ridotto a cenere restia

ad ogni insensato mutamento,

statico è il tuo essere divina.

 

Penso a te e si apre il cielo

perché sei in me

ed al di fuori

mia illuminata rappresentazione.

 

Penso a te

e credo fermamente in me.

 

Penso a te

e spero solamente

in un tuo inclito sguardo traverso

e perciò stesso immenso.

 

Penso a te!

Ciò che ascolto dentro te

è la paura del domani dileguata

e fondata su un pensiero

che irriducibile affonda

ogni flotta avversa

e la rimette a pacifica resa

intermittente del tuo saluto

in me gaudente.

 

Profumo di pollini altezzosi

 

Potrebbe essere vera la conclusione

in confusione,

le spiagge già dicono di sì

con brezze primaverili.

Potrebbe essere anche vero

che sull’asfalto si intravede

la luce della concupiscenza

e flotte ingiallite di sigarette

e gomme atomiche

di stile corinzio come colonne

piazzate a punto fisso

su un filo di Arianna

piantata in Nasso e solitaria

sull’isola mentre assurge il drappo nero

e il Minotauro si rincresce

dell’accaduto attendendo soluzioni

o continuità

curvo e spaurito

alla fermata del treno,

 

regno mai più violato.

 

Il profumo di pollini altezzosi

incupito dal vuoto dei tuoi silenzi,

silenzio alessandrino

e in codice mattutino

di finte speranze

vendute a poco

su piazze giganti e restie

a compromessi dialettici e immensi,

sviliti, traditi.

 

Le mastodontiche sentenze

dinanzi a un rifiuto

smantellato d’assenzio,

 

le prime scorie di basalto

pongono assedio.

Il pianto si confonde

col clamore

 

e si accende di soppiatto.

(Le guardie in tenuta da spola

guardano intralci alla deriva generale).

 

Nel porto un sapore ditirambico,

sguardo nuovamente perso

alla tempesta

che si affaccia in orizzonti troppo lontani,

è solo apparente la momentanea quiete,

sogni mai sfioriti e divertenti,

prorompenti.

 

Lo zoo di Berlino

 

Io ascolterei

il lento soffuso tepore di te

in quanto piangerei

vedendoti ancora.

 

Io annuncerei

motivi di strada

perché la tua essenza più non svanisca.

 

L’ago trabocca un poco interdetto

e scende a lambire la tua pelle svilita,

la ascolto e ascolti anche tu

la mia melodia, la vivi

al di sotto di ogni vera passione.

 

Io spenderei

altre due parole

perché in preda a questa mia follia

ti veda ogni giorno

nei miei gesti puerili.

 

Io continuerei

per farti pensare

ad un anarchico Nietzsche

che fissi atmosfere

e con i miei occhi ti squadri.

 

Riascolto di nuovo la tua voce,

vanagloriose memorie sospese

che raccolgo da inutile stilita

ritirato sul Monte Ventoso,

ogni sua incitazione

mi freme nel cuore

al punto che non la so più scordare.

 

La sento e si trascina sotto pelle.

Ancora,

sì.

 

Il pensiero è senso

 

Ho posto condizioni

in giorni a ciò protesi,

descrizioni minuziose

di mosaici in sé imbalsamati.

 

L’atmosfera è incline a rendimento,

tra le viuzze dei tranvieri del triumvirato,

cardi e decumani attendendo

i passanti stanchi.

 

“Dixerat astrologus

periturum te cito,

nec, puto,

mentitus dixerat ille tibi”.

 

Il pensiero è senso di Diocleziano,

dei compendi e delle istituzioni di Gaio,

Giuliano è l’apostata del significato

ed è imbronciato

nel contemplare divinità silvane.

 

Platone al centro del discorso

scambiando le battute

tra i salmi della Thorà,

prendendo posizione

tentennando un po’ all’inizio

e poi sciorinando versi di Ovidio.

 

“Ecce, recens

dives parto per vulnera censu

praefertur nobis sanguine

postus eques.

Hunc potest amplecti formonsis, vita,

laceris?”

 

Vero e ci credo

 

Il vento tra le finestre,

mille colori la primavera in città,

per le strade ragazzi a giocar,

pochi spiccioli in tasca.

Vero e ci credo

 

che la tua essenza trascenda

l’umana comprensione

per la bellezza che comunica

a chi ha occhi per guardare,

 

il tuo volto intrepido

dagli occhi vispi e sognanti.

Un tempo eri mia,

amica di ogni giorno.

E il vento continua,

 

un brivido caldo dietro la schiena,

sembra spingermi a buttar giù

le tele per guardarci di traverso,

il vero essere di te.

 

Nei tuoi jeans e nel capello

un po’ scomposto,

nel tuo corpo

di quando eri

cinabro tra i capelli,

 

più ci penso e più ti immagino,

ogni lingua tremando muta

si pone ai tuoi piedi

e la diatonica diventa

stupore universale.

 

E quando chiacchieravamo

all’ora di rientrare

era notte inoltrata e già lo so,

non fummo mai prigionieri

delle convenzioni

né lo siamo tuttora,

 

io e te unici al mondo

sincretisti senza aporia

di leggi universali,

 

coscienti almeno

per pura spinta spirituale

del Karma che ci governa

e invade tra le nostre labbra

in visibilio

che fremono amore.

 

Il vento è irrefrenabile,

urlo soprano

sulla settima corda

per precedere la nona,

 

una quinta diretta

con grazia tra le tue mani,

 

e sì, raramente ti incontro

di sfuggita ancora,

anche se il mio verbo esulta

è difficile comporre parole

dinanzi a tale specchio ribelle.

 

Rimarchi la pretesa

 

Rimarchi la pretesa

nella duplice scoscesa

spiaggia ondeggiante

tra le prove e tra le bisacce,

 

le mie tasche.

 

Puoi dimenticare

oppure non fiatare.

 

Chiedi scusa,

posso passare,

due lire tra il crinale,

nella guerra persa dalla pianta

che protende rami al cielo.

Puoi passare,

 

ok hai voglia di gridare.

 

Hai il ricordo impresso

come cartongesso nella mente,

gomma pane ad impostar

la voce senza vocale

impronunciabile e vitale.

 

Nell’aria rarefatta

ti pieghi tracciando

la circonferenza

e senza dualità cominci a fumare.

 

L’inviolabile dittongo

è un miraggio nel giorno afoso

ed infossato,

 

un po’ carino mia biondina

dai velati arpeggi inconsistenti.

Ok parla pure,

 

ma giusto due parole.

 

In ogni verso scorre

senza resa il flusso illusorio

del tempo.

Scaturendo in sensazioni,

 

vai aleatoria,

con la tua unicità superi

le tue stesse insicurezze.

 

L’elmo in capo

è corona d’alloro

nella pax universale,

triplice ardente stuola sola suola

 

capovolta nel trittico intonato,

la musa e l’atomo si scindono

in energie sovrumane,

 

più del vuoto può il sussurro

dell’amore tra le grondaie festose.

 

Le passioni che riponi

si tramutano in legge.

 

Distrattamente

 

Distrattamente

tra la luce della finestra

speravo in una futura ascesa,

 

primavera due o tre pagine

della mia stessa chimera,

 

sogni sfiniti sui libri.

Forse mi chiedevo

se l’inverno è valso a qualcosa,

 

forse non sapevo

ciò che so ora

che sono in confusione.

 

Ti guardavo con occhi puri.

Parlarti non ha oramai più senso

nei miei deliranti discorsi controvento,

 

parlarti era un po’ tutto.

 

Ora tu non sei più la stessa

mia cara,

non sei come ieri.

 

Distrattamente sporgevo

lo sguardo più in là del monte,

le storie velate,

le tue splendide trame.

 

Forse era il dominio tuo

eguale sul mio,

forse non era l’ora,

ma ti ammiravo.

 

Parlarti era ciò che credevo

fosse vero

ma in preda al panico

nasceva la tua indifferenza.

 

E così non sei più tu,

e così non sei quella di prima,

 

di ieri,

 

dei giorni di splendore.

 

Non sei più tu.

 

 

Ciò che penso e vedo

 

Ciò che penso e vedo

è il ricordo di un silenzio teso

all’alba senza redenzione.

 

È quell’innaturale gioia delle persone

tra le mie dita.

 

È il buio totale nelle parole

a vanvera della gente,

è un dissenso come restio

all’intramontabile destino.

 

È  un rimbombo di tuoni lontani,

un fulminio di auto usate e consumate

come tamburelli zingareschi

ed eclissati dal tempo

in cui non c’è più bisogno di senso.

 

Sì.

 

È un po’ un essere desto

nelle notti in bianco

 

è un po’ un dimenticarsi di dormire

vivendo nel tepore,

girati come girovaghi nel letto

ad inumidire gli occhi.

 

Come il passare dei giorni

e l’offuscarsi dei sogni,

come un incubo in realtà mai

così denso

e le glorie di delirio folle

ed infine il suono lontano

di una viola come unica cosa

che resta all’estate che si appresta

e già scioglie la veste

rovinata infondo al mare.

 

 

D’altronde

 

D’altronde

questa baraonda notturna

è influsso lunare sul mio umore.

 

Nell’incandescenza spiritica

un che di spirituale

 

nel flusso notturno in subbuglio.

 

Nella temperanza dei tuoi occhi

accesi come foco,

ci basta poco per volare

su strade trascinandoci

a colpi di libeccio etereo,

 

non c’è la giusta premessa

ma la creiamo nell’evasione.

 

Credi pure a ciò che senti,

non dar peso alla vista fugace.

 

Credi pure alle sensazioni,

 

lasciati andare.

 

Credi pure al di là di ogni immaginazione

e con sapienza sguscia

tra le parole col tuo far felino.

 

D’altronde nella confusione

pensavo intensamente

ai tuoi sguardi abbaglianti e puri.

 

Nell’entusiasmo si incendia

lo spirito amante.

 

Nella verità raggiungiamo

i più impensati sentieri della conoscenza,

 

non c’è spazio per ignoranza

o errore fatale.

 

Credi pure alle mie illusioni,

sono il senso,

 

l’unico reale.

 

Credi pure alle deduzioni

dal particolare nasce ogni giorno

un fiore sbocciando irreale

come germoglio tra i nostri discorsi.

 

Credi pure a tutto,

 

credici fermamente.

 

Dopotutto è questa la strada,

l’incubo non ci avvolge,

non ci tocca

ma sfiora sul filo dell’abisso.

 

“Sicut amaracini blandum

stactaeque liquorem

et nardi florem,

nectar qui naribus halat,

cum facere instituas,

cum primis quaerere par est,

quod licet ac possit reperire,

insolentis olvi naturam,

nullam quae mittat naribus

auram, quam minime ut possit

mixtos in corpore odores

concoctosque suo contractas

perdere viro,

propter eandem rem debet

primordia rerum non adhire

suum gigundis rebus

odorem nec sonitum,

quoniam nil ab se mittere possunt,

nec simili ratione saporem

denique quemquam nec frigus

neque item calidum

tepidumque vaporem,

cetera, quae cum ita

sunt tamen ut mortalia constent,

molli lenta, fragorosa putri,

cava corpore raro,

omnia sint a principiis seiuncta necesset,

immortalia si volumus subiungere

rebus fundamenta quibus nitatur

summa salutis;

nec tibi res redeant

ad nilum funditus omnes.”

 

Da sopra a un albero

 

Da sopra un albero

traccio l’incoscienza

e l’anima la sento

nell’applauso e nella gloria sfinita,

 

parlerò ancora e ancora mentirai

guardando questa scena

come spettatrice esterna,

 

sarai in preda a questo spasmo

tutta dipinta di fragole

 

e di albori nati da poco.

Dall’abisso

mi vengono idee testarde e inutili

 

clamori che vanno

man mano in disuso,

 

frasi sconnesse eterne estese

lacrime dal punto di domanda

del tuo fare interrogative retoriche

 

mai così vive

come quando fuori piove

o trama tra le squame bagnate

e traspiranti dell’assenzio.

 

Banalità ripresa che distrugge

ogni correre qua e là

tremiti intensi

tra vespri e libertà,

 

due nastri grigi tra le labbra e la follia,

soffici bolle decorate

al mio maggiore incanto stonato

e posto come idea

dalla tua veste scintillante

più purpurea dell’intenso

 

scadere tra pagine fenice.

Non fuggire tra i cespugli

e i cespiti ingialliti,

 

non sfiorire

mia eterna unica follia.

 

Poi in silenzio ti prepari al viaggio,

non hai sincerità che possa chiederti

a quando ma soltanto quell’intensità

che porgeva adolescenziale

velleità

a tratti di spuma

 

e resta lì sospesa

a vanità

 

nello specchietto riflessa

e santificata

 

con l’incenso del perdono,

 

nel mio ricordo frutto

di doni imbiancati.

 

Inutilità paonazza posta un altro ciao

tra il cablaggio stanco

di inestricabili domani

vissuti già da oggi

da questo istante che già piange

coperto delle velate ortiche

che incutono timore nel buio

del tuo cenno turchino

 

occhi ormai dimenticati,

vai via davvero

 

e non so decifrarmi più.

 

Non fuggire come cerbiatto tra i licheni,

 

non sfiorire mia inutile verità.

 

Chiuse le porte della conoscenza

 

Chiuse le porte della conoscenza

spalancate nella prima metà del secolo

per coscienza,

 

nel tepore lunare mi svestivo.

L’erba della quinta ondata

sparsa nella celebrale dialettica entità.

 

Credo nella mia incoerenza

con tanta clemenza,

 

credo a volte a ciò che dico

per temperanza.

 

Sapori deliziosi

nell’alabastro delle coppe,

miele mischiato ad ambrosia

per colorire il senso,

 

la mia vera personalità

nel fumo della stanza incalzante

 

e musicata.

 

Credo che questo pensiero

sfiori corde dissipate,

 

credo per sentito dire

all’anima del mondo

 

che come vortice in ascesa

risucchia lo spirito

della resa ad occhi chiusi

e fantastica nell’assurda meditazione

sul cobalto,

 

presenza intensa

di ogni promiscuità eclissata

 

dalla purezza del tuo sguardo

e del tuo strano cenno.

 

La passione

 

La musica col suo riverbero

ha spaccato,

nella penombra del mio passato,

 

comunque le sensazioni

sono all’ottavo grado

nello sfinito astruso mio fiato.

 

La passione è un’illusione

che vampa con grazia innaturale

e accende un fuoco indissipabile

sulle nostre sensazioni.

 

Nelle tue dolci lentiggini

da fiore sbocciato sei protesa

verso confuse irrealtà,

 

hai bisogno di svelarti come sei

o rimanere chiusa nel tuo guscio

inaccessibile e misterioso.

 

La passione mi manda in confusione

e stordisce come intatta

sul tuo volto,

 

tiene un po’ di tempo preso al volo.

 

Il fumo sulla cattedrale

pensando all’oggi,

parlare all’inverso

di Baudelaire e dell’assenzio.

 

Il baldo sul fuoco

Il bardo in bicicletta

timido

Dilan Dog.

 

Sembrare un po’ assorti.

 

Assopirsi.

 

La passione che sfiorisce

è il nostro sommare intenzioni spoglie

e tiene viva la pretesa

della nostra vita intensamente

e un po’ ripresa.

La passione primordiale non perisce.

 

Per te

 

Il quesito scucito

e preciso.

 

Le civette affacciate sul parquet

domandandosi a tratti perché,

 

la ragazza spara,

ha già dipinto il vestito

e si è scurito il viso

 

del dilemma cavalcato

nel lemma aforistico e senza pietà,

 

potremmo sognare,

continuare a farlo,

 

residui della vecchia guardia

a fumare sorseggiando vodka

come fosse caffè,

 

forse erano le tre.

 

Per te.

 

Il fiore ormai è trapassato

ed il moderno è quello che era stato,

 

dolce la fragola nel gin

accompagnata col bignè,

 

santi sono i numi,

canti sono i lumi

tesi in inversa processione

 

audace sulle mendaci trame,

 

questo è il punto

o Lou von Salomè.

 

Con le bastardate i caini del sufflè,

con i piedi nudi in ascensore

scavalcando il giocoliere

che fa a pugni con me

tra dardi e birilli sordi

come trilli,

 

poi all’improvviso un’ ombra sul tuo viso,

 

disse qualcuno,

 

vasto il melodramma

della mia volgente flemma

all’interno dei sogni

 

e allora se è per te

sono al corrente del dessert,

 

visioni si materializzano

nell’inconscio ormai deriso

e io sono qui per te,

 

e piove.

 

Per te, per te.

 

L’alba era rinascita

ma la nuvola mi fa capolino

e l’alma nel mattino

piange attendendo la sera

nello stesso istante in cui parli di me,

 

l’intervista al rostro imperiale,

 

parlare con oltraggio

senza aver timore reverenziale

e ponendo sotto i piedi

il sordido principio d’autorità,

 

ecco tutto questo è per te,

 

potremmo scriverlo

o magari masticarlo

ovvero sorseggiarlo un po’.

 

Per te, per te.

 

 

Cromatura dark

 

Parlando a briga sciolta

nel deserto infausto

del silenzio e del tormento

trovo te.

 

Come stai? Che fai?

È l’età la tua dualità!

 

Va be’ diciamo se l’intenso

inverno si nidifica

e le tensioni moltiplica.

 

Ok.

 

Vai così,

 

strofinio.

Da beata fonte

sorge il mio languire,

 

Artemide è già qui

e tu in ritardo sacerdotessa sei,

volessero gli dei

mi ti ci penserei, vorrei, farei,

 

sciogliti nel gesso.

Cromatura dark.

 

Mi basta già la penna

che possa scrivere

e te con i tuoi urlettini audaci

amore mio già sei

perché dicesti lo dipingerei

 

il volto tuo su filigrana

e tu compari e vai,

ti spargi nel via vai,

ripetizione danzante sei.

 

Bagliori.

E puoi partire

 

con il biglietto obliterato anni fa,

che dolce sei,

che belli gli occhi

per cui perdo il senno,

 

ed è tutto ok.

 

Io ti guardo

desossiribonucleica mia,

 

sei proprio tu.

Ok, lo so che gli anni passano

e come cicatrici qualcosa lasciano

e la partenza ormai incombe

 

su, non fossilizziamoci,

un cambio c’è.

 

È tutto ancora ok.

 

Momento propizio,

Cromatura dark.

 

Vai così sei perfetta

nella giravolta che maledici

e fai lo stesso in vertice

e muretto scavalcato

schizofrenico l’ardire

un po’ frammentato

dei nostri progetti protesi

verso l’attimo

 

che ora rappresenti ed è.

Cromatura dark.

 

Come stai?

Sciogli la neve,

 

piove già mentre ti asciughi

il colore dei capelli e pensi a me.

 

Va bene così?

Mantengo l’elastico

mentre ti snodi e fai.

 

Già troppo dai.

 

Te ne ravvedi

ed eclissi tutto sul rimmel.

E come va? È così ancora?

 

Tu sei splendida stasera,

manca qualcosa,

un nome o una persona

 

ribonucleica.

 

Serata splendida, ok,

va bene,

 

sei fumante ed io ti ammiro.

 

Aprile 22

 

Ciao, mi faresti accendere per piacere?

tre litri atroci,

due spose e tremila deludenti,

scadenti tridenti per sognare

notti al mare, lascia stare,

fra le scuse nelle frasche

sono a respirare aria

da centro sociale,

 

sale sulle scale

delle tue vocali

la mia mano intrecciata

dal legame intenso del senso.

 

Vedo, ciò che vedo,

 

fallo, ti prego, ci spero,

non trovo pace

nelle discussioni intramontabili

mentre ti penso,

 

sei densa come erba,

ti sgretolo tra le mani,

 

preferisci se faccio subito

ovvero aspetto,

 

d’accordo.

Pensi, tu

davvero,

 

ti rincorro per averti in cartolina,

risentirti mentre scruti la mattina,

 

i tuoi piedi intorpiditi nel risveglio,

tra la nebbia delle mie sigarette

ci credi,

 

strizzi l’occhio

come avorio è il braccialetto,

 

l’estensore ti strofini

e dici mai mi alzerei dal letto,

vorrei dire le assonanze vespertine,

ripetute come respiri del male,

mi concentro ancora per due ore,

 

sei davvero complicata con stupore,

guarda fuori come è bello

fa capolino il sole,

se rimani ti richiedo,

vuoi restare? è aprile,

se sul bordo della sera

facendo un altro tiro

ci pensiamo,

 

abbiamo navigato troppo

con la fantasia,

 

o forse no,

mi sai dire il giorno e l’ora

con precisione,

 

si sottende ad un pensiero

ma si stende una vocale sul sale.

 

Io ci penso ancora, anni tanti,

ci vedo ancor quel poco di tenebra,

 

i nostri sogni apocalittici

e gli uguali segnali del destino,

ti direi ti amo, ciò che voglio non so.

 

Io ci penso ancor

a quel raggio che sei tu,

 

un raggio oscuro che investe

e tutto copre con dolcezza

e delicatezza,

 

col tuo solito fare moine

ed effusioni rinate

come catene che apri

e poi richiudi

nelle occupazioni notturne.

 

Ciao, per favore,

mi sfioreresti le labbra

con la tua solita grazia? prego,

sono pronte,

 

manca poco ad un intrecciarsi

di illusioni, sia gentile mia amata,

lo faccia subito,

 

bevo un sorso

mio angelo azzurro

pur inumidendo il resto

 

ma è un residuo del mio nulla,

allora? Sei pronta?

 

Caravaggio sembra

l’incisione del mio cuore,

tu come sei precisa questa sera,

 

ognuno di noi ha da fare,

ma adesso per favore

non ci pensiamo,

 

proseguiamo con le prose liriche

in chiaroscuro,

che docile, cominci a danzare

 

ma sei pronta ad azzannare

le mie labbra come fossero ciliege,

miele,

 

ok, d’accordo,

leggi ancora

manca solo qualche ora.

 

Io ci penso,

ci penso tanto

ed è assurdo lo so,

 

ci penso per ricordare le strade.

 

Io ci penso ancora,

 

ci penso per guardare

i fari delle macchine

e le dita ingiallite

dei freni roventi

sulle sabbie mobili del tempo,

 

ci penso.

Io ci penso

 

come se attraversassi

il sentiero dei mie giorni,

 

vapore l’erba si consuma.

 

 

Nel trapassato soffuso

 

Nel trapassato soffuso

ricordo oscuro,

di pomeriggio,

l’afa ricordo ancora,

con il pensiero rivolto a te

 

ti ammiravo mentre guardavi

la leggiadria delle correnti avverse,

delle ondate iconoclastiche

di pietà mondiale e spirituale,

 

l’anima la tendevi già

verso l’infinito,

per le tue rose in pieno agosto

andavo pazzo,

 

eri la più bella,

sai?

 

Era ciò che poi è stato,

tu mi ascoltavi mentre fingevo

e ti porgevo la mia innocenza

rivestita d’amarezza,

 

il tuo ritorno al paleolitico ingorgo

imbalsamato,

 

non lo ridico per non sfiorire

ma l’attimo davvero ci fu,

 

poi si annidava sopra i nostri occhi

stesi nel godimento la passione

e ciò che restava della serenità,

 

forse è per questo motivo

che l’intento ormai è svanito

ed il tempo è passato

senza conseguenze

ma prendendo con sé ciò che resta

del mio tributo, o cara.

 

Una parola viene o non viene,

lì parlava l’umidità delle nostre labbra

esplose in un bacio,

 

sì ti pensavo mentre ti vedevo

ed era passato l’attimo dell’abbraccio,

 

ti adoravo senza gloria

come un forsennato

e il momento venne da sé,

 

ti desidero ancora, sai?

Ed ora che sono

all’ombra del ciliegio

e penso a quanto ancora sento,

 

le sensazioni vanno e vengono,

mille pulsioni mi rinvigoriscono.

 

Le tue splendide giunture

e il taglio degli occhi riflessi

come su specchi d’acqua bramo

 

perché sei sempre dentro me.

 

Mia cara, dove sei

scissa in prosa e trafitta

 

che sarai e che farai

senza poter mai più rinnovare

il cenno col capo

come quando dici no?

 

Ti desidero e lo ripeto.

 

Fuori da questo illusorio tempo

ci lambiamo ancora

 

come due scampati

all’ultimo sbarco della vita.

 

Perché non mi appunti

più le tue iniziali

e le conclusioni sulla pelle?

 

Hai steso il sogno un po’ sbiadito

e l’hai riposto nella valigia

pronta a partir,

 

all’improvviso ti ho chiesto

se il ricordo è più forte del pianto

e tu sorridendo hai chinato la testa.

 

Ed ora ti voglio più che mai,

lo sai?

Ci penso ancora alle tue stupende

sottolineature sopra i nostri manuali

da sbirciare come facevi

tu quando disegnavi distratta

e vanagloriosa.

 

La tua voglia era immensa

e non dimenticai

perché così è la vita,

 

ti imprime le parole

e i gesti su filigrana,

 

mi fa bene un poco d’aria.

 

Mia cara ora che si fa?

Dove è la verità?

Noi siamo legati da indissolubili trame.

 

Al di là del bene e del male

viaggiamo con la mente ancor,

 

sei qui?

 

Potresti uscire col vuoto della sera

 

Potresti uscire col vuoto della sera.

Non pensi di me per incisione statica.

 

Una soluzione ibrida e tenue,

un pensiero e un ricordo

come dissi e sempre dico,

 

un sogno desto

per illuminarmi di immenso,

 

senza paura e senza panico.

 

Siamo nati dal disdegno

del futuro intrecciato

con le follie della notte

che ricorda fiumi d’autostrada,

 

solchi tracciati e poi sepolti.

 

Parli.

 

Prepararsi con ritegno,

fare il bagno al mare

e non guidare spiriti avversi

affogati in tracce di benzodiazepine.

 

Bruciare di passioni mai arrese,

correre a perdifiato senza più fiatare.

 

Nell’ingorgo americano

cercare melodie londinesi

e sciogliere il ghiaccio nell’infuso,

 

intruso.

 

Ascolti.

 

Accendo una pall mall

e spengo il cuore.

 

Profumo di vaniglia

invade l’olfatto tramutato

il tuo sospiro in candido felino.

 

Duplice parossismo.

La carestia di parole ed i concetti,

 

guarda, sempre gli stessi,

avrei bisogno di mutare il trambusto,

di guardare fisso negli occhi

il mio gatto per ispirazioni

a perdifiato.

 

Come adulati dalla sorte,

in bilico tra cielo e monte

puntare il dito indicando

la prima stella mattutina.

 

Ancora,

 

stop.

 

Andare come un vaporetto,

forza scendi dal mio letto,

 

stai esaltando ciò che non ho fatto.

 

L’incrocio.

 

Lo sgorgo.

 

Canti mia upupa nella calura atroce.

 

Ah però!

Aspetto un po’.

 

La canzone

 

Sosteniamo quelle assurdità

leggendo noi stessi

per imparar a scoprire

il retrogusto delle rose e del lillà.

 

Spingo al massimo

l’acceleratore per calcolare

la tensione

nel momento preciso

del disturbo allo stomaco

come la colomba che vola

seguo la verità.

 

La canzone rispetta

la struttura moderna petrarchiana

e non respinge

la arcaicità leopardiana

della vacuità,

 

noi siamo sempre noi,

tu l’asso nella manica

 

sul molo a guardar le stelle,

io e te sul far della sera

 

dicendoci,

ti voglio.

 

Desidero una birra fredda,

assaggi la vendetta

con la calma lucida,

 

poni assiomi

che son fiori germogliati

come al cuore i chiodi.

 

Ti ricordi se mi guardi

con un bacio da questa realtà evadiamo

non l’abuso di sostanze

ma soltanto delle musicali stanze.

 

La canzone pian piano

si consuma sotto le gocce

violente della pioggia,

 

noi due non siamo più

una trinitaria stessa cosa.

 

La canzone sta sfiorendo

mentre il mio amore sta

gaussianamente crescendo,

 

e tu mia cara dove sei?

 

Tu dolce anarchica ribelle

che guardavi me mentre

ti ammiravo,

 

noi due che il rapporto hegeliano

servo-padrone

non ci ha fatto mai capire

chi fosse il governato

e chi il governatore.

 

“Agli ordini generalessa”.

 

“Son pronta mio unico ammiraglio”.

 

Quante amare delusioni

ma che intense passioni

nella nostra bohemien

vita controvento.

 

Quanti idola e quanta morale

abbiamo distrutto

per poi costruire

dadaistici valori

dai frammenti

ed approdare al nostro sogno surreale.

 

Quante quelle lettere ingiallite

e tu lontana mentre guardo

la luna che selenica risplende

sulla mia parete

e si rispecchia nei tuoi occhi cobalto.

 

Quel che abbiamo fatto

è talmente potente e assurdo

che nessuna forza,

neanche la nostra

potrà eclissare

o soltanto obnubilare.

 

Noi siamo stati e sempre saremo

quel che resta

del controverso mondo intero.

 

Continua

 

Continua,

scriverono e controfirmarono

le tre uniche, indissolubili, fuggiasche

e ribelli,

 

era l’estate ed io neoterico

mi approssimavo ad appoggiare

piani, idee mie

arricchendole di me

affinché fossimo

ciò che resta del futuro.

 

Molto futile l’incontro

ed il saluto della dama dagli occhi blu,

 

dolce ragazza crudele sbarazzina

piena  spilletta

etnica borsetta

 

e dai cani scortata

e tutta calata

percorse a ritroso la piazza,

 

si raccontò da sé

aneddoti e fato

e scrisse decisa

sulle affinità elettive

 

che Goethe era alticcio

ed Hegel un ciarlatano,

 

la battaglia continua

e niente dividerà

storie intrecciate

fuggite e rubate

come saette

tra la vendetta

e la noia del meriggio.

 

E dai sogni guidata

etilica ondeggiata

 

un sorso di vita sul libro fotocopiato

con cura nella calura

lasciò,

riscrisse oltraggiata

la battaglia mai finita

 

Dovrei guardare negli occhi per decifrare

 

Novembre rinchiusi

in una bolla di vetro

io ad annusarti,

 

la pioggia che batteva

con disinganno e distaccato,

credevo che tutto andasse meglio.

 

Dopo dei mesi

cinema da ondeggiamento spiritico

piccola ornitologica indovina,

 

tendevo silenzioso

ad un ideale irrealizzato,

 

pronto dalla strada a passare

alla quinta musicale.

 

E tu carina e rivoltosa,

nella macchina indecorosa

ad espiare qualche colpa

un tantino incasinata

 

ma ci credevi nel profondo

al cambiamento di costume,

alla cultura ed a citare

 

le mie stesse informazioni

che io medesimo mescolavo

con le mie,

 

mi daresti dieci mila lire?

 

E sciorinavo paroline a perdifiato

cosciente che sarebbe un giorno

tutto finito

 

ma consapevole altresì

che il legame covalente

che ci ha uniti ambivalente

mai si sarebbe scisso

in quanto quell’elettrone

a noi comune

era la forza sovrumana

di una potenza vincolata.

 

E poi l’estate un po’ annebbiata

e seduta sul sediolino di dietro,

sdraiata poi e mezza nuda

come se colta dalla spuma.

 

Torna il tempo incatenato,

seduti da mozzare il fiato,

 

quel bacio

la situazione incandescente

si ricreava inconsistente,

 

davamo la sostanza

a quella nostra forma,

 

dualità nell’abbraccio,

sviavi discorsi

e discutevi di strade, vicoli e palazzi.

 

E così imparai ed imparammo

l’odio nel riscontro delle fonti

che musicate da un intorno

scolavano etilici limiti

e solfuree destromani spalle

tracciate

 

delimitate da un integrale.

 

Ed ancora,

ancora il tempo

che restio all’accidente

era noumeno tanto invadente

che noi riuscimmo a governare

 

come incenso.

 

Dovrei guardarti negli occhi per decifrare.

 

Ed oggi è oggi,

riporto solingo

del ieri mai così com’è,

 

altezzoso e inutile,

bastardo quanto te,

bastardo quanto me,

 

imbarazzato e sensibile,

specchio lontano del percepibile.

 

Un tantino furiosa

 

Un tantino furiosa

nell’altitudine barometrica,

sale la pressione enciclopedica,

 

io sono qui,

calmo al tuo fianco,

 

tu che sei l’eternità,

il mondo e l’intero universo

in brume trame,

 

ti aspettavo

come se t’amassi

eclissato

 

ribaltavo continuamente

i  pensieri,

 

dove sei?

 

Tanti orripilanti sogni

in cui noi due sguazzavamo,

servi solo di noi stessi,

 

il mondo era inquietudine,

sfiora l’alba nel decoro.

 

Io e lei unici

 

Io e lei unici,

tre coppie alternate

mai ripetibili

quella sera di luglio,

 

il mondo è ai nostri piedi

in un bacio.

 

Poi un umido soffio di vento

e l’amore lieve discese

le musicali scale.

 

Noi amanti intrepidi

tra accordi inutili,

 

al di là del tempo,

della storia,

dell’umanità,

 

io e lei unici

 

asso e ditirambo.

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