Dante Gabriel Rossetti; Persefone
Plasma un destriero indomito da auriga folle, da corsaro suadente di flutti scossi dalle redini turbate
Gli occhi speculari di metilene nella mente di siriaci dalle grazie celtiche prostrate al vento e in panistica unità con la natura
In selve distorte tra laghi di immane gaudio riposa il tuo velo sospeso: eternità di roccia silicio effimero ma possente
Nella radura la tua gemma al collo verde d’assenzio e variopinta di smeraldi come calice goduto come piattaforma di pensiero fugace
I Fenici scaltri tra le rovine di Tebe e tu in trono nel firmamento austero di sogni diurni di paste statiche e leziose come miele, dolce fiele negli assedi, ventura dei portenti, gioia dei nemici, emblema della celere battaglia
In un dissipare di luci e in un sormontante anelito dimesso da soave spuma marina o da effige divina numismatica sorta trapassata come liquame anzi vapore tra le pareti umido delle scale odore incantevole della pioggia
I templi eretti per te mistero delle immagini infinite di un così vasto ardore che invade gli animi
Lo spirito che giace sovrano sul tuo corpo carezza le spalle inumidisce i capelli dà madore alla pelle
Tu incauta folla di stupore ondaccolo della luce intorpidito bastione di stratagemmi bellici
Per te le forze cosmiche lottano e ai tuoi piedi l’ultimo anelito cedono
Tu sola collo sguardo incanti i viaggiatori stanchi dall’assedio pittoresco
Immergi dentro te e esponi declinando con tre parole l’umanità intera
Dialettica degli opposti, punto d’armonia assoluta, il verbo si arresta dinanzi al tuo apparire
Ma non vive il tuo respiro tra spasimi incessanti di una vittoria delle foglie incaute sulle piante
La clorofilla di te ti dà la forza di anguste intromissioni tra quel che è vero e quello ormai silente
Genesi effimera del volto lo sguardo intermittente di te stessa rivolto verso candidi pensieri e impure come ieri le giornate
Bisognerebbe avere la passione di dire cose da bestiole che in te trovano riposo in te trovano ristoro nel muover delle mani si stupiscono ed estroverse si smarriscono
Per conquistarti un soldato avrebbe invaso l’Egitto in un attimo svogliato crollando Alessandria ai suoi piedi in vana voglia coi libri intrepidi tra le rive auguste di potenza del Nilo trasmigrato in Stige nubiloso
Ma poi il combattente slegando i lacci del mantello perdendo la croce e il suo cappello distrutto ai tuoi piedi pel rifiuto
L’imperatrice sei tu io te lo sussurro sfogliando il volume sul Volturno in una piazza incauta del mistero che la costellazione col tuo nome cede a Mercurio
E per conquistarti un alchimista dorato si è venduto l’alambicco ed il suo stato sguazzando nel protocollo di Bisanzio e giocandosi i tarocchi senza sosta e senza la tua effige
Sei tu l’Imperatrice di quelle terre indoeuropee della tundra sterminata della scalata verso il Mare Nostrum
La mappa mostra il tabernacolo l’alchimista la sfoglia e non ti trova ti perde nella pietra mistica nella battaglia di Lepanto
Dov’è il tuo trono e la corona se s’inchinano i condottieri e i maghi non senti nelle vene il marchingegno divino
E capisci ciò che forse non hai letto e sospendi ciò che forse non ti sei chiesta nove gradi nel pianeta ascendente sul tuo Liocorno