Giustizia nell’anno Mille. I Penitenziali di Burcardo

Per lungo tempo nel Medioevo non si distingueva tra peccato e reato, conquista questa recente con il Code Civil, anche se già l’inquisizione spagnola non si occupava di crimini comuni, e lo styesso le inquisizioni vescovili.

Ovvio c’erano casi limiti e, con una falsa interpretazione di un sicuramente falso parere del grande giurista Bartolo da Sassoferrato si sancì che la stregoneria era cometenza della Chiesa.

Ma nel vicvere comune, er i peccati di minor rilievo, intorno al mille, si procedeva seguendo il testo di Brucardo, i Penitenziali.

Opere, nelle quali venivano catalogate le singole colpe con le rispettive pene canoniche, a uso dei direttori di anime per l’amministrazione del sacramento della penitenza.

Questi libri, che hanno specialmente importanza nella storia delle fonti medievali del diritto canonico e non furono senza influenza, almeno nel senso di determinare efficaci reazioni, nello sviluppo della disciplina della Chiesa, cominciarono ad apparire in Occidente nel sec. VI in coincidenza con l’introdursi graduale del sistema della penitenza pubblica. I loro precedenti si possono vedere nei canoni penitenziali degli apostoli, degli antichi concilî di Elvira, Ancira, Neocesarea, Nicea e nelle cosiddette lettere canoniche dei Padri greci, S. Gregorio il Taumaturgo, S. Pietro d’Alessandria, S. Dionigi d’Alessandria, S. Gregorio di Nissa, e soprattutto S. Basilio Magno nelle sue lettere ad Amfilochio.

Generalizzandosi la penitenza privata, e venendo amministrata non più dal vescovo, ma da un semplice prete, dalla cui libera volontà dipendeva quindi una più o meno grande severità o mitezza, s’imponeva sempre più la necessità, per evitare disuguaglianze nel trattamento dei penitenti, di regole precise sulla penitenza da assegnarsi per ciascun peccato. I libri penitenziali sorsero per sopperire a questo bisogno, catalogando in elenchi le principali colpe con le rispettive pene private, quali erano fissate da sinodi o da singoli individui, come i confessori più noti per santità e prudenza, di cui si raccoglievano i dicta o iudicia, veri o attribuiti loro da falsarî.

In Occidente su due elementi principali tale disciplina andò essenzialmente costituendosi. Anzitutto l’estensione, ai fedeli d’ogni categoria, della prassi penitenziale della vita monastica, in cui si era già dovuto provvedere a stabilire una scala di graduazione delle varie pene per la disciplina dei monaci con la penitenza privata. Inoltre l’adattamento agli usi della giustizia secolare presso i popoli barbarici, basata sul sistema del riscatto del delitto mediante la composizione legale (Wergeld). S’introdusse così il sistema detto della penitenza tariffata, che i libri penitenziali valsero a diffondere.

I più antichi possono ritenersi quelli (cosiddetti insulari) della chiesa irlandese e inglese, distinti in penitenziali del gruppo celtico, dovuti a monaci dei secoli VI e VII (S. Gilda di Rhuys, S. Finniano, S. Commeano), e penitenziali del gruppo anglosassone, più specialmente rappresentato da Teodoro di Canterbury (morto nel 690), da Beda il Venerabile (morto nel 735) e da Egberto di York (morto nel 766). Questa disciplina fu portata dai missionarî insulari nel continente, dove appaiono, dal 750 all’825, numerosi libri penitenziali di varia composizione, a seconda che vi si contrappongano le soluzioni dei iudicia canonica (decisioni di concilî, lettere canoniche dei Padri, e decretali di papi), a quelle dei iudicia Cummeani (soluzioni celtiche) e dei iudicia Theodori (soluzioni anglosassoni), oppure vi siano riunite di seguito (tripartiti) o fuse. Il moltiplicarsi di questi libri e la grande diversità del loro contenuto, dove l’arbitrio personale degli autori si metteva alla pari con le prescrizioni canoniche, ingenerando confusione e lassismo a danno della purità della dottrina e dell’insegnamento della Chiesa, determinarono una forte reazione episcopale che si manifestò in varî sinodi del sec. IX (sinodi di Tours, 813; Châlons, 813; Parigi 829; Magonza 847), nei quali se ne chiedeva l’unificazione o la limitazione ai iudicia canonica (“repudiatis ac penitus eliminatis libellis, quorum sunt certi errores, incerti auctores”, Châlons, C. 3, 8) o addirittura si prescriveva di abbruciarli “ne per eos ulterius imperiti homines decipiant” (Parigi, C. 32). In sostituzione dei penitenziali condannati, Alitgaro, vescovo di Cambrai, nell’829 per incarico di Ebbone di Reims compose un’opera a cui, come 6° libro, fu aggiunto un penitenziale di fonte pseudoromana. Altri nuovi penitenziali apparvero ancora in seguito per la chiesa franca; fra essi quello composto su incarico di Otgaro arcivescovo di Magonza da Rabano Mauro verso l’841 e rimaneggiato più tardi. Varî libri, sulla cui vera origine si controverte, formati fra l’850 e il 1000, sono menzionati con la qualifica di Poenitentiale romanum; non consta in ogni modo che Roma, anche se come chiesa particolare aveva un penitenziale proprio, abbia ufficialmente emesso un penitenziale per tutta la Chiesa cattolica.

L’uso dei libri penitenziali, a cui attinge però ancora il Decretum Gratiani, cominciò a declinare dopo il sec. X, pur non scomparendo del tutto che molto più tardi, quando con l’elaborazione della teologia sacramentale, la penitenza o soddisfazione, perdendo il carattere penale di riparazione sociale, non conservò che il suo carattere espiatorio e sacramentale, mitigandosi in forme sempre più leggiere, sino a semplici preghiere o ad acquisti d’indulgenze. Le tariffe delle pene stabilite nei vecchi testi non hanno più che un valore esemplificativo; l’imposizione della penitenza è lasciata al prudente arbitrio del confessore. Gli ultimi testi del genere cedono il luogo alle Summae confessorum (casuum conscientiae; de poenitentia).

Si è attribuita ai libri penitenziali, oltre quella ovvia per lo sviluppo del diritto penale canonico, una grande importanza anche rispetto alla formazione del diritto penale secolare, e alla difesa e al perfezionamento degli ordinamenti sociali, che concorrevano a tutelare. Ma sembra più esatto riportare questi benefici effetti all’istituto della penitenza per sé stessa, e in genere all’influenza del cristianesimo e della Chiesa, anziché in particolare ai libri penitenziali.

Interessante vagliare qualche caso.

Il meccanismo, come accennato, era quello della penitenza a tariffa. Un contrappasso da ragioniere, ad ogni fatto corrispondeva un atto precisamente commisurato.

Partendo dall’omicidio notiamo che questo non risultava un crimen soluto.

L’uccisione del padrone o della moglie comporta la pena capitale o in alternativa la chiusura in convento sottomessi ad un abate con certune punizioni anche alimentari a  vita.

In alternativa ancora dovrà astenersi da tutta la vita sociale ed amministrativa vivendo da nullatenente.

L’omicidio di familiari stretti, parricidio, comportava l’obbligo di stare per tre anni a elemosinare sotto la chiesa, poi a chiedere venia al vescovo che valutava. Digiuno sino all’ora nona e astensione per sempre dalla carne e per tre volte a settimana dall’alcol.

Tra i crimen sessuali molta importanza si dà all’incesto, punito con due-tre anni di penitenza e con il celibato a vita, piu’ altre pene inflitte dal curato.

Contraccezione ed aborto, peccati ritenuti esclusivamente femminili, sia nel evitare il concepimento non giacendo o rifiutando di farlo sia con attrezzature ed erbe.

L’adulterio comporta invece l’obbligo di riconciliarsi o di vivere in eterno da celibi.

Particolare riguardo ha la sodomia, punita con dieci anni di penitenza , se renitente dodici.

Giovanni Di Rubba

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