Il Suicidio come aspetto Stoico, alcune canzoni dei Baustelle

 Il disagio adolescenziale non si tramuta per forza di cose solo in criminalità ma anche in altra forma di devianza, ben più triste e ben più allarmante, vale a dire la violenza contro sé stessi, dagli atti autolesionisti, al suicidio, al consumo della droga. Merita attenzione qualche parola su questo fenomeno, consci che il disagio ha comunque radice comune nella durkheimiana anomia[80] , che è definibile come l’assenza di scopi sociali e dunque di funzioni e ruoli all’interno del tessuto sociale stesso che portino alla realizzazione i consociati, tale assenza genera meccanismi di tensioni e frustrazioni che portano alla violenza contro gli altri o contro sé stessi.

Tale anomia è ancora più intensa nella nostra epoca cibernetica, e ben è avvertibile in alcuni testi baustelliani, a cominciare da “La vita va”], ove si percepisce l’estraneità dell’adolescente nei confronti della società, del “mondo ostile ad essere conquistato”, la vita fugge, come il foscoliano “tempo reo con cui vanno le torme delle cure”, come il petrarchesco “fugge et non s’arresta un’hora”, o il baustelliano “fugge ma lascia il suo segno”. Questa vita fugge, positivisticamente solo “lo scienziato sa/come prenderla”, la felicità è estranea, è nel piacere annullante ed anestetico “ci si spoglia sì/leva l’ancora”, nella speranza che tale piacere faccia salpare verso lidi migliori, le selendichteriane “rive/ calde del nostro mondo” e si vive così, di illusoria apparenza, di sorrisi finti “vivo così/tra il sociale e il vuoto”, ove l’amore di un istante assurge ad assoluta ultima speranza di felicità, rintracciabile solo nei sogni “ho fatto un sogno/tu c’eri”, un sogno dove l’amore non sia più ”freddo”. Una vacuità quella dei nostri giorni che segna “una sconfitta storica” da parte di educatori, genitori ed istituzioni, come nel dialogo tra il professore e l’adolescente Monica in “A vita bassa”, ispirata ad un articolo di giornale ove  si parlava della moda dei pantaloni a vita bassa nella metà della prima decade di questo secolo. La crisi d’identità si percepisce forte, e la società non offre modelli se non quelli di “modelle che sfilano/ centravanti che contano/ famosi che ridono” ed in questo “errore cosmico” l’universo non può che essere inutile. L’identità è in balia del mercato essendo merce[83], e, tristemente  “l’antidoto al futuro anonimo/è la scritta Calvin Klein/è la scritta D&G”.  Persino la cura psicologica è spettacolarizzata, preda di trasmissioni televisive e di interessamenti da un’ora o poco meno, che certo non danno soluzioni ma alimentano la confusione ed il disagio, come in “La moda del lento”[84] in cui si nota quanto “essere depressi oggi/provoca troppi dibattiti/ essere perduti oggi/ dura solo pochi attimi”, e l’unica via di fuga viene ad essere l’arte, quello che noi definiamo lo Stoicismo B in Alternatio, “sono lo scrittore in mare/ lasciami affogare/lasciami/una bibita al terrore/il poeta affonda e non si ferma mai”.

Il primo dei fenomeni che analizzeremo sommariamente è quello del suicidio adolescenziale, che ben si colloca in questa anomia della società cibernetica. Partiamo dal fenomeno Isis, già tratteggiato nel precedente paragrafo, e fenomeno reale e potenzialmente pericoloso, come detto, perché rischia di sedurre non solo i giovani adulti ma persino gli adolescenti figli del disagio. Non si tratta di quello che Durkheim definisce “suicidio altruistico”, tipico delle società primitive e delle gerarchie militari-che come ben nota il sociologo statunitense sono quelle che più si avvicinano, come struttura e codici di condotta a quelle primitive-. Tale suicidio, a differenza dell’egoistico pure tratteggiato dal pensatore, si basa sul sacrificio per la comunità e non motu proprio per un personale disagio dell’Io. Giusto un inciso, una sintesi chiarificatrice che ci sarà utile anche in seguito e che Noi sposiamo, dei diversi tipi di suicidio durkheimiani, citando le sue stesse parole “ il suicidio egoistico viene dal fatto che gli uomini non scorgono più una ragione di essere in vita, il suicidio altruistico dal fatto che questa ragione appare fuori dalla vita medesima, l’anomico dal fatto che l’attività degli uomini è sregolata ed essi ne soffrono”. Tale precisazione è d’obbligo perché Noi riteniamo che il suicidio frutto del disagio, in età adolescenziale, sia sempre e comunque anomico, anche nei casi depressivi o negli stati di alterata monomania o psicosi, ed a maggior ragione anomico è a Nostro avviso il suicidio dei fautori dello Stato Islamico. Il loro è un martirio frutto di una interpretatio, non può ritenersi altruistico perché la comunità di provenienza, quella islamica, non lo richiede. Come già intuiva Rosantonietta Sramaglia nella sua introduzione all’opera del sociologo[88] parlando degli attacchi dell’11 settembre e degli attentati alla metro di Madrid, nel Corano non si inneggia mai al suicidio, né è possibile ritenere tale suicidio martirio, in quanto, nella nostra società globalizzata, in prima istanza il terrorismo islamico è internazionale, in secondo luogo gli “uomini bomba” agiscono più per risentimento nei confronti della comunità, occidentale, in cui vivono che per sacrificio religioso. La loro viene ad essere una mera rabbia, alimentata, come Noi abbiamo sottolineato nel precedente paragrafo, dalla pretesa integralista più che pluralista e, di più, ci piace accostare i terroristi dell’Isis, lo ripetiamo, agli adolescenti che sparano nei college occidentali. Si muovono per disagio, non per spirito religioso, il loro nichilismo li spinge a compiere tali atti sotto il vessillo di una ideologia cui si ancorano in virtù della vacuità e della virtualità della ideologia occidentale, mercantilista e filo-protestante. La loro è una ricerca di senso che non riescono più a trovare in questa società secolarizzata, laica e figlia del consumo e della produzione. Gli adolescenti hanno sete di valori autentici, e questo deve essere il compito delle istituzioni, degli educatori e della famiglia. Ritornare ai valori cattolici, spingerli alla via dell’arte, maieuticamente. I ragazzi hanno sete di una nova alternatio.

Della stessa guisa il suicidio adolescenziale classico, quello ancora più inspiegabile per le famiglie. In tal caso o che si tratti di suicidio di una vittima di bullismo o che si tratti di un suicidio per ragioni all’apparenza futili, quali la fine di una storiella d’amore, un brutto voto a scuola, e via discorrendo, la ratio è la medesima. Come gli psicoanalisti sanno il suicidio è l’altra medaglia dell’omicidio, ed in tal caso i giovani si uccidono perché uccidono il mondo che li circonda, quel mondo che noi diciamo “ostile ad essere conquistato”. Tale gesto estremo compiuto dall’adolescente è quello che noi definiamo Stoicismo A in alternatio. I ragazzi muoiono perché consci di vivere in una società che non sanno e non sentono di poter più cambiare, quella società che non dà loro più i valori, le speranze, la gioia, la spensieratezza, la serenità, e non potendo cambiare le cose così come sono scelgono l’annullamento, scelgono di spegnere l’interruttore, ma la loro non è una resa, né tantomeno una fuga ma quella che Jachia e Pilla[89] ritengono, a ragione, una forma estrema di ribellione, l’unica possibile. Ciò ci induce a riflettere sui danni che la nostra e la precedente generazione hanno compiuto, sui danni che l’attuale élite ha fatto e continua a fare se non muta direzione. Un adolescente, un ragazzo o una ragazza che è e deve essere padrone del proprio futuro, il prossimo custode di questo pianetino su cui viviamo, non vede tale futuro, né prospettiva, e non perché non vuole avere speranza o perché sceglie la via più facile, la responsabilità non è sua, egli è anzi lungimirante, consapevole, ciò che pensa è la cruda realtà, il baustelliano “spogliato e crudo nulla”.

Ed in merito al suicidio non possiamo non citare, quindi, tre testi della band di Montepulciano, “Perché una Ragazza di Oggi può Uccidersi”, “Martina” e “La Guerra è Finita”[90]. Nella prima, che si rifà ad un noto film di Antonio Pietrangeli “Io la Conoscevo Bene”, si parla di una ragazza delusa dal tradimento amoroso, ma la cui delusione va al di là e coinvolge tutta la società ed i modelli che essa propina. Lo stoicismo inizia la serie di interrogativi “forse perché/non le piace la gente/o quella festa che ha/dentro di sé/quando vorrebbe/la tranquillità/il niente”, ciò mostra sapientemente quanto un adolescente che compie il gesto estremo è consapevole, Stoico A in alternatio, come diciamo Noi. E poi “quello che lei voleva/era una vita da star/Milano stile/ come credete/che si sentirà/adesso”, e qui vengono elencati i miti di successo, come nella citata A Vita Bassa, gli unici miti che la società ci propina, ed infine il tradimento, amoroso, che in realtà cela, a Nostro avviso, un più profondo senso di tradimento, quello sociale, ove viene incoraggiato il tradimento, il sesso mercificato, la sete e la bramosia di possedere- e cosa si possiede se non cose morte- “ma la causa scatenante/il motivo vero/siamo io e te/io che l’ho tradita/tu che le sei stata amica”. In Martina invece viene tratteggiata una ragazza, adolescente, vista dagli occhi di un coetaneo, che, come tipico in quella età, la “provenzal adolescenza”, la tratta come ragazza angelicata, “miele infinito per anima”, ma angelicata e maledetta, angelicata e così carnale nelle sue debolezze e vizi “ piccola speranza di/non deludere mai più/per morire un attimo/per calvario un angelo” e profondamente sapiente nella sua adolescenza, della vacuità esistenziale, del nulla, e smaniosa di trovare soluzioni “piccole catastrofi/per minuti inutili/tutto ciò significa/scavare in profondità”. Il ragazzo adolescente conosce Martina, ed empaticamente condivide con lei le stesse preoccupazioni e turbamenti, non proiettandoli ma proprio perché sono gli stessi. Tuttavia la nostra società non concede di superarli assieme, le cose cambieranno, e la prospettiva del suicidio del ragazzo è inevitabile, muore della risata superficialetta di una ragazza non affatto superficiale, ma che è costretta a divenirlo per integrarsi nel gruppo dei pari, per essere qualcuno nella consumistica società dei vincenti “tutto ciò significa/anche tu mi ucciderai/un rasoio inciderà/le mie vene/ora ridi/dietro lenti scura riderai”, poeticamente sono contrapposte due risa, quella di scherno iniziale, e quella di comprensione, condivisione, lei assumerà coscienza al funerale che il ragazzo si figura. Infine l’apoteosi in “La Guerra è Finita”, ove una ragazza, bollata dalla società, dai medici e dagli educatori che non comprendono la sua profondità “emotivamente instabile/viziata ed insensibile/il professore la bollò”, né tantomeno la comprendono i suoi genitori, sull’orlo della disperazione, “e nonostante sua madre impazzita/e suo padre” né il mondo che la circonda, preoccupato a fare guerre ed arricchirsi, l’élite politica-loro sì veri falliti, distruggitori, folli, incoscienti, malvagi, egoisti, a cui andrebbero affibbiate le parole con cui il docente bolla la sedicenne- “nonostante le bombe alla televisione/malgrado Belgrado/America e Bush”. Loro sono così presi da non capirla né da comprenderne il talento, e la profondità con la quale capisce, comprende, sa che è la società ad essere malata e non lei deviata “con una bic profumata/da attrice bruciata/la guerra è finita/scrisse così”, l’ultimo messaggio prima di uccidersi, la guerra è finita. Un adolescente che dice la guerra è finita, che depone le armi perché gli adulti gli hanno distrutto il futuro, è la cosa più triste che possa accadere alla società, ed è il sintomo di quanto la nostra società sia malata, anzi morente. A Nostro avviso mai come in questi anni dell’era cibernetica l’umanità è scesa così in basso, tanto in basso da pensare al profitto e non agli adolescenti, ai loro stessi figli, al futuro di questo mondo. L’élite più egoista della storia mangia a sbafo sui cadaveri dei suoi stessi figli.

Un ultimo e brevissimo inciso sul fenomeno della droga tra gli adolescenti. Fenomeno assimilabile, a nostro avviso, all’annullamento emotivo, e quindi allo Stoicismo B in alternatio. A ragione Galimberti riprende le teorie platoniche ed aristoteliche[91] nell’affermare che la tossicomania è di fatto quella che Platone nel Gorgia definisce Teoria del desiderio, ovvero il desiderio come mancanza e non si ricerca la felicità ma la si trova inabissandosi in questa mancanza, nella dipendenza, nella lacaniana manque, la droga come freudiana Sorgerecht “doppiamente affascinante perché doppiamente negativa: fa cessare il dolore fisico e fa da sedativo al male di vivere di cui non si prende più cura” (Freud; Il disagio della civiltà)[92] quindi da sempre per Freud rimedio contro il disagio sociale. E sempre seguendo il neurologo austriaco ed allo stesso tempo Aristotele (Etica Nicomechea) bene distingue il piacere immediato da quello mediato, l’uno balia della concupiscenza l’altro della mediazione razionale, o psicanaliticamente uno tipico dell’infanzia l’altro dell’età adulta[93]. Ed altresì condivisibile è il terreno su cui ed attraverso il quale risolvere il problema secondo Galimberti, ovvero muovendosi dal terreno meccanicistico-organicistico-scientifico a quello mitico-religioso nella educazione alla droga ed alla dipendenza[94], eliminando il cosiddetto “fascino iniziatico”[95]. Tuttavia riteniamo che ciò non sia sufficiente, gli adolescenti necessitano sempre di una alternatio, e l’attività dell’educatore deve affiancare a tale modello conoscitivo mitico/religioso un altrettanto valido bagaglio di valori che consentano al ragazzo o alla ragazza di porsi in alternativa ad essi ma rientrando in essi. Perché l’alternatività è, a Nostro avviso, sempre contenuta nell’ideologia, o quantomeno nella classe di valori, quindi eliminare l’insegnamento nichilista/esistenzialista e laico/filo-protestante a favore di uno cattolico, di modo che l’alternatio sia in esso contenuta. L’adolescente, infatti, sceglie sempre di essere alternativo imitando i miti propinati dalla società.  D’altronde, come la baustelliana Betty, del loro ultimo album dal titolo proprio “L’Amore e La Violenza” ci ricorda “che cos’è la vita senza/un dose di qualcosa/una dipendenza”, in un mondo cibernetico e tardo-esistenzialista su cui tristemente cade una pioggia tra il sartriano ed il dannunziano “piove/su immondizia e tamerici/sui sue cinquemila amici/sui palazzi è la città” e d’altronde il “sole ritorna”, perché “non esiste differenza/tra la morte di una rosa/e l’adolescenza”, e la consoliana Guarda l’Alba conclude con una verità profonda” nel chiudersi un fiore al tramonto si rigenera” perché “L’ora più buia è sempre quella che precede il sorgere del sole” (Coelho; L’Alchimista).

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