Frine ammalia Senocrate; Angelika Kauffmann; 1794
Profumo spumato
di rose odorose
ed io
piangendo
ascoltavo
il passo del vento
silente.
E tu respiravi
affannosa
alle falde
del letto il guanciale,
strepitoso,
noi parlavamo,
disquisendo furenti.
Ti vidi la sera
caudente gaudente,
dal respiro assorbente ,
avevi il solito volto
sperso tra ricordi ariosi.
Come puoi
capire l’amore
se non l’ha vista mai
coi miei occhi?
E il senso
declinava
pianti a dirotto,
purpuree
erano le sue guance,
caviglie perverse.
Percepivo
il limite
dell’infinito
nel corpo
violetto
di una ragazza
appena appena
languita sortita viletta.
Potevo
assopirmi in contemplazione
intuendo
la bellezza assoluta.
Scandendo le parole
a perdifiato,
rivivo nel tempo passato,
rose odorose,
richiami,
rinvii,
reminiscenze e madeleine.
Così siamo soli,
io, tu e l’eterno
ed i cancelli chiusi,
sigilli
destinati all’oblio
eterno,
scardini dalla scala
rovinosa,
clorofilla
smorta,
ubriaca,
tutta ubriaca,
Escher,
la chiocciola,
l’illusione,
il tozzo di pane,
l’allucinazione,
il vino,
ottimo
il profilo,
vai bene
per la parte
di te stessa
persa.
È davvero strano
credere alle nostre follie,
ma nel silenzio
il rumore
rimbomba,
occulto
il segnale
e dai tuoi occhi
emerge il fragore
del colore.
Nel caldo cantuccio
del letto
tempo perso,
nelle tue mani stretto
il centro dell’universo,
il rapporto
si incupisce felice
e tu sei ancora distesa
su quel letto d’ ortiche,
stimolante!
Dalle tue parole emerge
il gemito del godimento,
non sembra più necessario
parlare
o fingere.
È così,
ti amo
e mi ami,
eppure non fingiamo
né mostriamo
reciproca reverenza
ipocrita
ma sano spirito
dialettico,
soli,
io, tu e l’eterno,
soli dunque nell’eterno.
E che passione!
Amore rivoltoso
la rivolta è sublime,
suoni vesuviani
e scanditi
tra pasti lauti
e parchi
sogni.
Prova a distruggere
il tuo ego,
si espande intrepido,
cari, che volete,
un giorno
ritornerà babilonia,
l’aria sottende pace universale,
voglio l’eterno
in transustanziazione vivere.
Dalle tenebre
e dall’abisso
la rivolta è sublime
ma candida,
appena appena fiorita
viola del pensiero
e il passato futuro
in circolo etereo
ellittico e speculare
al ricordo oculare
del sospiro tuo fatale.
Se la materia si imporrà
scorgerete
fritti in burro il vostro limite
sostanziale.
Se vi imporrete
sarete liberi come gli uccelli,
se vi imporrete
luce celestiale
propagherà nell’abisso
e il Tartaro
le sue oscure catene scioglierà.
Prometeo libero,
sapienza libera,
luciferina strisciante
et incanto
babelico.
Poi il polline umano
è fondamentale,
se remixato al reverse.
Piangi mia principessa.
È do si do,
è sol,
è principessa.
La restante
deduzione sanscrita
è libertà,
fraternità,
uguaglianza,
via il timore,
è verità
fondamento d’eterno.
Se dall’epoca attuale
e materiale
farete il balzo
verso lo spirito che è in voi
e si impone
comunicando
l’anima eterna sempre consustanziale,
tramite il corpo,
delle vostre bellezze
e di quelle
del fiore appena sbocciato
appena appena sbocciato
dai, lo ridico
appena appena sbocciato
già intrepido.
E il nostro bazzico
diluvio suadente,
torna mai sopita
la rivolta sublime,
vera anarkia.
Anarkia quando
la notte poi giungeva
lentamente ad occhi spenti
con in mano i suoi calzari intorpiditi
mentre puri i capelli lunghi e mossi
battevano con forza quell’Autunno
ormai in catene ed in preda alla follia
dei suoi ricordi.
Soffrivo ma forse non capivo,
chiudevo gli occhi stringendo dentro me
la forza ormai resa impotente
e i sogni distrutti nella mente da una rinata disperazione
e dalla prepotenza di una guerra
che ora non so più fronteggiare,
che non sappiamo taciti fronteggiare,
allibiti dalle rovine austere,
sbriciolati dall’assenza.
Silenzioso il cammino,
muto!
che io attraversavo in pochi giorni
mentre i Mesi con carrozze rumorose
facevano lentamente la spola,
consegnati dai messi
e rinsaviti dalle catene ardenti
delle nostre congetture
e allo sbarco aumentavano le mie paure.
Rimasto solo,
utopia, utopia la mia speranza
e i sogni ancora abbattuti dalla violenza
di un mondo che ha paura di se stesso.
Non mi arrendo anche se stanco,
non arrendetevi,
saremo un giorno umanamente uomini.
Supereremo la alienazione imposta,
contemplando in differita.
Tu infatti,
come nello sciupio amoroso,
spingi
il mio vortice
atroce.
E sulla crosta
siamo già
nell’ altrove dell’oggi,
ieri
sapevo rinunciare,
ora sappiamo
cantare atonici
attoniti innanzi al verbo.
Il caos strallabante,
strallabio mattutino
sfumò folle.
Cambia il verso,
pare l’ideologia,
presumo
deduttivamente
in sussunzione eterea dal concreto
che il sillogismo
di questi giovani
sia il sesso, il potere, la politica
o in alternativa l’arte
che per loro è solo fama
e dunque lo stesso
di cui supra.
L’arte è il sospiro dell’eterno,
rinunciate a tutto,
non a lei né a voi
dunque,
eccitazione innata
estrinsecata per l’anima dolente
ristoro maledetto
e leziosia ad un tempo.
Non diveniamo
figli dell’impero consumista,
figli demenziali degli anni ‘80
ove l’imprenditore ha vinto,
né nuovissimi telematici
ove l’altro imprenditore cibernetico
ha vinto
e si vede,
bellini bellini
alla ricerca.
Forse domani,
speranza immane
e portentosa,
forse domani
l’entusiasmo smorto
al sincero addio
dal finestrino,
gli occhi tuoi intensi,
non ti sorprende ormai più
la verità,
-riposto il vuoto
nello spasmo silenzioso
di una passione che lenta
si spegne-.
Ed è dal dondolio
come altalena dell’alma
in bilico sul cuore
che dalle tue labbra
promana l’ultima
sentenza atroce.
Forse domani
cambierà
il colore
sempre nero
di questi nostri giorni
in alabastro,
sarà un giorno
nostra davvero
la più profonda e disarmante
serenità.
E la battaglia prosegue
sebbene noi stanchi,
sempre in direzione contraria
e contro tutti.
Al confine ultimo del mio pensiero
tra le lacrime e te sempre più lontana
sboccia innocuo dal passato,
per quello che dissi,
un sorriso.
Magari domani
un chiuso, terribile
dispiacere
non lacererà più
la carne viva
del mio amore
intrepido per te.
Ricordi?
un tempo andavamo al di là di noi stessi
tutti
al di là di noi,
esseri umani
e quindi predilette
scintille divine
nella concretizzazione del bello
per il mezzo materiale.
Non capisco,
siamo noi ancora
o scimmie rampicanti
che bramano nell’arrampico
il raggiungimento del trono
colmo di fango?
follie inarrese
e inenarrabili!
E le tapparelle chiuse.
Sembra luglio
inoltrato,
estate per te.
Ma nell’afa
sono sperso,
ho tepore
sugli occhi,
trasudi tu
e trasudi te.
E se sei falsa
tutto in un attimo è fallace,
lo diviene,
lo divenì.
Il cell
tramezzo
muto.
E sei una di quelle
che si entusiasma
ma poi
tiepida
dal vento
è portata via.
Non si può
così.
L’amore che ti do
è tutto
ma sei oscura,
dalle tue parole
indecisione,
tentenni stramba,
a volte silenziosa,
non capisco più
cosa vuoi.
Eppure
un tempo andavamo al di là,
al di là,
al di là di noi.
Noi,
di traverso
caduti
sull’uscio,
marciapiede,
non posso scordare
ribellione amorosa,
noi fuggitivi scaltri.
“La ricordi lei?
Ti ricordi noi?”
Mentre
io canticchiavo
strano parlavo
e lei
vivida
introspezione
ricreativa,
depressa
nella sua innocenza,
roba da pensare.
Le nostre simpatiche
fughe e via vai del 22
atteso con garbo
e siamo,
eravamo insieme
e la trasmissione
parabolica spenta,
gta.
Ti ricordi gli occhi azzurri,
ti ricordi
che
soddisfazione
intellettuale
et amplettica
tre,
intellegibile
la questione,
biglietto obliterato.
Mi dicevi:
“ciò che scrivi…”
ma che fine abbiamo fatto,
tutti lontani,
pazzo
scriverò di noi
solo per evitare
nel mio percorso
di dimenticare
la fuga fugace dell’addio
destriero ardito
su monte scarno.
Che fare?
Che fare?
Al concerto
sono in trance,
bilico
d’assoluto.
Canta,
canta mia sublime
ancella et principessa.
Avrei voglia di brulicare
tra queste rovine che restano,
pascolano ancora arcadiche caprette,
ingressi
ridotti a cancelli
sigillati
e catene.
Il mondo è tuo del resto,
il mondo è nostro,
pudori antichi
riposti nelle secrete
del tuo cuore,
intimo sagrato.
Lo sai meglio di me
che il mondo è tuo,
nostro,
noi, soli padroni di noi stessi,
decidi,
o non farlo.
Sei la sublime
regina di te stessa,
hai diritto a tutto
solo perché esisti.
Sei sola ed unica,
essenziale,
non ascoltare
le mode anni ottanta,
e chi impone un parere
è la vera dicitura della mancanza,
continuiamo?
Meditazione ad oltranza
Meditazione ad oltranza
Dallo 01
la storia sta cambiando
e non dico
in quella data,
k
quella certa.
Cibernetica
vi distrugge,
non c’è sistema
che non sia viziato
da sensazioni
non apparenti
di schiavitù.
Stai tranquilla
e rinuncia a ciò che ti sembra vero
per la voce del padrone.
Guardatevi
dalla telematica velleità,
ragazzi
ciechi sulla via di Damasco,
la lotta è l’unica via
e l’unica liberazione
internet tracotante,
è giusto il vostro pensiero
non quello imposto.
Ascolta
solo te stessa
non altro,
ascoltate la sapienza
e l’intelligenza.
Continueranno a sfruttarvi
se non
imporrete
senza comando
la vostra
esperienza
e il vostro volere,
poverini
siete nella grotta,
vedete solo le ombre,
svegliatevi,
svegliatevi liberi
da parrucconi
o da testimoni di geova della politica.
C’è anche, talora,
ricordatelo,
un sublime abisso
ed il Maestoso
si nasconde
nell’infimo.
Inutilità causale!
Le cose importanti
e quelle vere
emergono comunque
dalla casualità della vita.
Quasi sempre
dalla inutilità
causale.
Contemplate ciò che vedete
attoniti, maraviglia
natura et opra umana!
Turbamento interiore,
che ascende dall’ama a refrigerio d’intelletto
è frutto del ricordo esasperato
e nella vita riletto e consumato.
Cosa vuoi,
resto sempre qui
a ridipingermi il viso con sospetto
e me lo chiedo se ritrovo spazio ancora.
Sorse dal nulla tra di noi
e l’alterità delle barricate
un tumulto disatteso,
gli scatti veloci come gatti
impressero un sospiro
sul tuo profilo.
Si dovrebbe avere coraggio da bestiole
che in te trovano riposo
e ristoro,
si dovrebbe contenere il tuo affannato respiro
e dire che ho lottato,
sbagliando
ma di poco.
Eccoli,
ecco l’arte,
i vividi monumenti alterati dal progresso
che non piangono più lacrime ma gesso.
E silenti estroversi si smarriscono.
Poso tutto e corro tra le tue braccia,
peso poco e gradivo il mio corpo si slaccia.
E finisce
prima ancora del prologo
il tuo sermone orripilante
e oscuro.