Il museo dell’Anps sezione Napoli. La storia della polizia nella città e nelle sue province.  

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Icona allegorica presente presso Castel Capuano.

un ringraziamento all’ANPS (Associazione Nazionale Polizia di Stato) sezione di Napoli per il supporto nella stesura di questo opuscolo, in particolare al presidente commissario rds Luigi Gallo che ne è coautore.

Gli Autori:

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dottor Giovanni Di Rubba

Da sempre appassionato di storia e della Polizia di Stato, socio simpatizzante ANPS sez. Napoli, figlio dell’ispettore capo in congedo Giuseppe Di Rubba, che sin da fanciullo gli ha trasmesso ideali e valori del corpo e l’educazione, l’amore per il prossimo ed il rispetto, che-come recita il motto della polizia di stato – solo rispettando le regole, sotto l’imperio della legge, possiamo dirci davvero liber –sub lege libertas-.

È giornalista pubblicista, autore, blogger, poeta, cultore della prosa lirica, scrittore, etimologo, commentatore, praticante avvocato abilitato al patrocinio, esperto in scienze criminologiche.

Classe 1985, nato a Pollena Trocchia ma vissuto sempre a Pomigliano d’Arco, nei pressi di Napoli, dopo il diploma di maturità scientifica si laurea in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II”, con una tesi dal titolo “L’Inquisizione Contro gli Indigeni d’America”. Svolge la pratica forense presso uno studio legale che si occupa prevalentemente di diritto civile, conseguendo poi un Master post-laurea presso il Tribunale di Nola, “Scuola Bruniana, Fondazione Forense” in Criminologia Applicata, discutendo la tesi “Disagio Adolescenziale e la Devianza, profili risolutivi tra arte e cattolicesimo””.

Inizia la sua attività letteraria nel 1998, dal 1999 al 2004 scrive ipertesti letterari sull’ex sito “www.iopenso.com”, per poi proseguire, dal 2005 al 2010 sulla piattaforma “www.studenti.it” fino ad aprire, ad inizio del secondo decennio di questo millennio, i blog personali “dichter.ilcannocchiale.it” e “selendichter.worpress.com”, ove si occupa tutt’ora di composizione letteraria, critica e saggistica. Dal 2014 al 2018  gestisce il blog del movimento artistico dell’ “Oltrismo” (oltrismo.com), fondato da Salvatore D’Auria (Sarossa), commentando e criticando le opere figurative e plastiche degli appartenenti al movimento.

Giornalista pubblicista dal febbraio del 2017, ha collaborato con diverse testate a partire dal 2003: Rivista “Fermenti” (supplemento ad “In Dialogo”) sino al 2007, “Magozine”, sino al 2010, il quotidiano “Roma” sino al 2015, infine “Il Gazzettino Vesuviano” sino al 2018, occupandosi sempre di cultura, spettacolo ed analisi politica.

Dall’ ottobre 2017 al febbraio 2018 ha collaborato al progetto  “Magazine Lab, Laboratorio editoriale sulla legalità”, presso la scuola media secondaria “ISIS Einaudi Giordano” di San Giuseppe Vesuviano, con lezioni frontali ed interattive ed utilizzando un approccio artistico al tema della legalità, creando blog “Il Mondo Siamo Noi” e omonima pagina youtube interamente gestiti dagli studenti.

E’ inoltre coautore delle liriche del romanzo “Amore e Mistero” di Monica Carmasin, edito Boopen, 2010; e una sua lirica è presente all’interno della crestomazia  “CET, Scuola Autori di Mogol”; AAVV; Aletti editore 2017;nonché dell’opera in tre tomi Selenio denso, la luna illumina l’infinito; youcanprint editori 2018. È  stato menzionato sul portale Edueda (Educational Encyclopedia of Digital Arts) ed è membro “AVIS” (Associazione Volontaria Italiani sangue)sez. Napoli; “AIDO” (Associazione Italiana per la Donazione Organi e Tessuti), “ANPS” (Associazione Nazionale Polizia di Stato)sez. Napoli.

 

 

 

commissario r.d.s. Luigi Gallo

Il Commissario rds (ruolo direttivo speciale) Luigi Gallo, nato nel 1941, è presidente dell’ANPS  (Associazione Nazionale Polizia di Stato) sezione di Napoli dal 2007, quando fu nominato commissario straordinario della sezione dalla Associazione Nazionale, riconfermato poi nel 2009 dal voto degli associati ed anche alle successive elezioni del 2015.

Arruolatosi l’anno 1962 nell’allora “Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza”, è stato assegnato prima al IX  Reparto Mobile di Palermo e poi al IV Reparto Mobile di Napoli, ha successivamente ricoperto il ruolo di infermiere militare ed è abilita alla guida veloce dei mezzi. Nel 1975 frequenta il corso di Polizia Giudiziaria a Brescia. Dopo aver fatto parte della squadra volanti della Questura di Napoli, del Commissariato di Ponticelli, della sezione P.G. (polizia giudiziaria) della Procura della Repubblica.

Ha assunto la carica di Presidente ANPS  a pochi anni dal congedo, incrementando la sezione napoletana di ben mille unità e rendendola, con gli oltre duemila iscritti, tra simpatizzanti, sostenitori, onorari, benemeriti ed effettivi, la più grande in Italia tra le associazioni di PS e forgiandola, presso l’aula Graziosi del Reparto Mobile partenopeo, di un “Museo della Memoria” interamente dedicato al corpo della Polizia di Stato, inaugurato il 22 giugno 2015.

 ANPS sez. Napoli

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L’Anps Napoli schierata il IV novembre 2018 a piazza del Plebiscito, in occasione della festa delle forze armate.

L’Anps Napoli è, come riportato dal sito ufficiale[1] “la Sezione più grande d’Italia. Conta più di 2000 soci ed è sempre presente in tutte la manifestazioni civili, militari e religiose di Napoli e dei comuni limitrofi. Organizza diverse attività culturali e ricreative per i propri iscritti. La sezione è intitolata al Sovrintendente Tommaso Vittozzi, deceduto nel 1984 in seguito alle gravi ferite riportate in uno scontro a fuoco”.

Nel 2018 è ricorso l’anniversario del 50esimo anniversario dalla sua fondazione, riporta il sito della polizia di stato[2] “Associazione Nazionale della Polizia di Stato – è stata costituita il 30 settembre del 1968 ed eretta Ente morale con decreto del presidente della Repubblica n. 820 del 7 ottobre 1970, con la denominazione di Associazione Nazionale delle Guardie di Pubblica Sicurezza. Il 1° aprile 1981, con la riforma e l’applicazione della legge 121, ha preso la denominazione attuale (ANPS). Gli associati, che volontariamente aderiscono all’ANPS, sono i dipendenti in congedo e in servizio della Polizia di Stato, oltre agli altri soggetti previsti dall’articolo 4 dello Statuto (benemeriti e simpatizzanti). Il Presidente onorario del sodalizio è il Capo della Polizia in carica – direttore generale della pubblica sicurezza. Sono soci onorari gli ex capi della Polizia, i vice capi della Polizia, i prefetti, i direttori interregionali e i questori in sede, le medaglie d’oro al valore militare, quelle al valore civile e i grandi invalidi della Polizia di Stato. Attualmente l’ANPS sul territorio nazionale conta più di 170 sezioni, insieme alle sedi estere di Toronto (Canada) e New York (Usa), ed oltre 32.000 soci.” Ed in merito alle finalità prosegue[3] “Le finalità dell’associazione sono di alto livello morale e hanno anche lo scopo di mantenere vivo il legame di solidarietà tra il personale in congedo e quello in servizio. L’ANPS è custode del Medagliere della Polizia di Stato nella sede centrale che si trova a Roma, in via Statilia 30. Il Medagliere rappresenta il sacrificio e la dedizione al servizio di tanti operatori della Polizia di Stato che hanno immolato la loro vita per garantire il rispetto delle leggi dello Stato e per tutelare la sicurezza di tutti i cittadini della Nazione. Il loro sacrificio è sempre vivo e presente nell’opera quotidiana di tutti gli appartenenti alla Polizia. L’ANPS è una grande famiglia che condivide il motto della Polizia di Stato “Vicini alla gente”, protagonista di ieri e di oggi.”

Attuale Presidente Nazionale è Claudio Savarese che tiene a sottolineare come “chi è poliziotto lo è sempre”[4], dando risalto ad alcuni aspetti, i fondamentali, della associazione, preservare la memoria degli anziani, la heideggeriana Gedächtnis che le generazioni vecchi trasmettono alle nuove rendendo sempre viva non la memoria sic et simpliciter di caduti nell’adempimento del dovere, aspetto forse più importante perché esemplare, pratico, concreto, ma anche quel seno forte di appartenenza alla legge, allo stato che sotto la sua egida ci protegge e protegge soprattutto i deboli, manto contro le intemperie della vita.

E non è un caso, e queste informazioni possono reperirsi sfogliando il calendario[5] che i fini originari per cui nasce l’ANGPS (Associazione nazionale guardie di pubblica sicurezza) nel 1970 furono essenzialmente pensionistici-solidaristici tra personale in congedo , il 30 settembre 1968 iniziano i lavori a via Statilia 30, ove ancor oggi sorge la sede. E da Roma le sedi,  a seguito del decreto 820 del 7 ottobre 1970 con cui il Presidente Saragat la erige Ente Morale, si diffondono un po’ alla volta per la penisola. L’ANGPS è l’ultima associazione combattentistica e d’arma fondata, iscritta nel registro delle persone giuridiche, ma anche l’unica a godere della tutela del Ministero dell’Interno. L’ANPGPS diverrà ANPS a seguito della riforma della polizia DPR 121/1981.

Interessante notare, e su questo torneremo, che, sebbene è da fine anni ‘60 che si inizia a parlare di costituzione della associazione, già nell’immediato dopoguerra si sentiva questa necessità associativa, soprattutto dagli ex membri PAI, ossia della polizia coloniale in Africa, attivi nel ventennio e ricordati come uomini integerrimi, difensori dei coloni, fedelissimi tanto da ottenere il plauso dei britannici durante l’assedio di Adis Abeba e di molte altre ci9ttà etiopi per la fermezza attraverso la quale riuscivano a combattere sciacallaggio, saccheggi e ruberie, rischiando in proprio e con altissimo senso di giustizia e del dovere[6].

Dal 2004 nasce il Gruppo di Ivrea e l’associazione è impegnata anche nel terzo settore, nel volontariato sociale. Attualmente con 29 sezioni che svolgono attività di Protezione Civile, distintisi più volte nel soccorso delle persone colpite da calamità naturali ed inoltre, più spesso, impegnate nell’assistenza in occasione di grandi eventi, nei servizi di scorta nelle manifestazioni sportive, nel servizio di vigilanza fuori le scuole, nella collaborazione con le Onlus per eventi di beneficenza. Tali gruppi,  in forza della legge 106/2016, seguono altresì, oltre il regolamento Anps anche quello sul volontariato sociale.

Per quanto concerne Napoli, sezione con più iscritti, come sopra accennato, nasce nel 1970 ma le notizie circa le attività svolte sono scarse. È dal 2008 e dalla presidenza Gallo che è impegnata su più fronti, soprattutto nella tutela delle fasce più deboli, i bambini, con interventi istruttivi circa la viabilità, nonché gli adolescenti, intervenendo in eventi che riguardano le nuove piaghe, bullismo, cyberbullismo, dipendenza da internet.

Per quanto concerne l’ Anps Napoli, oltre al presidente commissario rds Luigi Gallo da ricordare l’attività e l’impegno degli altri componenti,  il vicepresidente sovrintendente capo cavalier Modestino Orabona, il segretario Cosimo Liccardo; i consiglieri il medico capo Elena Napolitano, Giuseppe Ombelino, Giovanni Antrichetti, Guido Tiano, Giuseppe Bosco, vice questore aggiunto dottoressa Daniela Amore, Ludovico Morisco, Guido Rossi, Sergio Schiano; i sindaci: sostituto commissario Maria Rosaria siriaco, ispettore capo Marco Di Maggio e l’assistente capo Maria Roefaro.

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La sezione Napoli in occasione del 50esimo anniversario dalla fondazione dell’Anps, Ostia, 30 settembre 2018

 

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Ingresso sezione Anps Napoli

 

Ufficio del Presidente Luigi Gallo

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Macchina per scrivere in uso all’Anps Napoli

 

 

Anps saletta attesa

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FIAMME ORO:

ln copertina di Fiamme Oro del 2019 è dedicata a Beatrice Maria Adelaide Marzia Vio, detta “Bebe”, nata a Venezia nel 1997, schermitrice italiana, campionessa paraolimpica, mondiale ed europea in carica di fioretto individuale.

Fiamme Oro è il gruppo sportivo della Polizia di Stato. Nel gennaio 1949 la Gendarmeria austriaca organizza alcune gare riservate ai “colleghi” della polizia di frontiera. Tra questi, per la polizia, partecipa la Scuola Alpina delle Guardie di Pubblica Sicurezza, una squadretta piccola che ottiene la vittoria inaspettata. Nel 1952 il Gruppo viene trasferito a Moena, ove tutt’ora risiede e nel 1954, grazie ad una convenzione con il Ministero dell’Interno ed il COI , nasce la Polisportiva Comunale Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza, dal 1981, dopo la riforma, Fiamme Oro.

Fiamme Oro è anche la rivista ufficiale della Polizia di Stato e della redazione se ne occupa proprio l’ANPS.

 

 Uffici di Segreteria Anps

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il vice presidente sovrintendente capo cavalier Modestino Orabona

 

VITTIME DEL DOVERE

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Sovrintendente capo Tommaso Vittozzi

Come accennato la sezione ANPS Napoli è intitolata alla memoria del sovrintendente capo Tommaso Vittozzi, in forza alla DIGOS,  morto nell’adempimento del suo dovere, libero dal servizio, mentre tentava di sventare una rapina nei pressi di Arzano.

Il mattino ne dà l’annuncio della scomparsa[7]:  morì il 5 Settembre al Secondo Policlinico di Napoli, dove era ricoverato in seguito alle gravissime ferite riportate alcune settimane prima durante  uno scontro a fuoco con alcuni criminali ad Arzano.

Il 13 Agosto il sovrintendente Tommaso Vittozzi era fuori servizio e si trovava davanti al negozio di autoricambi di proprietà di un amico, nel Parco Quadrifoglio, sulla strada provinciale che da Casandrino porta a Arzano,  quando tre giovani rapinatori, giunti a bordo di una A112, estrassero le pistole costringendo il poliziotto ed il negoziante a rientrare nel locale. Vittozzi cercò di reagire, estraendo la pistola d’ordinanza, ma venne colpito da tre colpi di pistola esplosi quasi a bruciapelo da uno dei criminali e che lo raggiunsero all’addome, ad una mano ed a un avambraccio. I tre rapinatori si diedero alla fuga a bordo della loro auto.

Il sovrintendente Vittozzi, a cui i proiettili avevano leso fegato e duodeno,  fu portato in ospedale dallo stesso amico che si trovava con lui al momento del tentativo di rapina.

Il poliziotto fu operato prima all’ospedale Nuovo Pellegrini di Napoli poi, dopo alcuni giorni venne trasportato al Secondo Policlinico dove morì alle 15,30 del 5 Settembre. Una nuova operazione chirurgica era stata programmata per il giorno successivo.

 

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Il sovrintendente capo Tommaso Vittozzi dipinto da un artista

 

In cima al quadretto commemorativo di Tommaso Vittozzi sono rappresentati altri tre poliziotti, caduti nell’adempimento del loro dovere:

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guardia scelta Antonio Marino; commissario capo Luigi Calabresi; guardia scelta Antonio Annarumma

preferiamo soffermarci un attimo sui primi due, forse meno noti, e poi dire due parole anche sul commissario Calabresi, la cui scomparsa  sollevò molto l’opinione pubblica.

  • La guardia di P.S. Antonio Marino (nella foto a sinistra), nato a Caserta il 10 giugno 1950, si arruola giovanissimo in Polizia. All’età di 22 anni, in forza al III Reparto Celere, venne ferito mortalmente per salvare la vita di un collega durante una manifestazione politica. Impegnato in un servizio d’ordine il 12 aprile del 1973 a Milano, accortosi che un ordigno lanciato dai dimostranti stava per raggiungere un collega, riusciva a spingere quest’ultimo fuori dalla traiettoria con grande sprezzo del pericolo e della sua incolumità.
  • La guardia di P.S. Antonio Annarumma (nella foto a destra), nato a Monteforte Irpino nei pressi di Avellino, il 10 gennaio 1947 si arruola in polizia il primo dicembre del 1967. In forza da pochi mesi al 3° reparto celere di Milano Antonio, il 19 novembre 1969 fa parte del contingente che fronteggerà a Milano due manifestazioni, una studentesca ed una operaia per il costo degli affitti. Gli scontri furono feroci e durarono per ore, 55 guardie di pubblica sicurezza e 5 carabinieri furono feriti.

Antonio Annarumma alla guida di una jeep, in via Larga, fu colpito al volto da un corpo contundente probabilmente un tubolare di ferro. Ci fu un urto con un’altra jeep della polizia ma Antonio aveva già perso conoscenza. Morirà dopo tre ore di agonia in ospedale. Oggi alla memoria della guardia di pubblica sicurezza è intitolata la caserma del 3° reparto

mobile di Milano.

  • Il commissario capo Luigi Calabrese (nella foto centrale). Rappresenta senz’altro il prototipo del funzionario di “polizia politica”. Nato nel 1937 a Roma da una famiglia della media borghesia (il padre commercia vini e oli). Dopo avere frequentato il liceo classico “San Leone Magno”, nel 1964 si laurea in Giurisprudenza realizzando una tesi sulla mafia siciliana.

Mentre milita nel movimento cristiano Oasi del padre gesuita Virginio Rotondi, matura la sua oramai chiara vocazione, fare il poliziotto. Nel 1965 vince il concorso per vice commissario di pubblica sicurezza: dopo avere preso parte al corso di formazione dell’Istituto Superiore di Polizia entra in servizio a Milano, dove viene inserito nell’ufficio politico della questura. Collaboratore sporadico del quotidiano socialdemocratico “Giustizia” e, sotto pseudonimo, di “Momento Sera”, a Milano Calabresi ha il compito di indagare sugli ambienti della sinistra extraparlamentare, con particolare riferimento ai gruppi anarchici e ai gruppi maoisti.

Gli anarchici, in particolare, sono sospettati di aver messo a disposizione gli esplosivi utilizzati in Grecia per gli attentati durante la Dittatura dei colonnelli.

Nel 1967 conosce Giuseppe Pinelli dopo avere richiesto alla questura di Como, su domanda degli anarchici, il permesso per un camping anarchico a Colico; a novembre dello stesso anno, invece, è al comando delle forze di polizia che si occupano dello sgombero dell’Università Cattolica del Sacro Cuore occupata dagli studenti capeggiati da Mario Capanna (il primo esempio di lotta studentesca, che dà il via al Sessantotto milanese).

Nel 1968 Calabresi viene nominato commissario capo, e in più di un’occasione dirige le cariche dei reparti di polizia nel corso degli scontri e delle manifestazioni di protesta di quel periodo; a Natale di quell’anno dona a Giuseppe Pinelli il libro di Enrico Emanuelli “Mille milioni di uomini” (riceverà in cambio, l’agosto seguente, il libro preferito dall’anarchico milanese, l'”Antologia di Spoon River” di Edgar Lee Masters).

Diventato vice capo dell’ufficio politico della questura milanese, nell’aprile del 1969 riceve l’incarico di indagare sugli attentati avvenuti in Stazione Centrale e alla Fiera Campionaria di Milano: ferma e arresta quindici esponenti della sinistra extraparlamentare, diventando noto a livello nazionale. Gli arrestati, tuttavia, rimarranno in carcere per soli sette mesi, prima di uscire di prigione per mancanza di indizi.

Nel novembre del 1969 Luigi Calabresi partecipa ai funerali dell’agente di polizia Antonio Annarumma (vedi supra), che ebbe come sottoposto, e interviene per difendere Mario Capanna, esponente della sinistra extraparlamentare, dall’ira dei colleghi di Annarumma. Un mese dopo, si trova a indagare sulla strage di piazza Fontana a Milano, dove una bomba posizionata nella filiale della Banca Nazionale dell’Agricoltura ha causato la morte di diciassette persone e il ferimento di quasi un centinaio.

Il commissario Calabresi pensa subito alla pista dell’estrema sinistra, e sale suo malgrado agli onori delle cronache per la morte di Giuseppe Pinelli, convocato in questura dopo la strage, tenuto in stato di fermo per quasi tre giorni (in maniera illegale, dunque) e caduto dalla finestra dell’ufficio di Calabresi. Il tragico evento si verifica il 15 dicembre, e la conferenza stampa che viene convocata per spiegare l’accaduto parla di un suicidio (la versione verrà ritrattata in seguito: sulla morte di Pinelli non sarà mai fatta chiarezza fino in fondo). Da quel momento, tuttavia, il commissario entra nel mirino delle formazioni extra-parlamentari di sinistra e diviene oggetto di una campagna di denuncia che coinvolge numerosi intellettuali: nel 1970, per esempio, Dario Fo scrive l’opera teatrale “Morte accidentale di un anarchico”, evidentemente ispirata ai fatti, mentre Nelo Risi e Elio Petri dirigono il lungometraggio “Documenti su Giuseppe Pinelli”.

Calabresi viene minacciato anche direttamente, con scritte sui muri e non solo: nei suoi confronti, dunque, cresce un odio sempre maggiore anche a causa della campagna di stampa promossa dal giornale “Lotta Continua”, che denuncia senza mezzi termini le supposte responsabilità del commissario (e degli altri uomini della questura) per la morte di Pinelli.

Il 15 aprile del 1970 il commissario denuncia il direttore di “Lotta Continua”, Pio Baldelli, per diffamazione continua e aggravata: nell’ottobre di quell’anno prende il via il processo noto come “Calabresi-Lotta Continua” (dopo che a luglio l’indagine del giudice Antonio Amati sui fatti del 15 dicembre era stata archiviata). Il processo diventa terreno di un acceso scontro politico: l’avvocato di Calabresi, Michele Lener, ricusa il giudica Carlo Biotti, che in un colloquio privato aveva parlato della propria intenzione di assolvere Baldelli, ma tale richiesta di ricusazione viene interpretata da molti come un tentativo di prendere tempo dopo la richiesta di riesumazione del cadavere di Pinelli avanzata dagli avvocati dello stesso Baldelli.

La ricusazione viene accettata il 7 giugno del 1971 dalla Corte d’Appello: la settimana successiva Camilla Cederna pubblica sull'”Espresso” un articolo in cui indica Calabresi come un torturatore responsabile della morte di Pinelli e accusa Botti di avere inquinato il processo per carrierismo. Nel numero seguente dell'”Espresso” vengono pubblicati i nomi di moltissimi intellettuali che hanno sottoscritto l’appello della Cederna (che invitava Calabresi alle dimissioni). Nel frattempo, al Commissario Calabresi si imputa anche di essere stato un agente della Cia e un uomo di fiducia di Barry Goldwater, che avrebbe presentato al generale De Lorenzo.

In questo clima di tensione, il 17 maggio del 1972 il Commissario Luigi Calabresi viene ucciso davanti alla sua casa di Milano mentre sta andando a prendere la propria auto per andare in ufficio: ad assassinarlo sono almeno due persone, che lo sorprendono alle spalle.

Da ricordare, poi,

  • guardia di p.s. Claudio Graziosi, cui è intitolato il museo.

Il 22 marzo 1977 su un autobus, a Roma, l’agente di polizia con acume investigativo individua una militante evasa dal carcere di Pozzuoli con l’appoggio esterno dei NAP il 22 di gennaio dello stesso anno. Lei è Maria Pia Vianale, con sperezzo per il pericolo e senza esitazione estrae la pistola d’ordinanza e cerca di arrestarla ma il militante che è con lei, per impedirne l’arresto, affronta Graziosi e lo uccide.

 

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Labaro con logo vecchio ANPS

Il logo in uso dal 1981 al 2014 recava a destra il fregio della polizia di stato ed a sinistra lo stemma araldico della polizia stessa.

Il fregio è un’aquila eretta- l’aquila da sempre simboleggia la polizia- sormontata da una corona fatta di una torre trimerlata, a designare la forza, il coraggio, l’onore.  Al centro uno scudo cremisi con l’anagramma RI (Repubblica Italiana).

Lo stemma araldico, invece, è uno scudo diviso in due parti verticali.

La parte sinistra è divisa in due registri dal fondo dorato, separati da una fascia azzurra, simbolo delle decorazioni concesse alla bandiera della Polizia. Nel registro superiore è raffigurato un libro chiuso, il cui titolo LEX sottende il compito della Polizia di esser fedele e di far rispettare le Leggi e i Regolamenti della Repubblica. Rappresenta, insomma, il referente cui la polizia deve attingere saldamente: Costituzione Repubblicana, Leggi, Regolamenti.  In quello inferiore, il motivo delle due fiammeggianti fiaccole incrociate si riferisce alla fondamentale attività di soccorso e assistenza della popolazione in caso di calamità, ossia la tutela dell’ordine pubblico, che da sempre attiene all’Amministrazione di Pubblica Sicurezza.

Nel lato destro sul fondo purpureo un leone rampante dorato, che impugna con la zampa anteriore destra un gladio romano, sottolinea l’imprescindibilità di forza, coraggio, onestà nella difesa della legge.

Sotto lo scudo lungo il nastro sinuoso dalle estremità bifide, il motto Sub Lege Libertas, ricorda  come l’azione della Polizia deve svolgersi nel rispetto delle Leggi e dell’Istituzione Repubblicana e che ogni cittadino è davvero libero solo sotto il manto delle regole.

Lo scudo e il motto sono racchiusi da due rami incrociati, uno di quercia, simbolo della forza, l’altro di alloro, simbolo del valore.

Sormonta una corona turrita emblema della Repubblica.

Nello stemma, sotto la torre mediana c’è uno scudetto di colore cremisi, che reca impresso l’acronimo R.I., con la lettera I intersecante.

La corona consta di cinque torri visibili, di pianta rettangolare con merli alla guelfa. Ogni torre è munita di una porta con una soprastante finestra; anche i singoli tratti delle mura di raccordo hanno una feritoia. L’insieme della composizione è dorato e bordato di nero, mentre la base della circonferenza è rossa.

Ai fianchi fronde arboree che ornano lo scudo, la quercia che simboleggia la forza e la palma la pace.

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Labaro, logo nuovo ANPS

 

Il nuovo logo si compone dei medesimi elementi, il fregio è quello della polizia ma con la variante che al posto del centrale scudo cremisi recante la scritta RI c’è lo stemma araldico della polizia ed ai piedi dell’aquila il “nostro” tricolore con la scritta ANPS. Un mutamento questo che avvicina ancora di più i cittadini alla polizia e ne fa cuore pulsante del progresso della nostra nazione-rappresentata dal tricolore- per la tutela dei valori e per il farsi, davvero, comunità.

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Statuetta di San Michele Arcangelo

Il 29 settembre cade la ricorrenza di San Michele Arcangelo, una delle figure più note della Bibbia, del Nuovo ed Antico Testamento, e riconosciuta da quasi tutte le religioni monoteiste, dai cattolici, ai protestanti, passando per gli ebrei, gli islamici, sino addirittura agli avventisti ed ai testimoni di Geova. Nell’iconografia, orientale e occidentale, San Michele Arcangelo viene rappresentato come un combattente, con la spada o la lancia nella mano e sotto i suoi piedi il dragone, simbolo di satana, sconfitto in battaglia.

Emblema da sempre della Giustizia, considerato teofania del Cristo, è l’icona storica della lotta contro il Male, contro Satana, contro le ingiustizie e le diseguaglianze, contro la criminalità di ogni tipo, contro qualsiasi forma di violenza. Rappresentato nell’atto di soggiogare il demonio calpestandolo col suo piede tenendo alla destra una spada, simbolo della forza pubblica, dell’ordine, nell’altro la bilancia, simbolo dell’equilibrio, della temperanza e della giustizia.

Fu proclamato patrono e protettore della Polizia da Papa Pio XII il 29 settembre 1949 per la lotta che il poliziotto combatte tutti i giorni come impegno professionale al servizio dei cittadini per l’ordine, l’incolumità delle persone e la difesa delle cose.

La figura di San Michele, dall’ebraico “Mi-ka-El”, “chi è come Dio?”, è da sempre centrale per le Associazioni della Polizia di Stato e per il corpo stesso, al di là della religiosità o meno, essa rappresenta un ideale di Giustizia cui ogni operatore delle forze dell’ordine tende, ossia quello di cercare, con la sua attività, di tutelare i cittadini ed i più deboli al fine di garantire ordine e sicurezza e il vivere liberi sotto l’imperio della legge, come ricorda il motto della Polizia di Stato “Sub lege libertas”.

 

Tra le tante preghiere di invocazione e intercezione e protezione a San Michele arcangelo vi è quella del poliziotto, che qui riportiamo:

 

“Oh! San Michele Arcangelo, nostro celeste Patrono, che hai vinto gli spiriti ribelli – nemici della Verità e della Giustizia – rendi forti e generosi, nella reverenza e nell’adesione alla Legge del Signore, quanti la Patria ha chiamato ad assicurare tra i suoi cittadini concordia, onestà e pace affinché – nel rispetto di ogni legge – sia alimentato lo spirito di umana fraternità . Per questo, imploriamo dal tuo Patrocinio rettitudine alle nostre menti, vigore ai nostri voleri, onestà agli affetti nostri, per la serenità delle nostre case, per la dignità della nostra terra!

Amen”

Capitolo I

Pizzofalcone, il Museo della Polizia di Stato, la “polizia” napoletana Greca e Romana

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Statua di Temi-dea della giustizia- presso l’ Università di Chuo in Giappone

 

È noto che coloni greci si insediarono dapprima nell’isola di Ischia (IX secolo a.C.),  per trasferirsi poi a Cuma e, solo nel VI secolo a.C., fondarono la città di Partenope sull’isola di Megaride (ove ora sorge il Castel dell’Ovo) . Data la posizione geografica invidiabile nel mare nostrum, era più che altro di uno scalo commerciale per mantenere i contatti con la madre patria, che, in un secondo momento, si espanse sul vicino Monte Echia (Pizzofalcone), assumendo la struttura di un piccolo centro urbano.

E possiamo dire che proprio in Pizzofalcone nasce, dunque, il vero primo insediamento “occidentale” di Napoli –tante saranno le civiltà anche preistoriche, per non parlare dei Sanniti, etc.-

Nota anche col nome di Monte di Dio, fa parte del quartiere San Ferdinando, situata fra il borgo Santa Lucia, il Chiatamone e Chiaia. Prima fuori dall’urbe partenopea, e sede di parte del Castrum Lucullianum, poi convento dei monaci basiliani, deve il suo nome alla caccia al falcone, che si iniziò a tenere proprio su questa collina nel secondo lustro del Duecento. Fu il Carlo I d’Angiò che decise di praticare in questa zona – quando la collina non faceva parte del tessuto urbano-  la caccia al falcone,  facendovi costruire una falconiera per la real caccia di falconi.

Nel 1442 la zona Pizzofalcone era fuori le mura cittadine e Napoli fu assediata da Alfonso V d’Aragona. Data l’asprosità della zona fu costruito un bastione per supportare gli attacchi, che prese il nome di Fortelicio di Pizzofalcone, poi rimasto a protezione della città.

Nel 1509 la falconeria fu in parte abbattuta ed il territorio iniziò ad urbanizzarsi, quando Andrea Carafa della Spina, conte di Santa Severina, acquistò alcuni terreni del monastero dei Santi Pietro e Sebastiano per edificarvi la propria villa. Al viceré Don Pedro de Toledo si deve l’ampliamento cinquecentesco che, per la prima volta, inglobò all’interno delle mura il monte Echia, ancora in epoca aragonese fortezza militare siti Perillos, propaggine esterna della città.

Il posto di caccia voluto da Carlo I d’Angiò fu demolito definitivamente per far posto a un carcere, che fu poi convertito in stabilimento militare. Nel 1651 il viceré Conte d’Oñate ordinò che vi si stanziassero le truppe spagnole fino ad allora alloggiati nella zona a ridosso di via Toledo nei quartieri spagnoli. Inizialmente i soldati vennero suddivisi tra Palazzo Carafa ed i suoi giardini.

Solo tra il 1667 e il 1670 il viceré Pedro Antonio di Aragona fece costruire, sulla superficie precedentemente occupata dai giardini, il Gran Quartiere di Pizzofalcone, così da permettere un migliore sistemazione della guarnigione spagnola. che nel XIX secolo era occupato dai Granatieri della Guardia Reale. Nella stessa area insisteva il Reale officio topografico, in cui venivano redatte le carte topografiche, geografiche e idrografiche del Regno delle Due Sicilie. L’edificio era provvisto di una specola per le osservazioni astronomiche in funzione delle rilevazioni geodetiche.

Tale zona, detta  Gran Quartiere di Pizzofalcone o Presidio di Pizzofalcone, oggi si chiama  caserma Nino Bixio è un edificio militare sito a Napoli, all’apice di via Monte di Dio, sulla collina di Pizzofalcone, nel quartiere San Ferdinando. Oggi esso è sede del IV Reparto Mobile di Napoli.

L’edificio, infatti, non ha mai variato la propria destinazione d’uso di carattere militare. Dopo avere ospitato per secoli reparti della guarnigione dell’Armata napoletana e la Real Accademia Militare della Nunziatella, costituita il 18 novembre 1787, subito dopo l’Unità d’Italia ospitò il 1º Reggimento bersaglieri “Napoli”. Contestualmente fu dedicato a Nino Bixio. Dopo la seconda guerra mondiale divenne caserma della Polizia di Stato, adibita ad ospitare il IX Reparto mobile di Napoli, dal 1971 denominato IV Reparto Celere delle guardie di pubblica sicurezza fino a diventare il IV Reparto mobile della Polizia di Stato di Napoli.

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Inaugurazione del museo, 22 giugno 2015

 

Il Reparto Mobile di Napoli è sede anche del Museo della Memoria della Polizia di Stato, alloggiato presso l’ Aula Claudio Graziosi.

Inaugurato il 22 luglio del 2015, in seno alla sezione napoletana dell’ Anps, diretta dal Presidente Commissario r.d.s. in quiescenza Luigi Gallo.

Essa avrà la funzione di manutenzione, custodia e gestione di un piccolo museo della Polizia di Stato, ove saranno esposti mezzi e strumenti utilizzati in passato dalla forza di polizia nonché una collezione privata ad opera del Collaboratore Tecnico Capo della P.S. Marinaro Ezio, con modelli in scala degli automezzi in uso alla polizia a partire dal ‘900 e sino ai giorni nostri.

L’ubicazione sarà l’Aula Graziosi, intitolata  alla guardia di P.S. Claudio Grazioli, insignito della medaglia d’oro al valor civile, il quale il 27 marzo del 1977 perdeva la vita eroicamente perché, fuori dal servizio, aveva riconosciuto e bloccato su di un autobus la terrorista Maria Pia Vianale. La predetta aula già nel ’91 fu destinata a sala lettura, divenendo idoneo spazio di studio presso il Reparto per il personale ivi alloggiato. Successivamente utilizzata per cerimonie e riunioni a carattere istituzionale.

Il museo fonda la sua ragion d’essere sul senso di appartenenza, sullo spirito di gruppo e sulla memoria, tre pilastri su cui poggia.

Quale delegato responsabile del Gruppo è stato proposto il Maresciallo della Polizia di Stato in quiescenza Pisacane Francesco, Cavaliere della Repubblica, membro più anziano del Reparto (nella foto)  e con un indiscusso valore carismatico e di rappresentanza di generazioni di poliziotti avvicendati in tale sede.

Attraverso il museo della memoria della Polizia di Stato vuole perseguirsi lo scopo di realizzare a pieno gli obbiettivi fondanti dell’Anps, ossia custodire la memoria del passato attraverso immagini attuali e foto d’epoca, in modo da trasmettere alle future generazioni, attraverso un percorso storico, i valori fondanti della Polizia di Stato.

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Sovrintendente capo Francesco Pisacane, “il maresciallo Pisacane”, delegato dall’Anps Napoli come responsabile del museo. È il membro più anziano della associazione

Vero è che il museo raccoglie e conserva  cimeli e riproduzioni riguardanti la Polizia di Stato dalla sua fondazione, ossia con R.D. 30 del 1848, seguito dal 1404 del 1852, istitutivi il primo della Amministrazione di Sicurezza, il secondo del Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza, corpi nati dunque nel savoiardo Regno di Sardegna ma poi, a seguito del 1960-1961 estesi gradualmente a tutta l’Italia. Parleremo di questo nel presente opuscolo, costernandolo, ove possibile, con efficaci immagini.

Purtuttavia una premessa non troppo corposa va fatta, ed è uno dei motivi della redazione del presente scritto, analizzare, seppur sommariamente, la situazione della polizia a Napoli in epoca preunitaria, dalla preistoria ai greco-romani, al ducato di Napoli, al dominio Angioino, Aragonese, Borbonico, alla pausa Francese, al ritorno breve Borbonico sino all’Unità Nazionale.

Durante l’epoca Greca, che affonda nella notte dei tempi con figure leggendarie quali il mito della sirena Partenope, sappiamo che intorno al XII secolo i primi coloni si insediano ad Ischia e quasi contemporaneamente a Cuma.  Come era amministrata la “polizia” all’epoca, vale a dire in età preistorica o quando comunque la vita era scandita da ritmi tribali. La curiosità è che la attività di polizia era strettamente legata alla medicina e dunque il “capo della polizia”non era il capo del villaggio, che aveva sotto di sé l’esercito, ma lo sciamano che curava. E non vi era una netta separazione tra malattia e crimine, tra malanno e colpa. Era lo sciamano che aveva il compito di restaurare l’ordine in una società, in una comunità, quando esso si infrangeva e non poteva no farlo che con la ritualità. Ricordiamo che anche in epoca Greco-Romana era usanza dei cavalieri, prima di affrontare un combattimento, rivolgersi ai saceerdoti. Sempre era ed è presente un ordine sacro che non può infrangersi, un sacro equilibrio tra le cose e chi esce fuori da questo equilibrio deve ritornare all’armonia per sé, per la comunità, per il cosmo. Diremmo noi, oggi, va rieducato.

Nel 476 a. C. la Grecia inizia ad insediarsi a Cuma, conquistatala si insediano più ad oriente della vecchia Partenope e chiamano la loro citta “nuova città”, Neapolis appunto. I primi rapporti tra Roma e Neapolis furono improntati all’amicizia e al tentativo di stipulare accordi, ma, sotto le pressioni delle altre colonie, Neapolis fu poi spinta a rifiutare collaborazioni coi romani; questo portò nel 326 a.C. ad un conflitto armato che, nonostante l’alleanza dei partenopei con sanniti e nolani, si concluse con la vittoria del console romano.

La pace non fu tuttavia disonorevole: fu creata una confederazione con Roma, e la città poté mantenere le proprie prerogative e istituzioni, rivelandosi nel seguito una fedele alleata del sempre più potente vicino.

Del resto, Neapolis era per Roma un importante veicolo della cultura e della civiltà greca, un vero e proprio punto di raccordo, oltre che una serena zona di villeggiatura per i patrizi, vi sostava Virgilio, vi morì Ottaviano, primo imperatore Romano, fu costruita Puteoli- Pompei, Ercolano, lo splendido Castrum Lucullianum  che si  estendeva da Pozzuoli a Megarite, la villa a Giugliano di Scipione l’Africano, la residenza dove alloggiava Tiberio a Capri e via discorrendo(ove si dice fosse stato assassinato Romolo Augustolo, ultimo imperatore Romano).

Quale giustizia in quel periodo e quale “polizia”. Abbiamo accennato di civiltà preistoriche, italioti, altri indigeni, Sanniti, ove la figura del sacerdote era centrale –e stesso può dirsi per l’epoca Romana, sia in età arcaica delle XII legge e sia in età Repubblicana, essendo i magistrati di quest’ultima cos’altro se non sacerdoti potremmo dire “civili” ad ognuno dei quali spetta una funzione di governo-. Venendo ai Greci sappiamo che sin da prima che esistesse uno Stato organizzato si seguivano riti similtribali detti della “cultura omerica”[8]che si basava sulla timé, ossia sull’onore e prevedeva la “cultura della vergogna”, non essendovi punizioni per le regole c’era questo shame forse meglio traducibile con guilt, ovverossia  colpa. Non esistono regole, che le viola rompe il patto sociale e la sua colpa è grande e sentita perché, giova rifletterci, gravi e sentiti sono i valori violati. Tali culture sono molto sviluppate nelle piccole tribù che si fondano sul rispetto reciproco e sulla stima, come una sorta di associazioni o club, ove scopo del malfattore di turno non è farla franca ma vergognarsi, sentirsi in colpa. Tipico anche delle culture Longobarde e Normanne per certi versi. La violazione di una norma era, potremmo sottolineare, violazione verso l’altro, verso la comunità ma soprattutto verso il cosmo, l’armonia ed il suo ordine. Non esisteva un foro interno. Il reo era reo e si sentiva in colpa per essere reo, non vi era dunque necessità di indagini giudiziario-poliziesche perché lui stesso confessava un peso insopprimibile. Il concetto di pena[9] nasce dall’altro aspetto del diritto omerico, la vendetta, anche questa diffusa nei citati popoli nordici, essa autorizzava chi era vittima di vergogna e non era vinto dalla colpa, cioè in caso di insensibilità –non infrequente- alla vendetta, che spesso consisteva nell’assassinio di chi aveva ricoperto di vergogna. Il ritorno di Ulisse ad Itaca ne è un esempio. Tale assassinio col tempo viene sostituito da una somma di danaro la poiné, in italiano “pena”. Ciò comporta anche la nascita di un processo, giudicato dagli anziani del villaggio, i gerontes[10]che emetteva una sentenza dikazon. Diritto vero e proprio in Grecia si sviluppa dopo le leggi di Dracone e si struttura in maniera organica, un diritto composito che ispirerà ma solo in linee generali anche i Romani, che si impadroniranno della zona napoletana definitivamente dopo le guerre puniche, grazie ad un coeso ed efficace sistema di alleanze.

In epoca Romana sarà con Silla, nel 90 a.C. che la cittadinanza dell’Urbe sarà estesa su tutta la penisola. Precedentemente Roma si alleava con i vicini latini in una foedus e, successivamente, fuori dal territorio laziale, nacquero i Municipia, che detenevano la cittadinanza romana se appartenenti a municipes optimo iure, se invece municipes sine suffragium et iure honorum-, solo la cittadinanza, senza elettorato attivo o passivo e con una leggera autonomia amministrativa, vi erano infine i piccoli centri, le coloniae, istituiti con riti augurali[11]. In Napoli e provincia esistevano gli uni e gli altri.

Con l’avvento del principato si mantenne il sistema ma i municipia italici, che, a differenza delle province che si trovavano fuori la penisola, avevano ampia autonomia amministrativa. In principio[12] ciascun centro era una sorta di città stato era governato da magistrati cittadini duoviri o quattroviri, a seconda del numero, che eseguivano i decreta ordinis, ossia i deliberati dell’ordo decurionum.

Il sistema si complicò con la divisione dell’Italia in quattro Regioni ad opera di Augusto che favorì fenomeni devolutivi nella penisola.  Pur essendo[13] l’esercizio della giurisdizione civile e penale, e dunque anche le funzioni di polizia, demandate, entro certi limiti, agli amministratori locali nascono nuove figure regionale: il prefectus urbi ed il prefectus praetorio per la giurisdizione criminale, si aggiungono i curatores rei publicae, poi detti correctores, per il controllo tributario locale. [14]

Di queste figure, che ritorneranno in epoca postromana torneremo essendo punto focale di questo scritto il ruolo importantissimo svolto da funzionari e da loro attendenti nei rapporti centro-provincia per l’ordine pubblico.

Sempre sotto il dominio Romano si moltiplicarono i curatores vialis, addetti alla viabilità, una sorta di polizia stradale antelitteram, e ciò non stupisce data l’alta viabilità anche notturna per le vie Romane e quindi necessità di controllo non solo della corretta circolazione ma anche di prevenire ruberie con l’ausilio di fanti. Interessante a tal proposito è notare che proprio a Roma nasce la prima polizia in senso moderno, il corpo dei vigiles istituito nel 6 d.C. da Augusto, ma solo per la città di Roma, per assicurare la vigilanza notturna delle strade-affollatissime anche perché la posta viaggiava nottetempo e proteggere la città dagli incendi frequentissimi nelle insulae (condomini in legno). Sotto Settimio Severo vennero integrati nell’esercito,  7 coorti miliari, vale a dire 7000 uomini, militarizzate anch’esse e formate per lo più da liberticui. Il loro motto era Ubi dolor ibi vigiles (Dove c’è il dolore ci sono i vigili). Gerarchicamente comandati dal praefectus vigilum affiancato da un tribuno e sette centurioni per singola coorte.

Capitolo II

La “polizia”  dopo la caduta dell’impero romano d’occidente: Bizantini, Longobardi, Normanni, Svevi

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In più interviste Umberto Eco affermava che il medioevo non è un contenitore omogeneo, una scatola contenente principi e valori unitari, uniformi, rigidi. Ciò vale in genere per le categorizzazioni storiche, ma ancor di più per il medioevo che dura ben mille anni, anni in cui, certo, non sono avvenute sempre le stesse cose né i valori sono rimasti congelati.

Nel 476 d.C. cadde l’impero Romano d’Occidente ed abbiamo accennato che, secondo la leggenda, le spoglie di Romolo Augustolo, ultimo imperatore si trovano proprio in Napoli, presso l’isolotto di Megaride,  ove ora sorge il Castel dell’Ovo.

Nel 536 l’Imperatore d’Oriente Giustiniano inviò Belisario per conquistare Napoli, che si difese strenuamente, i Bizantini subirono dapprima la perdita della città nel 542, che fu invasa dai Goti , ma se ne reimpossessò nel 533, i bizantini dovettero respingere nemici valorosi, organizzati e che dominavano o domineranno quasi tutta la penisola, i Longobardi, i Vandali. L’eroica lotta fu soprattutto opera dei cittadini napoletani, che del sostegno dei bizantini. Fioccavano leggende, che il popolo napoletano avesse ereditato la tramontata potenza di Roma a causa delle spoglie di Romolo Augustolo che custodiva. Si arrivò, addirittura nel 615, ad una pretesa di indipendenza,  alla ricostituzione di una città stato come in epoca romana, tanto che, l’imperatore d’oriente nel 661 accolse le istanze dei napoletani, nominando un duca napoletano a capo della città tale: Basilio.

Si ripropose il modello Romano, tutto cambiò e restò uguale,  pur dipendendo formalmente da Bisanzio, la città dispose di un governo proprio, che fu dapprima nominato dai bizantini, poi divenne elettivo, e infine ereditario.

In buona sostanza Napoli fu una vera e propria eccezione per la penisola e per il mondo, una grande città stato estranea alle barbariche lotte di conquista che infestavano il resto della nostra penisola. E venendo alla “polizia” si sussurra che la situazione fosse serena, quasi pacifica ed il lavoro dei magistrati cittadini ed indipendenti limitato al limite. L’ordine pubblico regnava leggendariamente sotto l’ordine delle spoglie dell’ultimo imperatore Romano. L’indipendenza durò sino al 1137, periodo di intense e feroci lotte in Italia da parte dei barbari, ma a Napoli la situazione fu tutto sommato tranquilla. Aspre lotte in cui Napoli fu tutto sommato una delle poche isole di civiltà rimaste nella penisola ormai soggiogata dalle popolazioni barbare.

Ciononostante, nonostante il periodo di città stato bizantina, cosiddetto periodo Ducale, governato da un “Catapano”[15]( o Catepano  κατά + ἐπάνος  ossia “colui che sta al di sopra”, deriva anche dal persiano kadbān, che indica il capo di una famiglia e ciò desta in me poco stupore dati i contatti con i Saraceni in Sicilia e con i Persiani altrove dei bizantini) Napoli si trovò spesso contrapposta ai Longobardi ed ai Saraceni, e per questo ricorse a volte al supporto di altre popolazioni, chiamate in forma mercenaria ad aiutare le difese napoletane.

Fu il caso dei Normanni, a cui fu concesso il feudo di Aversa –Castel Capuonarolo-in cambio della resistenza alle mire espansionistiche di Benevento  (longobarda). Ma questi, sotto la dinastia degli Altavilla, non si accontentarono del feudo e, dopo una serie di battaglie, nel 1137 Sergio occupò Napoli, cui fece seguito Ruggero detto appunto il Normanno, che tuttavia alloggiò a Palermo dando una certa libertà governativa a Napoli, seguì  Guglielmo il “Malo”-, cui si deve la costruzione di Castel Capuano[16], che prese a residenza, Guglielmo il Buono, entrambi ottimi governatori e diplomatici con le terre vicine.

Fatta questa debita premessa, non dobbiamo pensare che nel medioevo vi fosse una netta distinzione tra crimines e peccato, anzi erano sinonimi.

Vigeva il particolarismo giuridico sia personale (in base allo status-nobile, cavaliere-) sia oggettivo, riguardo cioè i territori[17], in buona sostanza esistevano normative differenti-particolari- a seconda se si era di una estrazione sociale o meno, oppure a seconda se si appartenesse ad un foedus o meno. A complicare tutto ci si metteva la complessità di questa normativa di questo “Diritto Comune”, caratterizzato da una pluralità di fonti incentrate sul diritto Romano e su quello Canonico, unitariamente ai pareri ed ai digesti dei giuristi, ossia alla dottrina; una vera e propria distinzione tra ius commune ed iura propria[18] . Ed anche i feudi complicavano la stratificazione delle fonti: normativa del principe (o del governo centrale), normativa del signore feudale, normativa del Comune locale, diritto comune (Romano-Canonico-Dottrinario)[19]. In periodo Normanno nel Regno di Napoli era il Papa che istituiva il Regno di Sicilia ed il Re, vassallo del Papa ma sovrano del regno –rex in regno suo est imperator – cerca già dall’epoca di Ruggero II una autonomia[20]. Non solo, nei territori si hanno due possibilità di governo: i feudi, dipendenti dal Re o da autorità diverse, il cui organo di governo erano le università –e tali feudi verranno dette università, e città demaniali, indipendenti dalla Corona[21].

Il principio punitivo era dettato dai Penitenziali, opere nelle quali venivano catalogate le singole colpe-peccati-crimini con le rispettive pene., Se prima colui che giudicava ed applicava la pena era il vescovo, il compito passò subito ai singoli parroci, veri e propri direttori di anime per l’amministrazione del sacramento della penitenza. Il loro ruolo era quello di evitare la arbitrarietà di giudizio da parte del sacerdote, catalogando in elenchi le principali colpe con le rispettive pene private, quali erano fissate da sinodi o da singoli individui, come i confessori più noti per santità e prudenza, di cui si raccoglievano i dicta o iudicia. L’uso dei libri penitenziali cominciò a scemare dopo l’anno mille, quando, con l’elaborazione della teologia sacramentale, la penitenza o soddisfazione, perdendo il carattere penale di riparazione sociale, non conservò che il suo carattere espiatorio e sacramentale, mitigandosi in forme sempre più leggiere, sino a semplici preghiere o ad acquisti d’indulgenze e l’imposizione della penitenza è lasciata al prudente arbitrio del confessore. Il loro valore è di non poco conto perché , oltre all’influenzare e sviluppare il diritto penale canonico, rivestirono una grande importanza anche rispetto alla formazione del diritto penale secolare, nonché alla difesa e al perfezionamento degli ordinamenti sociali, che concorrevano a tutelare.

Omicidio –con pene diverse a seconda del grado di parentela e del rapporto con la persona uccisa-, i peccati carnali, sessuali e di gola, la magia, le mancanze nei confronti della carità, il furto l’intemperanza, l’empietà, era la gerarchia di peccati sanzionati, la pena: vita monastica, peregrinaggi astinenze anche gravose[22]. Il più noto era il Decretum del famoso giurista Burcardo. Altre ragioni della loro scomparsa furono, paradossalmente, l’adattamento agli usi della giustizia secolare presso i popoli barbarici, basati sul sistema del riscatto del delitto mediante la Wergeld, ossia la composizione legale, introducendo un sistema di penitenza tariffata, che i libri penitenziali valsero a diffondere.  Sistema che, fino al XIII secolo si baserà sull’ordalia, la vendetta privata, il duello giudiziario-possibili per diversi crimines, come il furto etc. e soggetto a regole stringenti e precise.

I Normanni, a Napoli e nelle zone circostanti furono all’avanguardia rispetto ad altre popolazioni, come ad esempio i Longobardi, ancora basati sul sistema della guilt ovverosia la colpa, da cui nasceva la lotta e la vendetta tra clan e famiglie. Anche le altre popolazione barbariche si evolsero con l’utilizzo del diritto Romano dopo le codificazioni  Giustinianee ma Napoli ed il sud Italia, sotto dominio -seppur indiretto come a Napoli- ereditarono le magistrature, o meglio alcune magistrature in uso nell’Impero Romano d’Oriente. Non è un caso che il primo duca-catapano si chiamasse proprio Basilio, dal greco basìleios cioè signore o meglio “regale”, termine che rende meglio e con il quale ci si riferisce alle doti di un sovrano, di un signore, ai suoi valori- come oggi si dice “è un gran signore”-.

Le magistrature, vale a dire i funzionari, detti “giudici”, erano  magistrati cittadini, i quali collaboravano con differenti figure subalterne cui tra poco ci soffermeremo.

Giova ricordare che la conquista normanna in Sicilia non aveva avuto come immediata conseguenza l’imposizione di una giurisdizione unitaria. Con le Assise di Ariano, infatti, Ruggero il Normanno lasciava il diritto stratificato e vario dei differenti gruppi etnici, tante fonti e tante giurisdizioni. Tuttavia a poco a poco si stratificò un livello più alto di giustizia, meglio di amministrazione della giustizia, accanto alla giurisdizione civile e penale “minore” concessa alle universitates e basata su usi locali, consuetudini, privilegi regi e specifici concessioni date dal Re ai singoli feudatari, se ne affiancò una potremmo dire più incisiva e di maggiore importanza, quella del sovrano attraverso i suoi giudici cittadini.

Con la costituzione del Regnum Siciliae, del 1130, prendeva forma il disegno di un ordo iudiciarius uniforme, anche per influenza del progressivo recupero della normativa romano-giustinianea, tecnicamente prevalente oltre che bagaglio culturale di larga parte dei collaboratori del sovrano anche e soprattutto grazie alla posizione del Regno.

Elementi portanti della amministrazione di giustizia erano i baiuli, magistrati regi operanti a livello cittadino, mentre gli stratigoti –a Napoli prendevano il nome di compalati- ed i vicecomiti, giudici locali di tradizione bizantina, limitarono molto il loro ruolo nelle città. Giurisdizione provinciale avevano invece giustizieri e camerari. Queste le figure cardine anche dopo le riforme di Federico II di Svevia che, alla morte di Tancredi nel 1194 e dopo tre anni di dominio del sovrano tedesco Enrico VI, lo “Stupor Mundi”  ascese al trono di Sicilia. Cerchiamo di analizzarle seppur sommariamente, come si confà a questo opuscoletto. Giova ricordare, tuttavia, che complice la nascita del Pubblico Studio Napoletano (oggi Università degli studi Federico II) a Napoli, tali funzionari dovevano essere esperti nel diritto nonché fedeli alla Corona. Per la descrizione di questi funzionari dobbiamo ringraziare la Treccani online “Federiciana” e tutti i collaboratori[23]

Iniziamo con lo Stratigoto (stratigotus)[24], magistrato cittadino dotata di competenze giudiziarie, era un ufficiale attivo soltanto in alcuni centri urbani, fra i quali Messina, Napoli e Salerno .

Presente già in età normanna,  evidente è la derivazione onomastica bizantina, compare come ufficiale cittadino durante la minore età di Federico II: è attestato a Messina, in Calabria (a S. Caterina) e ad Amalfi, ove probabilmente ha funzioni territoriali più estese, in quanto è denominato straticotus de toto ducato Amalfie.

La particolarità di questo ufficiale, il cui corrispettivo è da rintracciarsi nel compalatius napoletano[25], consiste nell’ampiezza delle sue attribuzioni nell’ambito dell’amministrazione della giustizia in sede locale. Lo stratigotus, infatti, amministrava la giustizia anche in ambito penale e accoglieva pure le istanze di appello sia in sede civile che penale, a differenza degli ufficiali cittadini ordinari ‒ i baiuli ‒ ai quali spettava solo la cognizione delle cause civili nel primo grado di giudizio. Altra differenza sostanziale rispetto ai baiuli risiedeva nel fatto che dalle competenze dello stratigotus erano totalmente esclusi la materia fiscale e l’ambito amministrativo.

L’assimilazione dello stratigotus con il compalatius è esplicitamente affermata anche nella normativa regia,  in cui il sovrano attribuisce ai compalatii di Napoli e agli stratigoti di Messina e Salerno la prerogativa di amministrare anche la giustizia penale, mantenendo intatto un uso già consolidatosi de speciali et antiqua prerogativa. Non mancano nella documentazione le testimonianze di conflitti di competenza fra lo stratigotus e le altre istituzioni giudiziarie con competenze sul medesimo ambito territoriale. Si prendano come esempi emblematici due mandati del sovrano, entrambi indirizzati al secreto di Messina: uno del 1239 nel quale si evidenziava che lo stratigotus della città usurpava la giurisdizione del giustiziere nella riscossione della pena prevista in caso di omicidio senza colpevole e s’intimava al secreto di rimediare a questo sconfinamento di competenze); il secondo, indirizzato oltre che al secreto anche allo stesso stratigotus, nel quale il sovrano precisava le competenze dell’ufficiale in una inchiesta su alcuni genovesi che a Messina avevano assaltato cittadini di Savona, stabilendo che la stessa inquisitio così come la cattura e la punizione dei colpevoli rientravano nelle competenze dello stratigotus e non in quelle del secreto.

A Napoli lo stratigotus messinese, salernitano ed amalfitano prendeva il nome di compalatius[26]. Magistrato essenzialmente giudiziaria con competenza sulle cause civili e penali, per il primo grado di giudizio, l’ufficio del compalatius riguardava esclusivamente la città di Napoli. Rappresentava una particolarità rispetto alla magistratura cittadina ordinaria del baiulus operante in tutte le altre città del Regno, l’imperatore, infatti,  dopo aver dettato alcune norme circa la ridefinizione dell’ufficio di baiulo, stabiliva quasi a continuazione che per le magistrature omologhe ‒ il compalatius di Napoli, appunto, e gli stratigoti di Messina e Salerno ‒ rimanessero in vigore le antiche prerogative che attribuivano loro la cognizione delle cause penali, escluse dalle competenze ordinarie dei baiuli.

Il compalatius, come il baiulo, prendeva l’ufficio in gabella: nel 1231, l’ufficio era stato appaltato per 70 onze annue. Come ufficiale regio in sede locale, il compalatius poteva svolgere occasionalmente incarichi relativi ad altri settori di interesse dalla Curia regia, e per conto del sovrano stesso, incarichi che nulla avevano a che fare con le funzioni proprie della sua magistratura, ma che tuttavia testimoniano in maniera evidente come la struttura funzionariale della monarchia fridericiana fosse ben lungi dall’essere ingessata in ruoli e ambiti esclusivi e predeterminati: in questa ottica vanno compresi i mandati inviati dal sovrano al compalatius affinché, accingendosi Federico II a rientrare nel Regno nel 1240, provvedesse a inviare a corte diversi barili di vini o funzioni  relative all’approvvigionamento del pesce di migliore qualità per le cucine del cuoco di corte, o ancora funzioni relative al mantenimento sui fondi della propria amministrazione di alcuni falconieri e del loro seguito di uomini e animali.

Passiamo al Baiulus

Anche il baiulus esisteva già in epoca normanna, il baiulo costituisce uno dei cardini dell’amministrazione regia in sede periferica[27], vale a dire nei terreni extracittadini. Le competenze del baiulo si articolavano sostanzialmente in due ambiti, quello giudiziario e quello fiscale. In linea con una struttura amministrativa e funzionariale dai confini sempre sfumati e caratterizzata da una studiata flessibilità, i baiuli rappresentavano, almeno in linea teorica, uno dei terminali dell’azione regia; il loro compito principale era quindi quello di costituire, insieme ad altri funzionari periferici ‒ giustizieri, camerari e castellani ‒ il supporto necessario all’azione di governo in qualsiasi direzione essa si indirizzasse.

In questo senso due disposizioni emanate da Federico II, obbligavano i baiuli a fornire auxilium et consilium agli ufficiali regi tutti, qualora essi lo avessero richiesto per utilità della Curia regia.

Lo scopo è quello di sostituire forme di vendetta privata e giudizi di arbitrato per cause di minore entità delegate alle amministrazioni locali ed ancora presenti in alcune zone territoriale periferiche con la figura dello Stato, nella persona del baiuli.

Il baiulo, inoltre, presiedeva un tribunale che, oltre alla competenza su tutte le cause civili ‒ sia reali, sia personali ‒ ad eccezione di quelle feudali, avesse giurisdizione sulle cause penali che non prevedessero pene capitali. Per la cognizione delle cause e l’istruzione dei relativi procedimenti il baiulo era assistito da un giudice e da un notaio per la confezione delle scritture processuali.

L’ufficio di baiulo era concesso in gabella ‒ in extalium ‒ o in credenciam e poteva essere conferito dalla Curia regia o dai maestri camerari, ufficiali diretti superiori dei baiuli nella gerarchia delle magistrature locali.

Il baiulo al momento di accedere alla carica doveva prestare giuramento al maestro camerario di amministrare rettamente la giustizia. Il baiulo doveva essere necessariamente de demanio et homo demanii e non poteva essere un ecclesiastico; entrava in carica alle calende di settembre e l’incarico aveva la durata di un anno.

Nell’ampia sfera di competenze della bagliva, la magistratura locale per antonomasia, rientrava anche tutta una serie di compiti attinenti più specificamente all’ordine pubblico, al controllo delle attività locali e all’esazione fiscale, compiti questi che più da vicino richiamano l’attività dei baiuli normanni. Dalle disposizioni normative fridericiane si evince che i baiuli dovevano sorvegliare sulla tenuta dei fondaci regi da parte dei magistri fundicarii e corroborare con la loro testimonianza gli acquisti e la buona tenuta delle merci nei fondaci; dovevano imporre le defense, e ancora sorvegliare sulla conservazione dei tesori rinvenuti e sulla custodia di servi fuggitivi o di ladri, da inviare agli ufficiali competenti. Propaggini altre della baiulatio, ma sempre legate alla carica principale, erano infine i due baiuli fidedigni che una norma del 1231 stabiliva fossero eletti in ogni luogo allo scopo di vigilare sulla corretta gestione del commercio al minuto e dell’artigianato nei mercati locali e di denunciare le eventuali frodi alla Curia regia; e ancora i Baiuli Sarracenorum che nella Sicilia occidentale, alle dirette dipendenze del secreto ‒ dal quale ricevevano l’ufficio in gabella, secondo le modalità consuete ‒ amministravano la giustizia per la popolazione araba.

La centralità della figura del baiulo nell’ambito dell’amministrazione periferica ‒ cittadina in particolare ‒ e la sua duplice accezione di magistratura giudiziaria e fiscale, rappresentante locale del sovrano, aveva corrispondenti analoghi anche nella strutturazione di altre realtà monarchiche medievali coeve: omologhi nella denominazione e in parte anche nelle funzioni, erano i baile o battle dei domini della Corona d’Aragona e i baglivi regi del Regno di Francia. Questa connotazione cittadina, poi, verrà ulteriormente rafforzata in epoche successive a quella sveva; nel Regno di Sicilia, dopo il Vespro, questo ufficiale, divenuto elettivo, sarà il vertice non soltanto dell’amministrazione della giustizia civile, ma anche del governo locale delle principali città demaniali del Regno.

Potremmo azzardare che il baiulo è il diretto antecedente del gestore dell’ordine pubblico, del funzionario di polizia.

Vediamo ora Giustiziere e Maestro Giustiziere[28]

Una rete di magistrati ai quali era deputato il compito di mantenere la pace (ovvero di garantire l’ordine pubblico) vigilando sul territorio, solo dal 1140 appaiono documentati, in tutto il Regno, i giustizieri, dapprima con competenze territoriali indefinite e solo successivamente connesse alle specifiche circoscrizioni territoriali.

Peraltro, almeno in una prima fase, e segnatamente in Sicilia, le competenze dei giustizieri provinciali, aventi principalmente giurisdizione in materia criminale e feudale, potevano sovrapporsi, e confondersi, con quelle del gran giustiziere di corte (Regiae Curiae Iustitiarius), al quale era affidato, con il potere di ius dicere, il compito di risolvere le controversie feudali e di procedere alla revisione dei privilegi, oltre che l’incarico di specifici accertamenti.

La magistratura è di notevole rilievo politico, i grandi giustizieri, assistiti da una ristretta curia di giuristi, assumeranno, con il trascorrere del tempo, specifiche competenze in materia giurisdizionale, fino a costituire una magistratura specializzata. Contestualmente, per quanto a noi interessa, a livello periferico, pro conservanda pace, veniva strutturata una rete di giustizieri provinciali, con competenze distrettuali, dando così vita a un ordo gerarchicamente strutturato in un livello apicale, centrale-regio, in un livello intermedio, periferico-provinciale, e in un livello basso, costituito dai baiuli, presenti nelle universitates e terrae demaniali e feudali.

Il giustizierato veniva a costituire, pertanto, una sorta di sistema piramidale che affondava la propria cuspide nella Curia regis.

Seppure vada tenuta presente una sostanziale difformità, sia nei tempi di attivazione che nelle funzioni, si può ritenere che nella tarda età normanna ai giustizieri provinciali fossero sovraordinati dei maestri giustizieri (tre, uno per valle, per la Sicilia), subordinati a un gran giustiziere che, in assenza del sovrano, presiedeva la regia gran corte.

Con l’estensione della magistratura baiulare e la strutturazione del giustizierato, la monarchia normanna realizzava un efficace controllo del territorio, secondo un disegno poi ampiamente ripreso da Federico II, il quale, significativamente, avrebbe riservato l’esclusiva giurisdizione ed imponeva ai giudici, che non potevano essere né ecclesiastici né di condizione servile né soggetti alla giurisdizione feudale, la conoscenza del diritto comune e di quello regio nonché delle consuetudini locali, che come abbiamo visto supra erano apprese nel Pubblico Studio Napoletano (la Federico II) dal 1240 sarà vietata la vendita degli officia baiulationum .

Il progetto costituente federiciano, però, non si limitava al solo riordino degli apparati giurisdizionali ma davano consistenza a un progetto tendente al controllo delle città e delle terre abitate, concedendo ridotti ambiti decisionali ai ceti dirigenti locali.

 

In tale prospettiva assumeva particolare significato la figura del maestro giustiziere, che assurgeva a vero arbitro dell’attività giudiziaria, quasi iustitiae speculum, secondo l’immagine disegnata dalla costituzione Magnae Curiae, e vero “grande fondamento ‒ dopo il re ‒ del sistema giurisdizionale del Regnum”. A lui, ridefinendo in uno competenze e strutture della gran corte e del gran giustiziere, affidava un estesissimo potere disciplinare e di controllo su tutti i giudici.

Del pari veniva perfezionata la costruzione di un apparato giudiziario territorializzato teso a riportare tutta la giustizia al sovrano, sempre per quei fini per cui nascerà la Polizia di Stato, la tutela dell’ordine pubblico, ossia lo Stato quale garante innanzi ai sudditi dell’equità, della pace e dell’ordine. Un intento che doveva risultare chiaro anche dal giuramento (o breve) che i giustizieri pronunciavano assumendo l’ufficio, impegnandosi, specialiter et expressius, “ut Deum et iustitiam habendo pre oculis unicuique conquerenti iustitiam faciant sine fraude et quam citius poterunt litigantes expedire curabunt” .

In tale contesto, il connettivo del sistema giudiziario, con una significativa rivitalizzazione dell’impianto normanno, era costituito dai giustizieri provinciali con un sistema di tribunali aventi giurisdizione di appello avverso le sentenze dei giudici cittadini e provinciali e giurisdizione di primo grado “in defectu etiam camerarium et baiulorum“.

Va ritenuto che i giustizieri, certamente da distinguere sia dal supremo gran giustiziere che dai maestri giustizieri, organi intermedi, siano identificabili con i giustizieri regionali o provinciali o anche con i Praeses provinciarum e a tal fine appare indicativo che, nell’insieme, gli stessi magistrati venivano indicati, dapprima, come Iustitiarii regionum, quindi Praeses provinciarum e, infine, Iustitiarii.

 

Nel 1266, chiamato in Italia dal papa, Carlo d’Angiò, fratello del re di Francia, sconfisse Manfredi a Benevento e assunse la corona del regno del Sud. Per decisione di Carlo, la città divenne capitale del regno e non più Palermo e la società fu organizzata in Sedili, organismi democratici che fungevano da mediatori tra il monarca e gli interessi del popolo. Nonostante una forte pressione fiscale, con la nuova dominazione la città cambiò volto: sorsero splendide chiese, fabbriche monumentali, ci fu uno sviluppo di artigianato e commercio, e un rapido incremento demografico.

Anche la giustizia ed i rapporti città-provincia ebbero lievi modifiche rispetto alle Costitutiones federiciane, Re Carlo si inserì in quel solco legislativo per rendere più razionale ed efficace il sistema giuridico[29]. Esemplare la descrizione dei mutamenti fatta dall’Aliberti[30]. I compiti dei sette grandi ufficiali del Regno furono meglio precisati, con la creazione della Gran Tesoreria, affidata alle cure di funzionari e burocrati che poi costituiranno la spina dorsale della Regia Camera della Sommaria. A capo di ogni provincia furono posti i giustizieri, ad incarico biennale e non più a vita. nelle piccole e grandi realtà periferiche la figura del baiuolo era affiancata a quella del capitano. Il capitano era un vero e proprio rappresentante del potere statale, condizionando fortemente l’amministrazione delle comunità locali. Nelle terre demaniali rappresentava il sovrano, nei feudi il barone, il feudatario, che poteva nominarlo. Le funzioni del capitano erano le più varie, amministrava cause civili, militari e nell’esercizio delle sue funzioni era assistito da uno scrivano e da un assessore. Egli inoltre presiedeva il parlamento locale. Stando così le cose il baiulo mutava le proprie, amministrava cause civili e penali di lieve entità e vigilava sulle assise, sui pesi e sulle misure. Spesso nelle realtà locali erano anche eletti sindaci temporanei.

Per quanto attiene la città di Napoli erano attivi tre tribunali centrali: il Sacro Real Consiglio, con Giurisdizione prevalentemente civile, la Real Corte della Sommaria , una sorta di Corte dei Conti che si occupava sia di contenzioso fiscale sia di controllo della contabilità pubblica, appalti etc. infine la Magna Curia della Vicaria, con competenza penale in generale e civile solo per la città di Napoli[31]. Questa organizzazione dei tribunali è frutto della lenta evoluzione che dai Normanni passa per gli Svevi, gli Aragonesi e poi i primordi del vicereame.

Per quanto attiene la amministrazione della giustizia solo con l’annessione del Regno di Napoli alla corona di Spagna e la sua costituzione in Vicereame 1503, Castel Capuano fu destinato per la prima volta alla funzione di Palazzo di Giustizia. La sua prima sede fu Napoli, trasferita temporaneamente a Frattamaggiore nel 1493 a causa di un’epidemia che colpì la città partenopea. A seguito qui  come accennato supra,  il viceré don Pedro de Toledo riunì tutte le corti di giustizia sparse in diverse sedi in tutta la città: il Sacro Regio Collegio, la Regia Camera della Sommaria, la Gran Corte Civile e Criminale della Vicaria e il Tribunale della Zecca. Per adattarlo alla nuova funzione, il castello fu trasformato nel 1537 dagli architetti Ferdinando Manlio e Giovanni Benincasa: furono eliminate tutte le strutture tipicamente militari e fu modificato nei suoi spazi interni, mentre i sotterranei furono destinati a prigione dotata di attrezzatissime camere di tortura. Fu merito di don Pedro, tra l’altro, la attenuazione della gogna della “colonna infame”, prevedendo una esposizione a capo scoperto al cospetto dei creditori innanzi al popolo. La Colonna della Vicaria, di marmo bianco e collocata innanzi la porta principale del castello  era teatro, negli anni precedenti, di una ben più meschina ed ordalica usanza. Ove un uomo non era in grado di onorare un debito, egli veniva costretto a salire sulla cima di questa colonna, abbassare i calzoni, e mostrare il sedere alla folla divertita, una vera e propria gogna oltremodo umiliante. La “tortura” aveva termine solo alla pronuncia, da parte del reo/creditore, “cedo bonis” cioè cedo tutti i miei beni.

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La Colonna Infame napoletana

Dall’archivio di Stato sappiamo che[32] la Gran Corte della Vicaria esercitava la propria giurisdizione nel Regno di Napoli. Magistratura di appello di tutte le corti del Regno per le cause criminali e per quelle civili, trova la sua origine nella “Magna Curia” normanna. L’istituzione, ad opera di Carlo II d’Angiò, della Corte Vicaria, presieduta dal Vicario del Regno, portò in seguito alla fusione delle due corti con un solo capo e con la denominazione di Gran Corte della Vicaria. Essa aveva svariate competenze: dal dirimere le questioni relative alle cariche pubbliche e all’esercizio del sindacato, cui erano sottoposti i funzionari pubblici alla fine della carica, all’emanazione di bandi a tutela dell’ordine pubblico e del diritto sulla proprietà. A questo si aggiungeva la facoltà di intervenire in questioni ereditarie, nella salvaguardia dei beni dotali, nell’adempimento di capitoli matrimoniali ed, infine, in questioni relative al riconoscimento della maggiore età. Questo tribunale divenne secondario dopo la creazione del Sacro Regio Consiglio, che rivedeva i decreti della Vicaria e decideva dopo aver udito la relazione del giudice di quest’ultima. La Gran Corte era presieduta da un reggente. Con prammatica del 7 novembre 1798, alla Vicaria, il cui presidente fu detto reggente della Gran Corte, restarono le sole competenze giudiziarie, mentre prevenzione dei delitti e funzioni di polizia in genere passarono al direttore generale di polizia.

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Palazzo della Vicaria

Fu in questi anni, tra  il 1507 e il 1707 che tuttavia ci furono gravi situazioni di malgoverno, soprattutto in merito alla pressione fiscale nella capitale del Regno. In questo periodo, per difendere il popolo dalle prepotenze dell’invasore iberico, che nacque e si affermò la terribile piaga della “camorra”, nata come società segreta con fini di mutua assistenza[33]. Inoltre è in questo periodo che, complici numerosi eventi bellici, diverse sono le insurrezioni popolari per l’aumento della tassazione ed al tentativo di istituire l’Inquisizione Spagnola anche al Vicerame di Napoli. La più celebre fu quella del 1647, che vide come protagonista il celebre “Masaniello” capopopolo di una folla inferocita- la Napoli arrabbiata l’abbiamo vista con la caduta dell’impero Romano d’Occidente e la vedremo con le rivolte del 1799, con le Quattro Giornate o a seguito del referendum popolare, o ancora in altre occasioni, di temperamento mite arde quando è lesa nei suoi diritti- che combatté per più di un anno i dominatori sino alla presa del Castello del Carmine. Anche qui, nonostante la resa, le guardie cercarono di svolgere azione mediatrice e di evitare il peggio. Ma mantenere l’ordine pubblico fu impresa ben ardua, nonostante ci si riuscì per quasi due anni. Leggenda vuole che la soluzione fu “scientifica”, posta in essere da attività di quella che oggi chiameremo “polizia politica”.

Tornando a noi, dunque, chiedendoci chi fosse, sino al ‘700, il dominus cittadino della polizia nel coacervo di burocrati e funzionari della Gran Corte? Il capitano di giustizia con i suoi birri-dal latino rossi per la casacca indossata-, detto anche bargello, dal Gotico bargi e dal tedesco burg, col significato di  “torre fortificata”. Capitano non sempre da  confondere con quello addetto alla cura della provincia, che deriva dal catapano normanno che abbiamo visto supra. Il bargello agiva con i suoi servi, come nel capitolo XII dei promessi sposi ove c’è proprio una azione di tutela dell’ordine pubblico, durante la rivolta del pane in cui viene braccato l’innocente Renzo, tratto con l’inganno in un osteria da un servo del bargello, fatto alloggiare ed al mattino scampato per miracolo all’arresto del Capitano di giustizia con la figura del verbalizzante, il notaio criminale[34].

Competenza principale del capitano di giustizia era quella di capo della polizia, ed era responsabile dell’amministrazione giuridica della città, della sua difesa e dell’ordine pubblico. In genere si trattava di un nobile cittadino o di un forestiero laureato in legge. Come giusdicente, era subordinato un vicario, dottore in diritto civile e penale; come funzionario di polizia, un luogotenente. La sua giurisdizione riguardava prevalentemente le cause penali.

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Il capitano di giustizia dei Promessi Sposi, cap XII, in una edizione illustrata

 

Capitolo III

La polizia borbonica

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Gendarmeria reale a piedi

Nel 1736 sale al trono di Napoli Re Carolo, primo della dinastia dei Borbone a governare sul Regno, ed il governo borbonico durerà sino alla Unità d’Italia, salvo la breve parentesi del dominio francese-napoleonico, tra il 1806 ed il 1815, che non pochi contributi diede ala organizzazione della polizia a Napoli e nelle province.

Nel settecento iniziano i fermenti illuministi, anche nella nostra città, e proprio in questo secolo, in cui nel Granducato di Toscana è concessa la Leopolda, primo codice in vigore che trattava in maniera più umana il reo e che aveva come fine la rieducazione di esso, normativa che fu influenzata senz’altro dall’opera di Cesare Beccaria “dei Delitti e delle Pene” ove per prima si teorizzava, tra l’altro, l’abolizione della tortura come strumento di ricerca della verità, l’abolizione della pena capitale e lo scopo rieducativo della pena.

Per quanto attiene la polizia borbonica iniziarono le prime ravvisaglie di una sua risistematizzazione, riordino. Due erano i modelli, quello tedesco della Polizei che rinviava più che ad una attività fondamentale dello Stato stesso ad una modalità di rapporto Stato-cittadino, senza conflitti tra polizia ed organi giudicanti[35]. In Francia la situazione era differente, essa era caratterizzata da un apparato metropolitano “civile” retto dal potente lieutenant il luogotenente progressivamente autonomo e spesso in conflitto col potere giudiziario. Per il controllo delle campagne e delle grandi strade del regno vi era invece il Maréchaussée, affiancato dai suoi prévots, che amministrava una giustizia penale di eccezione[36].

Il modello francese sarà senza dubbio quello preferito anche nel Regno borbonico e in quello sabaudo e poi in Italia. Ferdinando e Maria Carolina vareranno una importante riforma della polizia, date le complessità investigative ammodernate con i recenti mezzi scientifici e con nuove attrezzature di rilievo, schedatura  e di assalto, nonché da una fitta rete di spie, tanto che il lavoro della polizia, almeno per la città, fu lentamente organizzato per settori tematici e non diviso in quartieri mentre nella provincia, sino almeno alle riforme del periodo francese, il sistema restava immutato[37].

Nel 1779 una riforma sottrasse il controllo della polizia napoletana al reggente della Vicaria- capitano di giustizia- e affidò ciascuno dei dodici quartieri cui la città era divisa ad un giudice commissario, sottoposto ad obbligo di rapporto e responsabile delle ronde notturne[38].  

Una riforma della polizia nelle province nasce dal duca D’Ascoli in Puglia nel 1801 ed estesa nel 1803 a tutto il Regno. Essa si ispirava probabilmente all’idea del Galanti[39], fu la suddivisione del  territorio in Dipartimenti, soppresso ogni privilegio istruttorio di foro, un commissario avrebbe dovuto procedere alla raccolta delle prove ed al trasferimento dell’imputato al tribunale competente[40].

Tuttavia tale sistema trovò numerosi ostacoli, soprattutto per quanto riguarda i costi della forza lavoro e degli uomini in arme. Il sovrano stabilì allora che vi fossero corti regie di due armigeri per migliaio di abitanti,  sia nel caso del Fisco, sia nei terreni demaniali il governatore da cui dipendeva il barone. Nel caso non si riuscisse a sostenere tale cifra, o lo richiedessero esigenze d’ordine, oltre ai due armigeri per migliaio di abitanti le corti avrebbero dovuto nominare bargelli tra gli uomini più probi e virtuosi dei villaggi[41].

Dopo il 1799, dunque, il Tribunale di polizia riprese le sue funzioni, prima nella sola capitale, poi dal 1803 concatenata ai Presidi. Governatori locali e Presidi continuavano a svolgere funzioni di polizia; nel 1806 veniva istituito il Ministero di Polizia generale, che aveva alle sue dipendenze i Commissari, uno per la città di Napoli uno in ciascuna provincia. C’era poi la figura del commissariato generale col compito di sovrintendere alle carceri[42]. I commissari dei quartier avevano potere di polizia giudiziaria limitatamente ai reati a cui pena non eccedesse gli otto giorni di detenzione o i dodici carlini di multa; se la pena era maggiore la loro funzione di polizia era limitata alla formazione del processo verbale ed il tutto era poi trasmesso, con l’imputato, al tribunale competente[43].

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L’Intendente

La Polizia in buona sostanza, a Napoli era comandata da un prefetto di polizia, mentre in ogni quartiere della città come anche alle prigioni, alla borsa di commercio e alle barriere vi era un commissario, alle cui dipendenze agivano ispettori, cancellieri e vice cancellieri. Nelle province la direzione della Polizia era affidata agli intendenti, che si avvalevano di ispettori e commissari nonché dei giudici regi (nei comuni ove non risiedeva un ispettore) e dei sindaci (nei comuni privi di ispettori o giudici).

Altra figura presente nelle province quella dei “giudici di Pace, istituiti nel 1808, figura a metà tra il giudice e il funzionario, rappresentava una magistratura popolare, strumento di concordia sociale e pacificazione giudiziaria, ma anche vero e proprio presidio giurisdizionale sul territorio.

Coadiuvato prima da due assessori e poi da un cancelliere, le sue competenze civili e penali erano molteplici ed erano esercitate sul posto, negli uffici del tribunale di ciascun circondario di distretto, e in itinere nei comuni del circondario. Esso giudicava sulle azioni civili inappellabilmente fino a 20 ducati e, con appello, fino a 200. Nelle materie di polizia, di cui aveva cognizione, applicava la detenzione fino a giorni 5 o multa estensibile a ducati 6, e nella materie correzionali la prigionia per giorni 10 e la multa in ducati 20, dando voto soltanto consultivo nei reati punibili con pena maggiore. Avendo anche funzioni di «uffiziale della polizia giudiziaria» poteva ricercare qualunque delitto pubblico, ricevere accuse e denunzie, arrestare i delinquenti colti in totale o quasi flagranza[44].

La costituzione delle Guardie Nazionali, risale invece al 1806, voluta dalla borghesia napoletana per soffocare la reazione borbonica dei lazzari contro il sistema napoleonico. Già dalla nascita e conoscendo la storia del ‘799 napoletano sappiamo che trattasi di un corpo d’élite. Ferdinando II le dette nel 1833 un nuovo ordinamento, consentendo l’arruolamento agli uomini dai 21 ai 50 anni che però, data la costituzione in epoca repubblicana, fossero di comprovata fede monarchica.  Essi a seguito della unità d’Italia confluirà di lì a poco nella Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza.

Altre forze di polizia borbonica da menzionare sono polizia la gendarmeria, cui erano affiancate le compagnie di uomini d’arme, antica istituzione di origine medievale, di cui abbiamo avuto largo modo di parlare, riordinata nel 1833 e nel 1834, ai fini del mantenimento dell’ordine pubblico, della vigilanza sulla pubblica sicurezza.

Capitolo IV

Nasce la Polizia di Stato

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Ed inizia qui la trattazione a partire dalla data di nascita del corpo che dopo le normative dal 1843 in poi avrà i natali l’11 luglio 1852, e costituita nel Regno di Sardegna per poi estendersi a tutta l’Italia con l’Unità e, dunque, anche al Reame delle Due Sicilie. Imprescindibile per questa trattazione l’opera “Storia della Polizia a Napoli”, promossa dal questore Santi Giuffré e cui tanta ala ha speso il professor Giuseppe Cuomo della Università degli Studi di Napoli.

Il testo, che farà da vademecum, accompagnerà questo opuscolo con i diversi cimeli della Polizia di Stato custoditi preso il museo Claudio Graziosi al Reparto Mobile di Napoli.

Inizieremo dunque da subito dopo il Congresso di Vienna, che ha ristabilito un ordine prenapoleonico. Nel Regno di Sardegna[45] verrà istituita l’Amministrazione del Buon Governo, divisa in Ministero dell’Interno, che si occupa dell’aspetto burocratico, e Governatori militari sul territorio, responsabili della polizia. Subordinati a ciascun governatore, o nei comuni senza alcuna forza armata ai sindaci, possono essere di città o di provincia, il commissario preposto è un funzionario civile che si avvale del Corpo Reale dei Carabinieri-istituito nel 1814 come organo di polizia- per espletare le sue funzioni.

È nel 1841 che la polizia passa al Ministero della Guerra e viene istituito l’Ispettore Generale della Polizia, cui spetta l’intero comando della polizia, una sorta di odierno “Capo della Polizia”.

Sotto Carlo Alberto nasce, nel 1848 l’Amministrazione di Pubblica Sicurezza, con a capo l’Ispettore Generale, divisa in 4 Divisioni Amministrative, ognuna delle quali facente capo ad un intendente, che a loro volta facevano capo all’Ispettore Generale. Le Divisioni divengono poi province e l’intendente diviene il capo della provincia, ogni provincia sarà divisa in Mandamenti retti da un delegato. Nei comuni  con meno abitanti tale attività sarà svolta dal sindaco. Preme sottolineare che tale divisione vale per l’ordine pubblico, nei piccoli centri, ad esempio, per questioni di ordine pubblico ci si rivolgeva al sindaco e non al comandante dei carabinieri.

È l’11 luglio 1852 quando nasce la polstato, allora chiamata Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza, tale corpo sostituì i Carabinieri Veterani, da non confondere con i carabinieri, che avevano funzione di Guardia Nazionale e di tutela dell’ordine pubblico. Nel 1865 nascono poi le figure di prefetto e questore, al fine di unire funzioni di polizia e funzioni amministrative.

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Comandante Maggiore in Grande Uniforme, 1865 (Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza 1852-1890)

 

Nel 1890 Giolitti istituisce le “Guardie di Città” ed in esse confluiscono il Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza e tutti i corpi di polizia esistenti.

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Sotto brigadiere di mare, 1903 (Corpo delle Guardie di Città (1890-1919)

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Foglio Matricolare e Caratteristico delle Guardie di Città

Tuttavia nel 1919 rinasce il corpo e viene chiamato “Regia Guardia di Pubblica Sicurezza”, con personale incrementato e maggiormente esperto, complice anche la da poco cessata Grande Guerra[46]

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Vice brigadiere in uniforma ordinaria, 1919 (Corpo della Regia Guardia per la Pubblica Sicurezza 1919-1922)

A seguito della marcia su Roma del 1922 e dell’ascesa del fascismo si scioglie la Regia Guardia della Pubblica Sicurezza e la sua funzione passa ad un corpo civile paramilitare, la “Milizia Volontaria per la Pubblica Sicurezza”.

Ben presto, tuttavia si ricostituisce un Corpo degli Agenti di Pubblica Sicurezza, all’inizio, nel 1925, solo civile, poi successivamente i funzionari dovevano essere ufficiali provenienti da altri corpi ed in possesso di laurea. Tra il 31 ed il 40 ben si distingue l’Arma dei Carabinieri dalla Pubblica Sicurezza, soprattutto per quanto attiene il ruolo privilegiato di quest’ultima in merito all’ordine pubblico. Il corpo di pubblica sicurezza, di tal guisa, dipendeva da questori e prefetti.

41 bis

Uniforme del Corpo degli Agenti di Pubblica Sicurezza (1925-1944)

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Guardia a cavallo in grande uniforme, 1926 (Corpo degli Agenti di Pubblica Sicurezza 1925-1944)

Rispettivamente, da sopra, particolare di un basco e di un elmetto delle Guardie di Pubblica Sicurezza, da notare il fregio savoiardo il cui scudo non reca la scritta RI ma l’emblema del Regno d’Italia.

 

Sempre in epoca fascista, dal Corpo nacquero due altre forze[47]. La prima è l’OVRA –Opera Volontaria per la Repressione dell’Antifascismo-, una vera e propria polizia politica a tutela del Regime e del Capo di governo, ma con compiti anche di spionaggio e servizi segreti. Essa era composta da 11 ispettorati diffusi su tutto il territorio nazionale con compito di controllo e schedatura dei dissidenti.

Il secondo, per certi versi, è ben più glorioso, si tratta del Corpo della Polizia Coloniale (PAI), di stanza in Africa e con il compito di salvaguardare i confini e garantire la sicurezza dei coloni. Anche molti coloni furono arruolati. Si distinse per eroiche imprese di salvaguardia dell’ordine pubblico e dell’incolumità dei coloni, uomini integerrimi,  fedelissimi tanto da ottenere il plauso dei britannici durante l’assedio di Adis Abeba e di molte altre città etiopi per la fermezza attraverso la quale riuscivano a combattere sciacallaggio, saccheggi e ruberie, rischiando in proprio e con altissimo senso di giustizia e del dovere. Dopo l’armistizio del ‘43 furono fedeli a Badoglio e contro la Repubblica Sociale, molti di loro confluirono nella P.S. con R.D. 687/1943. Essenziale, come detto supra, il loro ruolo nella fondazione dell’Anps.

Rispettivamente Soldatino PAI, Copricapo PAI, Verbale di congedo PAI e medaglietta della guardia, Coltello guardia PAI e Crest

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Vice brigadiere in uniforme da campagna, 1941 (Corpo di Polizia dell’Africa Itaiana- PAI 1936-1945)

 

Facendo ora un piccolo passo indietro torniamo ai Borbone post decennio napoleonico per capire con che grado si sostituì il nostro Corpo con quelli locali, già analizzati, e con il sistema di garanzia dell’ordine pubblico in città ed in provincia e tra città e provincia.

Il primo corpo di P.S. italiano fu istituito da Garibaldi e nomato “militi a cavallo” che sostituivano la Gendarmeria a Cavallo e le Compagnie d’Armi. Nel 1877 i militi a cavallo confluirono nel Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza.

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Brigadiere in uniforma da parata, 1877 (Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza a Cavallo per le Province Siciliane 1877-1892)

 

L’attività della Pubblica Sicurezza, soprattutto a Napoli, fu sempre a tutela dell’ordine pubblico, contro il contrabbando e di soccorso ai cittadini.

L’Amministrazione Centrale della P.S. con a vertice il Capo della Polizia, si articolava in Prefetti, capi dell’Ufficio Provinciale di Pubblica Sicurezza, di stanza nelle province, e Sottoprefetti, capi dell’Ufficio Circondariale di Pubblica Sicurezza, di stanza nelle circoscrizioni. Scendendo avremo una sorta di attuali commissariati: Delegazioni di P.S. nelle provincie e Ispettorati nelle città.

Col governo Giolitti e grazie anche alla cattedra di Medicina Legale presso l’Università di Napoli, ottenuta dall’allievo di Cesare Lombroso Salvatore Ottolenghi, espertissimo di indagini effettuate con l’ausilio delle scienze aumentano gli strumenti a disposizione del Corpo. In primis l’utilizzo di agenti investigativi in borghese ben addestrati, abili nelle indagini giudiziarie e nella ricerca criminale. A seguire l’introduzione dell’anagrafe di polizia e gli schedari ed il primo Gabinetto Scientifico di Polizia, che evidenziava i delinquenti attraverso metodi di segnalamento, descrittivo, fotografico, antropometrico[48] .

Dopo il periodo delle Guardie di Città, la Regia Guardia di Pubblica Sicurezza fu articolata in Legioni, Divisioni, Battaglioni, Compagnie, Squadre, Tenenze, Plotoni, Stazioni. Organizzato militarmente il grado più alto era Tenente Generale. Il Corpo diveniva una vera e propria forza armata. Così sarà anche per la successiva denominazione del Corpo sotto il fascismo “Agenti di Pubblica Sicurezza”, con agenti investigativi e polizia militare ed il compito di garantire l’ordine pubblico, di investigare sui delitti e di prevenire e reprimere i reati.

Interessante notare come prima a Roma e poi in altre città, come Napoli, i vigili urbani vennero sciolti in epoca fascista e sostituiti, a Roma dal “Corpo Speciale di Polizia per la Capitale” che si occupava prevalentemente di servizi di polizia urbana e di movimento veicolare. A Napoli i vigili urbani furono sostituiti dalla IV divisione e prendono il nome di “Agenti Metropolitani” o più semplicemente metropolitani.  Nel frattempo viene inaugurata una nuova sede della Questura, a doppio ingresso, tecnologicamente avanzato, da via Diaz e da via Medina.

Con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale il Corpo partecipò al conflitto con due battaglioni motociclisti che, inviati nei Balcani, si distinsero particolarmente ottenendo una medaglia di bronzo alla bandiera e varie medaglie personali.

Ecco alcuni reperti presenti nel museo:

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Con la firma dell’armistizio a Napoli il 27 settembre 1943, sebbene tafferugli vi fossero stati anche in estate, iniziarono le Quattro Giornate contro l’invasore tedesco. Il fremito partenopeo portò a coinvolgere la popolazione tutta che sbaragliò i nemici occupanti con la verve caratteristica. Essenziale fu anche il ruolo delle forze dell’ordine e del Corpo che, onde evitare il peggio e ulteriori tafferugli, caricò su di una propria vettura un comandante tedesco che era presso il Vomero e chiedeva di conferire con un proprio superiore. Fu fatto salire su auto italiana vigilata da quattro agenti di P.S. che sventolavano fazzolettini. Un vero e proprio arresto…senza sirene.

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Medaglia conferita all’ANPS dalla associazione Nazionale Combattenti e Reduci

Altre medaglie ANPS

Il 2 giugno 1946 l’Italia divenne una Repubblica e le funzioni delle vecchie forze armate restarono inalterate. Anche in questo caso il Corpo si prodigò per l’ordine pubblico, a Napoli dove tra il 2 ed il 10 giugno vi furono diversi tafferugli per il risultato elettorale si riuscì, assieme ad i carabinieri, a condurre trattative e ripristinare l’ordine democratico.

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Uniforme del Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza (fregio sperimentale” all’americana” in uso solo nel 1947)

Nel 1947 sul Monte Echia in Pizzofalcone  la caserma Bixio, ex sede dei bersaglieri, e la cui storia è stata trattata supra divenne sede del IV Reparto Mobile, ossia il Reparto Mobile di Napoli. Esso accoglie in una delle sue aule il museo della polizia di cui stiamo trattando. Nato come reparto celere è l’unità specializzata al mantenimento dell’ordine pubblico e con linea di comando indipendente dalla Questura di Napoli. Ciò perché tali reparti nascono ed hanno la loro organizzazione staccata dal territorio.[49]

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Poliziotta in tenuta antisommossa

 

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Megafono in uso al Reparto Mobile

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Tromba in uso al reparto mobile. La normativa prevedeva che prima della carica fosse dato avviso con tre squilli di tromba

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Manganello non più in uso al Reparto, a fianco, infatti, non è più previsto lo spadino. Sotto alcuni gradi della polizia.

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Guardia scelta dei Reparti Celeri in uniforme di servizio armato, 1950 (Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza 1944-1981)

Distintivi del Reparto Mobile di Napoli

 

Nel 1948 fa la comparsa n seno alla Questura la polizia stradale, tenuta a vigilare le normative del codice della strada e funzioni di tutela e garanzia del cittadino. Oggi non è più parte della Questura ma divisa in compartimenti. Dal Compartimento Campania dipendono rispettivamente Sezioni, Sottosezioni, Distaccamenti. Coeva è l’introduzione a Napoli della polizia ferroviaria.

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distintivi stemmi, da notare la paletta che non reca scritto Polizia di Stato ma Pubblica Sicurezza

gradi e altro

alcuni gradi della polizia assieme a portachiavi

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Caschi e palette in dotazione della Polizia Stradale

71 bis

Alta uniforme della Polizia di Stato

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Divisa bianca, anni ‘60

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Distintivi ed elmetto bianco

72 bis

Uniforme grigioverde anni 1956-1976

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Berretto grigioverde anni ‘70

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Primo basco repubblicano con fregio non più in uso e berretto con fregio attuale

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Nuovi copricapi e berretti polizia di stato

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Vecchia tessera di riconoscimento

 

 

Nel dicembre 1959, per esigenze avvertite a tutti i livelli istituzionali, venne impiantato il Corpo della Polizia Femminile, con compiti di prevenire e contrastare fenomeni che oggi chiameremo di “bullismo” nonché, soprattutto, di contrastare e reprimere reati commessi da donne o da minori. A Napoli si distinsero per spirito umanitario e filantropico, non solo contrastando i reati ma soprattutto in una lodevole attività di prevenzione, controllo ed aiuto soprattutto di due fenomeni: prostituzione ed evasione scolastica dei minori[50]. Nel 1981, con la riforma la polizia femminile fu inglobata dalla Polizia di Stato

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Assistente di 2° classe in uniforme invernale con cappotto; 1965 (Corpo di Polizia Femminile  1959-1981)

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Da la Domenica del Corriere: graduata di polizia femminile interroga ragazzini

Nel 1969 nasce il 113, numero di soccorso pubblico gratuito ed attivo h24, attraverso il quale il cittadino che stesse subendo o che abbia subito un reato o che si trovi in stato di emergenza o pericolo può contattare. A rispondere è la Centrale Operativa della Questura, attraverso la quale il centralinista, dopo una sommaria valutazione, contatta il Caporeparto delle volanti per sollecitare l’intervento. Tali volanti oltre alla scritta polizia-squadra volanti, con la raffigurazione delle celebri pantere, avevano il logo 113. Erano le mitiche alfa giulia.

In merito ricordiamo i colori degli automezzi del corpo: prima amaranto, poi negli anni ’60 ’70 grigioverdi, infine azzurre. Il museo ospita anche una serie di modellini che ne ripercorrono la storia. Eccone alcuni:

 

Prima di concludere alcuni interessanti cimeli de La Domenica del Corriere esposti al museo, vediamone alcuni:

97

 

98

La Domenica del Corriere, la polizia in borghese scopre una elegante bisca clandestina

99

La Domenica del Corriere, banditi di Milano interrogati

100

La Domenica del Corriere; guardia stana e abbatte branco di bufali

 

Tornando alla breve disanima storica, da annoverare nel 1969 la istituzione dei falchi, poliziotti in borghese a bordo di motociclette con lo scopo di frenare i dilaganti furti e saccheggi.  Napoli è la prima città che accoglie il provvedimento data la morfologia urbana ricca di vicoletti e straducce. Dal 1990 anche le donne entrano nei falche e sono dette “falchette”.

Nel 1970 a Napoli viene impiantata la “Zona Telecomunicazioni Campania”, prima in Prefettura, poi alla caserma Iovine, poi alla caserma Raniero. Tale reparto ha compito di istallazione e manutenzione di apparecchiature radiotelegrafiche. Dal 2003 ha sede in Molise e prende il nome di  “Zona Telecomunicazioni Campania e Molise”

Storico armamentario tecnico, trasmittenti, macchine da scrivere, computer, telefoni portatili

 

Arriviamo all’aprile del 1981, con decreto 121 nasce, finalmente, la Polizia di Stato, smilitarizzata, così come noi la conosciamo. Nell’82 sono istituiti anche i ruoli tecnico-scientifici, in particolare: telecomunicazioni, informatica, motorizzazione, equipaggiamento ed accasamento, arruolamento, servizio sanitario.

Ciò detto torniamo a mettere piede nel museo, analizzando altri reperti e cimeli:

 

Cinturoni e fondine

 

 

Annali, riviste, volumi, pubblicazioni almanacchi sulla polizia

 

Modellini di cannoni risalenti al XVI secolo

113

Distintivi con le diverse specialità della polizia

gradi e altro

114

 

Gradi. Sopra, da sinistra: agente scelto, assistente capo, sovrintendente, sovrintendente capo, vice ispettore. A seguire due portachiave Anps. Sotto, da sinistra: commissario capo, agente scelto, assistente capo, sovrintendente, sovrintendente capo. 

 

Distintivi, accessori e gadget Anps

 

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Divisa sociale uomo Anps

 

Quadretti e Crest Anps e di altre associazioni o forze di polizia e militari. L’Anps ha due sedi all’estero, una a Tornoto, l’altra a New York. Frank Serpico, poliziotto americano che non si piega alla corruzione, a spregio della sua incolumità, da cui è stato tratto un omonimo film “Serpico”, è socio Anps New York.

 

 Bibliografia

AAVV; Il Cinquantennio della Associazione, calendario storico; 2018;

AAVV; Storia della Polizia di Napoli; Direzione Centrale Anticrimine Tipografia; 2003

AAVV, a cura di Aldo Schiavone; Storia del Diritto Romano; Giappichelli; 2001

AAVV, a cura di Umberto Eco; L’Antichità Vol IV; EM Publischers s.r.l. Milano per Gruppo Editoriale l’Espresso; 2013

Alessi Giorgia; Il Processo Penale, profilo storico; Laterza 2001

Aliperti Crescenzo;  Pomigliano d’Arco Sistematica Enciclopedia di Storia Locale, Volume I;; Graphosprint; Napoli

Ascheri Mario; Introduzione Storica al Diritto Moderno e Contemporaneo. Lezioni e Documenti;  Giappichelli 2003

Birocchi Italo; Alla Ricerca dell’Ordine. Fonti e Cultura Giuridica nell’Età Moderna; 2002

De Martino Armando; Giustizia e Politica nel Mezzogiorno, 1799-1825; Giappichelli; 2003

Edmond Pognon, traduzione di Maria Novella Pierini;  Nell’Anno Mille; R.C.S. libri s.p.a., 1997

Luca Torre; introduzione a “Usi e Costumi dei Camorristi. Storie di Ieri e di Oggi; Torre editrice s.r.l.;

 

Testi Consultati

Beccaria Cesare; Dei Delitti e Delle Pene; 1764; edizione Garzanti 2003

Manzoni Alessandro; I Promessi Sposi

 

Fonti

“Il Mattino” del 6 Settembre 1984

 

Sitografia

http://www.assopolizia.it/sezione.php?id=105

http://patrimonio.archiviodistatonapoli.it/asna-web/scheda/enti/0000000788/Gran-corte-della-Vicaria-Napoli-.html

https://www.poliziadistato.it/articolo/795

http://www.treccani.it/enciclopedia/elenco-opere/Federiciana

http://www.treccani.it/enciclopedia/baiulus_%28Federiciana%29/

http://www.treccani.it/enciclopedia/compalatius_%28Federiciana%29/

http://www.treccani.it/enciclopedia/giustiziere_%28Federiciana%29/

http://www.treccani.it/enciclopedia/stratigotus_%28Federiciana%29/

INDICE

  • Gli Autori pag.2
  • Anps sez. Napoli pag. 7
  • Fiamme Oro pag. 17
  • Vittime del Dovere pag. 24
  • Loghi Anps pag. 29
  • San Michele Arcangelo protettore polizia pag. 32
  • Capitolo I

Pizzofalcone, il museo della Polizia di Stato, la polizia napoletana Greca e Romana pag. 34

  • Capitolo II

La polizia dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente: Bizantini, Longobardi, Normanni, Svevi, Angioini, Aragonesi  pag. 41

  • Capitolo III

LA polizia borbonica pag.52

  • Capitolo IV

Nasce la Polizia di Stato pag. 56

  • Bibliografia pag.145
  • Testi Consultati pag.145
  • Fonti pag.145
  • Sitografia pag.145

 

[1] http://www.assopolizia.it/sezione.php?id=105

[2] https://www.poliziadistato.it/articolo/795

[3] Ivi

[4] Il Cinquantennio della Associazione, calendario storico; 2018; pag.1

[5] ivi

[6] Storia della Polizia di Napoli; Direzione Centrale Anticrimine Tipografia; 2003; pag. 19

[7] “Il Mattino” del 6 Settembre 1984

[8] L’Antichità Vol IV; a cura di Umberto Eco, AAVV; EM Publischers s.r.l. Milano per Gruppo Editoriale l’Espresso; 2013; pp.364-365

[9] Ivi pag. 368

[10] Ivi pag.369

[11] Storia del Diritto Romano; a cura di Aldo Schiavone AAVV; Giappichelli editore; Torino;2001; pp. 57-58

[12] Ivi pag.108

[13] Ivi, pag. 109

[14] Ibidem

[15] Figura che incontreremo nuovamente ma con funzioni differenti, il cosiddetto Capitano di Giustizia, vd. Infra pag.

[16]Vd. Infra Fu solo nel 1503, con la costituzione in Vicereame, che Castel Capuano fu destinato per la prima volta alla funzione di palazzo di giustizia, rimasta fino a qualche anno fa. Qui, infatti, il viceré don Pedro de Toledo riunì tutte le corti di giustizia sparse in diverse sedi in tutta la città: il Sacro Regio Collegio, la Regia Camera della Sommaria, la Gran Corte Civile e Criminale della Vicaria e il Tribunale della Zecca

[17] Introduzione Storica al Diritto Moderno e Contemporaneo. Lezioni e Documenti; Mario Ascheri; Giappichelli 2003; Torino; pag. 51

[18] Alla Ricerca dell’Ordine. Fonti e Cultura Giuridica nell’Età Moderna; Italo Birocchi; 2002; pp.1 e 2

[19]   Introduzione Storica al Diritto Moderno e Contemporaneo. Lezioni e Documenti; Mario Ascheri; Giappichelli 2003; Torino; pag. 52

[20] Ivi, pag. 54

[21] Ibidem

[22] Nell’Anno Mille; Edmond Pognon, traduzione di Maria Novella Pierini; R.C.S. libri s.p.a., 1997, Milano; pp. 134-161

[23] http://www.treccani.it/enciclopedia/elenco-opere/Federiciana

[24] Cfr. http://www.treccani.it/enciclopedia/stratigotus_%28Federiciana%29/

[25] Vd. Infra

[26] http://www.treccani.it/enciclopedia/compalatius_%28Federiciana%29/

[27] http://www.treccani.it/enciclopedia/baiulus_%28Federiciana%29/

[28] http://www.treccani.it/enciclopedia/giustiziere_%28Federiciana%29/

[29] Pomigliano d’Arco Sistematica Enciclopedia di Storia Locale, Volume I; Crescenzo Aliberti; Graphosprint; Napoli;

pag.73

[30] ivi, pag. 74

[31] Introduzione Storica al Diritto Moderno e Contemporaneo. Lezioni e Documenti; Mario Ascheri; Giappichelli 2003; Torino; pag. 80

[32] http://patrimonio.archiviodistatonapoli.it/asna-web/scheda/enti/0000000788/Gran-corte-della-Vicaria-Napoli-.html

[33] Usi e Costumi dei Camorristi. Storie di Ieri e di Oggi; Torre editrice s.r.l.; dalla introduzione di Luca torre, prima pagina

[34] Cfr. I Promessi Sposi; Alessandro Manzoni; capitolo XII

[35] Il Processo Penale, profilo storico; Giorgia Alessi; Laterza 2001; pag.134

[36] ibidem

[37] Ivi pag. 136

[38] ibidem

[39] Giustizia e Politica nel Mezzogiorno, 1799-1825; Armando De Martino; Giappichelli; pag. 70

[40] ibidem

[41] Ivi pag. 76

[42] Ivi pag. 170

[43] ibidem

[44] Ivi

[45] Storia della Polizia di Napoli; Direzione Centrale Anticrimine Tipografia; 2003;pp.12-14

[46] Ivi, pag. 17

[47] Ivi, pag.19

[48] Ivi, pag.39

[49] Ivi, pag. 61

[50] Ivi pp. 65-66

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