Vibrazioni Estetiche, la Genesi

frederick_leightonlachrymae_1895

Frederick Leighton; Lachrymae; 1895

 

L’urlo (apertura apodittica ‘82/’83)

La luce entra tiepida dalle veneziane della stanza di Gianni e gli illumina parzialmente il volto quasi a fargli la forma di una mezza luna. Sono le tre del pomeriggio, di un pomeriggio che procede sempre più lento, quasi a voler tardare coi suoi passi minuti il sopraggiungere della sera.

È immerso nell’inerzia e nel tedio, alla ricerca di una seppur stupida operazione in grado di prendere tempo, tagliarsi le unghie, affacciarsi al balcone osservando la gente lì per strada, chiudere gli occhi e sprofondare tra le materne braccia di Morfeo. Ma di certo i pensieri non gli danno scampo, la pennichella pomeridiana neanche lontanamente dà segni d’esistenza, la sua stanchezza è resa ancor più terribile proprio da ciò, dall’impossibilità di una presa di posizione risolutiva: da un lato stanchezza ed inerzia, dall’altro tedio e infelicità generati dall’inattività. Che fare a questo punto? È in questo momento che Gianni, ritto sulle sue decise seppur tremanti gambe afferma:  “ Ora mi farei proprio una bella canna”. Subito gli occhi cadono sul libro di chimica, dopo aver allargato una fessura insita nella parte posteriore della copertina e quasi invisibile, estrae una bustina mezza piena contenente una sostanza erbacea, dopo averla portato al naso ed inspirato profondamente esclama:  “O skunk, dolcissima skunk, come farei sine tei! Vieni qui diretta da Milano! Dal Virus”. Preso il pacchetto di pall mall da dieci, l’accendino e le cartine attraversa furtivamente il corridoio che comunica a destra con la sala da pranzo ed a sinistra con la cucina e, senza far svegliare la madre, apre con delicatezza il portone per poi chiuderlo alla stessa maniera. È già sulle scale e, colmo di frenesia giubilante, le attraversa in una manciata di secondi per raggiungere finalmente il terrazzo. Gli indumenti stesi sono immobili per l’afa, non si scorge un movimento atmosferico e l’animo ha una sensazione di gelo all’inverso, per prima cosa si affaccia stringendo salde le mani alla ringhiera, le strade sono deserte e rendono il paese ancora più inquietante di quanto possa essere. È il 20 luglio e nessuno si sognerebbe di uscire con questo caldo torrido; il palazzo sembra dominare dall’alto con i suoi sei piani imponenti e le orribili statue simil-greche, nulla esiste forse di più kitsch. Seduto a terra iniziano le operazioni da rituale, si prende la sigaretta, si apre e si svuota conservando i 2/3 ben stesi nella mano, intanto con l’altra mano si fa un filtro ottenuto strappando in minima parte il pacchetto e creando un cilindro perfetto. Dopo aver mescolato l’erba al tabacco ed aver rotolato la cartina chiudendola si forma un bel, come si dice in gergo, “cuoppo”.

Gianni inizia a fumare e subito pensa alla sua prima canna, fumata due anni prima, all’età di quindici anni. Quella sera non la potrà dimenticare mai, era ad una festa con amici, già sclerava perché si era corretto due birre al gin, poi due tiri di spinello, ed un’altra mezza canna successivamente. La testa gli andò a mille, ripercorreva in tondo sempre lo stesso tragitto attorno alla sala da ballo e fu lì che baciò la prima volta una ragazza, senza capire nemmeno come e perché. Si chiamava Marta e lui neanche la conosceva, l’aveva notata perché era abbastanza carina, ma nulla più. Anche lei era completamente ubriaca, non si sa chi prese l’iniziativa, se lei o lui, in ogni caso accadde ed entrambi non ricordano granché dell’episodio. Non sarà il massimo tirarsi una storia con una che non si conosce, senza scambiarsi una parola, senza provare niente, ma forse è proprio questa la bellezza dell’ebbrezza, l’agire secondo i nostri istinti, lasciarsi guidare da noi stessi. Non esistono sensi di colpa o inibizioni esterne. Come quella volta che fece filone con i suoi compagni Enzuccio e Lino. Presero il treno per Napoli, si diressero a Piazza del Gesù, dopo aver recuperato la roba stettero lì nel chiostro appaciati a fumare. Parlarono di argomenti assurdi che altrimenti non avrebbero mai detto né pensato. I segreti più intimi, le verità più nascoste, emergevano senza ostacoli di alcun genere. Come è bello quando il cervello inizia ad annullarsi ed affiorano come germogli in fiore pensieri celati, per puro caso e perciò in maniera terribilmente reale e sincera. Stupendo è ricordare momenti all’apparenza tanto vani, inutili, privi di consistenza e poi contemplarli nel vuoto del silenzio per esaltarli in maniera autentica. La vita sembra in questo modo prendere colore, hai il desiderio di continuare perché sai che vivere è stupendo, che nonostante le sofferenze a salvarti dall’irreversibile noia c’è la banalità di alcuni gesti, di alcuni istanti, di alcuni sprazzi di vita che ti ridanno gioia e senso.

Assorto tra questi pensieri Gianni ha quasi finito di fumare e resta a contemplare il paesaggio davanti a lui, lo sguardo fugge prima lontano, tra le case laggiù oltre il ponte dell’autostrada, ora tra il bianco ed il grigio, ora celesti e da più colori, poi si perde nell’infinito, oltre l’orizzonte, oltre le montagne alte, svettanti, sicure di sé, imponenti, sembrano quasi sfidare con la loro maestosità la minuta essenza umana. Gli occhi cadono poi più vicino, giù sulla strada, attirati da una oscura presenza che si aggira tra i cassonetti dell’immondizia, una bella donna sulla trentina col seno grosso, capelli sudici lunghi all’altezza delle spalle, una maglietta verde acqua trasparente a maniche lunghe dalla quale si intravedono i capezzoli, una gonna nera lunga sino alle ginocchia e scarpe da tennis senza lacci. Chi sarà mai costei? Perché si è ridotta a rovistare tra l’immondizia ed a vestire a quella maniera? Ha quasi voglia di scendere e di seguirla a distanza per vedere dove diavolo vada, una curiosità strana e forse fine a sé stessa. Buttata la cicca scende repentinamente le scale fino a giungere fuori, per strada; la donna si è intanto incamminata e procede con passo celere e quasi ossessivo sulla strada maestra, ma ondeggiando a destra e sinistra come fosse ubriaca o in preda a chissà quale delirio. Gianni la segue a distanza, attento a non farsi scorgere, per circa un quarto d’ora, sinché lei non giunge al parco pubblico e si dirige alla toilette. D’istinto il ragazzo entra assieme. Immobile ma eccitato ed in preda all’imbarazzo, come se quel volgare squallore, quella sudicia e maleodorante donna, seppur bella, lo attraesse.

“Vieni amore mio, dove scappi?” rise sonoramente la stracciona carezzandogli il viso con le mani unte. Scappò.

Dopo una frenetica corsa verso casa entrò nell’appartamento, si svestì e si buttò sotto la doccia , si strofinò continuamente col bagnoschiuma, tre, quattro, cinque volte, per purificarsi, quasi per redimersi. Come poteva il suo essere desiderare una donna per niente attraente, colpa dell’erba? O magari era proprio questa rozzezza, questo bestiale desiderio che risvegliava sentimenti ancestrali, sentimenti che la società, per tanto tempo, aveva represso. Sì era così, paura e pregiudizio. La paura rimuove i nostri desideri, la paura di sbagliare, ti fissa immobile con le sue redini alle sue convinzioni e, se spesso ti difende, ancor più spesso ti soggioga. E il pregiudizio, che implica la paura, il pregiudizio che è il volto sociale della paura.

Sale d’impeto sul terrazzo ed affacciandosi alla finestra urla a gran voce: <ANDATE A FANCULO!!!>

 

Vecchi futuri (percependo l’ardente spirito incendiario)

Sette mesi sono troppi, un anno lo è di più, una vita poi, non immagini quanto: passa così e va, guardalo, ancora vola il gabbiano a pelo d’acqua, sul pelo del domani come albatros mio baudeleriano , per un pelo non è caduto, sull’orlo dell’abisso, planando in cammino difficoltoso. Come avrà fatto? E intanto ancora muore ecco il riporto: frazioni, amori e vita sono solo un ricordo, pallido, futuro, ricordati ancora cosa vuoi, lo sai? La vita? e la vita è stata ma col tuo, sì col tuo silenzio hai ancora l’ostinato coraggio di parlare ma a chi e perché? Se ti ho pensata è stato per trasmigrazione mentale, inconcludente, incompetente diramazione. Eh la mia vita che ha perso ogni riguardo, certo, certo, ti guardo, ho visto quel tramonto, quella raffica di vento mi ha portato via, mi ha spalancato le porte del tormento! Ecco l’aria che ancora ridiscende, rugiada vaporosa che mi accende ma poi riprenderà me stesso ed io quindi ancora qui, che farò? Avrò troppo a cui pensare. Ogni giorno la mattina mi alzerò sentendomi più giù di ieri, la notte mi alzerò, mi sveglierò di soppiatto, dalla paura chiuso in un pianto. E intanto, nonostante ciò, al suo ritorno solleverò l’anima, mi sentirò già meglio, vorrò continuare. Ma si manifesta la sua potenza ancora: la morte! È finita, nessun amore sanante, continuo e la morte si avvicina desolata, sconsolata. Stella, lassù tu brilli: illuminami; luce, splendi ancor di più, sai?; vita, spiegami tu perché ho sbagliato; morte, al tuo avvicinarti sento che intanto…

Ed oscilla la tua veste, una nube viva e scura si dirige su di me, verso di noi perché da noi è stata creata estrinsecando il pensiero maciullato come giardino reso incolto. Eccoti vivere, vivi la tua vita, ricordi giraviti, colline e le viti intorno, precisione. La nube si dirige verso di noi, ha l’aria di un temporale, la nube si vendicherà, sai? Erinnica! “ma che devo sapere?” Che vivi giusto perché vivi ed ami giusto perché ami e dici ancora: “sao  ke kelle…”. Il senso non ha mai preteso senso, non lo possiede, ciò che è razionale non lo è, tu sei ciò che sei, tra le mareggiate delle tue idee. Sei chiara e non condizionata dalle correnti d’aria, condizionatore spento, vivi nell’aria perché il cielo è più nero se lo vivi, se lo pensi poi cobalto, turchino o metilene è solo ancora l’oscillazione della tua veste.

E salutiamo, ciao, ciao, ciao … Ah! Aspetta ancora qua, vivi ancora, ama, asteni andri ari mi, animi i pensieri. Vado di là, cambio verso, muta direzione, modulo scandito, non ci sperare! non ci credere! La tua mano! Il pianto terribile ed ancora ah sti, ah star. Geniale idea quella di venire, piccola innovatrice lo hai capito che non mento. Ciao, in un saluto sei mia! Due vocali sono poche, tre di cinque sono dieci degli Spartani perieci:  Asti Asti olar, dolar! La lingua smozzica il sopruso, bacio francese ad imitatio di quello minoico. Sbarco fenicio in Costa Rica. Verbo smorto, le poesie, Quando il sole ti trafigge finalmente gli occhi, spada luminosa, e con gli altri, a loro assieme, sta lì ed ascolta quel frammento che è attimo veritiero e abnorme, la strada è quella, percorriamola. Misi e poi nidi che coi, strappi ancora poi per noi: mi voltai d’improvviso e le immagini nostre mi strapparono il viso cartapesta, bastion di gesso. Il sole scompare per sempre. Non ti trafigge mai più, e tu dici tremante il tuo finalmente! fortuna mia! Strappate le poesie con rabbia e ricomposte col garbo dell’assoluto, dentro te, scritte ogni dì ed ogni notte, dentro te per sempre, l’amore si proclama con ogni arte, quelle parole che metti da parte il giovedì, musica ancestrale, musica celestiale, tracce d’amore rifinita su carta. Matti, siamo matti, cogliere una rosa è il nostro stilistico pensiero!

E dopo il monte? Domandi altera mentre penso al nesso. Io, io ho visto la vita fiorire negli occhi di ragazze, ho visto la dama del ponte, il conte. Tu mi chiedi, e dopo il monte? Lì non ci sono arrivato, come guardarlo dalla finestra, dalle vetrate, dalle barricate. Ho sentito dire che comunque sia i ragazzi di quel paese, che ne sanno, non lo sanno, non sanno della lavandaia, non rendono il permesso per il giorno appresso, non concepiscono il molto come scisso dal poco. Dietro quel monte? Forse c’è il mare, soltanto sabbia, è un deserto, un merlo desto, è ciò che sarà e che era ed è ancora. È così, come quando  bambino mi affascinavo affacciato ma aspettavo ancora di poter volare verso la meta, viaggiare sopra le cose e poi e poi, dunque, oltrepassare il monte. Uno, un solo punto in un posto qualsiasi dell’Universo, un punto spazio tempo lontano lontano, distante da qui mai lo vidi allora. Viaggio come volo. Ieri raggiunsi il posto e ti incontrai. E ora cosa vuoi? La vita mia, la vita sua, la vita vera, la vita oscura. Eccola qua, ne sa la mia di vita. Quattro case e quattro posti, quattro rospi e loro erede, quattro vostri, quattro nostri. Dio la pazzia è la mia vigilia, Dio la follia è là, eccola, la intravedo.

Ho chiuso gli occhi senza finire, in base a regole non fisse incolonnate, guarda che precisione, irritazioni e guarda e senti ciò che ti dico: è stata lei che ogni giorno aspettava perché ha ancora il pensiero rivolto a te. Cosa vuoi da me? L’errore è stato il tuo, non puoi ancora tornare indietro, non puoi fare più niente, per adesso! Si scorderanno di tutto il bene che hai fatto, ti accuseranno perché hai sbagliato ora perché una persona per loro si può solo giudicare. Per loro l’amor non conta niente, centro vitale, anello che tutto tiene per loro è l’imbroglio, scindono tra perdenti e vincenti, tra furbi e idioti. Ma noi siamo ciliegie, schegge, volti ridenti su tetti bagnati per niente, sassi precipitati, due parole, mille poesie, inchiostri di periferia, verdognoli cieli d’asfalto, pioggia e vento, fracasso del silenzio. Ciliegie e schegge di vita passata, di morte vissuta con te in prossimità, a due passi da me, scala a chiocciolo, stanza, di te, essenza che sai. Ed è un lampo, fuori il sole, una musica leggera mi accarezza il cuore, è calma, molto calma, salto giù dalla sedia, mi dirigo verso il balcone, eh sì, fuori il sole, mira, l’estate è vicina, il maggio delle rose e dei suoni e dei suoi pensieri profumati. Nel cielo vedo i tuoi occhi ma di sera la luna brucia nel core, la sera è nera, illuminano le stelle il soffitto e nei riflessi bui, nel letto la luce finalmente mi è dentro, un brivido mi percorre il corpo ed è pomeriggio, chiudo le persiane mentre loro sono ancora a Maratona. Afa. Brucia, l’usignolo laureato e delizioso beve ed un cane moribondo è dissetato dallo stesso pozzo. Amore, amore mio, ogni cambiamento, come il nostro, è frutto delle correnti del vento, ascolta!

Inforco gli occhiali, l’orologio e tutto il resto. Fuori giocano a pallone, in mezzo al viale, ai piedi del quartiere. Esco, un cane mi saluta col suo snobbato  rituale: saltello e rotolamento, indosso il mantello ventoso del respiro della natura. Sveglio da stamane, al suono del grillo e di tre sveglie con un gallo. Sveglio, riposo altri due minuti, prendendo gli occhiali, l’orologio e tutto il resto. Tutto è per tutto! L’orologio di sera più mogio della radiosveglia non suona però è vero nonostante le false assonanze, falsetti letti e riletti dal Mister Chicchessia, il signore e la signora, di giorno e di notte, rime baciate come mandrie alternate dei  pastori in trotto pel tratturo giocano a lotto arcadici urbani invecchiati tra le lotte per la supremazia, torna il Mister Chicchessia, in sella alla motocicletta, animando il chetone alifatico che appare un po’ il chiasmo di un chiaroveggente retorico ai guardi.

Salvatela, vi prego salvatela. È il gocciolio, il nocciolio mio, cosa ha detto lei e perché, qual è il mattino?, mio Dio, quale il motivo? se c’è un motivo. L ’hanno portata via, lontano dall’amore, rinchiusa ad ore per quarti di minuti, da un nascondiglio temporale ad un altro, da tre mesi. Salvatela, vi prego salvatela. Contattare qualcuno potrebbe ucciderla, ucciderla potrebbe far entrare in gioco qualcuno, proprietà riflessiva ed i riflessi dei suoi capelli che ormai sono lontani. Ma nessuna intercezione ha interceduto, il tratto del naso, del viso, il suo tratto ora non è altro che un ritratto. Gli altri hanno circondato l’edificio, loro sono scappati e lei è morta ma il sangue se lo è portato nelle vene, nelle sue vene.

Intermezzo antistress: “Ho chiuso tutto, bisogna far riposare la mente, bisogna rilassarsi, chiudere gli occhi e poi abbandonandosi a noi e riordinarci senza saperlo, meditazione trascendetale. Antistress, non confonderti le idee, un caffè non serve, ognuno dipende da sé non c’è bisogno di lozioni, pozioni o di divagare in  inutili questioni, riposa il tuo individuo, sboccia la tua persona e vaga nell’eden dorato e trapunto di smeraldo, così la foga perde ogni sua nozione, credenza, esistenza. Otium tra quattro quarti di milione per prendere energie, pensare poi ad altro, dimenticare il tutto, e le brecce parallele si formano come rette in un lichene, zone un po’ più fredde del corpo ove la tundra crebbe in tutta la sua flora azione.” Zero e zero zero segna quella radiosveglia, è ormai priva di vita, asma prorompente, salta e sale ad ogni ente che viandante del niente fa ritorno fiammella incandescente.

Ma è forse meglio. Ecco il punto, l’amore cosa vuole travestito da imbroglione, non è più lui, servo etalagico. Ma il cuore si ribella a tal mercificazione e vive puro. Quella sera gli sguardi riflessi di traverso hanno infranto la mia effige, ridato la speranza. Amare senza conoscerci, conoscere l’insicurezza nel punto aforistico più in alto. Hanno paura di apparire, cercano il successo, non vogliano sbagliare ma l’amore ha da amare, l’amore sa di sapere. Ciò nonostante continua in lotta informe e ribelle a sbagliare, non ci si rinuncia. Il vero sentimento dopo l’apparenza entra nel vivo e si dirama, costellazione dell’essenza. odio i preliminari. La rimembranza permane, si modella, cangia: ciò è accaduto proprio in questo giorno, un giorno passato che mi riporta qui, è perché ora che ho paura del domani mi affido a passati ricordi, a vecchi futuri. Inizia infine la storia che pensa ancora sé ed il tutto, che ricorda da lontano colui che come me ora un tempo varcava ogni confine presente e ad ogni suo sorpasso verbale, ad ogni passo, non si girava indietro, non si voltava, no, guardava avanti e si incamminava verso la morte. E dalle finestre si sporgeva in passato Sophia che coi suoi occhi vivi mi guardava, ed io il suo nome non conoscevo e neanche ora ne sono a conoscenza. Stesi ora son al suo posto dei veli bianchi e zanzariere nere mi sbarrano la vista: lei dove sarà? Forse a sguazzare nella chiara e viva acqua ove, nella stagione a questa avversa, non c’era. E sempre lei dopo il tempo, in passato -mai così lontano da esser remoto-, sempre lei rividi  ma meno distante, quasi vicina, la incrociai e quasi allargai le mie braccia per stringerla. Ma poi però, quasi di colpo, decisi di fermarmi, decisi di aspettare ancora un po’ prima di sapere, prima di conoscerla in tutti i tratti delineati, mi convinsi prima di cambiare gli altri che, senza o con moltissimi pretesti, avrebbero osato sfruttarla sotto il mio nome. E lei, capendo i miei pensieri, mi sorrise e senza né gesti né cenni di assenso o di lontani saluti si rivoltò, così, camminando col suo soave e lento passo, giunse all’orizzonte e sparì aspettandomi, aspettando che io di  corsa, di scatto o lentamente la possa raggiungere, la possa portare da noi, la possa amare.

Lei! Ora come nel limbo dei pensieri delle umani genti, o come nei pensieri di lei, del suo viaggio inutile. Servi: inesistenti. Nel mentre mi han detto ciò che tu passi dicendo, due più due fa sempre tre ma li ascolti odiandoli, odiando loro e tutte le ricchezze e i prezzi, l’ oro violato nella sua bellezza e reso vettore di scambio, snaturato. Dopo questo viaggio hai forse capito che qui non ti hanno accolto, hanno approfittato del tuo corpo e del tuo pensiero ripetendo ogni secondo il tempo persiano che scandisce l’ieri. E sulla statale 24 io giro e rigiro il volante e ti rivedo ancora lì, privo di spedizioni ancestrali ispeziono questo contenuto e noto al suo interno figure retoriche che retoricamente danzando sognano l’amore, tu  sogni ancora il tuo paese, quell’addio è già nostalgia, ritorneresti a costo di morire, di riattraversare il mare. Ascolti la voce, l’amore dorme sui tetti urbani e le foglie campestri, ancora un po’ vive, sin quando andrai via. E dai tetti a spiovente risuona la voce, ululi alla luna. Ti ho vista. Esisti, sì esisti, ti vorrei chiamare ma con dolcezza, non vorrei infrangere sugli scogli come soave brezza. Torna ancora il pensiero, ritorna (per ora) ritorna e tu lo pensi. Un vento caldo soffia e mi porta lontano, via da questo mondo.  Vedo giù l’acqua dei mari ed i piedistalli dei cardilli, su cristalli i vini, amore ed ebbrezza, gioia e vita. E lontano, lontano mi porti, senti la voce che risuona in te, ascoltala e vola. È amore, ti sento lontana ma ho tanto bisogno di te. E guardando fuori la finestra scorgo in un fascio di luce un po’ più lungo te perché per continuare ti devo sentirti vicina, dentro l’anima, nel mio cuore. Ed in alto nel deserto e nel mare, in acqua vedo i tuoi occhi che risplendono. Perché fuggi lontana? Perché ti inseguo ancora? e senza pretesti mi  salvo. E l’orologio ormai segna un orario particolare ed esatto di chi sa quale nazione, città lontana, nella quale tu starai osservando il cielo stellato blu marino. Passa un quarto d’ora sul mio orologio accanto al tempo non mi sento sicuro, tu starai abbracciata ad un altro non lontano.  Tuttavia, irregolarmente, con le strofe, mi trovo a raccontare queste storie spaesato per puro caso. Continua senza te la storia e se ti sento lontana mi basta pensare che ci sei per ritrovarti. Ricordati, ossessione mia, mia dannazione, mia mania, mia paura. Tentacoli amari riflessi alla parete mi ingabbiano, inchiostro cupo. Paura. Per non sbagliare tutto sbaglio di più, animo sensibile, ostrica assopita che si schiude nel tuo “no”. No che diviene multiforme ed echeggia tra le voci sparse di ragazze che nel presente, nel passato ed anche in altri giorni a venire rifiuteranno le mie parole. Ma tu ti seccherai e cadrai tra le mie braccia perché hai bisogno di continuare il tuo sogno. Ed io non mi abbatto. I calici, le messi ed i pensieri sono già stati portati via da ieri, erano d’intralcio. Io no mi abbatto, continuo lungo il mio sentiero pensando ai giorni, prima di ieri. Nel quadro soltanto un marinaio in uniforme bianca di tutto mi informa e prendendo come ricordo soltanto un sasso e un po’ di terra continua e per il mare erra. Sale sulla barca raggiungendo e oltrepassando l’orizzonte,  lei dietro il ponte, altera e con un fazzoletto tra le mani, saluta, torna a casa, piange. Non deve partire! La morte lo attende lungo il sentiero del sogno della sua vita.

È  finita la storia ora che son giunto al punto morto dell’universo mi domando quale fu il principio ripensando a quelle ore in cui la speranza era ancora viva. In quei mesi capii la mia vera realtà, in quei mesi, ancora solo, capii cosa c’era. E nello stesso istante ci distruggevamo da soli perché non avevamo capito che la soluzione era credere. Io e te abbracciati ancora per un po’, vicini a loro ed incuranti di ciò accadeva intorno ci scambiavamo calore. Per entrare all’interno bisognava far valere la parola, essere creduti. Come la nebbia all’interno foschia l’anima mia invernale. Poi al suo finire la paura giunta del domani per essere fedele all’infedeltà porto questa storia come un’impronta, l’impronta del passato. Addio amore mio, sai non ci rivedremo mai, addio, finisce la storia. E in quell’istante spinto dal vento e investito dal sole, lo sguardo andò in su, colombi vanno lontano, sorvolando il paese. Ripetizione di avvenimento annuali, soffi al ritmo di sogni estivi. Posati sotto un melo che non c’è, voleranno insieme a loro, volerò mentre ti incontro, giro, cambio direzione. D’altronde sei così lontana che posso accompagnarti. Dopo un po’ non mi sorreggo più vado via, scappo con te, mi ritrovo nell’irrealtà reale. Alla domanda rispondesti sciolta come una scarpa sulla quale inciamperei cadendo coi tuoi stessi gesti che vanno e vengono, api operaie all’alveare e tu regina ti ricordi di me sbattendo gli occhi, affacciandoti e guardando il mare lì, di fronte a te. Oh mia cara! sto guardando una tua fotografia, guardi l’obbiettivo con quei tuoi occhi indefinibili perché non sanno ancora cosa cercano nostalgici, occhi di chi ama. Lucidi capelli, naso, bocca albicocca leziosa assume il  rossore della tua camicia splendente. Te quiero! Dove sarai ora, in questo momento? Forse a provare accordi, me lo sento, forse come me starai cercando qualcuno o qualcosa che inverta la rotta fugace dell’esistenza, la nostra inscindibile. All’ombra di un bosco ascolto la tua voce, sussurro impresso nella mente, le parole che dici di lontano. E mi siedo su un muro (il nostro muretto) e costeggio te da lontano sollevata davanti alla finestra di casa tua. Ti scruto mentre tu scruti l’aria e ti siedi su una sedia lanciando in aria le gambe. Poi ti avvicini al tavolino leggendo giusto tutto quello che c’è da imparare sul fusto, il tuo strano gusto estraneo, ti affacci fissando un punto, non una virgola nei tuoi bei occhi fluorescenti pieni di vita e di gioia, i tuoi più ardenti spiriti nascosti. Ti volti di scatto e mi guardi, mi scopri e quindi capisci che son io che ti spiavo da lontano scortando il Ticino o il posto più accanto, più vicino.  E salti scendendo le scale di corsa, ora dunque ti avvicini alla mia persona e sulle punte camminando ci allontaniamo: nuovi orizzonti scoperti da poco, terre lontane, pensieri di indigeni, terre natie, scritte su carte, missive: ti incontrai due giorni dopo. Negammo tutto. Ti penso ancora. La vita è il nostro sogno realizzato, stiamo vivendo il sogno di una notte di foschia di un anno fa che però non si realizza, forse non vogliamo o non dobbiamo.

Io cerco silenzio! Mi guardo intorno e sono solo, meglio così, non un essere umano intorno a me, mi sdraio e leggo ed ho come amici coloro che come me hanno cercato il silenzio che cerco. Il silenzio che cerco è il cinguettio dei passeri appollaiati su di un albero, è il volo dei colombi bianchi, ed è il respiro del vento, il suo sospiro ed il sussulto, vibrazione di ciò che non c‘è. Eccolo il silenzio! È una musica dolce che in me risuona, è quell’astro lontano all’orizzonte irraggiungibile. Così avanza il dimostrabile, i passi sul continente sconosciuto e le bandiere che sventolano al vento ferme sulla luna. Ed ora amore mio hai capito che quella che guardi in cielo altro non è che un satellite, che il Romanticismo è una follia e l’amore è illuminato dalle correnti ragionevoli di pensieri nascosti ma benevoli, che con la contrazione del tuo sguardo mi agitano, finestre al vento lasciate aperte o aperte in quel momento. Siamo all’assurdo! Il sole s’alza e l’albero cresce e il cielo splende ed il fiore nasce, si illumina e coglie ogni fastidio perché continua il ciclo motore che gira e non può sbagliare. Forse non è bello come pare ma è stato un sentiero di campagna la causa per cui son giunto qui, bloccato abbatto il muro e continuo verso la libertà. Tu, spegniti desio! Forse non lo sa lei ma si ricorda di aver bisogno di me, si sente giù, pensiero ingrato, spina postuma, alcuni salvati e punti. Ora so che non ti avrò ma aspetto lo stesso e mi fermo e scrivo ogni cosa. Mi si stringe il cuore, sto male, il cielo è così, non è cambiato, io sì. Vita viva, spero in questo. Ciò che dici non lo capisco. Spegniti lo sai se mai acceso non ti sei. Per dimenticanza si cancella. Sono passato per tre volte inalterato, senza riportare danni alcuni e senza sofferenze atroci, tanto è vero che ho saputo cambiare ogni volta. Ne passerò illeso finché sarai nascosta in te stessa finché potrò scrivere qualcosa di importante. Affissi come i quadri i pensieri insensati, più lunga è la strofa più corto il pensiero infinito e allora ha un terribile limite: limitato solo da sé.

Intermezzo slavo: “vi penso, il sole qui davanti a me, non posso ignorare le persone che muoiono lontano. Ancora vi penso e risuonano in me ancora le urla, rifiuti gettati, ormai morti tra tanti, vivi per me. Donne, famiglie distrutte e le ragazze più belle hanno ancora il viso sporco di fuliggine, polvere indissolubile. E come un grido scompaiono. Io vi penso ancora, è vero ormai non ho paura di guardare in faccia la verità. Posso dirmi sicuro di aver timore della sua potenza. Sai però che non sei ancora arrivato a dividerli, li tieni saldi, non li distruggi, non puoi perché non sai farlo. Sai, stai perdendo, stai scomparendo. Io ce la farò non avrò più paura e ti dissolverai.”

Cosa le dico? Come le parlo? Di nascosto le chiedo sinceramente il nostro cuore che posto ha nel suo? Non le dico niente, so già come andrà a finire: aprendo e chiudendo le porte si sprigioneranno forse forze sconosciute famose poi per questo mio intento che credi malefico ma non è ciò che voglio dire. Lo so io come andrà a finire, le parlerò di Verne e dell’anima che pende senza riscontri. Troveremo amore solo su due mattonelle 34X30. Mi sdraio per terra, faccio poco o niente pensando a te che sei del fiume affluente ed estuario. Sul tetto di una casa un pianto a dirotto, spaccata a metà un’isola frammentaria. Poi perdo ogni rancore, mi siedo e penso riservandomi di parlar con te forse un altro giorno. Anche se non ha senso. Tu dici non l’abbia, pensandoti ringrazio e pensandoti sei tramite per il divino che ringrazio, sorgente prima mia. Grazie per ciò che tu hai potuto fare senza di me. Grazie di avermi dato tutto, perdonami se vuoi io ormai non me la sento di chiederti ancora scusa perché le mie parole son voce spersa nel sole. Grazie di questi anni vissuti e ormai finiti, non ci sono più legami: respiro per respirare ed amo per passare il tempo insieme a te. Grazie degli occhi per guardare lei e la natura e il mondo e il cosmo ed anche il caos, dell’aria per respirare e dei sogni per amarla. Lo so, ora il mio sangue è solo e solo resta ed anche se non ha senso è ciò che penso, che credo veramente: ho paura. Non è mica per qualcosa ho tanta voglia ancora di abbracciarla e stringerle le mani attorno alla vita, colmarla di baci, lo so che non ha senso ma io l’amo veramente e il resto non conta niente, è il resto che non ha senso. Tu dici che ho perso proprio l’anima ma se l’anima ama veramente mai si sperde. Certo, va bene il cielo è ancora scuro e pare fumo le nuvole … piove !?! la pioggia a schizzi scende su di noi e il fumo bollente cade dai tetti, copre il sole. Va bene, comunque vada andrà bene. Comunque! Io ho vivo il tuo ricordo e Dio come la vorrei vedere! Amore mio risplendi sempre nel mio cuore, gioco di consonanti e coro di amanti, solo tu! Amore mio sai che sei bella così, più di te, magnifica apparenza! Si può strappare un ricordo togliendo un accordo ma tu resti tu, magica, Amore mio! Magia del cuore! Quando t’abbraccio così vicino da essere lontano da ogni cosa mi par di vedere scendere l’ama dall’incandescente aria e con gli sguardi più vivi di tutti i ritardi, i tuoi, che in amore tendi a mantenere con questa vita finita prima di iniziare ti sento! Quando scompari di nascosto, vai via o perdi il posto esistenziale appena rintracciato, subito ti ricordi di me tra le lacrime: pianto disperato. Quante volte ho racchiuso i miei sogni in un’altra coltre colma di ricordi e di poesie scritte come sfogo su fango impietrito. Ho rotto ora lo schema affacciato alla finestra. La ricordi la balestra? Sorridi! È questa la magia del cuore, è questa la mia verità, è qui la tua sincerità. Mi vuoi amare? Questa mia vita è stata costruita solo per caso, lo sai? Non sai che questa mia vita è stata interrotta solo da me, dal mio affetto? È buio ormai ed io senza guida mi perderei anche se ciò che dici ha le più antiche radici, salici di piombo. Non hanno scopo gli altri sentimenti, non hanno vita più i tuoi e nostri pentimenti, volgare affetto? Verso questa grande città ci dirigiamo senza pietà per loro. Ora mia cara puoi chiedere gli occhi, non ho più bisogno di quei soffi, vento caldo freddo cuore, sole che illumina illuminami. Ho amato la tua sincerità. Scopro ora soltanto te, nella banalità del reale. In fondo sei simpatica per tutto ciò che fai, quando ti poni sulla difensiva senza ci sia un vero attacco, carna anche nel torto. Anche tu guardi il mondo dal mio stesso colle, siamo molto vicini, contrapposti e lontani ma pur sempre accanto. Io non me ne vanterei. Il tuo cuore va a mille un po’ troppo facilmente e questo è molto strano ma capita anche a me e quindi ti perdono tuttavia teniamoci a distanza perché essendo vicini ci potremmo voltare ed amarci e poi ignorare il mondo rimanendo sul colle privi di ogni veduta. E restiamo allora vicini e senza guardarci, senza scambiarci nemmanco idee perché sei come sei! Nasce il sentimento dalla sovrapposizione delle nostre parole.

Anche se questa vita è stata resa buia dalla nostra compassione crescendo in rifusione senza preferenze né rimpianti mi riporti i pensieri. Cambio stravolgente! Perché non provarci almeno per un poco? Perché mai non tentare? Amarci a vicenda senza fumo, scoppiettio, senza pensieri e umori mutevoli. Andiamo lontano saliamo e poi scendiamo stringendoci tra le braccia anche senza chiamarlo amore, non ha importanza. Guardandomi negli occhi avresti voluto dirmi “ancora” ma venivi ostacolata senza scampo dalla realtà dei fatti. E il tempo scorre come un dannato, più di un anno oramai sarà passato, io ti penso ancora. Restiamo nell’incerto ascoltando il solito concerto delle mie fitte foglie ingiallite. Ascoltando il tuo profumo, così che mi venga da pensare, che scenda un brivido salendo profuso. Ritorno al passato ed ho paura di te, ti guardo negli occhi, non sei con me ma ormai non mi domando più perché. È stato ciò che è stato mica l’ hai vissuto? È stato l’amore mica l’ hai chiuso, sigillato e sepolto il tuo sorriso? Tu che hai nei miei confronti un’espressione viva e vaga, ora, ma comunque esistente, hai cambiato ogni proposta inoltrata da me, se non l’avessi fatto me ne sarei accorto. Ti sei sganciata da lui per non vedermi soffrire. Sei finita nei miei desideri e li hai mutati, son cambiati per te, solo per te. Io che speravo di amarti ed ora spero solo di non rinnegare la mia dimostrazione d’assenzio assoluta. Sarà così però no, non posso scordarti, amica mia per sempre ti voglio così bene che non ti potrò scordare, lo ripeto, tutto il resto conta meno di niente. Mi hai toccato con una meravigliosa grazia che non ti ho detto prego nemmeno ‘sì per scherzo per divertito puro eccesso. Ma ti ho detto che veramente hai acceso questo fuoco nel mio pensiero o nell’animo più chiaro, più forte ma più dolce. Se per caso ti accorgessi di me non penseresti all’affetto, accampata lontano da ogni mio pensiero. E come vapore tu risali e cadi precipitando nel vuoto solida, verso un più chiaro e sicuro futuro. Ho trovato in un libro un tuo capello ed ho detto di volerti vedere o almeno avrò pensato di cercarti in questo mondo che ci ha rifiutati ma ci vuole accanto. Forse non merito di vivere in questo mondo privo oramai di ogni pazzia. L’altro giorno, ad esempio, abbiam fatto razzie e le acque abbiamo aperto seguendo soltanto il passo lento di un imbuto che non mi ha filtrato. Hai distrutto l’armonia, hai creato la paura rendendo questa vita più dura, la mia ricca fobia! Ma guardando il cielo azzurro mi sembra di volare, mi sembra di amarti ancora, inutilmente. Ti ho amata, ti ho amata ma ti amerò? Strano il sentimento in vano amore, cara. Lieve nel suo insieme? Sai che I sogni di ognuno sbocciano dallo stesso seme? Io penso che dovresti riflettere su ciò che dico e non rispondere con un ritornello, come un affronto fatto ad animo sereno e quindi imbarazzante.  Decidere su due piedi senza te e senza il nostro cuore né l’ausilio del sole più sciocco e più rozzo di un cappello, montato è su un mantello la protezione finta di cartapesta. Tu la mia amata, la più dolce mia compagna in questa vita dolorosa. Per te vari doni, più ricchi di tutti sono i suoni. Delle parole chiave è la voce, serratura la vita e tesoro sei tu. I fogli contengono parole, le parole hanno significati che tu non capisci ma intendi, lo so. Sono meglio o peggio? Sono comunque me stesso, sono il ricordo della vita e tu l’alito d’amore, sogno presente in ogni cuore, vita sonno e pensiero ciò che sono ed ero sarò sempre. Ed ora perché ridi? Io con te non ci sono stato ed il tempo è già passato, sarà trascorso un anno e mezzo e sul più bello tu vai via. È da tempo ormai che sogno solo te e non vivo se non sei qui. Eppure tu non sei lontano, mai ho trovato un’altra che mi guardi coi tuoi occhi illudendomi e splendendomi riflesso e tu ancor rifratta continui a guardare avanti e non ti accorgi che son qui. Amore, mio caro amore non riesco più a viver così ma sei solo tu che mi illudi, continuare ed amarti.  Il tempo passa e tu non cresci, il mondo cambia e tu rimani sempre così carina e non ti accorgi ancora che ho bisogno del tuo amore. Ascolta e guarda, la vita nasce e muore sapendo di essere chiara e tu non puoi saper di rinascere perché la vita ti ha deluso più di me. E allora perché ridi? Io non sto scherzando, ogni anno che viviamo ha paura di starti lontano. Sai che non c’è un sogno che io faccia senza te e sento ancora le tue mani su di me. Integrando l’amore lo hai capito anche tu che senza alcun pudore mi hai lasciato conducendomi lontano. Integrando l’amor c’è o non c’è l’importante è che tu resti qui. Ancor non sai che non puoi ottenere ogni cosa mettendoti in posa e continuando smentendo con arguzia questo sentimento. È così che vivi e che vivo io con te e per te. Questa resa sorse forse per scambiarci opinioni tramutandole in azioni, confortevoli  speranze di una vita migliore ma mai sentita come obbligo. Buonanotte amore, scende la sera e ti guardi allo specchio sola e perdutamente innamorata.

“Ciò che dici non è oro per il mio cuore e non è un sogno perché non si conosce. Narrando ogni cosa che ho dentro ho capito che in verità non c’è realtà se non ci sei. Io avevo paura e tu in sogno hai sorretto l’anima mia aiutandomi. Ora so di esser nel tuo cuore e tu mi sarai vicino ed io cercherò di esserti ancora più vicino. E tu non mi abbandonerai tu che mi hai rialzato senza giudicare, la mia caduta l’hai resa somma salita in sull’alta cima. Ora so che tu sei qui, tra noi e nonostante tutto ci aiuti salvandoci ed io mi prostrerò ai tuoi piedi e pregherò senza fermarmi sarai con me. E spero che così sarà, spero che ciò accadrà, lo spero davvero perché è sciocco negare l’evidenza come è sciocco gettar via la lenza senz’esca. Fuoriesce la luce dal mio cuore illuminato dal tuo grandissimo e possente.”

Versi questi versi

liberi e pensanti

liberi e quindi amanti

pensieri sinceri.

“Il bacio che aspettavo! Come un’illusione sei venuta ed andata via in un lampo. Ti volti fingendo semplice indifferenza e mi paragoni a ciò che già sai e perversamente risalgo il mondo in cui vivo ansioso come sempre passeggiando in questo bosco dopo il temporale con la paura che le gocce mi cadono addosso. Ma non lo fanno ed io mi salvo, cancello ogni paura ed ogni eventuale ed inutile timore, rifioriscono ancora i pensieri ma non i fatti. Ho sudato più camice ed ho sperato molte volte che ciò che oggi è accaduto potesse accadere un giorno. È accaduto ma sono restato immobile, ho sbagliato ancora una volta, però il sogno continua ed amo sperando in una nuova realtà. Ma qual è la sostanziale differenza tra ciò che è e che non è, non l’ ho capito e non lo so perché il bacio che aspettavo è svanito e non ritorna.”

Intanto cammini, passeggi, ci amiamo, vogliamo ricordare il nostro amore ma mai arreso.  I ragazzi corrono per le strade, i gatti salgono sui muri e le serpi assonnate e pacate ritornano in te. I marmi della pioggia! Evviva! La vita dei ricordi sofferta e i sentieri nascosti per un buffo intralcio che sale e che scende lì intorno che mitiga amore e che percepisce nel cuore le vite passate, mai morte, mai vissute, mai sorte, mai cresciute ma che conoscono le muse. Amore, sei ancora amata, per amore o per passatempo, ma comunque lo sei e sai di parlare in un vivo soliloquio. E mi parli e mi dici che non sei mica sola e sperduta e poi pensi, solitaria tu pensi a ciò, e poi ridi coprendo un pianto più grande di te e che non sai spiegare. Non continuare. Per questo ricordo di esser vivo in questo momento in cui sento le porte sbattere e grida. Ascoltami per questo silenzio che regna nel mio principato. E l’Impero Romano d’Occidente, caduto anch’esso persa ogni speranza è morto in rancore che è essenza di te. Sogna di volare sui sentieri della Gallia io solo un po’ stordito, sarà colpa dei Visigoti oppure delle correnti del vento. Non conosci mica il pensiero che dici lontano da te ma pur sempre invano mancando di quella presenza unitaria ed essenziale rappresentata da me in collisione con la luna e con ogni caduta cui segue un balzo beffardo e vile. Crea ciò che muore da un accordo oramai finito, plasma, poni in essere, è una sentita poesia o suprema pazzia. Comunque sia il ritorno è presagito, ballando incontrammo ciò che non sai ma che immagini solo lontanamente e forse nemmeno. Rendi tu ciò che hai da dire, ridillo, ripetilo e basta! Non continuare! Visto errato! Sogno di vederti, di spiarti, amarti solo per ‘sta notte e la notte appresso. Ho sognato di dormire su di un letto di fiori e di sognare. Ho trovato diecimila lire perdute e imbevute d’acqua corrente che sbriciola nel torrente e poi continua ancora il suo lungo viaggio sincero e così nero per il pensiero che tu lo avresti facilmente scordato essendo lontana. Visto errato! Nascosto tra gli ignoti ho visto solo ciò che volevo vedere, in questo falso mondo più veri sono i sogni o, per lo meno, i nostri. Lo sfilato portone non ha più fontane e cade dai muri di staccato disincanto. Scoprirai di essere soltanto sola e per tua decisione cadrai tra altre braccia vedendo nei miei occhi niente di importante.  Potrai camminare verso la tua verità senza inciampi al sentiero: la carta non ha paura di affrontarli e li distrugge così soltanto così.  La musicalità, infatti, cade e mai tornerà ma se per caso accadrà stai sicura che tu non ci sarai più. Se non lo farai ho paura che di certo nel fossato cadrai senza più rialzarti senza neanche la voglia di vivere più. E se non lo farai lo ripeterai per sempre e per sempre lo scorderai perché a te non importa, i sentieri nascosti essendo da te percorsi saranno davvero tuoi. Ora chiudi gli occhi e non pensarmi più sono ormai lontano e sto cadendo in morte sicura: amore mio addio.

Sinceramente hai detto di sì avvalorando il tuo no e sognando, soffiando ancora prima del sincero addio, senza rinascite ti piacerebbe senz’altro amarmi ma non puoi, non vuoi cambiare ciò che è già vivo in te. Mi ucciderai, ne son certo, anche tu ti senti un’altra, diversa, se baci lei corrente avversa a ciò che la società ti offre, ti dico: ciò abbatte la più sincera velleità. Il mio amore non sa che per amore non c’è bisogno di sperare e di avere passaporti, transitare da anima ad anima. Sinceramente ti sento mia mentre tu le ribaci e poi mi baci ma in fondo che male c’è sinceramente. Serenamente sono sbigottito nel vederla così: un carro inaudito.

Alla mia amata

 

Il cane scodinzola in sulla strada

che un prato lucente rende minata

da soffi di brezze e di incanto; bada

sublime ragazza tanto amata!

 

Un gatto mi guarda, mi scopre vivo

mentre intorno il cane svanisce, scende

lui sale senza sembrare impulsivo

o forse era in preda a ciò che non pende

 

Però a te, sola e sincera amica,

nulla importa di questo incanto vero,

amabile, perché non sogni mica!

 

Tu con lei passeggi, meriggio nero

lei è stata rubata da te, bugiardo

ma tornerà da me, sarò sincero.

 

Dalle tue espressioni un prato verde, una treccia azzurra è ciò che tanto mi manca, è ciò che persi in una notte. Sogni ma poi ti rendi conto di aver detto tante altre cose più belle: fonemi, sinceri sentieri più veri amore mio, così simpatici da esser con me a portata di mano. Amore, provare c’ ho provatoti ho dato ma non ho avuto e adesso tu lontana e fuggitiva sfinita ma sempre in vita sei proprio tu che mi dici “son qui” e poi scompari. Sincera no ma bellissima, lo so, simpatica di meno ti allontani senza riuscire a fuggire anche se tu non lo sai con le tue espressioni mi hai distrutto, sei così strana! Resto solo ma non lo resterò, ricordati che t’amo, percorriamo assieme il sentiero di campagna un po’ lontano in verità e che si si rinchiuse dentro te. Mi chiedo se mi ami ancora, mi chiedo se sei ancora vicina amatissima amica. Ma quest’anima imperante  comanda e non ti manda in esilio volontario perché sai tu di essere una scusa, un diluvio, una battuta. E sì è così, oppure ho redatto, diretto tale sintagma d’amore. Ti amo, dici, ma lo so poi che non è vero, ti voglio, è il mio solo pensiero, ti vorrei vedere, sentire, toccare. Ma mirando altre cose e sognando altre rose ritorno a zero che è il centro dell’infinito. Non sono stato ciò che tu volevi ma questi sono fatti tuoi, comunque piacere, sono io, strano ma così vero, strano questo tuo pensiero, amplessi complessi sistemi sinceri, ma che vita in questa realtà inesistente vuota, inconsistente.  Che strano, sono pensieri, solo pensieri, rimembranze vaghe e buie nel tuo cuore, non è contento ogni tormento, non è celato ogni argomento con il relativo valore impresso dal tuo cuore ancora insoddisfatto. E guardandomi intorno lo so, vado e poi ritorno,  preferisco assai di più morire prima dell’ennesimo ordine tuo. Tu mi stai sognando, tu mi stai guardando senza farlo notare, che giro inconsistente,  morte incosciente. E così questo sfregio nel cuore non ha senso e tu da lontano con un dito mi segni e ti nascondi, lo vedi e poi lo sogni. Ti ho scritto una poesia? Chi te lo ha fatto credere non so! Ho rinchiuso un po’ d’amore? Ma io non so amare! E non è vero che sei unica e non è vero che sei la sola, sei molto strana ed io non ti ho capito ancora, ma comunque piacere, sono io. Il sangue contenuto. Ancora non sai e non t’è mai bastato il sangue contenuto, il sangue da te veduto. Guardi gli uccelli ancora, guardi loro però è strano che tu sia ciò che sei adesso. Lo so che è così, sinonimo e contrario, inciampata per una penna o per la supremazia. Uccidi lei che non è peccato, uccidila così, uccidila, non è una persona, uccidila, è sola. Lei è ancora qui, il quesito è sempre aperto: risolvilo! “non ci riesco”,  ma come sei ignorante, stupida incosciente, garantito da me al cento per cento. Sin, drink, clock. È vero oppure no?

“Profumi d’infanzia! Mi sembra ancora d’ascoltare i profumi ormai lontani che non posso più assaporare, non posso sintonizzare l’olfatto con l’odore perché la mente torna ai più vecchi profumi d’infanzia. Odoro un pastello di legno e sento l’essenza vegetale in modo così naturale. Il tronco è vita! Odoro i capelli legati in ciuffo in un così buffo fiocchetto del grembiule di lei. Sento suonare la campanella, odore di quella scuola d’infanzia in cui accalcati noi bambini agitavamo lo spiazzale. E poi i plasmon! che sapore! chi li può scordare! inzuppati nel latte o da soli di pomeriggio erano un sogno. Si poteva anche spaziare affacciati e varcare il confine con lo sguardo. Le corse nel cortile, sudate, sento ancora l’odore di quelle serate. Infine la fantasia, volavo per magia.”

Senza nome, ho posato l’animo sereno, ho rincorso ciò che c’è o non c’è, per spavalderia non te l’ ho detto che resto ancora qui con me, senza nome io percorro case, salto edifici e tenute segno ciò che non va, non mi piace più ‘sta città preferisco stare qui con te. Dio che confusione e Dio la morte che consolazione! Sono nato forse nel ricordo di un’estate fa lontano da ‘sta città, lontano dalla falsa verità e lontano ancor lontano cerco ancora il tuo appoggio, vivo di malvagità, di prorompente inumanità, e sogno di restare con te. Sogni, ma che sono mai sono gomitoli di fantasia apparendo in me mi lasciano spazio per un lungo percorso troppo lungo in verità. Ma che stupida superficialità, buffa è la tua compagnia, ti cerco da tempo ma non ti trovo: non sei più mia.

 

 Le Rimambranze

Un suono prolungato ed ininterrotto interrompe di scatto il sonno di Gianni che apre gli occhi e conferma l’orario supposto: sono le sette! Dall’urlo sul terrazzo sono passati ben quindici anni, o sedici, o diciassette. Ora vive in un’abitazione diversa ma sempre nello stesso paese, un piccolo appartamento al terzo piano di un palazzo sito in via Toscanini. Resta un poco nel letto come suole fare ogni volta, poi si alza di scatto ( ciò gli procura sempre un mal di testa della durata di circa dieci minuti) e si reca in cucina cominciando a preparare  il caffè. Intanto ritorna nella sua stanza e sistema le coperte disfatte, va in bagno e si sciacqua il viso, il caffè sale e dopo aver spento la macchinetta lo versa in una tazzina contenente un cucchiaino di zucchero. Si porta sulla sedia affianco al tavolo, accavalla le gambe, si accende una Pall Mall per assaporarla meglio mentre sorseggia. Dopo essersi vestito ed aver indossato il cappotto scende le scale e monta la sua vecchia auto, un’Alfa d’altri tempi, che a fatica lo accompagna lungo il solito tragitto giornaliero che da casa lo conduce a scuola e poi nuovamente a casa, salvo poche varianti. Presta servizio presso il liceo linguistico “Ettore Fieramosca” come insegnante di Storia e Filosofia. Entrato in quarta A comincia la spiegazione del pensiero di Francesco Bacone avvalendosi di alcuni appunti tratti dal grande capolavoro dell’autore, il “Novum Organum”. Il pubblico risulta sempre meno attento, però, quasi estraneo alla lezione e ciò vale anche per il prof che, mentre disquisisce è solito puntare gli occhi alla ragazza del terzo banco, Lisa Manzetti, carinissima, il suo sguardo gli ricorda una sua compagna di scuola, tanto misteriosa quanto affascinante: Alessia. Alessia, la prima volta che l’aveva incontrata era stato all’età di diciotto anni. Frequentava allora il terzo liceo mentre lei stava al primo ginnasio. L’incontro avvenne per caso, non l’aveva mai manco notata prima di quel giorno. Era il novembre dell’83 ed i ragazzi avevano occupato il liceo classico “Ugo Bargotti” di Napoli. Gianni stava sistemando le casse in un’aula in quanto aveva avuto l’idea di montare un mini impianto stereo.

“Gessì mantieni il cavo teso, così come te lo do e non far cadere l’altra estremità a terra altrimenti non facciamo proprio un cazzo”

“Giuanniè, non ti preoccupare, stai in mano all’arte”

“Proprio per questo mi preoccupo”

“Ah!ah! dobbiamo ridere? Piuttosto hai visto quella ragazza di primo ginnasio, sezione H, come è carina!”

“Chi? Come si chiama?”

“Quella di ieri sera…ah giusto, tu non c’eri! Si chiama Alessia, è proprio bellella, tutta sistematina, me la farei proprio”

“Veramente stai dicendo? Me la devi far conoscere compagno mio”

“Ok, sta su al secondo piano, andiamo”

Nel pronunciare queste parole Gessì lascia il cavo che cade a terra provocando la reazione fulminea di Gianni:

“Sei proprio uno stronzo, dico io, e te l’ho pure detto”

“Madò, scusami”

“Va bè, non fa niente, andiamo a conoscere ‘sta ragazza”

Salite le scale ed addentratisi nel corridoio a destra arrivarono all’ultima aula, lì stava con due ragazzi seduta su di un banco con le gambe penzoloni raccontando qualcosa.

“Ciao mi chiamo Gianni”

“Piacere, Alessia”

“Che fai di bello? Ti vedo tutta indaffarata nella conversazione”

“No, parlavamo giusto del più e del meno, niente di che, avevamo intenzione di organizzare un festino stasera, tu cosa ne pensi? Vuoi venire?”

“E’ un’idea magnifica, Gessì ed io stavamo giusto montando un impianto giù al primo piano, mi sa che stasera pariamo a pazzi”.

Alle sette e trenta Gianni arrivò a scuola dietro una vesparella di un suo compagno: erano appena giunti dalla base con otto pezzi di roba.

“Marsè, stasera pariamiento assicurato, don’t worry”

“Le ragazze ci stanno?”

“Certamente, ne ho conosciuto un paio fatte bene…”

“OK”

“Senti, perché non iniziamo ad entrare?”

Marsè annuì parcheggiando il mezzo all’interno del cortile, insieme poi salirono la rampa di scale giungendo al primo piano. Nel corridoio, seduta su una cattedra, subito incontrarono Enrichetta, ragazza del secondo anno minuta e sottile, con dei capelli quasi argentei, stirati sino alle spalle per poi scendere a cascata dietro la schiena. Gli occhi erano luminosi e crespi come onde del mare, comunicavano con vivacità e poesia.

“Ciao ragà”

“Guè Errichè, todo bien?” e nel profferire queste parole la baciò su ambo e guance seguito dal compagno.

“Tutto a posto”

“Per caso hai visto Alessia e gli altri?”

“Certo, stanno in quella stanza lì, dove sta la II A, a proposito ma ce lo vuoi con lei, non è vero?”

“Che cosa?”

“Dico co Alessia, stai cercando di fare carte con lei, no?”

“Vedi! Uno non può dire una mezza cosa e paf, la voce si sparge, certo è carina ma, basta, soltanto questo insomma, non è che è proprio il mio tipo. Al limite…giusto così…hai capito?”

“No”

“Va bè, non fa niente, comunque non ti preoccupare, ci sei sempre tu nel mio cuore!”

“Ah!ah! spiritoso, guarda!”

“Vuoi una sigaretta?”

“Yes, thanks”

Accesa la sigaretta si diresse assieme a Marco ove doveva essere Alessia. La porta era aperta ed i due entrarono di scatto. La famigerata ragazza stava con la sua compagna e tre ragazzi e ridevano come matti. Dopo i soliti saluti i due appena arrivati si unirono al gruppo ed iniziarono a parlare del litigio avvenuto poche ore prima con dei ragazzi dell’Istituto Tecnico i quali, entrati furtivamente in loco si erano, per divertirsi, messi ad insultare i liceali e rotto i vetri della scuola con delle pietre. Ad un certo punto, stanchi ed alquanto soddisfatti, ma non del tutto entusiasti, erano andati via minacciando ulteriore vendetta. A raccontare la vicenda era il più alto dei tre, snello col viso e gli occhi allungati e le sopracciglia esilissime. Facevano seguito a questo tale di nome Mario un certo Alessandro, con a faccia tonda e la corporatura robusta, il quale era sempre insieme all’amico e Valerio, un individuo minuto e chiacchierone che frequentava il primo anno. Alessia, invece, era stupenda, aveva un vestito dalle bordature viola, un paio di occhi che per l’occasione sembravano più verdi e più cupi, agghiaccianti, lo sguardo era intenso come quello di un falco che osservava dall’alto la realtà circostante, i capelli erano mossi, cirri carini e solitari. Terminato il racconto della vicenda Gianni si alzò e profferì le seguenti parole:

“Allora ragazzi? Che si fa?”

“Fumiamo”

“Sì!!!” fu il coro unanime di risposta, cui si aggiunsero, ovviamente Lino ed Enzuccio.

Alla terza canna Arianna, compagna strettissima di Alessia, si sentì male e Gianni si offrì volontario per accompagnarla fuori il balcone.

“Come ti senti?”

“Secondo te?”

“Vuoi vomitare?”

“No, ho bisogno solo di riposo”

“Non preoccuparti Ale, è solo un po’ abbattuta, lo fa a volte l’erba”

All’improvviso un grido: “Cazzo, la polizia!”, e sporgendosi dal balcone: “Massié, nascondi il fumo, le guardie porco dio!”

L’agente bussò e Gianni scese ad aprire.

“Sono della polizia” mostrando il tesserino “ Martino Serramonti posso entrare? Un controllo”

“E’ tutto a posto, prego”

“Sì, comunque qui, punto uno niente droga, punto due non scassate niente, punto tre non fate entrare estranei”

“Certo, stia tranquillo”

“E state attenti, mi rifarò vivo spesso, finché non finisce ‘sta sceneggiata”

“Arrivederci”, e dopo aver chiuso la porta “Fanculo! Un ufficiale addirittura, un commissario, stammece accorti che la situazione non mi piace”

Salite le scale e giunto di nuovo tra i compagni subito li rassicurò dicendo che aveva liquidato il poliziotto in pochissimo tempo e che la situazione era ormai sotto controllo. Chiese informazioni poi riguardo Arianna, la quale, dopo un caffè al limone preparato da Lino, stava già meglio. Si riprese dunque a fumare insultando la polizia, pazzeggiando e ridendo, soprattutto ridendo come degli imbecilli. Finché Gianni prese la mano di Alessia e disse:

“Vieni con me!”

“Dove mi porti?” rispose allegra e vaga senza quasi attendersi risposta. Le sue parole echeggiavano nella testa in modo indefinito, quasi allontanandosi le une dalle altre. In niente si trovarono al terzo piano ed entrarono frenetici in una stanza, senza accendere la luce. Gianni in preda all’euforia prese Alessia per le mani e, dopo averle sfiorato il naso con il suo, la spinse con forza sopra un banco spogliandola con delicatezza per poi prendere con vigore a spingerla e a penetrarla. Nel frattempo lei lo leccava dal mento fino a scendere all’altezza dell’ombelico e lui le carezzava il soffice seno bianco inumidendolo con la saliva. Quando arrivò l’orgasmo Gianni le si appoggiò sopra baciandole la fronte. Si staccò, poi accese una sigaretta offrendola alla ragazza che accettò ed insieme uscirono fuori dal balcone. Dalla borsa lei estrasse una bottiglia di vino rosso che si era ammacchiata a casa prima di scendere. Bevvero contemplando le stelle, osservando luci lontane e infinite, infinito e immenso buio, parlando di coscienza, reale, spirito umano, noia e limite, tutto fino a che Gianni non le si avvicinò baciandogli le labbra. Per entrambi fu davvero il primo bacio d’amore. Si sdraiarono per terra e presero sonno all’aperto, avvinghiati l’un l’altra.

La mattina si svegliarono con una brutta sorpresa: la polizia era all’interno dell’edificio e stava prendendo i nominativi di tutti i ragazzi. Cos’era successo? Mezz’ora dopo ebbe tutte le spiegazioni da Valerio che a sua volta le aveva avute da Alessandro, presente all’accadimento.

“Valè, non è che sai dirmi qualcosa, che cazzo è successo?”

“Mi ha raccontato tutto Alessandro, quei cretini del tecnico sono venuti stamani alle cinque, mentre voi stavate appaciati al terzo piano! Alessandro e Mario hanno cercato di opporsi ma erano dieci di loro con spranghe e bastoni”

“DIECI!?!”

“Eh sì, dieci, dieci! Sono entrati ed hanno rubato tre televisori nuovi, il proiettore e pure l’impianto stereo che tu hai montato, distruggendo inoltre tutto a destra e a manca”

“Porco cazzo di Dio Giuda! I miei ora mi uccidono”

“omunque la polizia ci ritiene completamente responsabili dell’accaduto, per questo ha preso i nostri nominativi ma la cosa più strana è un’altra”

“Parla”

“Quei ragazzi, mai visti fino ad ora, eppure conosco tutti del “Bastiola”. Pure il modo di vestire, strano. E la polizia, soprattutto quel Serramonti, non so….sembra un po’ folle, ha fatto domande strane che non ricordo”

“Ovvio stavi fatto”

<Ragazzi venite> irruppe una voce dall’altra stanza. Era Ancheito che stava ultimando il suo striscione, sul telo lungo cinque metri era scritto: “NO STATE, NO WAR, NO CHURCH: ANARCHIA AL POTERE”

<Anché, questo striscione è fatto a mostro! Sei sempre il migliore, ottimi i contatti con Milano! lo appendiamo vicino a Liceo Okkupato> affermò Gianni che aggiunse: <Ora vado a casa, sono due giorni che manco. Ho bisogno di riposo>

“Ok, ci vediamo oggi pomeriggio?”chiese Valerio

“Certo, caso mai viene Alessia dille che passo oggi pomeriggio alle quattro, anche lei è andata a casa, era stanca”

Valerio annuì.

Aperta la porta di casa trovò la madre che gli intimò di entrare; varcata la soglia cominciarono i soliti attacchi e le solite offese. Agli occhi della madre sembrava uno spostato, un buono a nulla, uno stupido, un individuo privo di coscienza ed affetto. Queste parole lo ferivano molto ma lui non abbassava la testa abbattuto, ma si infuriava a morte e, dopo aver mandato a quel paese la madre, in lacrime sbattette la porta e se ne andò. Girovagava per il paese incazzato, non esitava a prendere a calci i manifesti pubblicitari o a sputarci sopra. Non riusciva a capire cosa faceva di male, perché i suoi dovevano prenderla così, d’altronde non faceva altro che ribellarsi ai pregiudizi, per un mondo migliore, dovevano esserne fieri. E poi aveva quasi diciott’anni, aveva tutto il diritto di pariarsela alla sua età. La vita bisogna viverla istante per istante, senza rinunciare a niente. La verità piombava ineluttabile davanti ai suoi occhi: i genitori avrebbero voluto un altro figlio. Lo si notava dagli sguardi, dalla rabbia, non erano semplici rimproveri ma urli di sfogo. La coscienza che il figlio non sarebbe più stato recuperabile li rendeva o veemente adirati e pronti ad inveire nei suoi confronti o, peggio, totalmente freddi ed indifferenti, rassegnati. Assolto da questi pensieri decise di tornare a scuola. Comprò le sigarette dal tabaccaio e se ne andò.

 

Fuitella

La situazione a casa di Gianni stava diventando insopportabile, i genitori approfittavano di ogni piccolezza per riprendere il figlio. Lui era stanco e spesso gli balenava per la mente l’idea di scappare, fuggire lontano, un’idea tuttavia priva di qualsiasi consistenza reale, destinata ad esaurire in sé stessa. Non riusciva più ad essere davvero lui, non capiva quale fosse la soluzione al problema ed a volte pensava che, forse, questa famigerata soluzione non esistesse. L’occupazione era ormai finita da un paio di giorni, l’intento degli studenti di protrarla sino alle vacanze di Natale era inesorabilmente fallito. Quelle mattine fredde di fine novembre gelavano l’animo di Gianni il quale continuava a frequentare sempre più spesso Alessia. La ragazza condivideva con lui il medesimo disagio esistenziale, guardandosi attorno capiva sempre con maggiore certezza di essere sola in mezzo ad una folla. Le relazioni umane non solo non le davano alcunché ma spesso addirittura la annoiavano. La gente tutta, il mondo ed i singoli individui erano semplicemente degli ingranaggi di una macchina immane e potente che mescolava l’uomo e il suo essere con tutto il resto dell’esistente. I problemi e la negatività di Gianni spesso erano identici a quelli di Alessia ma ciononostante entrambi non riuscivano in alcun modo a darsi conforto. La loro angoscia li percorreva senza remissioni investendo il corpo e rendendolo gelato. Non erano più i loro corpi, erano pezzi di ghiaccio che neanche il calore passionale dell’amore riusciva a sciogliere . La situazione rimase identica fin quando, quasi per caso gli occhi di Gianni non caddero su una frase scovata chissà come da “Così parlò Zarhatustra”, di Nietzsche: -Dobbiamo disperarci più che rassegnarci perché chi vive male in questa società vivrà bene nella nuova. La nostra forza ed il nostro coraggio devono essere la forza ed il coraggio dei solitari, delle aquile; le anime fredde, le bestie da soma, i ciechi, gli esaltati non sono coraggiosi. Ha cuore chi conosce la paura ma la domina, chi guarda all’abisso ma con fierezza. Chi guarda all’abisso ma con gli occhi da aquila, chi adunghia l’abisso ma con artigli di aquila: questi ha coraggio[…]. Facciamo come il vento quando si precipita giù dalle caverne montane: esso vuol danzare al suono del proprio piffero, i mari tremano e saltellano sotto lo stampo del piede. Sia lodato quest’ottimo spirito scatenato che è nemico delle teste dei cardi e delle teste arzigogolanti e di tutte le foglie e le erbacce appassite: sia lodato quest’ottimo spirito selvaggio di tempesta, che danza su paludi e tristezze come su verdi prati! Sia lodato questo spirito di tutti gli spiriti liberi, la tempesta ridente che soffia polvere negli occhi di tutti gli immalinconiti ed ulcerosi-.

Furono queste parole il riflesso ardente nell’oscurità, ora sapeva cosa doveva fare, doveva rompere i vetri delle finestre e fuggire via , non importava tanto dove ma l’essenziale era andarsene, non ritornare più in quel paese di merda con quella gente e quella vita di merda. Alessia gli avrebbe senz’altro stretto la mano e l’avrebbe accompagnato senza paura e senza mai abbandonarlo, anche lei d’altronde soffriva i suoi stessi mali, più si è profondi più si soffre, anche per le cose apparentemente piccole ed insignificanti.

Organizzarono la fuga per sabato mattina, il piano era studiato nei minimi dettagli e la ragazza era entusiasta. Non importava se lasciavano il certo per l’incerto, potevano tranquillamente soffrire gli stenti iniziali ma la cosa veramente importante era essere finalmente liberi! Alle otto e venticinque del fatidico giorno si incontrarono come stabilito fuori scuola e furtivamente si incamminarono verso l’autostrada. Dopo essersi appostati all’altezza del casello si misero a fare autostop, passarono circa dieci minuti e si fermò un camion grosso con targa straniera:

“Dove dovete andare?” urlò con voce massiccia e con accento calabrese il conducente.

“Fino al capolinea!” rispose sorridendo Gianni. Ciò detto salì per primo sul mezzo porgendo poi la mano alla ragazza per aiutarla a salire. VIA! Potevano finalmente partire verso la libertà!

Il camionista era un tipo taciturno, non apriva mai bocca se non era interrogato e le sue risposta erano secche e coincise: da quelle parole non traspariva alcunché della sua vita, se soffriva, se era felice, se era sposato, se viveva da solo… Un alone di mistero circondava quel grosso individuo che, si seppe, era diretto in Germania, in una città chiamata Tistin. Dopo circa sei ore di viaggio si fermarono ad un autogrill all’altezza di Firenze. Scesero dal mezzo per sgranchirsi un po’ le gambe mentre Gennaro, così si chiamava il conducente, faceva benzina.

“Alessia tutto procede per il meglio, conto di uscire dal territorio italiano prima che le nostre famiglie allertino la polizia”

“Già “

“Ti vedo preoccupata…”

“Non per niente sono stanca, soltanto un po’ stanca”

“Va bene, durante il viaggio ti riposerai un po’, adesso andiamo a prendere qualcosa da mettere sotto i denti, ti va? “

“Andiamo“

Presero un sandwich ed una birra a testa e dieci minuti dopo erano di nuovo in viaggio. Gli alberi ai bordi dell’autostrada viaggiavano velocemente ed in un fruscio sembravano quasi sfiorare i finestrini del grosso camion. Alessia riposava beata sulla spalla di Gianni e dal lieve candore del volto evinceva che, senz’altro, sognava incantata; per più di un’ora nel mezzo regnava un mistico silenzio interrotto da un improvviso e repentino ondeggiamento. La ruota posteriore destra era partita! Dalla bocca del losco conducente iniziarono a vibrare pesanti bestemmie che talune volte nascevano e morivano d’improvviso, altre volte venivano stroncate sul nascere da un senso di pudore quasi infantile. Accostarono ad una piazzola di sosta e Gianni si offrì volontario per dare una mano a Gennaro il quale rifiutò in maniera sdegnosa. Erano le sette di sera ed il buio dominava pian piano gli ultimi spiragli di luce rossastra, il grosso tizio disse che si sarebbero fermati lì a riposare e che sarebbero partiti solo l’indomani mattina in quanto era troppo stanco.

Nonostante il disappunto del giovane montarono e subito il sonno si impadronì di loro, un sonno tranquillo per Gennaro, inquieto per gli altri due viaggiatori. I sogni di Gianni, ad esempio, erano confusi, enigmatici, vivida appariva solo l’immagine di una pistola nera e di un uomo basso e calvo con una faccia olivastra che la impugnava e sparava verso l’altra. Alessia, invece, era immersa nell’oscurità tenebrosa della notte e dormiva a singhiozzi, si svegliava ogni quarto d’ora e spesso non riusciva a prender sonno se non dopo un bel po’ di tempo. Si risvegliò nuovamente alle prime luci dell’alba e si accorse che la rozza figura “spiacevole e volgare” non c’era. Uscì allora fuori ed intravide Gennaro appoggiato sull’impalcatura dell’autostrada che fumava un sigarotto sputando ad ogni ispirazione i residui di tabacco che gli insidiavano la lingua. Subito, nel vedere la ragazza coi vestiti stropicciati ed i capelli arruffati, le andò incontro frettoloso e, senza dire una parola, le prese il braccio destro e la trascinò dove iniziava l’incolta vegetazione. Alessia voleva urlare ma riusciva solo a sussurrare parole incomprensibili e non riusciva ad opporsi a quella bestia che, per evitare spasimi inutili, le porse la mano all’altezza della bocca con violenza. Dopo averla gettata sull’erba iniziò a strofinarsi contro e si sbottonò il jeans. Le lacrime scendevano lentamente dagli occhi della ragazza che avrebbe voluto chiedere ausilio a Gianni ma non ci riusciva. Prontamente, però, riuscì ad approfittare di un momento di esitazione del grosso uomo per sferrargli una ginocchiata nei testicoli, alzarsi ed urlare con tutto il fiato che si era riservato in gola: “Gianni! Gianni!”. Il ragazzo si alzò prontamente, scese dal camion e diede prima un pugno dietro la schiena al bastardo poi col tallone lo colpì più volte sul capo. Presa la mano di Alessia le diede un bacio sulla fronte ed insieme fuggirono, scendendo giù per il fossato erboso.

 

Banalità concave

Bella e sola, sei bella e sola! Incontriamoci, stiamo assieme un po’! Cammini sola ancora ma più bella di prima, non cercare in alterigia la supremazia. Sei bella e sola! Ancora non so se fingi o fai sul serio, se scherzi o fai davvero, se è solo la paura a renderti così. Vai a spasso e fai la spola, nel vento lontano le tue suole, lunga sinfonia la nostra tra anima e magia, tra verità e bugia. Gli occhi d’un insetto che hai visto al microscopio te li porti a spasso, sono dove vuoi. Non sopporti gli innocenti, odi gli incompetenti ma perdoni gli eterni assenti. Sei bella ma comunque sola! Tra l’olio di prostitute. Tra le aule a trotto. Il giro è stato corto, violento, simpatico, vivace. Felice ed ansimante stavo sperso. Ritornano, inutile dirlo ti guardano, sei così normale, questo ti rende speciale, già il solo essere una ragazza sola. L’intersezione dei nostri cuori nell’animo nostro, nel sinedrio misto alla fine del nostro incontro. Ti voglio più vicina e tra l’olio di prostitute mi sporco le labbra di profumo d’amore. Sguazzo tra i sospiri, i tuoi sì sono sinonimo di te, spalmami addosso le soffici, vane mani tue. Tra i tuoi meriti c’è l’amore che m’hai dato lasciandomi osservare ciò che di vero c’è in te, ciò che cerchi tu stessa.

Mi hai detto che tu lo amavi davvero, eravate indivisibili e me ne sono accorto, parli solo di lui. Sei sconvolta, lo baci, lo abbracci, mano nella mano camminate. Ti alzi sulle punte, fai un giro su te stessa e lo baci, lo guardi negli occhi, lo punti e lo ribaci, attacco d’amore furente. Lo stringi a te, quindi. Ma tu sei soltanto parte di me, in te, sai, c’è tutto ciò che nelle altre manca. Ci sono i tuoi occhi trasparenti, pendenti le mani. Io solingo ti penso, sincero ti guardo di nuovo e tu vaga mi pensi a tua volta, nella mente tra le nuvole prevedi i miei temporali. È così. Nonostante tutto sei solo parte di me. E il giorno appresso t’ho baciata, non c’era alternativa, sei trasparente, splendi al sole, occhi dolci trapassano ogni confine e nel boschetto di selci trovano rifugio e s’innalza il canto, il suono dell’anima rimbalza tra i nostri cuori. Chiuso nella mia stanza tra un libro la tua foto. Parte il treno dei simboli scomposti, amore mio addio, ti prego non salutarmi ma guarda sempre dentro te, nel rifugio boschivo del tuo cuore saprai trovarmi. Il treno parte, amore mio addio, scompari oltre il monte. Non dimenticarmi. Non sai neanche cosa dire o raccontare, mi parli da lungi con affetto privo di senso. Non sai se vuoi restare in questo mondo da spettatrice, senza capirci nulla. Ti siedi, ti guardi attorno, è come se non ci fossi. O mi pensi. Risquilla il cellulare e alienata torni al tuo vissuto reale e vacuo. Parli di lui, leggi un suo messaggio con disincanto, gli giuri amore eterno. Ti annoi, non vuoi far più niente, ti guardi attorno di nuovo ma ora sbuffi stanca, neanche un quanto d’energia nei tuoi respiri. E risquilla il cellulare. I tuoi pensieri sono sintomo d’amore, come i tuoi sguardi che perdi nella stanchezza del virtuale. Pensami e distratti passeggiamo mano nella mano incuranti dei pensieri degli altri. Fuggiamo reali, rifuggiamoci nei nostri sogni.

Il mio album di fotografie! Quelle fotografie riposte un po’ confusamente nel cassetto antico, ingiallite. Quel cassettino ammaccato ma custode del tempo, non si invecchia tra i ricordi, sfogliando una pagina e poi un’altra si rimpiangono momenti sciocchi e banali, naturali, unici. E da lontano ricordo questo passato e le cose andate ma che balzano alla mente, esperienze andate ed attualissime, storia monumentale. Pezzi di puzzle ricostruiscono la vita, la mia, pensieri interrotti ed incompleti, vaghi. Il mio io irrazionale! Qui non ero nato, come andava il mondo, gli alberi e le genti sono solo frutto della mia immaginazione? Il mio splendore è caduto così come cade un grande impero, sacrificò la vita e il regno per noi. Un fuoco oramai spento fa ancora scintille ed io rivibro al sole ascoltando le sue parole. Testa bassa arresa e trucidata, testa impaurita –mi chiamano ancora alle sette del mattino-. Dicono non cadere, abbi fiducia, rinasceremo, ritorneremo, la guerra è finita ma la lotta continua. Il nostro impero tornerà. Mostriamo ciò che siamo veramente, l’amore, ritorneremo. Ricordo quando lei mi guardò e disparve. Tra la polvere i frammenti, una viola ci accompagnerà per sempre! A causa di un compromesso, tuttavia, è stata omessa la verità. Credi di conoscermi per il mottetto e i gesti informi, etichetti e spumeggi, fiato riservato. Abbandonati tosto a te stessa e stringimi perché la tua soave bellezza non finirà in questo bacio ma ci accompagnerà per sempre, lungo i ponti smossi delle nostre lontane esistenze. Non ci lasceremo mai, ciò che ci lega invisibile è indissolubile ossidiana. Resterò in quel cantuccio buio del tuo cuore, oscuro ma comunque parte di te, perché io non sono che parte dell’animo tuo.

Ritorno…cammini slanciata e agitata ma guardandoti negli occhi mi accorgo che è nell’anima tua che mi nascondo, chiudendomi in vani e opachi sospiri, i tuoi. Viaggeremo, andremo lontano, assieme, incuranti di tutto. Noi siamo qui sinceri o falsi, ma il giudizio è vostro, metro capovolto. Noi vessati non possiamo più fiatare, il nostro amore comunque risplende, siamo qui tra la polvere evanescenti e lucenti. Tu nell’incantevole mondo dei sogni. Ti alzi tardi la mattina, non hai voglia e non vai a scuola, guardi un punto fisso nella tua stanza vaga e ti rendi conto di te stessa. Passi il tempo a sognare, il mondo l’hai creato tu, nelle nuvole è il tuo regno, i sognatori soli ne hanno accesso, ne detengono le chiavi. D’altronde il futuro un giorno potrà cambiare grazie a persone che, come te, hanno ancora spazio per guardare il mondo con altri occhi. Tu che sogni d’altronde? Che il futuro venga a te! Ciò che vedi è realtà, non il freddo mondo calcolato, ti elogio la fantasia, ti lodo la follia, mai subordinata all’altrui volere. E sì, ciò che fai, senza senso, ciò che pensi, senza fondamento, è la manifestazione del vero nel reale, unica verità, perché tu non ragioni mai e lasci sussurrare il tuo cuore, l’unica fonte dell’essenza. non dici mai ciò che pensi, hai ragione, sei limpida come uno specchio.

Sono tornato dopo tanto tempo da te, non vi è più amore nei tuoi occhi, una foschia pervade la tua sostanza, svanisci tra nebbie opache urbane. Nei tuoi sguardi non ci sono più quei sogni. Che fine hai fatto? Come salvo da un lungo affanno ritrovavo ristoro e riposo e conforto in te ma lenta svanisci nella tua pragmatica corporeità. Ti devo salutare, partirò di nuovo, mi mancherai ma tornerò. Il tempo può passare e potremmo scomparire da un momento all’altro. ma se continuiamo ad amarci anche silenti resterà la nostra voce. Senza false parole. Con entusiasmo io provo rimpianto, ti perdo nel ricordo sbiadito. Sei spoglia di gesti e d’indumenti. Io prendo il volo, sui tetti della città, per mondi lontani.

Specchi, trasparenti mie figure. Il rosso delle tapparelle che scendono in trotto roteando quel romore cupo e vero ponte per gli astri. Lo ascolti e non è lontano. Sbattendo le porte afose l’orologio scatta sugli attenti dei nostri cari ricordi oramai persi. Verde, ritorna lo smeraldo tra le crepe dei muri e rimembranze nascoste. Il rossore è il saio dei giorni che passano e ricopre ogni senso, muore e rinasce, scende e risalta. Specchi, trasparenti mie figure, occhi verso il nostro mondo. Finestre, anime fuggenti da quegli esili ponti che dissi, da chiaroscuri verso monti, colli, sogni. Pareti, strane e vere, castano dei suppellettile sbuffo del camino, forno e fornello. Calore, fonte di calore, di noia quanto di gioia, domestici vagoni e accampamenti tra le nubi. Dipingimi il viso, mistero7, dimmi il falso e dimmi il vero. Tu intanto getti i capelli alla rinfusa e divieni falso ricordo o strano accordo. Inciampi su te stessa, ritta, altera, fonte di vita vera. Spiegami chi sei, voglio conoscerti, cammini per le strade incurante e bizzarra. Sei amore e sei anche amata, valle dorata, adorata luce, vivida presenza. Ti incontrerò, ti riconoscerò. Sei brusca improvvisamente vestita vagamente e ancor più presente nella mia mente. In me tu vivi. Tibi mei. Candida come nube chiara d’estate, candida la tua voce, chiara e amata, candida è la mente al tuo vago ritorno che fruscia e si rigira nell’apice nascosto dei pentimenti riportati in chiave sentimentale. La candidezza spenta delle sue fauci non tornerà, la mia presenza, coerente, non mancherà. Tu affacciati di sera dal balcone, guarda la luna, chiudi gli occhi, pensa, troverai l’amore.

17 anni mai stata con un ragazzo. Vivi nella tua purezza, fonte di bellezza, respiri più forte degli altri, intensamente, dai tuoi occhi traspare il sole lucente eterno. Sei trasparente anche se non guardi lo specchio, bellissima, chiara, i tuoi silenzi ti rendono misteriosa. Tu sei candida e il mio bacio ti ha sfiorato ma resterai pura perché in te vive l’amore.

Accadde ciò che tu sospettavi ieri, non è stato bello neanche per me, sei svanita. Ora vai via, non tornare, che aspetti? Non farmi più soffrire! Non ti dico quanto ti ho pensata, oggi le mie speranze sono distrutte. Dopo due anni. Ricordi quella notte, cadesti tra le mie braccia e ci confessammo le nostre paure tremanti. Tentammo di contar le stelle in cielo e sconfitti dalla prova rinunciammo, quelle scelte le chiamavamo per nome sperando ci venissero incontro. E il mare, i tramonti che contemplavamo, il nostro approdo e i nostri baci silenti. La spada dell’indifferenza trafigge l’anima e il nostro amore, che dicemmo eterno, sotto i colpi di saette bastarde esala l’ultimo respiro.

Intermezzo slavo II: “Ci guardammo fissi negli occhi, la guerra ci ha divisi. Sono ai piedi del silenzio e le lacrime mi bagnano gli occhi mentre il bastone scalpita colmo d’odio e rancore. Vivo è il fremito della patria e l’amore per il fronte e piangendo muoio di dolore, brucio tra le fiamme di questo inferno slavo.”

Intermezzo slavo III: “Caro Senio passasti la prua, caro amico varcasti il confine di ogni terra, segno di vita umana tracciata dai passi o dagli sguardi. Ma il vero cantore del mondo aprirà le braccia e danzerai ancora. Caro Senio dicesti la vita è bella perché indefinita. Parole banali ma ora profondissime. Tu guardando l’orizzonte scrutavi la natura del mondo. Caro Senio, fabbro dalle poche parole, ballerino del vento. Caro Senio quei tuoi occhi da contadino furbetto sono spenti oramai e deforme giaci in questa valle antica.”

È così che il mondo va nell’al di qua, siamo tutti uniti a un tessuto che è la vita che non insegna e muta ci lascia alla deriva. Soli vivi e vaghi. Amore mi stai guardando o fuggi solo con gli occhi per dispetto? Io sono solo polvere, polvere di te, ma non mi spazzerai via, non ha senso essere lontani quando ci sogniamo a vicenda.  Amica non chiedermi perché ma so che mi stai amando, ora, sul serio.

La penombra che scendeva silenziosa dal tetto un giorno mi invase. Il sole era lontano, freddo, chiuse la storia prima che potesse sbocciare, fior di primavera. E questo fruscio silenzioso, d’altronde, mi invase rendendo ogni cosa più simpatica, perché è nella simpatia la chiave di ogni conoscenza. Respiro d’ignoto. Ispiro sulla tua pelle. Percepisco l’ombra del tutto. È penombra, resto incolume al vento e non mi limiterò a guardare lontano ma scruterò anche sotto il mio naso. Un giorno alzai lo sguardo per scrutare la verità ma lo riabbassai. Tra la nebbia delle strade vidi lunghi vestiti respirando il caldo candore di una dolce sigaretta.

Ti ricordo amore, tu non lo sai ma non posso dimenticare te ed il tuo profumo, speranza di vita. non l’avrei mai sperato, mai immaginato: continui a conservare, riposta in un cassetto, quella lettera vecchia. Sì, capito avrai capito, si è visto dagli occhi, dal tuo sguardo, da te. Tu non lo crederai ma io non ti ho scordata, sei ancora nei miei pensieri, come la lettera ingiallita ti conservo. Un giorno tornerai viva e splendida come sempre, il mio cuore saprà aspettare, lo fa già ora, già da tempo. porgimi la mano, adesso! Fallo! In questo preciso istante fallo! Grazie mille, ci vedremo tra poco. Non ora. Adesso vado via, la pioggia ci ha dissolti, ci ha divisi ancora.

Cammino con te sotto la pioggia tutto inumidito per tenerti il passo spiegandoti che penso di quel poeta dell’altro giorno tu respiri forte ad ogni parola. Ti prendo per mano perché hai deviato il tuo percorso, la solita via, per passeggiare con me, silenziosa. Dove vai? Restiamo ancora un po’ sotto la pioggia. Restiamo qui per sempre! Compro svelto una sigaretta per 200 lire, fumo assieme a te e magico diviene l’intreccio del discorso. Baciami amore mio, e baciami ancora. Di colpo la pioggia cessa, ritorniamo a casa, ci vediamo domani  scuola, tu baciami ancora! E a casa col cellulare ti scrivo una poesia, guarda il tramonto, guardalo in fondo, ci sono anch’io, sognando baciami ancora.

Ricordo, noi ragazzi. Ti amai davvero e te lo disse anche lui, quella sera. Ma tu vaga sfrecciasti via strana e corrotta amica mia. Per far sbocciare amore seminasti passione, per rincorrerlo e volare salisti in sull’altare. Ma ricordo di noi ragazzi. Certe cose non le puoi scordare. Quel mio amico mi disse che a via Olbia tu ti incontravi con lui, vi vidi, avvicinandoti gli stringevi i fianchi, la sua bocca colma dei baci tuoi. Mi amasti, ne sono sicuro. Ma non potevi ed io ti vidi piangere mentre mi guardavi. Sono solo! Essere solo sembra terribile, ombra dell’oscuro, terzo indicibile. Non fuggire anche tu, resta almeno amigdalica, fumo del ricordo. Io caddi in cambio voluttuario per te. Fu splendido! Tu mi capisci? Perdonami! Nulla più è vivo nei miei occhi. Perdonami! Vivendo d’amore si muore e non lo sai, axiologicamente disorientato è l’amore sperso che tuttavia in maturazione si orienta. Sai che vivo nei tuoi occhi. Amica mia!

Ti ho sentita e sono corso da te senza sapere che fare. Mi guardi davvero anche tu e forse la tua bellezza io mai l’avevo vista. Mi senti? Sono qui per te, attendo istruzioni, mi guardi e sorridi sotto i candori tuoi. Sento l’amore, salire la voglia e la passione, tu accanto a me. Il primo sorriso vero della mia vita è stato per te, ragazza mia. Canticchiano i cardi e volano le rondini, mi senti ancora? Sono qui per te, forse capirai, forse no. Ma io ti aspetterò, qui, sul nostro scoglio, sulla tua spiaggia o nella mia campagna, sarò sempre qui, attendendo te.

Non è differente l’oggi dal domani, tu ti svegli e non lo sai se sarà diverso. Ti guardi con quello sguardo, la tua vita non ha più senso, Dio ti guarda e tu piangi pregando. O mio Dio com’è ridotta, o mio Dio aiutala a sopportare, a continuare, ti prego salvala e fai di me quel che vuoi. Le lacrime scendevano dagli occhi di lei e non c’era anima viva che non la guardasse inginocchiata innanzi all’altare, lei vedeva le mie scarpe. Vedeva me che la cercavo. Dio mio perché? Lei era così carina. Dio mio perché? Era stato solo uno sbaglio a tradirla e poi pregava anche per me un tempo. o mia cara Grazia, sai, ti penso ancora e continuo a piangere anche se so che non tornerai e la nostra vita sarà solo la mia.

Guardando il mare lì di fronte a te fumi una sigaretta e guardi l’immenso, l’infinto albeggiare di questo sole maledetto che l’ha portato via. Ma ora posa quel coltello, posa quel coltello. Lui tornerà. E il giorno seguente da stringere e baciare il suo corpo assente, l’amore della sua vita, costellazione. Io abbattuto dai cacciatori alpini dei promontori dell’anima tua. Tu mi pensavi! Tu che volevi amarmi ed io finsi di non capire. Avevi paura, sveglia alle quattro di notte, io leggevo il sogno desto insonne e non capivo, cifrato il ritmo sidereo. Il mare, la terra e le stelle non seppero esaudirti. Uno schiaffo e tu rovinata a terra, cranio spappolato. Addio mia cara! Povera amica mia! Di te restano le vene spaccate, il sangue a fiumi. Il mio cuore non resterà in silenzio, mai dimenticherò il tuo sorriso smorto, ti rivedrò nella schiuma del mare, nell’afa d’agosto. Povera Lisa! Povera Alessia! Intreccio ritmico.

Più ti pensai davvero ma senza crederci sino in fondo. Chiesi troppo. Ora solo te ne rendi conto. Ora che vivi sapendo, ti spogli di te, indumenti alla rinfusa ai piedi del letto. Finsi ancora di non saperlo. Venne la era luminosa, troppo chiara per lasciarti alla deriva, sola. Cadi e cadesti tra braccia altre, tante. Ma a notte inoltrata o alle luci dell’aurora ti senti ancora più sola. Angoscia di te bella e trapunta aa passo svelto. Ascolti che la luce può essere apparente, la ascolti, ne percepisci l’etalagia. Sei esausta! Non puoi avere il mare e te ne accorgi, le onde soavi. Ti accontenti dunque del tuo bicchiere d’acqua sudicia. Ah se cambiassi questa rotta, capitanessa dell’eterna carnalità.

“Ciao Amore, ti scrivo oramai da un mese e ancora non rispondi. È tutto pronto, aspetto tue notizie e la conferma dell’accesso all’assoluto. Non ti fai sentire streghetta. Ah! Quanto po’ soffrire un’alma senza compagnia, in bilico tra solitudo e follia. Non so, amore, quanto ancora resisterò alle saette dei tuoi silenzi. Non scordarmi, scrivimi. Lontano sento il bisogno di te e l’eco rimbomba nel risveglio. In me s’agitano volatili incatalogati ed onde d’alterigia. Sono l’orma tua! Si agitano possenti. Sei nella natura, lo ridico. Attendo tua risposta.”

Ottima idea la tua, ci farei un pensierino. Ma vedi, cara, ora non posso. Mi sono innamorato di te, te lo dico cara. Di te che vai via calma, pacata come mai sei stata, furente sbarazzina. Sei ancora nel vuoto, analizzi al vetrino il nichilismo passivo trasmutando il bisogno al richiamo del tuono.  Tabula rasa ricettiva. Ti amo, lo penso e non lo dico. Disincanto dell’azione altra. Siamo qui per caso ma io ti stringerò quando sarà il momento, l’ultimo.

Che dicevo? Ah sì, sono solo, solo e la vita ripullula allegra ed ebbra nelle mie vene. Ritrovo la forza nel riflesso etereo tuo. Né soldi, né amici, né amori. Bacio le donne distratto. Ma sei tu la mia forza, sei la luce, la fonte, la vita, il ricordo, la speranza, la tortura.

Cammino salutando le strade, cardi e decumani. Trivio e quadrivio, arti liberali. Scorre il sangue nelle mie vene, la gente ora mi è sconosciuta. Forse ripercorro queste vie, come profetizzai un giorno senza più salutare altro che non sia il languido tepore dell’Anima Mundi che mai m’abbandona. E tu sei nata in questa terra, arrossisci, ti chini un po’, soffiando fischietti la melodia, quella che un tempo era nostra. La valigia è pronta, leggera, ti porti dietro il peso della bufera. Quel cataclisma che si scatenò nel mio cuore quasi per problemi tecnici e non d’amore. Sorridi di nuovo! Io sono pronto per partire come te, tornare a casa, alla nostra origo. Un ultimo sguardo e poi l’addio. E l’asfalto corre, fugge nella calura dell’ultima mia scrittura. Girano, piroettando le ruote posteriori. Ti sento mia, addio, ci rivedremo!

Ancora sulla solitudine? Quella di te, mio amico. Spleen tuo ‘sta volta. Amico mio né strafottenza né egoismo vinceranno ma io caddi in balia di essi, ti imbrogliai metafisicamente con sotterfugi atoni. O caro amico ho visto gli occhi tuoi inumiditi e coperti per scherno da un sorriso che mi sembrò ingenuo. Era il sorriso più profondo, ripensai all’umile Senio. Mi assalì l’infinità e non capii d’aver trafitto, ora io, l’animo tuo per narcisismo, civetteria. Continuavo a fuggire, bastardo ed ipocrita, andai via.

Noi male non facciamo a nessuno. Non puoi capire, obnubilata la mente, annebbiata l’ama, ragione dominante. Lei è stupenda! Non mi interessano i tuoi giudizi, pontifichi sul nulla, e forse manco. Sulla viltà si fondano assiomatici i pregiudizi tuoi e quelli vostri. Lei mi ama e si è pentita di tutto. Non c’è giudizio senza amore tu ne sei innamorato e ti avvolgi nel manto farisaico della ipocrisia, intrappolato nell’invidia e nella rete sociale da cui desumi una paura: lo scandalo.

Hai ragione a dirmi che ho sbagliato e dovrei chiederti scusa ma lo faccio solo ora scrivendo di te. Sai quante volte avrei voluto avvicinarmi e confessarti la verità ma il coraggio veniva zittito dall’orgoglio e dalla fobia ed ora sono qui ad aspettarti mille miglia lontano da te 8essenza mia). Amore, cosa aspetti? Passa il tempo, scorrono ore fuggevoli, ti aspetto. È passata mezz’ora e ono ancora qui, non so perché lo faccio so che è inutile e che non tornerai. Follia la mia! Follia l’incontro! Fiato smorto! Amore addio, vado via, via senza di te. Io tutto ho rovinato, distrutto, quel tuo sorriso ricordo che mi sbalordì. Tutto poteva cambiare. Quelle tue mani sulle labbra e quell’ispirazione che per me facesti! Non sarà stato amore ma si condensò l’essere nostro in quei venti giorni.

Non ti sembra eccessivo l’amore che provo per te? Non ti sembra, sognatrice, inutile la realtà, l’indifferenza, l’ipocrisia e ciò che c’è tra noi? Perduta sei per mio pensiero. Son rimasto in piedi sulla soglia del tempo, tre giorni e tre notti a Canossa pensandoti. Suonavano le campane dai tetti spioventi di templi d’amore silvano. Il monte! Canta amica mia quella melodia mai ascoltata. Tu che provieni dall’orizzonte del mare, dalla cascata illusionistica.

“Ciao Amore, guardo te, c’è altro da vedere o pensare? da quando sei andata via cerco negli occhi delle altre i tuoi ma ciò che scorgo è solo il cielo offuscato e la nuda terra incolta. Non trarre conclusioni inutili. Avverti il talento e l’egoismo, il portento e il magnetismo, amore mio. Accostati così, mio Dio! Indecifrabile! Mi guardo intorno e sorrido, passano due ragazze, ripenso a te, ritorna, amore ritorna”

Mai scorderò lei né il nome suo. Parlando d’altro avrei voluto introdurre l’argomento ma spietato andavo via senza salutarti nemmeno. Libri, camoscio e ipocrisia, non dimentico la tua follia, la mia. Un racconto perso in un’età che non c’è. Infiammato il cuore. Errori percorrono le mie vene. Cresce fuggiasco un altro pensiero, lo tengo a bada, mi sento come fossi ragion d’altri, come questa fosse la mia posizione in questa frammentata esistenza, la mia. Ragion d’altri che fingendo dissero di avermi capito, ascoltato. Non la scordo, non ha del resto passato la notte insonne anche lei? Non ha ascoltato il vento nostro che tacito spariva via? La sua mano scorre fiumiciattolo sul mio corpo ed il passato è presente. Maestosità! Ne sono all’altezza? Se la sento vicina il cuore mio incatenato è libero, fuso il metallo, male ai Metelli. E parla senza paura. Non piangere, lontano non piangere, le dico. La penso e resta senza parole. I sentimenti in coro, magico girotondo, canticchiano stonati. Precipiti soluzione e sei ancora sola ma più bella di ieri. La voglia di cambiare la lessi negli occhi suoi, imprevedibile l’amore. Sincera mira alla vita con dardo d’amore infuocato. Pensa a me. Medea! Occhi a tal punto belli che ne colgo l’origo, il seme da cui frutto germoglia, pomo indescrivibile, nuova identità. Terribile! Non distruggerlo, esula la vendetta. Quanto ci costa l’ipocrisia, sincera lei non era e non sarà. Erinnica! No, non andar via ti condurrò in quel posto che sognavi, quel posto che la rabbia ti ha portato via. Lei non parla e rabbia cresce da rabbia, Medea l’amore non ti salverà, nell’oscuro tartaro, nel buio profondo brucerai per sempre!

La scuola è sempre lì con l’incanto dei tempi andati e di quelli che ora sono, sorrisi, sensazioni ancestrali e arcane, perversioni, illusioni. Tu che scendevi dalle scale senza pensare alla tua età. Passa il tempo, un anno, un’epoca e un millennio. Dentro te il desiderio germoglia piano e non sai più nasconderlo né barattarlo. Cose perdute, banchi di scuola, conteggi nostri senza pietà. La vita se ne va e non ti saluta. Un anno, un secolo, un millennio, poco più ma tutto ciò che conta sei tu. Io guardo avanti senza paura, ho detto tutto poco. L’ho fatto. Cara, questo che scrivo è senza senso, significato, è puro significante e tu il fluido che lo riempie. Batte il cuore, vola l’airone. Ciononostante guardandomi hai capito.  Mi hai sorriso. Sei vera nelle tue falsificazioni metafisiche. Ti miri ancora allo specchio, ciglia nell’occhio, ciglia e compromessi.

 Il Pettine

Il rumore della campanella interrompe d’un tratto la lunga e pesante spiegazione di Gianni ed il suo intenso ricordare. I ragazzi si alzano incuranti delle parole del professore e lo spingono ad abbandonare il suo proposito di dare l’assegno. Posato il libro sulla cattedra segue con lo sguardo Lisa fino a vederla sparire dietro la porta che si muove quasi da sola e resta socchiusa. Si siede, posa la roba nella borsa e si rialza con un fare quasi convulsivo. Uscito fuori dall’aula si incammina lungo il corridoio procedendo con gli occhi bassi rivolti alle sue scarpe. Scende le scale salutando il bidello che lo ricambia ed alza lo sguardo al soffitto pensando per tre secondi scarsi che lo portano a pronunciare con voce roca ma forte:

“Professore!”

“Guè don Pasquale, dite”

“Tutto a posto?”

“Eh! Tutto a posto! Volevate dirmi qualcosa?”

“No, niente…sempre riguardo quel fatto là, se potevate farmi sapere qualcosa!”

“Don Pasquale le ho detto, mo’ non c’ho tempo, ho da fare , voi dovete solo stare tranquillo, appena tengo un po’ di tempo ne parliamo con Vighetti!”

“Va bè, allora mi posso fidare?”

“O Madonna mia, si, non vi preoccupate! Mo’ mi dispiace, vado di fretta! Tanti saluti!”

“Arrivederci”

Uscito dalla scuola Gianni si dirige verso la sua vettura, è lì per aprire la portiera quando nota una ragazza dai capelli ricci seduti ai bordi di un muretto con le mani al volto. La riconosce: è Lisa!

“Lisa!”

“…”

“Lisa!”

“Professore, buon giorno!”

“Tutto a posto? Hai qualche problema?”

“No, no” ed alzandosi in piedi scappando “Va tutto bene!”

Gianni pensieroso monta in macchina e non sa spiegarsi il perché di quell’atteggiamento. Ha notato che le usciva sangue dal naso e che da un po’ di tempo si comporta in maniera strana e la sua mente non sa in alcun modo dissociare i due episodi. La razionalità non domina l’istinto e si convince sempre di più che quella ragazza ha bisogno del suo aiuto, d’impulso gli viene quasi di fare inversione, di prenderla per un braccio e di domandarle cosa le stava succedendo. Dentro di lui sente però che non può , che non deve prendersi tutta quella confidenza e tutta quella premura forse solo perché Lisa le ricorda la sua Alessia.

Poiché il suo io non riesce a ricordarle il suo compromesso ma  avverte comunque da un lato il bisogno di tornare e dall’altro quello di non preoccuparsi inutilmente con la sola conseguenza di mettere allo scoperto i suoi sentimenti, decide di tastare un po’ prima il terreno per scorgere se i suoi sospetti sono fondati e solo dopo agire. Ma agire come? Senz’altro non deve far vincere alcuna idea bizzarra, deve sempre mantenersi al suo posto senza rendere noto a lei o agli altri che nell’animo qualcosa brilla per quella ragazza. Già, qualcosa senza alcun dubbio brilla ma non se ne percepisce l’essenza, forse si può scorgere semplicemente la trasparenza esteriore che porta al sobbalzo l’anima ed al suo intenso ardere. Sono gli occhi, le labbra, il respiro o forse qualcosa di più a provocare tale evento. Bruciar d’amore! Come cadere in un burrone senza fondo ed esser trasportato dal vento e dal rancore finché uno schianto non ti infrangerà per sempre il cuore. Ma nonostante questo modo di vivere tanto aleatorio ed incerto la passione si modella ed assume forma senza riportare intrighi strani, inusuali e ditirambici a sviluppi intensi.

D’improvviso inizia a scendere la pioggia senza che si sia fatta in alcun modo annunciare, interrompendo e disturbando i raggi di sole con disincanto. Gianni si domanda come mai il buio è illuminato dai fulmini che gli ridanno luce ma che poi, di colpo, svaniscono in maniera così improvvisa da sembrare casuali. L’apparenza è ciò che conta o è soltanto il frutto di un altrettanto apparente pensiero nascosto che ascolta timido il successivo e frazionato tuono?

Ardendo ancora il professore è quasi sorpreso da tale spreco di energia e da tali rimpianti e gli balena d’un tratto dinanzi agli occhi l’immagine di un sentiero di campagna infestato di briganti che, nauseati dai mestieri, decidono di apprendere la casuale arte del rubare.

Sceso dall’auto vettura Gianni corre verso il portoncino riparandosi dalla pioggia, che va facendosi man mano più intensa, con la sua borsa di pelle. Entrato nell’appartamento si cambia e si accende una sigaretta. Non ha fame ma un senso di stanchezza gli invade il corpo socchiudendogli le palpebre, il ricordo di Lisa si muove nella sua mente come un ronzio d’insetto che lo assopisce sempre più. “L’Amore è davvero il sentimento eterno?”

Con questo interrogativo vivido tra la mente prende sonno e subito vede comparire davanti ai suoi occhi un rosa che respira a fatica e getta i suoi ultimi spasimi in aria, mantenendosi però sempre fiera e dolce allo stesso tempo, mantenendo insomma il classico atteggiamento di quella sorta di fiori. Subito Gianni gli si avvicina domandandogli con un sospiro:

“Perché un tempo sbocciasti?”

“Sbocciai per renderti la vita graziosa, sbocciai per farti avere sogni, amori ed anche la gioia di una vita sublime e vera, di un caldo mattino che ti riporta a ciò che forse avresti voluto: la felicità”

“Dimmi allora cosa c’è di magico nei tuoi petali che mi rende tanto felice…”

“Ci sei tu che con quegli occhi riesci ancora ad andare avanti e con quei passi riesci a sentirmi anche lontano, per sempre. Tu che ora stai parlando con me dimmi, non capisci che io sono dentro di te e che ogni ragazza da me prescelta che tu vedi e sogni riesce a farmi sbocciare di nuovo e sempre di più?”

“Tanto è grande il tuo potere?”

“Si, sono tanto grande che l’immenso al mio cospetto è l’ultimo granello del più piccolo deserto”

“Questo rosso immenso campo sterminato che è in ciascuno di noi avrà mai fine?”

“Mai, lo giuro, non finirà mai. Regnerà sempre nel tuo cuore ed ogni volta che ti sdraierai al sole e che lo guarderai negli occhi io riavrò vita”

“Le tue parole sono davvero profonde, ma se tu non finirai, se tu mai mi scorderai, perché i tuoi petali stanno appassendo e tu muori?”

Si sveglia d’improvviso ed il cuore gli va in gola, voltandosi si accorge che i raggi del sole iniziano a fare capolino e le goccioline d’acqua sulla sua finestra si trasformano in variopinti arcobaleni. Ripreso il fiato lentamente si alza dalla poltrona anche se mal volentieri, avrebbe fato a meno di quella straziante operazione ma ha un lavoro da portare a termine. Sedutosi di fronte al computer inizia a preparare i quesiti a risposta multipla per il compito in classe che il giorno successivo avrebbero dovuto sostenere i ragazzi di quinta. È annoiato, pensa ad altro e conclude tutto in meno di mezz’ora. Preso il cappotto scende e si dirige a piedi verso la stazione del paese. Sale sul predellino ed è diretto a Napoli, giunto in città decide di prendere la metro senza sapere con precisione dove andare. Attende per cinque minuti la medesima fin quando non la sente arrivare da lontano; d’un tratto vede il suo volto riflesso sui finestrini del mezzo e, all’aprirsi della porta, monta. Gli sguardi sono sempre rivolti verso il vetro e le mani fisse sugli “appositi sostegni verticali”. In un improvviso “soffio di porta fa l’ingresso un bella donna” altera che domina con lo sguardo tutti gli altri viaggiatori che sembrano quasi chinare sottomessi il capo. Gianni la osserva con attenzione ed appena scende lui la segue. Escono dalla stazione e dopo aver percorso circa cento metri girano in un vicoletto. La donna a questo punto entro nel palazzo e l’inseguitore resta di stucco, dopo pochi secondi si siede su delle scalinate ancora bagnate dalla recente pioggia e si accende una sigaretta. Cade d’improvviso un pettine che finisce proprio dinanzi i suoi piedi, alzando lo sguardo nota la signora della metro che le chiede la cortesia dì rigettargli il medesimo. Proprio quando è sul punto di farlo, però, la donna lo blocca e lo invita a salire. Raggiunto l’appartamento la tipa lo apre ed afferma:

“Scusi se l’ho fatta salire, ma mi sarebbe dispiaciuto se, lanciandomi il pettine, mi avrebbe distrutto un vaso o peggio ancora mandato in frantumi il vetro della finestra!”

“Si figuri, è stato un piacere” e porgendogli la mano destra “io mi chiamo Gianni”

“Piacere, Anna. Ma si accomodi se vuole, le posso offrire qualcosa?”

“Volentieri, però sa com’è, non vorrei disturbarla”

“Si figuri, entri “

La casa è ben arredata anche se non molto grande, la donna non da neanche il tempo allo sconosciuto di guardarsi intorno che riprende nuovamente la parola.

“Mio marito è in ufficio, lavora sul comune, fra un po’ dovrebbe essere di ritorno. Abbiamo una figlia di otto anni, דניאלה, che ora è a casa di un’amichetta, lei comunque si accomodi”

Gianni annuisce e si siede sul divano del salotto, Anna subito gli siede accanto ed il visitatore d’impulso e senza alcuna inibizione le tocca i capelli arricciandoli a gruppetti. La donna non risponde. Il professore a questo punto ne approfitta per baciarla e sfiorarle la veste, lei gli sbottona la camicia e gli sfila la giacca che già era aperta. Si sdraiano sul divano ed iniziano a fare l’amore, lei è eccitatissima, l’ intriga farlo con quello sconosciuto che può essere chiunque. Non sa niente di lui eppure non ha paura ma prova soltanto un senso di infinito piacere. Stanno insieme per un po’, poi lui si alza e si ricompone, la signora fa altrettanto e Gianni le dice:

“Mi dispiace ma ora devo andare”

“Mi puoi dare almeno il tuo numero, voglio rivederti ancora!”

“Tieni”

“Grazie mille, sei favoloso”

Si danno un bacio e lui si dilegua dietro la porta.

 

Pensieri inversi

“Pronto studio dell’ingegner Reddite, desidera?”

“Buonasera, senta sono un suo caro amico, potrebbe passarmelo per cortesia? Dica che lo desidera il professor De Sanctis”

“Giusto un momento…, ora glielo passo…”

“Pronto, ingegner Russo!”

“Guè Vighetti  sono io, Gianni, come và?”

“Bene, bene, le solite cose! A cosa devo l’onore di questa chiamata?”

“No niente di che, dovresti solo farmi un piacere: Don Pasquale Rivesi sta in affitto da te, è un po’ che non paga, se potessi lasciar perdere lo sfratto e dargli un piccola proroga… “

“Un’altra?”

“Già, dagli un paio di mesi di tempo, fallo pure per me visto che ogni volta che mi vede mi fa “ ‘na capa tanta”!”

“Va buò, ma che siano solo due mesi”

“Ciao“.

Sono le sette e quindici di sera e, dopo aver rimesso al suo posto la cornetta, Gianni si affaccia ala finestra pensando a quella che ormai per è diventata un’ossessione: Lisa. Vuole vederla, non né può quasi fare a meno e per sanare questo dolore, questo roditore che gli rosica l’anima, si immerge nei ricordi. Già, i ricordi, l’arma potentissima capace di farti sorridere o di farti lacrimare a fiumi. I ricordi, che sembrano a volte quasi consolarti ma che finiscono spesso col renderti cosciente della tua attuale impotenza dinanzi agli eventi. Il trastullo dura così poco che anche l’essersi trastullato diviene motivo di rabbia. Ciononostante Gianni pensa, ricorda, e davanti a lui vengono a rinascere vivide talune immagini.

Il pretesto è il suono di un sirena della polizia ed il fervido tepore prodotto dall’effetto Doppler. Lui ed Alessia stavano sotto un ponte sul quale passava il treno e questo suono ossessivo che andava man mano intensificandosi li fece sobbalzare. Erano convinti che la polizia li avesse trovati e solo l’affievolire del rumore indesiderato poté tranquillizzarli, man mano del tutto. Il tormento interiore pur sempre li invadeva, erano fuggiaschi e stavano ancora in territorio italiano. Non potevano più chiedere un passaggio, ormai senz’altro le guardie erano alle loro calcagne, non gli resta altro da fare che nascondersi e pensare a come agire.

Tutto doveva avvenire nell’ombra, l’episodio del camionista aveva sicuramente ristretto il campo di indagine degli investigatori. Ora però non avevano alcuna intenzione di pensare al da farsi, la notte e la bottiglia di vino al loro fianco placavano lentamente i loro animi agitati e si riaddormentarono l’uno affianco all’altra, con le fronti congiunte.

Alle cinque del mattino Gianni si alzò svegliando la compagna, aveva ancora i sensi annebbiati dall’alcool. Dopo averla presa per i fianchi le disse che avrebbero dovuto abbandonare la zona e, invece di inoltrarsi ancora di più tra il terreno incolto, seguire la linea ferroviaria ma a debita distanza, con passo tanto svelto quanto affannato. È innanzi all’ovvietà che ci si perde.

Giunsero in un paesino rurale le cui case care sembravano quasi essere attaccate l’un l’altra, tanto strette erano le vie. Intrapresero una strada in salita che li condusse in un parcheggio dal quale sottrassero una 127 gialla. Sicuro che la medesima non avesse l’antifurto ruppe il vetro, la mise in moto congiungendo i fili e, dopo aver fatto salire l’amata, partirono. Imboccarono l’autostrada dirigendosi verso la frontiera Svizzera che doveva essere senz’altro la più vicina a giudicare dalla posizione in cui si trovavano.

Dopo circa dieci minuti di viaggio intravidero una volante della stradale dedita ad effettuare il posto di blocco. Alessia tremava ma il compagno la rassicurò tenendola per mano:

“Stai tranquilla, dobbiamo essere indifferenti e vedrai che sicuro non ci fermano! Abbi fede!”

Ma le raccomandazioni speranzose furono vane, il poliziotto, infatti, appena scorta la macchina alzò la paletta e li invitò ad accostare.

Gianni era tentato: pigiare l’acceleratore, fuggire, ma si rese presto conto che sarebbe stato inutile. Per questi motivi accostò affermando di non avere documenti, al che la guardia lo invitò a scendere dalla autovettura. Obbedì seguito da Alessia che si avvicinò a capo chino. Non c’era davvero più niente da fare!

Destatosi dai ricordi il professore apre la finestra e si accende una sigaretta affacciato alla medesima e con i gomiti poggiati sul marmo. Una coppia di ragazzini attraversa la strada lì sotto, sono sorridenti, sicuramente felici e passeggiano tenendosi per mano. Sull’altro marciapiede un vecchietto si trascina appena con l’ausilio del suo bastone ed i passi sono tanto lenti che sembra quasi strisciare sull’asfalto. Poco distante tre bambini sui sette- otto anni fanno ritorno a casa, uno di loro ha i pallone stretto tra le mani. Tra poche ore quasi tutta la città sprofonderà nel sonno e la loro mente fuggirà dal corpo e prenderà coscienza, come suol dirsi. Ma in realtà si è più vicini alla coscienza di sé nel sonno e non nella veglia, quando siamo presi dalle attività di tutti i giorni e perdiamo man mano la nostra identità. L’uomo è così, ciò che lo differenzia dalle bestie è il suo essere ridicolo!

Quando sta compiendo un lavoro è quasi completamente preso dal successivo lavoro che dovrà compiere e questo pensiero finisce col fargli vivere il medesimo con disincanto. Se, invece, lo troviamo immerso nell’ozio su di lui cade l’immane macigno dell’angoscia. Ciò che lo rende ancora più ridicolo è però il fatto che egli cerchi di vivere nel migliore dei modi, di stare meglio possibile, come se fosse convinto che questo lo aiuti. Si ricopre di averi e chiama il suo modus vivendi “benessere ” non cosciente dell’evidente contraddizione lessicale. Si preoccupa di essere ammalato e chiama la sua malattia follia quando poi altro non è che ridicolaggine. La vera malattia non è la follia ma la paura della stessa! La verità è che non sa stare da solo, ha sempre bisogno di assensi, di farsi dar retta dagli altri. È il nostro prossimo che il più delle volte ci impoverisce, ci rende avari, ci rende meschini, ci trasforma in avvoltoi. L’uomo è un’aquila costretta a vivere da passero. La paura, che dovremmo guardare con distacco e che dovrebbe renderci invincibili e fieri, finiamo col renderla un pretesto per nasconderci dietro fallaci mura. Noi perdiamo noi stessi! La paura degli altri e l’inibizione forzata delle nostre impotenze crea la competizione, “arte di fottere chi ti sta a fianco” nel modo più vile possibile. Ci esaltiamo se scorgiamo negli altri i nostri difetti e li critichiamo per distanziarci il più possibile da questi ultimi. Non esaltiamo le nostre vere virtù ma rendiamo i nostri vizi virtù. Attacchiamo gli altri a sguardo basso anziché scrutarli con sguardo altezzoso. Ci immergiamo nel fango e nella bassezza e godiamo se ogni tanto siamo coperti di letame schizzando chi ci ha immersi con la stessa sostanza. Talvolta ammiriamo chi è più immerso di noi e cerchiamo il sistema per raggiungerlo. In definitiva altro non siamo se non esseri succubi legati con catene da noi stessi create.

Finita la sigaretta Gianni la getta giù dalla finestra ed osserva il mozzicone che con rapidità raggiunge il suolo.

 

Tra le macerie

Gianni si è preso un giorno di permesso e con la sua vecchia alfetta ha raggiunto il litorale pugliese. Sceso dall’autovettura si toglie le scarpe e inizia a correre sulla spiaggia. Ripensa ai quattro anni di merda trascorsi in comunità. La guardia che lo fermò durante la fuga con Alessia gli aveva trovato in tasca della roba. Scostatosi dal poliziotto si avvicinò alla ragazza e la strinse forte dandogli un bacio. Il mondo intero si fermò in quell’istante, i brividi investirono i corpi dei due ed una lacrima, una sola, scese dagli occhi della bellissima amata. Quella fu l’ultima volta che si videro.

La vita in comunità fu traumatica per Gianni, non parlava quasi con nessuno, restava ore ed ore a contemplare il cielo ed a studiare. Non strinse vere e proprie amicizie, guardava il mondo con distacco ed il mondo stesso lo scrutava con noncuranza.

Alessia non c’era, i suoi genitori gli avevano anche impedito di scriverle e lui cercava man mano di rimuovere questo pensiero che lo assillava. Riuscì a laurearsi in Filosofia con una tesi su Nietzsche, aveva studiato però sempre solo il minimo che gli bastava per andare avanti ed anche la discussione della tesi non fu un successo.

Accesosi la solita sigaretta, ancora con il fiatone, si siede nei pressi della riva e le onde gli bagnano con dolcezza i piedi nudi. Il mare, nonostante la stagione, è calmo; il cielo terso e la brezza soave fanno quasi pensare all’ estate. Il sole domina il mare dall’alto lì ad est, è lo stesso sole di quella mattina d’aprile quando partì volontario per la Jugoslavia. Ricorda benissimo il suo desiderio di fuggire via, il più lontano possibile dal suo paese, mosso non dalla sete di conoscere ma dalla voglia di dimenticare. La nave sembrava non arrivare mai a destinazione e le coste italiane si allontanavano con lentezza. Alessia era partita ormai da tempo e nessuno sapeva dire a Gianni per dove, nessun legame era ormai tanto forte da legarlo alla sua terra e la convinzione di ciò avvalorava ogni istante la sua tesi.

Fu in un paesino vicino Sarajevo che conobbe Nadia. Era seduto in un osteria insieme ad un gruppo di amici e la ragazza serviva ai tavoli. Quando la guardò non provò alcun sentimento, era freddo e quasi insensibile, caratteristica che lo aveva accompagnato in quegli ultimi cinque anni. Solo un non so che di misterioso nascondeva quell’essenza femminile e lui era desideroso si scoprirlo.

Successe una sera, l’osteria era vuota, prossima alla chiusura e si intrattenne un po’ a discorrere con lei:

“Bella la tua veste!”

“È di lino francese”

“Sai che parli molto bene l’italiano! Dove hai imparato?”

”Qui stanno tanti clienti della tua nazione. Io ascolto e imparo”

“Brava, brava! E la sera, quando chiude l’osteria che fai?”

“Vado a casa, dormo su da mio padre, è lui il proprietario”

“Anche stasera?”

“Si, perché?”

“Ti va di stare un po’ con me?”

“Non posso mi spiace…”

Ciò detto fece per alzarsi ma Gianni, prendendola per la mano la costrinse a risedersi. Le si avvicinò lentamente baciandole la guancia rossastra. Col braccio poi le portò la testa all’altezza del petto continuando a baciarla fin quando lei non si distanziò definitivamente affermando:

“Mi dispiace sei tanto carino ma io non voglio, non dirmi niente, non me la sento!”

“Perché?”

Non rispose e si alzò; d’un tratto si sentirono rimbombi lontani che lentamente andavano intensificandosi. Si guardarono negli occhi e fuggirono nel sottoscala del locale giusto pochi secondi prima che gli aerei bombardassero il paese. Una trave colpì sul capo Gianni che cadde tramortito a terra.

Si risvegliò dopo tre ore, sporco di sangue, al suo fianco c’era il cranio della ragazza spappolato. Alzandosi di scatto, senza versare nemmeno una lacrima, se ne andò. Non riusciva a piangere, proprio non ce la faceva, perché doveva esserci quella situazione di merda? Che cazzo aveva fatto quella ragazza per morire? A destra ed a sinistra vedeva case interamente distrutte, macchine capovolte, un bambino disperato che piangeva alla ricerca della madre cosciente, anche se fanciullo, che non l’avrebbe mai più riabbracciata. Un soldato solitario correva con un mitra tra le mani, con la divisa sporca e stropicciata, con le ferite procurategli dalla guerra e di queste la più terribile è quella che ha nel suo cuore: la famiglia, la madre, la moglie che sperano faccia ritorno. Lui deve sparare, nascondersi, difendersi e poi sparare, sparare ed uccidere.

Gianni continuava a camminare tra le macerie della città semidistrutta dai bombardamenti, si sedette su ciò che rimaneva di una murata riflettendo: pensava al progresso, cos’è il progresso? Non di certo questo: ancora esiste la guerra, esistono le armi, ancora muoiono persone per colpa di altre persone. Il nostro cervello ha subito una rapida evoluzione in soli due milioni di anni ma non si rende ancora conto della sua stupidità: che senso ha negare la libertà di dire ciò che si pensa, di professare la religione che si ritiene più giusta e credere nei propri ideali? Questa che chiamano civiltà in realtà non lo è. Non è solo con la democrazia che si possono risolvere i problemi. Anche il popolo, nel suo piccolo, vuole la guerra, nessuno ha eliminato dal proprio cervello l’input che lo porta alla distruzione. Una società di stupidi non è mai una società civile. A che servono le leggi se non a creare guerre, l’uomo deve semplicemente ascoltare l’amore che è dentro di lui.

Lontano lontano c’è il mare e poi l’Italia, la mia patria! O Italia, terra d’incanto e di poeti, di musica e di scienza, di allegria e di tristezza, un giorno cambierai? Un giorno potrai finalmente essere una nazione che faccia da esempio a tutte le altre per la solida e solidale organizzazione politica e culturale? Un giorno farai finalmente capire a tutti che gli uomini sono uguali e che non devono essere sacrificati popoli né morire centinaia di persone per il solo gusto della potenza? Un giorno farai veramente valere il tuo nome facendo comprendere che non è solo con le armi e con la guerra (forza priva di forza) che si ottiene la libertà ma bensì con la forza intellettuale e spirituale, quel mistero che rende noi italiani così lontanamente vicini.

Dopo aver detto quasi a voce alta queste riflessioni gli scesero finalmente e quasi con forza le lacrime dagli occhi e provò nostalgia di casa, il cielo era ormai scuro e senza stele, illuminato solo dalla luna. Aveva deciso, sarebbe a tutti i costi tornato al suo paese, non gli serviva fuggire per allontanare il dolore .

Il mare si fa più grosso e Gianni percorre la spiaggia in senso opposto rimontando sull’alfetta. È stanco e decide di far ritorno a casa.

 

Piccole transizioni

Perché è la solitudine che uccide

è lei che ti conduce alla follia .

Se getti un sasso nel pozzo

non cadrà solo

nelle profondità dell’abisso

senza la scia del ricordo.

Se non trovi speranze,

laccio al collo

o vene tagliate,

c’è la vita vissuta che te le leva.

 

Questa è l’ultima lacrima mia

la lacrima nostalgica del passato

quello che cercavo l’ho trovato

ed ora non so più cosa cercare.

 

Anch’io non ti scorderò,

d’altronde non l’ho mai fatto.

Continua a conservare

ciò che sin ad ora hai trattenuto

e quel tuo sguardo

che eleva lo spirito

al sentimento eterno,

al massimo fattore

e l’anima anche se oscurata

si purifica coll’aria salubre del cenno divino,

calore inenarrabile è l’amore

e non c’è posto né morte

più nel mio cuore.

 

Da vicino non saprei risponderti. Per te, cara ci sono i prati, verde colline, cascine biancheggianti, pensieri non vissuti, sentimenti mai provati. Per te, in te, non troverai che amore, ti basta scrutare e restare a guardare ciò che l’universo ti porge, mazzolino di rose, vile ed ortensie. Anima divina, sindrome senza cura, casetta di periferia ai bordi del mio cuore, chiudimi gli occhi, chiudi anche i tuoi, come almanacchi vendi sentimenti futuri che io comprerò vivendo ancora.

Pareva piovesse fuoco che in scintille scompariva, pioggia riflessa al sole. in estasi la guardavo cercando il senso di ogni mio proposito e d’ogni azione. Ma era incanto, vero incanto! Cercavo la soluzione ai mie problemi ma lo sguardo salmastro mi spalancava il core. Sembrava dirmi sì senza aspettare le domande e senza pretendere compenso, baratteria, simonia. Perché era la luna che dominava su tutto e nella tiepida serata non un romore percepivo se non la cosmica vibrazione. Se il distacco può creare due o più diverse realtà, il qui e l’altrove,  l’unione ciò non lo comprende. Ed è di nuovo giorno, il sonno vinse ancora ma la sfida è solo rimandata. Tra le 4 e le 6 del mattino nascono i più bei sogni, fiori germogliati asciutti. Se poi è estate ciò è magico, compie il suo giro e posandosi su un balcone eterea si riposa.

Ancora, ancora un altro errore e da stupido ho tradito la tua fiducia. Cerca di perdonarmi, no so dimenticarti, ho pianto, da tempo non lo facevo. Kiss me moon, te ne prego, o moon, my moon! Sei vita per me. Non andare via, non abbandonarmi, senza te cosa posso desiderare? Sai, già mi sento svanire, l’orologio è fermo, fatti sentire. Kiss me moon, ti prego baciami, ti voglio vedere ancora, sogno il tuo ardente vestito di lino. Il fuoco che brucia non si spegne, senza di te resto sperso, dimentica, dimentica. Non mi abbandonare.

 

Sara

Sono le dieci e trenta di un sabato sera ed il professore è seduto al bancone di un locale con davanti un bicchierino di Jack Daniel’s. Sorseggia frettolosamente e discute col barista ma la sua mente, come sempre, è altrove. Parlano delle solite e ridicole questioni di tutti i giorni: la politica, l’inflazione e via discorrendo. Un continuo ed assurdo bla bla che non serve a un cazzo. Il lamentarsi dalla mattina alla sera porta sempre alla solita stupida soluzione: “Beh, in fondo viviamo nel migliore dei mondi! Poteva andarci peggio!” Il qualunquismo è l’essenza stessa qualsiasi impegno sociale, non esiste politica per gli italiani. Gianni sarebbe quasi tentato di dire al tizio che è un opportunista, un’ipocrita ed un buono a nulla come la maggior parte di coloro che gli stanno a fianco. Sogna di avere successo, ha paura che non riesca nel suo intento ma non si preoccupa minimamente di affaccendarsi. La sua vita è caratterizzata non solo dalla chiacchiera ma anche dall’equivoco, dalla convinzione che ciò che si dice è vero e ciò che si fa è giusto. Non si rende conto della vanità dei progetti umani e del suo “esser per il nulla”.

D’improvviso la mente inizia ad allontanarsi più velocemente dalla discussione, oramai sente soltanto il ticchettio del suo orologio fin quando scompare anche quello. Stufo decide di andarsene, saluta tutti ed esce.

La notte è molto buia, nessun astro la illumina, solo la luce artificiale dei lampioni lo accompagna lentamente. Fa freddo ed il tempo sembra minacciare tempesta ma Gianni non si crea il problema, l’alcool lo riscalda abbastanza. Così si siede su una panchina e si accorge che un cane lo ha seguito. I due si guardano negli occhi senza che il professore dica una parola, c’è intorno un magico silenzio. D’un tratto il cane finisce tra le braccia di Gianni che lo accarezza. Stanno insieme circa tre minuti, poi l’animale si dilegua nel buio. Alzandosi dalla panchina anche l’essere umano va via, diretto alla sua casa, si addormenta e si risveglia alle otto del mattino del giorno dopo.

È una bella giornata, Gianni si prepara per andare a scuola. Giunto in loco si dirige in classe, guardando tra i banchi si accorge che Lisa è assente. Inizia ugualmente la sua spiegazione si Hobbes, è stranamente tranquillo ma di una tranquillità che dura appena per un’ora. Finita la lezione va subito in Presidenza e chiede altri giorni di permesso in quanto non sta bene.

Si dirige verso la sua autovettura ma proprio quando è sul punto di mettere in moto è fermato da Sara, la bella professoressa di matematica che gli chiede un passaggio fino a casa in quanto lei abita fuori paese e, quel giorno, c’è lo sciopero dei treni. Gianni acconsente.

Intrapreso il viaggio la donna si accorge che il marito quella mattina ha preso il suo mazzo di chiavi e quindi è rimasta chiusa fuori. Il professore si offre allora di ospitarla a casa sua fin tanto che non sia tornato il suo congiunto. Entrati nell’appartamento lui vuole preparare il caffè ma Sara lo blocca affermando di avere più destrezza in cucina. Presa la macchinetta e riempitala di acqua e caffè accende il fuoco aspettando che salga il liquido scuro. Sedutasi su una sedia afferma:

”Abbiamo tempo “

Ha uno sguardo dolcissimo, come non glielo aveva mai visto prima, sembra quasi che quell’”abbiamo tempo” lasci sottintendere qualcosa. Subito Sara continua:

“Posso farti un domanda un tantino personale?”

“Certo!”

“Come mai non ti sei sposato?”

“Ehm… perché mi fai questa domanda?”

“Così, è come se in questa casa si notasse qualcosa che manca… qualcosa…”

“Beh, è tutta una questione di tempo, non ho mai trovato niente di così forte da farmi rinunciare alla mia individualità, guarda dalla finestra quelle piante rampicanti. Io sono come loro, fortemente attaccato al mio essere attuale ma sempre pronto a salire, a raggiungere le più alte cime. In questo modo sento sempre che il tempo è vicino, a portata di mano.”

“Ma non hai mai sentito il bisogno di iniziare una relazione stabile, solida?”

“Ti faccio un esempio, fai finta che io e te cominciassimo un relazione. Subito io entrerei nel vivo, mi seccherebbero in prima istanza i preliminari, il corteggiamento. Quindi ti prenderei per mano salendo in tua compagnia una scala che ci porti in un muro. Le mani umide per l’emozione si asciugherebbero sempre più sulla ringhiera. Noi saliremmo i gradini con le punte non sapendo se abbiamo ai nostri piedi un’epoca o una storia o una leggenda.”

“Quindi secondo te non è importante avere un punto di riferimento, una persona da abbracciare e tenere comunque al proprio fianco!”

“Sempre chiaramente tra i piedi”

“Ma comunque sicuro, reale”

“Già, ma soprattutto nel reale, senza la magia del surreale, la fantasia, senza ormai alcun mistero”

Il caffè è salito ed insieme ne assaporarono lo stupendo aroma.

LA discussione prosegue tra le stanze della canzone, le 103 odi di Orazio, i pensili babilonesi, gli oroscopi, la credenza come forma di conoscenza, Hegel, Eraclito, quam minimum credula postea, carpe diem, la prigionia del tempo. Insomma, a portata di mano! Quell’irreale che è metadiscorso e con cui Lucio va al di là del reale inteso come razionale. Una canzone di un disco di qualche ano fa. Ne colgono il significato vivendolo. Inebetiti, stupidi, dunque stupiti.

 

Nietzschando

Sara ed il professore iniziano a vedersi sempre più spesso, quasi ogni giorno e discuto di svariati argomenti. Un pomeriggio si ritrovano assieme al parco pubblico del paese e stanno parlando di morale. La donna è dell’idea che debba, comunque, esserci in ogni azione un giusto fine, che lei stessa, quando agisce male nei confronti di qualcuno, è presa dal rimorso, quindi senz’altro in tutti noi deve esserci qualcosa che ci spinge al bene, Gianni non è d’accordo e, sedutosi su di un muretto, inizia a dire come la pensa. A suo avviso è tutto un discorso di potere, la morale non è altro che ciò che distrugge l’uomo. La chiesa Cattolica, o più in generale quella Cristiana, ad esempio, si fonda su proposizioni assurde ed insensate le quali non fanno altro che distanziare l’uomo dalla terra. Con quale diritto si può definire “peccato” i piaceri o le virtù che non solo non arrecano danno né a sé né al prossimo ma addirittura apportano un senso di inebriante estasi ad entrambi? L’ipocrisia di chi da buoni consigli non potendo dare il cattivo esempio rinchiude l’individuo in una fredda e cupa bolla di vetro che lo “isola in relazione agli altri” nel senso che non solo lo rende succube e dimesso ma anche, allo stesso tempo, padrone, seguendo in linea di massima lo sciocco pregiudizio altrui. Non si è mai parlato in maniera precisa di bene e di male proprio a causa del pregiudizio mascherato ora da coscienza, ora da inferno, ora da regola, ora da Stato, ora dal polizia. La morale non consente di ragionare ma bensì solo d’ubbidire, essa non usa semplicemente ogni mezzo per spaventare ed allontanare la critica ma spesso è capace di capovolgere la volontà critica stessa dalla sua parte. Il mondo intero è soffocato dall’idea di castigo, la stessa esistenza diviene per molti di noi un “castigo divino”. Sin da fanciullo l’uomo è follemente bombardato da proposizioni e regole che lo rendono schiavo di una società e di un’ideologia che spesso risulta essere completamente estranea ai propri istinti . L’operazione di salvataggio intellettuale prosegue in età matura con la scuola e poi con lo Stato che vieta ogni comportamento incline a noi stessi e ci obbliga a sottostare a determinate leggi molto spesso utili solo a creare nuovi barlumi di speranza per i maestosi “cervelli produttivi” e libero campo d’azione per i potenti sfruttatori. Pensare in una società del genere risulta essere non solo inutile ma addirittura dannoso per il sistema stesso, il pensare deve essere solo incline alla produzione, all’educazione di menti produttive, al miglior sistema per abbattere la concorrenza ed al modo più adatto per isolare e ridicolizzare chi davvero intende cambiare le cose. Se, infatti, lo Stato e la borghese élite decisionale offrono comodità e benessere, poco importa l’infinito potere dei medesimi e l’immenso sfruttamento sublimale di chi non solo non si sente per niente sfruttato ma addirittura ha l’impressione di avere dominio sugli altri. Tutto ciò grazie al magico trucco della “libertà apparente” in base alla quale ci si sente padroni di qualsiasi tipo di scelta, poco importa poi se le scelte sono lasciate prendere per forza di cose. In realtà si finisce sempre col sceglier tra due mali il minore ed alla stragrande maggioranza non importa affatto la possibilità di venire a formare una società nuova davvero fondata sul puro ed assoluto valore della libertà. È talmente facile etichettare tale possibilità con l’ipocrita epiteto di “utopia” che si finisce col rinunciare alla realizzazione di un sogno solo per inerzia ed eccessiva faciloneria qualunquista. C’è poi un alto gruppo di persone che a questa inerzia aggiunge la paura dell’eccessiva libertà altrui, che poi equivale ad aver paura di sé stessi per non dire della natura intima dell’uomo. Se osserviamo un qualunque essere che si libera dal vincolante uso della ragione e vive seguendo i suoi più intimi istinti mai vedremo sul suo volto gli spasimi di una benché minima sofferenza. Egli accetterà passivamente il limpido succedersi delle cose ma sarà dominato da chiunque possegga un minimo barlume di ragione. La ragione è sempre e sempre sarà la causa della sofferenza al mondo, è la ragione che assieme alla morale corrode e crea uomini padroni ed uomini schiavo. La natura dell’uomo non è mai contro sé stessa o contro gli altri ma finisce col divenirlo allorché vengono a crearsi i presupposti base. Tali presupposti, indicati poc’anzi, altro non sono che uno strumento con cui il potere giostra e castiga i suoi favolosissimi e variopinti animali da circo. Proviamo ad eliminare per un attimo la fredda ragione e l’ossessiva morale dal raziocino umano ed immaginiamo come potrebbe esser l’uomo. Si potrebbe obbiettare che tali presupposti sono insiti nella natura umana ma in realtà ciò è facilmente confutabile. Se manteniamo lontano dal pregiudizio e quindi da questa società un fanciullo e lo educhiamo secondo i principi della pura libertà vedremo che qualsiasi morale o ragione, finora intesa come freddo calcolo per il dominio sugli altri, non avrà motivo di essere.

Nell’udire tali parole Sara risulta un po’ scossa, senz’altro su molti punti è d’accordo, non ha niente da ridire ma una domanda pone incuriosita a Gianni, gli chiede che senso ha in tutto questo il messaggio morale di Gesù. Il professore lentamente estrae il suo pacchetto di sigarette, ne prende una e la accende poi afferma con convinzione che l’uomo non può arrogarsi il diritto di giudicare e condannare un altro uomo e continua dicendo che il Cristianesimo per secoli non ha fatto altro, lo Stato non è da meno e preferisce punire in maniera esemplare piuttosto che eliminare alla radice il problema. L’uomo represso e privato della propria libertà non compie reato ma è spinto a compierlo. Lo Stato non mette in nessun caso l’essere umano a suo agio nella società in cui vive ma lo porta spesso a condurre un’esistenza alienata e finisce col non identificarsi più in niente. Questa assurda trasposizione di valori lascia libero spazio a chi detiene una minimalista abilità borghese di dirigere l’umana sorte e renderla succube. Gesù ci insegna che nostro dovere è quello di ribellarsi a qualsiasi forma di legge, abolire ogni sorta di punizione e lasciare solo l’unica regola dell’amore che panteisticamente è in grado di dirigere e governare il mondo. Le parole del “messia” sono state travisate dal Cristianesimo che ha saputo molto abilmente creare la più alta ed intricata sfera di potere terreno giocando sulle sue parole puramente e semplicemente anarchiche e creando la Chiesa, istituzione contro cui egli stesso aveva lottato quando essa esisteva già, sebbene in altra forma, con altri connotati ma col medesimo ruolo. Non è finora, infatti , esistito uno spirito più libero e più anarchico di Cristo, contro tutti e tutto rinnega non solo l’autorità terrena ma anche quella divina. Senza imporre alcunché lascia a ciascuno la libertà di mettere a nudo il proprio animo e di vivere una vita nella piena volontà di sé, fuori dagli schemi, fuori da qualsiasi gerarchia, da qualsiasi pregiudizio e da qualsiasi morale che, in una maniera o nell’altra, risulterà sempre ipocrita e falsa. Ricordiamo le parole di Gesù ai farisei: ”La legge è fatta per i servi, amate Dio come io lo amo, come suo figlio! Che importa della morale a noi figli di Dio?”. Gesù contrappose alla vita comune una vita reale, di verità. Con la sua morte e la costrizione psicologica a non vedere in essa alcuna fine rinverdirono le tendenze popolari. Egli non fece altro che dire “qui è il regno dei cieli” ma finì con la sua morte. La sua banda di seguaci fu insicura e fanatica, non seppe sopportarla, tutto fu inutile! Il regno è ancora in balia del male, ossia del nulla, ovvero di un terzo del tutto. Non siamo ancora figlioli dell’uomo.

Gettata la cicca il professore dice a Sara che sono ormai le otto, il marito è fuori per affari e per questo, volendo, sarebbero potuti andare a cena insieme. Si danno appuntamento tra un’ora, il tempo di farsi una doccia e di cambiarsi.

 

Sandro e Rossella

Il locale prescelto per la cena è un po’ fuori mano, Gianni si ricorda del medesimo perché un giorno portò lì una ragazza a mangiare. Aveva appena preso la cattedra al liceo e conobbe quella donna in Presidenza. Era una segretaria che si occupava dell’amministrazione interna, sui vent’anni, i capelli rossi, gli occhi smeraldini ed una grinta incredibile. Appena si guardarono furono subito colpiti l’uno dall’altro ed il giovane professore non perse tempo. Iniziarono a parlare del più e del meno, il caldo che stava man mano svanendo cedendo il posto ai primi freddi, l’emozione che provava essendo quelli i suoi primi giorni di insegnamento e via discorrendo. Non passò molto e la invitò a cena, lei, che di nome faceva Lidia, disse che si sarebbe occupata di trovare il locale. Dopo aver mangiato restarono lì a dormire e fecero appassionatamente l’amore, fu indimenticabile. Ancora Gianni non riesce a scordare lo stupendo profumo che emanava la dolce Lidia. Era il più istigante che avesse mai sorbito, anche le sue labbra sembravano quasi dettanti una soave musica celestiale, siderea.

Sara, accompagnata dal compagno, prende posto ed i due iniziarono ad ordinare le specialità della casa. Tra un pasto e l’altro sorseggiano della Falangina ed iniziano a discorrere, è lei la prima a porre una domanda:

“Gianni “

“Guè, dimmi!”

“Stavo ripensando alla discussione che facemmo a casa tua riguardo i rapporti stabili…”

“Si, qualcosa non ti è chiaro?”

“No, mi domandavo semplicemente se per te esistesse l’amore, quello vero.”

“Beh, io sono panteista ed amo l’Anima del Mondo e le diverse anime in ognuna, delle quali scorgo aspetti diversi dell’Anima del Mondo e quindi se vogliamo anche dell’esistenza.”

“In che senso scusa.”

“Nel senso che a mio avviso, ed anche tu puoi darmi ragione se ci fai caso, tutte le azioni umane sono mosse da Amore, quello con la “A” maiuscola, e non solo! La Natura stessa ed il Cosmo seguono le sue leggi e sono dentro di noi, chiudendo gli occhi possiamo renderci conto che possediamo il Mondo, che l’Universo, tutto agisce affinché noi siamo felici, affinché riusciamo a trovare lo scopo della nostra vita.”

“E qual è lo scopo?”

“Ognuno di noi ne ha uno, può essere quello di trovare una ragazza, di realizzarsi professionalmente e via discorrendo. Il vero scopo, però, è trovare noi stessi.”

“Noi stessi?”

“Già noi stessi, è capire chi siamo e cosa vogliamo.”

“È questo che molto spesso è difficile, soprattutto nella nostra società in cui siamo immersi nei bisogni voluttuari e perdiamo facilmente di vista qual è il nostro scopo reale.”

“Già, hai perfettamente ragione! Ma siamo a fine millennio, chissà se dal 2000 qualcosa cambierà”

“Aspettiamo un annetto allora…Comunque credo che l’amore molte volte possa esser anche distruttivo e te lo dico perché ricordo la storia di un mio amico, Sandro. Risale ai tempi del liceo, un giorno conobbe una ragazza veramente bella, una certa Rossella e si innamorò follemente di lei al punto che non pensava più ad altro. Era sempre presente nei suoi pensieri, se apriva bocca lo faceva solo per descrivere i suoi pensieri, se apriva bocca lo faceva solo per descrivere i suoi splendidi capelli biondi, i suoi meravigliosi occhi azzurri, il suo animo dolce etc… La ragazza, però, era fidanzata e Sandro divenne naufrago nel suo mare di lacrime, si sfogava apertamente soprattutto con il suo più caro amico, Gino. Gino ascoltava il compagno con tutta la pazienza che aveva e cercava in qualche modo di dargli dei consigli perché avrebbe venduto l’anima per vedere contento il suo amico più caro. Sandro da parte sua aveva fiducia nell’amico e lo rispettava massimamente, lo stimava molto ed il suo aiuto, perlomeno, gli alleviava un po’ le sofferenze. Dopo molto tempo finalmente si fece coraggio, trovò l’equilibrio ed acquistò sicurezza, era pronto a confessare i suoi sentimenti all’amata, che nel frattempo si era lasciata col ragazzo. Lei gli rispose che non aveva intenzione di iniziare una nuova storia. Passava il tempo e Sandro pensava sempre più a Rossella mentre lei non lo considerava proprio. Un pomeriggio Gino si recò personalmente dalla spasimante dell’amico cercando di convincerla. D’improvviso però lei si legò a lui, lo abbracciò e lo baciò ed il ragazzo, sorpreso dall’evento, non oppose la minima resistenza, anzi fecero insieme l’amore, la relazione con Rossella continuò e Gino tenne sempre meno in considerazione l’amico. Ciò non insospettì affatto il povero Sandro che lo giustificava, non poteva mica essere sempre dietro a lui! Però più il tempo passava più l’amico si allontanava; fu un giorno di primavera, Maggio mi sembra, che li vide insieme. Il giorno dopo fu trovato suicida nella sua stanza.”

“Davvero?”

“Certo, però Rossella e Sandro vissero lietamente la storia per un bel po’, almeno a quanto so io, poi li ho persi di vista”.

“È una storia bizzarra, quasi surreale! Senz’altro però ci insegna che amore e morte possono essere un binomio saldo, ma alla fine ogni cosa va come deve andare.”

“Già”

Pagato il conto i due si alzano ed escono, Gianni accompagna Sara a casa e va via. La luna all’orizzonte si eclissa piano dietro una nuvola.

 

Frammenti di luna

1)            Se l’uomo critica la Natura per i suoi sbagli, lei cosa dovrebbe dire degli errori umani?

2)            Fermati sole: il sole si fermò, fermati terra: la terra si fermò, fermati vita: la vita si fermò, fermati amore: silenzio.

3)            Ho cercato il maestoso, ciò che c’è di magnifico, di più grande, l’ho trovato nell’infimo. Nel più piccolo errore. Il maestoso nell’infimo, sublime abisso.

4)            Il lieto inizio è la fine.

5)            Il due non è un numero ma un mostro terribile che divora la solitudine.

6)            Non sono triste, angosciato sì.

7)            Continuare subordinato ad un’essenza?

8)            Vita, morte, pace, guerra: questi i sintomi dell’amore.

9)            La tradizione è etilica, più la bevi più ne resti estasiato.

10)         La più alta forma di conoscenza è fingere di non conoscere.

11)         In questi giorni rimando sofferenze.

12)         Ecco, è il momento, devo varcare la soglia del tempo. ma è tardi, ho sonno.

13)         Ho fallito nella vita, con te ed ho fallito col sole. ora i suoi raggi mi distruggono.

14)         Non hai alcun senso se non divieni conscia di essere diversa.

15)         Ti salverò l’anima, ti sfamerò di sapere, ti ubriacherò di virtù, colma sarai d’amore. Ma solo se lo vuoi.

16)         Alcuni percepiscono la fortuna, altri la sentono. Il caso vuole, però, che resti il segreto della scelta plasmante.

17)         La festa del patrono è un prisma di speranze, vivaci. Oggi le ho sentite.

18)         A fatica ultimata c’è lo stress del riposo.

19)         Le parole agrodolci strappano più lacrime di quelle tragiche.

20)         Non so chi santo t’ha protetto, tu sia benedetto.

21)         La visione di una ragazza francese mi ha ridato la voglia di vivere.

22)         Il tempo passa ma i ricordi che restano sono i nostri autorevoli maestri. Attendiamo il passato.

23)         Le cose importanti al pari di quelle vere emergono dalla casualità della vita, inutilità causale. Tutto ha un senso, anche questo.

24)         La bilancia a due piatti è temperanza ed onestà. La legge è freddo calcolo e raziocino, la giustizia è l’umiltà, è povera la giustizia di beni, colma di verità.

25)         Sbarcato tra i rifiuti un extraterrestre scapperebbe.

26)         Chinati al mio cospetto, servimi ed amami. Solo così mi sarai superiore.

27)         La tua forza distrugge ogni sopruso, converte i duri di cervice, salva i malvagi perdonando le cadute.

28)         Il freddo ci investe e uccide.

29)         Il prima attende, il durante vola ed il dopo è troppo tardi.

30)         Saltuariamente mi sento potente, con la musica nel cuore. Comporre, produrre suoni risveglia i sentimenti sepolti nell’inconscio e risveglia la tua natura divina.

 

 Una partenza inaspettata

Aprendo la cassetta della posta Gianni trova, assieme ai soliti volantini pubblicitari, una lettera indirizzata a lui. Stacca la colla adesiva con l’ausilio di una taglierino e si accomoda sulla scrivania. La busta contiene un foglio su cui è scritto brevemente che si invita il destinatario a prender parte, come comparsa, in un film che si sta attualmente girando. Non è specificato niente né il titolo del film né altro, semplicemente la data, l’ora ed il luogo dove dovrà presentarsi.

Che buffo! Ricorda di essersi iscritto all’albo delle comparse al suo ritorno dalla Jugoslavia e che, fino ad ora, non era mai stato chiamato. Tentenna un po’ in principio, non sa se accettare oppure no ma alla fine acconsente, d’altronde un po’ di soldi guadagnati fuori mano non gli possono fare che bene.

Si presenta al piccolo campo di calcio del paese in perfetto orario ed ha modo di parlare col regista il quale gli comunica che in quella scena un gruppo di attori stanno in campo giocando a pallone e uno di loro è sul punto di tirare un rigore, lui non deve far altro che avvicinarsi alla rete che separa il campo dagli spalti e toccare la medesima. L’azione è ripetuta due volte poi è data per buona, Gianni si accorge che Sara è lì vicino, saluta il regista ringraziandolo e le va incontro:

“Sara!”

“Ciao Gianni, tutto bene? Che ci fai qui?”

“Ho fatto una piccola parte come comparsa, niente di che, tu invece?”

“No, ho saputo che stavano girando qui una scena di un film e sono venuto a vedere, oggi ho fatto le prime tre ore a scuola.”

“Ho capito.”

“Ma che fai pure l’attore mo’”

“No, anni fa mi sono iscritto all’albo delle comparse, al collocamento, può farlo chiunque. Ogni tanto, quando serve, ti chiamano per fare da comparsa in qualche film. 200 mila lire”

“Va bene, senti io ora devo andare altrimenti perdo il treno, ci vediamo?”

“Ok, ciao, ma non vuoi neanche un caffè? Devi proprio scappare?”

“Eh già! Sarà per la prossima volta.”

Gianni si dirige comunque al bar da solo ed ordina un caffè, mentre aspetta che gli venga servito nota sull’uscio Lisa con un ragazzo. Stanno litigando e lui ad un certo punto alza la mano e le tira uno schiaffo, il professore a questo punto si avvicina euforico ed adirato al ragazzo e gli sferra un pugno sul volto. Giacomo, così si chiama il violento, cade in terra e perde sangue. È rimasto di stucco, non si aspettava il cazzotto e senza parole si alza e se ne va .

“Tutto a posto Lisa.”

“Ma di che si impiccia, lei è professore e faccia il professore.”

“Non posso ammettere che per strada avvengano cose del genere, le prossima volta che accade potrei chiamare la polizia.”

Lisa lo guarda negli occhi, lo scosta con forza e dicendo vaffanculo va via.

Il professore pensa che forse ha sbagliato a comportarsi in quella maniera, forse è stato un tantino esagerato ma, in fondo, non se ne pente più di tanto, ha agito d’istinto, sentiva di doverlo fare.

Il giorno dopo, a scuola, vede in sala professori la professoressa Sara un po’ triste seduta sola su di una sedia. La stanza è vuota e Gianni, salutandola, le chiede se sta giù e come mai.

“Tu non lo sai ancora?”

“Che cosa?”

“Il mese scorso chiesi il trasferimento…”

“Trasferimento?”

“Si, oggi ho avuto la conferma, lo hanno accettato.”

“E perché?”

“Cosa?”

“Come mai hai deciso di lasciarci?”

“Beh, mio marito deve trasferirsi a Pavia per lavoro e quindi noi abbiamo deciso di andare a vivere lì!”

“Pavia? È lì che vai?”

“Già, o meglio io insegnerò in un paesino alla provincia. Eh! Mi spiace sai, stava nascendo una bella amicizia tra noi.”

“Amicizia, amicizia ma quale amicizia, fanculo l’amicizia!”

“Come scusa?”

“No niente dicevo che mi fa piacere però…però cazzo mi dispiace!”

“Ti fa piacere però ti dispiace?”

“Si.”

“Ma che significa? Va bè, non ha importanza, devo andare ora, vado di fretta.”

“Come vai di fretta, mo’ non ci vediamo più e tu vai pure di fretta!”

“Esagerato!”

“Un corno esagerato! Mi dispiace!”

“Me ne sono accorto, t’ho detto che dispiace anche a me, che ci vuoi fare, la vita è così!”

“Già, hai ragione! Ma quando hai intenzione di partire?”

“Dopodomani mattina parto da Napoli.”

“Quindi ci salutiamo adesso?”

“Si, ciao. Si è fatto proprio tardi, devo andare. Un bacio!”

“Smack!”

 

Libertà schiavitù d’amore

Ciao, non ti avevo vista ma ti pensavo, solo per dispetto. È passato tanto tempo, ora è inutile aspettare. Avrei voluto vedere nei tuoi occhi le lacrime mie ma tu eri impassibile e quindi irraggiungibile, irresistibile. Sbocciò l’amore per pura intuizione candida, tu irremovibile, inaccessibile. Tanto l’ardore in te, l’infinito dell’anima tua. E soffiando in su, ciocchette volanti, dicevi che avresti voluto inchiodarmi su di un palo per poi venire ogni giorno a togliermi un chiodo.

Luna tu non tramonterai ed io continuerò a soffiare.

Tu con le lacrime agli occhi ti volti e mi baci. Ti stringo le mani e sfiorandoti le labbra mi accorgo che ho sognato. È stato come volare su campi, colline, ascoltando le cicale e seguendo un fascio di luce, quello che emani fulgida e candida. Mi poggiai su un davanzale e scorsi dalla finestra te, ragazza dalla veste verde ed i ricami a fiorellino.

Ti guardo di nascosto, è folle, lo so. Tu mi scopri e ti avvicini pensando al nostro futuro, fingi indifferenza. Guardi altrove. Scusami amore ma non ho più la testa. Sai di qualche albergo che mi faccia un prezzo buono? Casa tua? Nooo. Non posso accettare. Ma se insisti, ok. Tanto il divano è sempre lì e sul tuo comodino la mia foto so che c’è ancora.

 

Spumeggia il mare sugli scogli

e il cuore brucia piano

pensando a te

ormai è una malattia.

 

All’orizzonte

sulle labbra dei pescatori

risuona ancora il tuo nome

per questo incanto perso.

 

O Maria

che guardi o tutto o niente

con gli occhi verdi

non pensi che all’amore

 

Partorita dalle onde

al suono della luna

e al canto dell’amore

sussurro del mare.

 

Figlia greca e spagnola

ma di incanto italiano,

figlia mediterranea

con la pelle salata.

 

Il dolce sapore delle labbra

e le trecce nei capelli

sostenute da un fermaglio

a forma di conchiglia.

 

Mia cara è una poesia

che ti inumidisce gli occhi

schiusisi velini

lì in mezzo al mare.

 

Poi quando tu mi hai vista

sorridendo da lontano

mi hai accompagnato in strada

tenendomi per mano.

 

O bellezza ballerina che volteggi fiammeggiante nell’aria sbarazzina, ardenti gli sguardi, prepotenti gli sbuffi. Cara dove sei? Questa storia è solo un’altra finzione armonica incessante, priva di senso, inconsistente. Mi accorgo che oramai è incandescenza, bolla d’aria in mezzo al mare, parola ineguale. Una storia finisce senza un addio. Scorri nelle vene da lontano gelide e riscaldate un po’ dal tuo respiro.

 

Andremo lontano

fuggiremo vicini

varcheremo i monti

attraverseremo i mari

ma sempre e comunque

sarò con te.

 

Hai ottenuto la libertà e ti accorgi di esserne schiava, preda del vizio. Quando capirai che la vera libertà è schiavitù d’amore?

Ho girato il mondo intero per trovarti. Solo oggi ho capito che eri tu a cercarmi.

È come cadere in un dirupo senza fondo, trasportato dal vento ed in balia talora del rancore, uno schianto sordo ti infrangerà il cuore. Questo è bruciare d’amore.

Preferisco voler bene chi non mi conosce o conosce poco. Se vuoi essermi amica non chiedermi niente. Scoprimi.

Luna che risplendi e mi accompagni lungo il sentiero della vita. a te solo.

Amore, caro amore, muoio. Sono qui nel deserto infernale, mi stendo e mi lascio andare giù dalle onde del mare.

Dandole i soldi lei mi ha benedetto. Le darei di più per vederla sorridere. Saluto!

Il tuo addio è stato un bacio profondissimo. Ho visto schiudersi piano i tuoi occhi chiari allo scoccar della passione. Non ci rivedremo più in questa vita ma non ti scorderà il mio cuore.

Ho capito chi sei e se vuoi puoi amarmi tanto quanto hai sempre sognato. Cara amica si può continuare sognando il mondo, noi protagonisti? Rubarci l’anima a vicenda e ridere del furto. Silenziosi ladri d’amore in punta di piedi. Fuggente l’attimo, volubile l’istante, repentino e terribile, incrocio lo sguardo tuo e spero sia l’infinito. Mistero, pensiero e segreto dell’identità. L’attrazione magico-sintomatica ed il caos totale in te non ti impedì mica di guardarmi e iniziare a parlare. Candido fiume colmo di gioia e di te, sentiero, accesso, tuono immobile, stabile. Sangue nei tuoi capelli e volto immobile, candido gesto e solitudine.

Cosa sono quegli sguardi lanciati avanti e sconfitti da una guerra che non fu? Cosa sono quei silenzi nati tra di noi? Non abbiamo reso il mondo importante solo per portarlo via! Cosa sono quei tormenti e quella testa abbassata? Non cerchi vie di scampo? Non puoi, no, non puoi cadere ancora. L’astuzia non risolve granché, così tu ricadi da sola incurante di tutto, incurante di me. Vado via, vado via per davvero. So cos’è l’amore, le pazzie, i tormenti, so di te. Vado via per davvero, senza te, scrivi qualsiasi frase col sangue e scrivi anche di me.

Morire! Cosa si prova? Cosa si sente in quell’ultimo istante? Prima di morire vorrei stringere la mono di colei che ho sempre amato e, dopo un bacio, dirle in silenzio addio.

Professor De Sanctis, chiamato solo per cognome, per epiteto o per professione, anni circa trentadue, inchini, un bicchier di vino bianco ogni sera ed a pranzo la domenica. Dicerie in paese e il silenzio del professore. De Sanctis, in attesa del suo amore perduto, muto a guardar le stelle, solo a pensarla.

Se tu sbatti le mani provo tanto piacere perché ancora posso sentirti. Squillare. Hai pronunciato la tua sentenza con una sottile punta d’invadenza, senza parlarmi. Puoi pure sbottonarmi la camicia, far scendere le tue mani sul mio corpo, dirmi cosa provi quando il tuo capo splendido si avvicina al mio, con le labbra puoi assaporare intatti i brividi che ci percorrono la schiena. Troppo sentimento nei tuoi occhi chiari ed inumiditi dal fremito della passione. Posso distinguere molto bene le dolci parole che pronunci sottovoce mentre mi osservi profonda come a dire “è sincero il mio saluto”. Vuoi giocare ancora? E va bene, sono pronto, stasera va benissimo. Stuzzicando col dito le tue corde più interne godi del mio respiro e  senti l’affanno del sole, un occhiolino nel vento: spegni la luce! restiamo in penombra. Ti sfioro, sei confusa, acceleri e ti fermi, rallenti, riprendi, con frequenza innaturale. Cerchiamo i nostri errori senza pensarci troppo, moduliamo gli sguardi, controlliamo i pasi nostri ridendo degli sbagli. L’amore è un’illusione. L’ho sfiorato, l’abbiamo sfiorato soltanto. Dov’è? Dov’è? Dice di sì. La paura torna, dov’è? Dov’è? È un’illusione. Fantasma storico, aneddoto esplicito, fedeltà implicita ma è solo un’illusione. Me illuso e me deluso. Noi. Noi a correre, a seguitare questa illusione di vero amore. Chiudo gli occhi e vedo il tuo volto, gli sguardi ridenti. Ma è solo un’altra illusione. Anche i tuoi occhi azzurri e la pelle battuta dal vento. L’amore folle, l’amore che non ha età. Affacciata alla finestra assapori la frescura mattutina. Tanta voglia di questa illusione! Baciamoci sotto le stelle, sai sono tante quante le ragazze al mondo che sono e che sono state e che saranno nel ricordo ed in declinazione perfetta. Ognuna è una stella dal nome favoloso, ed ogni stella, si dice, ha l’anima per ogni innamorato che riversa alla luna rendendola pallida essenza. mi dovrei affidare a loro, guardarle negli occhi, non ha importanza la maglietta stretta e la lingua perversa. Ed i capelli, magici evocatori di nascosti sentimenti e vividi ricordi, romantici seduttori, arma tua che mi spiana a buon prezzo e mi strugge con calda vendetta. Profumati capelli! Saporiti compagni delle mie perversioni! E tu non ridi ma sorridi e ci parliamo in silenzio, ti offrirei la mia vita, stesa sul letto ti penso adesso e sono me stesso. Dolcissima ti portassero a scuola con cani e pantere ti porterei via senza paura. Dolcissima illusione! Io non parlo anche se so capirai.

E girano le lancette. Tempo, passeggi scalzo per il nostro mondo, riempi di soluzioni ed ostacoli il sentiero del nostro senso più profondo e più vero. Ricordo del viandante partito in una notte buia per l’Oriente, una scoperta che non contò niente, d’altronde tutte le scoperte si muovono nel senso opposto però lui trovò la verità. Tempo, rovinasti tutto anche quella volta, d’altronde anche la verità costa la vita. Girano le lancette, cadono fogli dal calendario, chissà quanto sarà passato di tempo da quella notte invernale. Poi cercai di trovare altre soluzioni ma la mia mente tornava a te e cercai di farne una ragione, non so. Foto, riposte nel cassetto oppur nel fuoco. Un’ora, l’eternità fatta a persona, da anni passata senza dar conto a nessuno e tu la verità l’avevi trovata, purtroppo.

Hermes sono! Prepara le valige, chiudi il sipario, dobbiamo andare via dallo scenario vivo in bottiglia a Murano e che solo scende in aria piano piano. Che vuoi da me? Gira di lato!, gira che è tardi e il tempo non dà aria di cambiare, negli occhi del conte io sono vago, io sono strano ma lo giuro che andando via giro di lato ma poi segno chi hai scocciato. Ti dissi è tardi, che ci fai in piedi, vai a letto che domani qui ti siedi, ma cara invece non ci andasti chiudesti gli occhi lì dinanzi a me. Tu vuoi avermi ma non mi avrai perché io sono figlio di dei. “Figlio dannato, dannato figlio, non hai rispetto per tuo padre!”. Padre adorato, il tuo divino Apollo volle scaraventarmi nell’oscuro Tartaro, nel buio mortale ma vedi, papà, la mia astuzia vinse anche là.

 

L’incubo

La notte è buia e Gianni sta percorrendo una stradicciola di campagna completamente avvinazzato. Sembra quasi che il sonno lo stia per raggiungere e cerca di tenere la mete sveglia occupandola con dei pensieri. Il tentativo è vano, non gli giunge alcun barlume e così accende lo stereo, la radio è sintonizzata su di un canale che trasmette un’intervista ad uno scrittore sulla notte e sul viaggio. Cambia immediatamente frequenza, l’intervistato e l’intervistatore hanno un timbro di voce totalmente pacato che gli ricorda la ninna nanna che ascoltava da bambino, gli accenti e i suoni sono gli stessi: “dormi tranquillo/ dormi diletto/ dorme la mamma/ dorme il suo figlio/ dorme il rumore/ dorme il calore”. Ricorda grossolanamente la sfilata di nonsense che veniva recitata puntualmente ogni sera prima che si addormentasse.

La musica delle altre reti non sortisce alcun effetto sul professore che si vede costretto ad accostare a destra, parcheggia l’autovettura nei campi, spegne il motore e chiude gli occhi. Immediatamente gli compare davanti una lunga scalinata e vede un vecchietto che la scende di corsa senza scarpe ai piedi, dietro di lui c’è una misteriosa figura che lo segue. Gianni, incurante dell’accadimento inizia a salire lentamente ed a un certo punto scompare e gli si presentano innanzi due fuochi. Più si avvicina più il calore aumenta, ciononostante riesce a passare in mezzo alle fiamme e continua a salire. È giunto finalmente alla fine della scalinata e si accorge di trovarsi in un meraviglioso prato senza erba, già senz’erba, e non riesce a capacitarsi sul perché lo chiama prato. In lontananza scorge la figura umana e la raggiunge; la medesima è seduta ad un tavolino simile a quello dei bar. È incuriosito da quel tizio alto e robusto, con i capelli lunghi grigi ed una folta barba bianca. Subito gli chiede:

“Chi sei?”

“Dov’è?”

“Chi?”

“Muta” e poi, alzando la voce “Dov’è?”. D’improvviso si ritrova in un cimitero, soffia un vento autunnale e tutto è buio, l’unica luce è quella dei lumini. Cammina lentamente, è spaventato e giunge all’altezza di una cripta. Scende nella medesima e trova delle ossa sparse qui e là sul pavimento, intravede però una donna di spalle con una lunga veste a fiorellini e la chioma. Questa si gira, “L’autore è qui, tutto sta avendo inizio…è qui”. Alza lo sguardo per guardarle il volto che si fa incandescente, il fuoco fluttua come torrente. Gianni lancia un urlo e si risveglia.

È tutto sudato, ha le pupille dilatate e le mani gli tremano: il sogno è stato così reale che ancora non riesce a riprendersi. D’istinto mette in moto l’alfetta e torna a casa. Si infila nel letto, si gira e si rigira e non riesce più a prendere sonno, passa il resto della notte camminando avanti ed indietro nella stanza. Non riesce a capire quale significato si nasconde dietro quel prodotto del sonno, chi è quella donna? Chi è quel tizio con la barba? Solo le prime luci dell’alba riescono a placare un po’ l’animo inquieto.

Preparatosi si dirige verso la scuola e, giunto in loco, si accorge che tutti i ragazzi ed i professori sono lì fuori. Incuriosito si rivolge al collega di Chimica per chiedere spiegazioni:

“Albè “

“Guè Gianni”

“Che è successo?”

“Non lo sai? Lisa Manzetti, la nostra allieva… beh è morta”

“Come è morta?”

“Si, è morta! È stato il ragazzo, accidentalmente dice lui, ha confessato poche ore fa alla polizia”

“Ma quando è successo?”

“Ieri pomeriggio, sembra che stessero litigando e lui spingendola l’ha fatta andare a finire con la testa su un sasso. Le hanno trovato il cranio spappolato.>

“O mio Dio!”

“Già, è stato un colpo per tutti, queste cose si spera non accaldino mai”

“…”

“… Comunque se vuoi unirti a noi tutti nel dolore alle dieci c’è il funerale e contiamo di andarci”

“Mi spiace, non me la sento di venire, sto poco bene… anzi comunica al Preside che credo non verrò a scuola prima dell’anno prossimo. È un periodo che mi sento proprio male!”

“Ma che hai”

“Non so, non lo so. Mi spiace devo andare.”

“Eh sì, noi insegnanti dovremmo controllare maggiormente, mia figlia Thirassia l’anno prossimo si iscrive al liceo, controllo, controllo; come educatore, pedagogo, padre e scienziato…controllo anche chimico, è questo il futuro. Controllo, sicurezza, controllo anche chimico…”

“…sì, certo, certo”

“Comunque, sicuro che non vuoi venire?”

“Si, ciao”

Lisa è morta, la povera Lisa Manzetti è morta! Come si può morire a diciassette anni? Giacomo, doveva fermarlo quando era possibile, lo sapeva che era un violento e che avrebbe finito prima o poi col farle veramente male. Non sa cosa pensare, che fare, dove andare: lei oramai non c’è più, capite? Cosa significa dire “lei non c’è più”, che cazzo significa? Il suo sguardo è divenuto per sempre privo di vita, il suo corpo sarà presto privo di forma! Ah i suoi occhi! Ah il suo corpo! Così dolci e carini gli uni, così bello l’altro, la pelle bianca, quasi vellutata, gli stupendi ricci di cinabro! Le sue gambe! Lei! Lei! Lei! Dov’è? Già “dov’è?”, come ha detto quel tizio nel sogno, quel cazzo di sogno, se non l’avesse fatto forse quest’evento non l’avrebbe scosso a tal punto, d’altronde tutti devono morire. E pensando questo sferra un pugno al segnale di “Stop” tanto forte che finisce col piegarlo. Poi inizia a prendersela col muro, insiste così tanto che si logora la mano ed inizia con la testa.

“Professor De Sanctis!”

Voltatosi vede l’ombra di un uomo allungata che tiene per mano una bambina, alza lo sguardo e scorge i due che sono oramai ad un metro scarso

“Commissario Serramonti”

“Professore buongiorno”

“C’è qualche problema?”

“Beh lei ha intenzione di continuare con quel muro?”

“No, guardi, è per via…”

“Lo so, lo So, Lisa Manzetti” si accende una sigaretta e continua, non prima di aver cacciato un tamagotchi dalla tasca porgendolo alla bambina “Tiè gioca un po’” Dall’altra tasca estrae una Ms e inizia a fumare

“Grazie” è la risposta della bambina

“E’ la sorellina di Lisa, frequenta la seconda media, eh duro colpo, non sa ancora nulla, la tengo io per qualche giorno, sono anche un mezzo parente…”

“Ah, non sapevo, povera piccola, senta ora dovrei andare, non è giornata”

“Ma lei, si lei, era una sua allieva vero?”

“Sì”

“E qualche giorno fa ha avuto una colluttazione con il ragazzo, ecco ho appuntato il nome, Giacomo Scorgianti, dimentico sempre tutto!”

“Sì, beh è stato un incidente, lui le aveva messo le mani a dosso ed io…”

“Sì, sì tranquillo, credo che avrei fatto lo stesso”

“Ma lei come lo sa?”

“Eh la tenevamo sott’occhio la povera Lisa, sa strane dicerie su frequentazioni con un giovane parroco, roba del genere, lei ne sa qualcosa…”

La classica aria di chi finge di sapere meno di quello che sa, come la scusa di essere smemorato, tecniche che ricordavano a Gianni i polizieschi americani. Eh mi fa piacere che la tenevate sott’occhio, l’avete lasciata ammazzare, mo’ ‘sta storia del parroco che è. Continua a pensare il prof, ma risponde di getto cercando di non mostrarsi arrabbiato per il fatto che una ragazza controllata dalle guardie possa comunque essere stata uccisa, provando a non pensare alla povera Lisa, a quei sentimenti che si aggrovigliano e che lui trattiene per non continuare a tirare pugni, questa volta allo sbirro, sua vecchia conoscenza e la cui vista, certo, già da subito non l’aveva per nulla rallegrato

“ No, di questo non ne so nulla”

“Mmh” va bene “ah un’altra cosa, mi scusi ancora” dava sempre più l’aria di Colombo, non fosse stato per l’aspetto tutt’altro che trasandato “lei che insegna filosofia ha mai sentito parlare di un certo, aspetti che leggo, ecco ecco Krono, o Kronos”

“Sì, certo, il padre di Zeus, la divinità che impersonifica il tempo, per i Romani è Saturno, ma perché scusi?”

“No, nulla, nulla di importante, il manto, aveva un manto. Forse il vello d’oro, gli argonauti,  qualcosa del genere, mi scusi non sono ferrato in mitologia”

“No, non so, ma credo di no, nulla del genere, almeno a quanto ricordi”

“ Va bene la saluto, grazie, e la smetta di tirare pugni al muro, se la faccia vedere quella mano”

“Arrivederci commissario, ciao piccolina” la bambina, che giocava a pochi passi, si avvicina

“Ciao signor professore, lo sa pure io voglio fare il linguistico dopo le medie, come Lisa, così può essere che la vedo di nuovo”

Povera bambina!

“Certo, come ti chiami piccolina”

“Muta”

 

Sub Ryma

 

Floberta

 

Insieme siamo stati un giorno scarso

ed ora, sai, tutto tace intorno a noi

ma poi sento il profumo dei polsi tuoi

e mi sovviene del nostro cuore arso

da un fuoco che so acceso

ancora nonostante tutto il resto

si è solo offeso,

sa che prima o poi potrà ribruciare

con un sorriso, gesto

tra vivido e romantico cantare.

 

Floberta, anima divina e sincera,

cerca di capirmi ora e in eterno

o passerò dannazioni di inferno

senza te, fonte di una vita vera

e non di un vile e finto

atto di lussuria esasperata,

frutto solo di istinto

trafitto dalla nostra vera Essenza

creata da te e scampata

ai ricordi ed alla tua presenza.

 

I capelli senza pietà struggenti,

i cirri carini ma solitari,

cercando senza motivi emissari,

fuggono via in balia degli altri venti!

Gli occhi tuoi sono accesi

per sempre da una fiamma che anche fioca

non vuole gli indifesi

raggi spegnere solo per ‘sì poco

ma ardendo ancora gioca

divertendosi in silenzio col foco.

 

Floberta, canta un po’ la nostra

canzone che ho scritto in tanta lena

e ascoltando il mormorio e il cuore in piena

dimmi di sì mettendo il riso in mostra

e la voce per grazia

divina in calda e tanto sana cura

senza essere mai sazia

di me e delle mie parole sincere

e non aver paura

di venire alla mia fonte per bere.

 

Freschezza, solo freschezza troverai;

al calore delle mie braccia pronte

si alternerà la fresca mia fonte

e così, stando sola con me, vedrai

che si spazia ‘sì tanto,

ti basta solo un po’ di coraggio

e riparerai il pianto

che mi ha fatto soffrire davvero

e che le rose a Maggio

esprimono senza giudizio nero.

 

Floberta, ti chiedo di illuminarmi

perché sei la sola che ha saputo

senza pretesti e senza un risaputo

affetto banale e scontato amarmi

per ciò che sono e non sai

come posso sentirmi ora che solo

non ho più ciò che mi dai

e cioè la forza e la sincerità,

voglio vedere in volo

il tuo sorriso con la tua verità.

 

Hai strappato con ingegno

 

Hai strappato con ingegno e calore

ciò che ti scrissi con penosa voglia

ma assieme ai fogli ha strappato il cuore

di chi ti amava oltre la eterna soglia.

 

Hai sommato poi al tremendo dolore

anche la più fitta e vogliosa doglia

allietata forse solo da Amore

che la trasforma in colorata foglia.

 

Cosa sarà ora di me misero

e dei pensieri che felice pensai

quando il sapore non era ‘sì nero?

 

Forse solitario e sconsolato assai

resterò ad attendere povero

l’ultimo affetto, illusione ormai.

 

Dolce e sincero è stato parlarti

 

Dolce e sincero è stato parlarti

ma delle cento parole che in mente

avevo nessuna ha saputo dirti

quanto per me sei importante, Floberta.

 

Sarà perché sei carina, amica,

perché emani dolcezza silente

e vaga tenerezza innocente

comunque io non vorrei mai più lasciarti

anche se ora non sono ormai nessuno.

 

Mi manca tantissimo quel sorriso

che sulle tue labbra non ho mai visto

e lontano dal tuo vasto dominio

ti sento, ti vorrei avere al mio fianco.

 

Luna

Per quanto tempo ti ho rimirato

stasera le sere scorse aspettando

un tuo cenno, un tuo chiaro e intenso gesto

forse solo per libera evasione!

 

Solo, come sempre, sotto il tuo velo

ascoltando in silenzio le parole,

un barlume di luce mi investiva

ed io continuavo a guardarti, vivo.

 

Già, vivo, stranamente ancora vivo,

dopo la disastrosa storia con lei

nella decisione di stare con te

sentivo pur sempre la sua presenza.

 

A Ryma

Penso sia perché il tuo nome porta

o forse perché ha di pura luna

chiaritude e splendore, Ryma, sorta

da una misteriosa duna,

non so perché abbia scelto di amare

proprio lei quivi in una sparsa laguna

che di periferia ha aspetto e odore.

E già, è così perché non voglio sia

solo una nuova storia di dolore

chiusa nello sfogo di una ingiusta via

che non sa portare sentimento

ma tosto ‘na dolce stradicciola pia.

Se allora Dio vorrà per altri cento

anni di questa oscura vita

splenderà il suo bel sorriso al vento

e io saprò stringere tra le mie dita

in un solo istante tutto il sapore

e il gusto, la bellezza sua riunita.

 

Forse la nube scura

 

Chissà dove finiranno le frasi

che non ti ho mai scritto,

le parole che non ti ho mai detto,

le lettere che non ti ho mai spedito

ed i baci che non ti ho mai dato!

 

Forse la nube scura

saprà distruggerli per sempre, forse

annienterà il ricordo tuo e di noi

non resterà che il pianto

e tu, Floberta, dolcissima amata

ed io illuso, indegno del tuo amore.

 

Poi ti dissi ogni cosa

 

Il sole risplende intorno

illuminandomi mi chiede

perché continuo ancora in

questa folle realtà

mossa da bugie e non da affetto.

 

Le nubi si aprono ed io

pensando ancora a te le parlo

nascondendo i pensieri

e cercando quegli occhi

che desideravo da sempre!

 

Poi ti dissi ogni cosa

e finii quasi per perdere

il suo amore e lei stessa

e per tornarci insieme

ho rinunciato per sempre a te.

 

Ora il mio sguardo tenta

di fuggire gli occhi tuoi

e ciò facendo spesso piange,

rassegnato ti mira,

rassegnato ritorna

e una guerra infinita

rinasce nel mio cuore.

 

Raggi di stella

 

Fammi sognare ancora

regina di ogni fiore,

alba mia luccicante,

nuvoletta invadente!

Calmati un po’ soltanto

e vivi la tua vita,

solo accetta di essere

condannata alla eterna

ardente rimembranza.

 

 

Contemplando la Luna io non so cosa c’è di sbagliato in quello sguardo che hai fatto quella sera per sbaglio. Se hai qualcosa da dirmi non nasconderlo, sai che saprò comunque capirti, sempre. Tu, senza una parola fissavi le tue scarpe, i tuoi capelli scendevano sul volto, incomprensibile il silenzio. Poi una lacrima, una sola, scese dai tuoi occhi, lacrima gelida! Io ripercorro la storia fatta di dolori ma comunque nostra mentre tu mi racconti di mille misteri, tremila colori. Non so che errore avrò fatto, è stato amore, ed io l’amore te lo sbatto in faccia. Tu piangi su di te, non hai nulla da dire, fingi di soffrire ma mi mandi all’aria la vita e ci sei riuscita, è questo il tuo intento? “Ma quale intento” ripeti piangendo “nulla ti promisi, io non so cos’è l’amore e te lo dissi”. Tu non sai il dolore che provavo ogni sera, piangevo in silenzio, pensavo a noi, 18 novembre, chiusi in una bolla di vetro mi odiavi, passava il tempo veloce, volo di gabbiano in picchiata, martedì venne, amai l’altra, amore che nasce e muore in istanti bendati. Disperato stetti ai piedi della cattedrale d’amore, ai suoi margini, elemosinando un po’ d’affetto. Come quando bambino avvinto dalla paura del buio trovavo rifugio, riparo, contemplando l’immagine della luna riflessa alla parete. E tu allora divenisti la mia luna, 9 di dicembre, un bacio, la domenica in un cinema, occhi innamorati. Soffrimmo i dì seguenti, andasti via e tornasti sinché l’inverno gelato ghiacciò ogni cosa. Ti scordasti di me! Un bacio ad un altro, di sfuggita, per sbaglio, dicesti. Tornai io, ‘sta volta. Un’ombra ignota ora oscura il sentimento, mi ami lo stesso, ma non è questo. Ti vedo strana, rispondevi alle mie domande con baci passionali. Quale futuro? Non so. Cosa provo? Non lo so scrivere, il senso finisce ove inizia l parola e la parola si arresta innanzi all’amore.

 

Dolci invocazioni

 

Onda del mare che t’infrangi

sullo scoglio d’amore

ascolta il suono di una voce

che chiede ancora di te

e spera in un amore eterno!

 

Ryma, luna riflessa all’acque,

tiepida notte estiva,

mattina in riva al mare

sei ancora ‘sì lontana da me

ma vicinissima al mio cuore.

 

Stella, che trasparente

fai sognare anche chi, indifferente,

fingendo di guardare il mondo

senza pensarci troppo

al fine torna a te,

dalle anche tu conferma

che il mondo nulla è senza lei.

 

Parola, che fosti la gloria

degli eccellenti poeti,

sussurrale nel cuore

dolci suoni d’amore

e non farla mai andar via.

 

Corri sincera nel suo cuore

 

Gocce che cadono piano dal cielo

grigio ormai per sventura;

l’amore mio che lontano mi tende

la mano ed i suoi sguardi

ormai persi in tempeste di cristallo.

 

Io capisco che forse

una sera non basta più al cuore

per sentirla vicino,

per sentire la sua voce, Amor.

 

Ed allo specchio mi trovo cambiato:

i sogni non sono quelli di prima,

il mio cuore è solo,

non sa rinunciare a lei.

 

Corri sincera nel suo cuore, poesia,

‘ché lei mi manca, lo sai:

persuadi il tempo se puoi,

convincilo tu per me,

voglio solo lei e nient’altro

da te!

 

Starti lontano

 

Guarda questi occhi senza lamento

quest’anima che mi porto dentro

insieme al rancore e alla paura

di perderti ancora ma per sempre

rubata in silenzio da qualcuno

mentre stringi poi forse nel cuore

un pensiero o forse una canzone.

 

Starti lontano fa tanto male

vorrei vedere il sole in cielo, amor,

e vedere cadere un aquilone

quando sei triste o quando mi pensi

anche se sono stato io a sbagliare!

 

Ma poi mi perdo ancor

tu mi domandi stanca

perché lo sto dicendo

io ti rispondo: perché sono sconfitto!

 

L’inesprimibile nulla

 

Non posso morire ancora,

sono già morto,

no vivo più, ho perso tutto,

non trova la mia anima, però,

il coraggio di allontanarsi dal corpo

e resta qui con me.

 

Venerdì, 4 maggio. Io nella mia vita ho sempre sbagliato, lo so con certezza perché continuo a soffrire. In me domina tristezza e amore, nei ricordi cerco scampo al dolore ma il filtro del tempo rende il passato stupendo e l’oggi ‘no schifo. Sin da bambino cercavo di trovare fuori me stesso, quel me stesso che eri tu, protettrice del sonno, ti volevo, ti cercavo e ti volevo ancora. Solo ero e solo resto, solo al mondo! Oggi guardo il cielo e la terra, mi guardo accanto: non mi fa paura più niente, ho deciso, la faccio finita! Morirò, sento già i tentacoli dentro me e la morte mi attira a sé. Non sopporto l’imperialismo americano e scrivo “Lunam et Sideras laudamus, Solem adoremus: in morte vita”. odio la borghesia, la corruzione, il danaro, spengo la tv ed ascolto il silenzio del mondo.  Penso che ti amo, ti voglio e trovo la verità nella menzogna, il maestoso nell’infimo e te in me.

 

Canzone di Floberta

 

Ridi dolce amica

in tal maniera audace

da ricordarmi chiare e insonni notti.

Se tu poi non vuoi sia

riso in segno di pace

ma sintomo degli equilibri rotti

da quei soldati indotti

a guerre pel dominio

aspro di terre aride

che Dio dall’alto vide,

proponi all’ingenuo e stolto animo mio

vita rigenerata

dal sorriso della bellezza tua creata.

 

Floberta, cara, ascolta

la voce di un amante

che vive alla ricerca di Bellezza

e che ad ogni rosa incolta

pone mano tremante

nella speranza di trovare l’ebbrezza

senza alcuna certezza,

armato di speranza,

di fede e di pazienza

non sa trovar l’Essenza

forse solo per poca temperanza,

per fervido rancore

intuisce il lento passo del furore.

 

Di tempo ne è passato,

le notti fuggite via,

ma vivo è il ricordo di tutto:

nel cuore sta accampato

il tuo mormorio, che sia

sincero oppure del torto il frutto,

sappi, io via non lo butto

ma un incontro studiato,

insito su quel lembo

della vita che vien chiamato stato,

già lo tengo presente

come dolcissimo essere vivente.

 

Ma poi sorge un quesito,

dal cuore il disincanto

nasce vivido e chiaro, dolce suono

del tuo labbro squisito

e di quel soave canto

che tanto t’è caro quanto l’è buono,

del tempestoso tuono

nemico da una vita:

mi domando se forse

il sentimento incorse

in quest’anima insita

in me per dolce sosta,

dall’imperatore dei cieli posta.

 

Canzone s’è così vola nel cor

di chi ha li occhi che brillano sul viso

la cui alma ricerca invano quest’amor.

 

 

Vorrei essere una vampa di fuoco, in quel caso saprei dove andare, già, in fondo sarei pronto a bruciare quei bastardi di cui sai. Da tutti volerei con piacere, pietà non potrebbero cercare, li truciderei nel profondo del cuore per scorgere cosa c’è.  Ascolta, una lacrima l’ho regalata al vento così come il tuo sorriso che molceva, mi bruciava il cuore. Ah le tue tiepide labbra da baciare e lontano dal mio cuore il sole, perderti ancora sarebbe inutile anche se non so cercarti. Soffrire fa male e tu lo baciavi, lo guardavi con quei tuoi occhi miei nei suoi.  Il mio perdono lo hai ottenuto ma quei bastardi figli di puttana non troveranno pace!

PVDS: non sai che darei per trovare ancora parole, parole capaci di colmare il silenzio che è dentro me. Tanto amore ti ho dato, tanto ne ho ricevuto, lo sai, ma sai anche che vorrei continuare senza più paura. Piove ancora fuori la finestra e cadono giù lacrime maledette, sventure terribili, mi nascondo nel cuore ma ho paura, non va via lo spauracchio indefinito. Troppo spesso trovo in me quei silenzi che non so se colmare, capire, nascondere o abbandonare a sé stessi. Vorrei non perdere i tuoi abbracci, i tuoi baci, la pura svanisce, io dimentico tutto ma la macchia rimane, quel sorriso innocente dal mio cuore scompare, capisco che t’amo, mi manchi, ti voglio, senza i tuoi baci non so stare. Di nuovo qui, ritorno, seduto sul nostro muro –muretto- . il caldo estivo tormenta l’anima e il sapore di questo pomeriggio mi ricorda te, che ti imponi nell’alma mia. Sono assorto e penso a tante cose, da quanto tempo non ci vediamo? Accendo la siga. Chiudo gli occhi, i tuoi lontani. Lo ripete la mia mente. Da quanto tempo! il telefonino è spento da tanto, non mi saluti, ho paura! Non ti so scordare! Torna qui, torna, torna! Quando andavamo a scuola ci baciavamo in fretta, appoggiati qui, nascosti, intrepidi, assoluti, contro il mondo. Noi! Scendono calde lacrime che bagnano la foto, piccola mia che appoggiata a me ascoltavi il mio cuore! Inutili cadono i ricordi, continuo a scriverti, tanti i rimpianti. C’è un altro, c’è un altro. il nostro amore abbandonato lì, quel 9 di maggio! Chiudendo gli occhi andasti via. Riapro i miei.

Mi ritrovo con paura, oggi, innanzi alla verità. Un giorno o l’altro ci lasceremo di nuovo, ‘sta volta per sempre. No, no, no. Non è timore ma un segno indelebile nel cuore, il mio. Ti offro questo gesto d’amore, non so se saprò continuare, splendida mia pallida candidissima! T’ho fatto soffrire, spesso in modo stupido, vado via senza più parlare, senza parole, tante te ne donai! Piangerò, il mio fiato sarà  sperso nel vento, starò a guardare di spalle il lento sussurro del mare. La mia parola che non dissi, la più dolce, è già nel tuo cuore. Ascoltalo, fai quello che vuoi, ma ascoltalo, non soffrire.

Ecco! Non dovrò mai più dire “sine tei”. Possiamo fuggire, che ne dici! Possiamo allontanarci l’un l’altro, l’Universo intero ed il Mondo ci riporteranno vicini!

Annego in questo mare di ricordi al dorso di questo indomato e docile destriero nomato Silenzio, potrei restare alla temperatura opaca dei flutti aspettando che i adegui al corpo. Seppellito sono da pensieri nascosti, dalle incostanti assuefazioni del sesso violento, masturbato, immaginario, reale ma innocente comunque come sempre. E ti ricordi noi chiusi in una bolla di vetro a fare due tre tiri poi assieme a te fuggire tra l’erba alta e l’odore incantevole del lungomare notturno dicendoci t’amo e non ti lascerò mai! Da quel tuo primo bacio mi innamorai, sigillo d’eterno.

 

Pallida, mia pallida Essenza

 

Pallida, mia pallida Essenza,

risplendi e così illumini

le mie notti ansimanti

con argenteo candore.

 

Mistero, sommo mistero

che con lo sguardo mi uccide

e mi dà vita

per poi togliermela di nuovo

con indifferente piacere.

 

Sommerso dalle assurde follie

della vita

e dai mille pensieri

relativi

ti ho scritto parole

stracolme d’amore.

 

E lo disse Ungaretti,

Montale, sicuramente Nietzsche,

tutti parlavano di te già da tempo,

 

tu, la mia dolcissima anarchica ribelle.

 

Il tuo nome rubato chissà dove,

la tua candida presenza,

che ora è assenza essente,

mi distanziò per sempre

dal mio amore.

 

Tu dolcissimo animaletto arzigogolante

che ridi del mio continuo arzigogolare

e mi spiazzi con sorrisi senza pietà.

 

Tu che insaziabile ti nutri

delle mie trapassate spoglie spirituali

che di anima hanno il nome

e di sostanza il sommo grado.

 

Senza parlare spesso ascolti,

senza che io parli spesso mi capisci

al volo

e me lo dicono quegli occhi

vividi e senza riverenza alcuna.

 

Misteriosa mia cara,

che sfogli un libro andando al di là

delle parole,

carpisci il setacciato già tratteggiato

nell’aere come dal nulla

e sembra evidente da tanto

il significato delle cose più profondo.

 

Enigmatica e piccola creatura

per una volta ascolta per davvero

quel che già sai,

quel che leggi nei miei occhi

e dimenticando ogni intuito razionale

lasciati andare in balia del tuo umore.

 

(D’altronde il tuo nome posso non dirlo,

lo sai).

 

Il mantice odoroso che lentamente sale dalla tua essenza rende le notti chiare ed i silenzi dolci. Nascosti sotto un ponte o vicino ad un ammasso di rifiuti a percepire l’Anima Mundi. Le vibrazioni estetiche ed il fluttuare candido rendono la mia vita intensa. A mille va la testa quando sbricioli tra le mie mani, batuffolini, e sbatte ancora, sbatte, percepisco il suo rumore –booom!!!- a mille anche il cuore! Ryma mi guardi attonita ed io ti pongo soffice e ti giro, mi baci di nuovo. Il tuo sapore non abbandonerò mai, dolcissima!

Anarkia! La notte giungeva lentamente ad occhi spenti con in mano i suoi calzari intorpiditi mentre puri i capelli lunghi e mossi battevano con forza quell’Autunno ormai in catene ed in preda alla follia dei suoi ricordi. Soffrivo ma forse non capivo, chiudevo gli occhi stringendo dentro me la forza ormai resa impotente e i sogni distrutti nella mente da una rinata disperazione e dalla prepotenza di una guerra che ora non so più fronteggiare. Silenzioso il cammino, muto! che io attraversavo in pochi giorni mentre i Mesi con carrozze rumorose facevano lentamente la spola, consegnati dai messi i giornali quotidiani e rinsaviti dalle catene ardenti delle nostre congetture al traguardo aumentavano le mie paure. Forse ero rimasto solo, utopia, utopia la mia speranza e i sogni ancora abbattuti dalla violenza di un mondo che ha paura di se stesso: morale, che rende la virtù vizio, teologia, che aliena l’uomo dal suo vero amore, pregiudizio, che uccide i miei fratelli, stato, che spara i miei compagni perché no ha rispetto di chi dal mondo aspetta il pieno riflettersi di sé reso persona umana. Non mi arrendo anche se stanco, non arrendetevi, saremo un giorno umanamente uomini.

IVS: Lontano dal vento e dal cuore le parole asciutte che sincere ascoltano i lamenti miei. E loro ti chiedono strizzando l’occhio se stasera sei libera. Ai loro baci piangi con un sorriso. Lento il silenzio ed i giorni che imbruniscono il ricordo, lento il sospiro, l’ombra rosea sul tuo viso ed il chiarore pallido. Scura la notte, sei sola e sola rimani. Assapori il tuo labbro splendido, guardi lo smalto e vedi i tuoi sogni. Infiniti smalti vitali. PUF!!!

 

La missiva

I genitori di Gianni muoiono uno dopo l’altro, a distanza di solo un mese circa. In una sera di ottobre riceve la chiamata dall’ospedale, il padre ha avuto un ictus fulminante, non c’è possibilità di scampo. La madre invece ufficialmente muore di infarto ma il figlio e tutti i conoscenti sono convinti sia stato per crepacuore dovuto ad uno stato depressivo già in atto che, con la morte del marito, è andato acuendosi.

I rapporti con i suoi non sono mai stati buoni o forse non sono mai stati e basta! Sin da quando era piccolo li ha sempre visti e considerati come due estranei, forse perché gli hanno dedicato molto poco spazio in quanto lavoravano entrambi e quindi avevano modo di stare assieme solo un po’ la sera. La loro morte passa quasi inosservata sotto i suoi occhi anche perché, dall’età di diciassette anni, quando andò in comunità, non ha voluto più saperne nulla di loro ed invano si sono fatti plurimi tentativi per cercare di ravvicinarsi.

Gianni è ora andato alla sua vecchia casa dove abitavano i genitori, non sa se farlo o no ma alla fine si decide, se non altro per vedere in che condizioni si trova se è cambiata etc…, insomma è apparentemente solo la curiosità che lo smuove. Tutto è identico a com’era, anche la sua stanzetta, non è cambiato niente! La disposizione dei mobili, i tappeti, perfino la stessa televisione, gli stessi quadri appesi negli stessi posti. Al di fuori della sua stanza chiusa e ibernata, però, non c’è più alcuna cosa in cucina o in salotto o nelle altre camere che ricordi il figlio. È come se in questi sedici, diciassette, forse diciotto, anni avessero cercato di fingerlo morto, di rimuoverlo e man mano cancellarlo dalla loro esistenza. Si siede su una poltrona del soggiorno ed inizia a fumare una sigaretta, mentre fuma allunga la mano su uno scafale per cercare un libro ma nel compiere questa operazione gli cade tra i piedi una busta. D’istinto la prende e legge il destinatario: lui, poi il mittente: Alessia che scriveva da Parigi. Apre la busta velocemente e nota subito che risale a circa otto anni prima. Inizia a leggerla:

Caro Gianni,

è passato tantissimo tempo dall’ultima volta che ti ho visto e non riesco a dimenticarti, ricordo il tuo bacio di addio: anche se ti tremavano le mani mi comunicasti una tale passione ed un tale sentimento come nessuno aveva o ha mai fatto fino ad ora. Porca miseria, solo ora riesco a scriverti qualcosa, ho sempre voluto farlo ma non ho mai trovato le parole giuste ed anche queste non so se saranno degne di giungere sino al tuo cuore.

Chissà se ancora ti ricordi di me, cosa avrai fatto in tutto questo tempo, se avrai o meno trovato l’amore della tua vita io sono convinta di si: sei tu. Si dovrebbe vivere lontano per capire davvero quanto si vuole bene una persona, il nostro amore è stato solo seminato e non ha avuto modo di crescere per i motivi che conosci.

Beh io come forse sai sono stata costretta dai miei a partire con loro per il Belgio. Avevamo una casetta su un lago ed io mi affacciavo dalla finestra e restavo ore a contemplarlo pensando a te. Fu in uno di quei giorni che sentii di avere qualcosa di nuovo dentro me e le analisi mi diedero ragione. Aspettavo un bambino. In un primo momento non sapevo come comportarmi, mio padre e mia madre rimasero molto male dell’accadimento e mi costrinsero a sposare. All’inizio stavo molto male e Marco mi stette vicino, era di Milano ma abitavo in una casetta vicino a noi. Andai ad abitare da lui, aveva tre anni in più a me e finì col volergli bene. Col tempo però iniziò a cambiare, era sempre nervoso, si irritava subito e spesso cominciò a mettermi le mani addosso. Grazie al mio amico Pierre riuscì a lasciarlo ed andai con la mia bambina da lui.

Per un primo periodo rimasi lì, poi iniziai a lavorare in una casa editrice come traduttrice italiana e comprai un appartamento. Per lavoro mi sono poi trasferita a Parigi dove vivo tutt’ora insieme dalla mia dolce Selenia. Già è così che si chiama tua figlia, come la Selene, la luna, l’unica compagna che mi è stata davvero vicino e che mi permetteva di pensarti e di tenerti a portata di mano.

Ti mando una sua foto, è stupenda e ti somiglia tantissimo nei lineamenti e nel carattere, però ha gli occhi ed i capelli miei.

Mi spiace che sia stato all’oscuro di tutto ciò per tanto tempo ma ti chiedo, se vuoi, di venire a trovarci, anche se nutri rancore nei miei confronti ritengo giusto che tu debba conoscere tua figlia e che lei debba conoscere chi è il suo vero padre. Ti aspetto.

Tua per sempre

Alessia

Parigi

3/09/91

Gianni non ci può credere, si tratta di Alessia, la ragazza che non ha potuto dimenticare gli aveva scritto ma i genitori, pur leggendo la lettera, non gli avevano comunicato niente.

Non ha dubbi, deve assolutamente vederla, sua figlia nella foto ha otto anni, ora ne dovrebbe avere all’incirca sedici. Chissà come è diventata! Sono passati altri otto anni! Già, altri otto anni, e se Alessia si è risposata, se non ha più intenzione di vederlo né di saperne niente di lui? Fa niente, comunque la figlia è sua e nessuno può togliergli il diritto di vederla almeno una volta! Partirà per Parigi.

 

Appena appena dopo

 

Aurora, dal cielo più limpido l’amore, muto rimane il sospiro, scompare, risorgendo dai fulgidi spasmi.

Mi hai scritto una poesia

Mi hai scritto una poesia

breve, in un lampo,

l’hai però poi subito cancellata

perché avevi paura

di sprecare l’inchiostro.

Ne valeva la pena?

 

E’ rimasto sul foglio

un groviglio nero

di sogni inestricabili

e più inchiostro di quanto speravi!

 

Io ti dico, però,

che ho capito tutto lo stesso,

d’altronde, dalle mille parole

che ci siamo scambiati,

tutto era chiaro sin dall’inizio,

noi: due specchi riflessi.

 

Poi improvviso ed inaspettato

dal nulla s’è diffuso il silenzio

e ci siamo guardati incantati

e il mondo era ai nostri piedi.

 

Tuttavia non abbiamo mosso un dito,

abbiamo proseguito per strade diverse

il nostro cammino

e tu mi hai scritto la poesia

che hai poi cancellato.

 

Divina padrona un mistero sublime avvolge quell’aura di tristezza che ti invade da quella notte. Sola e in silenzio varchi ogni dì le soglie del tempo. Spiazzi con lo sguardo e intanto sorridi nobilmente, con incanto e celestiale gaudio. Parli di te con vivacità e poesia, ti agiti, ti muovi e non cedi. Trapassi l’aria

e volteggi amabilmente tra le tue parole mutate in furiosi e vorticosi ingorghi. Tempeste di sabbia,

diamanti di cera, serpenti a sonagli ed animate, vuote storie di peccati. Non concedi alla sera

che qualche barlume, non chiudi le finestre neanche se gli sconfitti petali ti investono. Li tramuti in foglie secche che con superbia sgretoli tra le mani. Ridotti in polvere ti implorano pietà ma tu indifferente li spargi intorno a te, chiudi gli occhi, apri la bocca e divori il vento con voracità. Poi soffi e

dai potere al caos, confondi le menti e domini compiaciuta. Sovrana e padrona ti annoi con semplicità,

ti rendi complice del tedio ma lo pugnali alle spalle fingendo indifferenza ed estraneità. Infine ti stendi

sul tuo letto argentato, porti un dito al cielo, ti sfiori poi le labbra e godi la tua divinità.

Fuga

 

Prendiamoci per mano

e chiudendo gli occhi navighiamo

traversando correnti di mari lontani,

 

ed anche se più tardi del previsto

al fine giungeremo sulle rive

calde del nostro mondo.

 

Poi, senza remissioni,

ascolterò parlare per davvero

il tuo candido cuore

che, anche se in silenzio,

mi saprà dire cose

che tu non hai mai detto.

 

E sarai già brilla,

le tue parole fuoco e argento,

sole e vento

dalle corde vocali.

 

E sarai ancora più bella,

il tuo vestito dalle bordature viola,

 

non ti sentirai sola.

 

Dalla sera alla mattina

non avremo più paura

ed il nostro spirito più vero

darà corpo al pensiero

che, brulicando tra le rovine,

sarà più libero di quanto credi,

urleremo sino a tardi.

 

E poi verrà la notte

e tu sfinita cadrai sul guanciale

con una forza animale.

 

Ed io cogliendo l’attimo

carezzerò la pelle,

soffici saranno le stelle

che dai tuoi fuochi accesi

cadranno più cortesi

sul mio braccialetto.

 

Illumineremo il cielo

con un arcobaleno di diamanti

dagli zigomi striscianti

che toglieranno il vero,

il buono e il giusto

dalla nostra mente,

 

zigomi di serpente.

 

E, come dei bohemiens,

non ci cureremo del passato

o del futuro,

vivremo coscienti

solo di essere noi stessi.

 

Ma non sarà poi il giorno a svegliarci

col suo soffice e sottile filtro di luce,

sarà un repentino mutamento

della temperatura del nostro corpo.

 

Saremo ancora mano nella mano

e i baci, baci, baci

investiranno il corpo

come sopra come sotto.

 

Però la nostra forza tremante

cadrà sconfitta a terra.

 

Il circolo ondulatorio della testa

intorno ad un oggetto fisso,

che poi è lo stesso,

ci renderà più lenti

nei movimenti.

 

Il flusso di ricordi

sarà annebbiato da dimenticanze

a vivide alternanze.

 

Le nostre ali spezzate

saranno rinnegate

dagli altri

ma risorgeranno dal nulla.

 

E la fonte blu cobalto

stenderà sul tuo smalto

uno strano desiderio.

 

Fammi follemente innamorare

 

Fammi follemente innamorare

come cavallo indomato

contro il monte

asproso.

 

Fammi follemente innamorare,

in sogno come nel reale,

renditi leziosa,

candida.

 

Richiama pure un ricordo

beh!…se vuoi cancellalo,

soavemente ribaltalo,

ammaliami, allettami,

seducimi.

 

Rendimi il tuo servo

ma con lo sguardo innalzami

sino all’empireo.

 

Conducimi dove la selva brulica,

plasma un piedistallo di marmo

altissimo,

riponimi sopra

e per ora resta a contemplarmi.

 

Con un bacio dammi la voglia

di vivere,

rendi sensata la mia esistenza.

 

Condiscimi e servimi al tuo tavolo,

ammirami, esaltami,

chiudi gli occhi e canta:

fammi follemente innamorare!

 

Il lamento della virtù

 

Se scenderà

questo lamento tra le vie

con quel furore

che connota il mare

in tempesta,

 

se capirò

che tra le pagine

non hai lasciato il segno,

 

proteggerò il candore

della vita stringendolo

semplicemente, lievemente

tra le mie mani.

 

La virtù nella sabbia,

tra pensieri nascosti,

senza tanto sperare

in quanto suadente

riposa in dolori

più agguerriti delle lance.

 

E poi,

fuggendo l’anima

da quegli ostili spiriti,

mi chiede venia il cuore

ma stavolta senza stupirmi.

 

Intorno c’è tanto vigore

e quell’oscuro rifluire

di sangue nell’inchiostro

 

(protegge quella macchina

divina

il pathos della fortuna).

 

La virtù

senza rabbia

si è assopita di nuovo,

si è rinchiusa in stridenti

parole annebbiate

dai tormentosi

bombardamenti.

 

Me ne andrò via

senza lasciare sparsi i fogli,

 

con quel sapore che distingue

il chiaro valore delle cose

 

e piangerà lo specchio,

sentenziando un mio ritorno,

dei canti irsuti,

degli astri perduti.

 

La virtù

si domanda

se va bene così,

se ha lasciato lo spazio

al caldo invadente

ed al risollevato

refrigerio della mente.

 

Negli occhi del mare

 

Splash!

 

negli occhi profondi del mare

un cerchio di foglie e collane

eppure l’ardore è quello di sempre.

 

Splash!

 

negli occhi giocondi del mare

un cumulo di convinzioni,

eppure non ci conosciamo.

 

Splash!

 

negli occhi adirati del mare

una voglia sfinita d’amore

e foglie secche autunnali.

 

Splash!

 

negli occhi dolci del mare

Bellezza che insegue amore

in un turbino di Armonia,

caotica per declinazione.

 

 

Ti accompagnerei per il mondo su una nube, la mia vita, pallidi barlumi di speranza, annebbiata la tua presenza, Essenza! sogno il cinguettio dolce degli uccelli, ardito! Non avevamo ancora finito! Potessero le mie parole sfiorarti come la neve, io ho sete! Potrò un giorno mai respirare le tue candide labbra restando in silenzio, soli, abbracciati, a contemplare l’Anima del Mondo, tra i prati o lungo spiagge, nei boschi o adagiati su misteriosi fondali oceanici?

 

Ki sono io

 

Ki sono io!?!

che domanda! Io sono poeta.

 

Io sono poeta

quando parlo, quando leggo

e quando scrivo.

 

Sono poeta la notte e la mattina.

 

Sono poeta se le calze,

le sue calze,

troppe rosse o troppo verdi

mi scuotono il cuore.

 

Sono poeta quando mangio

sono poeta quando bevo e quando fumo,

sono poeta quando sogno

a cuore aperto.

 

Sono poeta se mi affaccio

da una stanza.

 

Sono poeta se mi chiudo

in una stanza.

 

Sono poeta per paura,

per orgoglio, per valore,

sono poeta per avventura

sono poeta per rincorrere

me sole.

 

Sono poeta per adorare te,

luna!

 

Sono poeta se i delfini

mi acciuffano.

 

Sono poeta se sbuffo,

se cammino,

sono poeta anche se mi inchino.

 

Mi arrampico sugli specchi?

Mi imprimo negli specchi!

 

Sono poeta, io,

coi pro e coi contro,

per tutti e contro tutti.

 

Sono poeta sempre solo

tra una folla,

sono poeta e godo ad esser

solo!

 

Chiudi gli occhi, chiudi gli occhi,

non leggere e non parlare,

sono poeta e da me di più

non ti puoi aspettare!

 

Cosa può darti il poeta?

 

Cosa può darti il poeta

che non sia amore,

un attimo di gioia

nell’oscurità.

 

Cosa può fare il poeta

se non offrire una sigaretta

a te che non fumi

per conservarla e guardarla

in quei momenti in cui sei tentata

di accenderla

ma non lo fai!

 

Cosa può dirti il poeta

se non:

Amore ti amo!

 

Scrivi di me, non impedire a una rosa di sbocciare, tremula la foglia nell’oblio. Scrivi di me, rendi candido il tuo dolce mielato e assaporalo in silenzio. Scrivi di me, tra il caos ed il rumore assordante fai germogliare una melodia lieve e piacente. Scrivi di me, come vuole il tuo nome, studia una scena, rendila immagine, scrivine e parlane, scrivi di me!

Mi hai straziato, scosso nel profondo. Rimasugli di perché, soffrire come unica arma per capire. Dolore intenso e fulgido, dolore profondo. La goccia cade, tremula nel bisogno di infinito.

 

Sublime gioia

candido gaudio

rampicante euforia

immenso piacere

battito a mille

acuto stupore

nuvola densa

ancora più intensa.

 

Felice e gaudente

innalzo la lode:

o follia, dolce compagna

resta con me

e senza ritegno

non nascondere

tutto ciò che

io sento

non ho mica paura

ancora son vivo!

 

Soffri da tempo oramai e le lacrime sgorgano, acqua alla fonte, salate, aspre, pungenti. Il gomitolo di lana con cui il tuo gatto giocava ora dov’è?

Se vuoi io sarò il lume che placherà, seppur con luce fioca, i tuoi momenti di sconforto, e risplenderà più vivo quando ne avrai bisogno!

Amazzone: E quando la donna posò il rimmel truccando le carte fu candida ma altera, con la testa alta e virtuosa, le armi in pugno, la rabbia nelle vene, dolce Venere e potente Mercurio, mai tal connubio fu più distruttivo per ricostruire la libertà.

Sulle nubi candide si nasconde il tuo castello. Resto immobile a contemplare la tua bellezza, pura! Che la luna ti protegga  con i suoi riflessi, che le stelle ti illuminino con luce fioca e sia penombra nel tuo forte incantato, così da rendere graziosa la notte e limpidi e dolci i sogni. Ho infinito bisogno di te, degli occhi tuoi accesi, delle dolci tue labbra, degli scossi tuoi capelli, della tua candida aggressività nei momenti di magia, di intrecciare le mie mani con le tue. Mia principessa difensrice, io tuo servo e padrone. Torna, torna da me. Di te ho bisogno infinito. Ricordo che apparisti fulminea nella mia mente e poi… infiniti silenzi. Scrivo ancora di te ed è tutto quello che posso. Condita sei di candide nubi, scompari. Poi riappari, scompari, riappari: che nervi ‘sto giochetto! Il braccio e l’inchino piegato sul muro lento riscende da corpi profondi e si dirama. Il cuore e nel cuore: lavorio d’insetti. Tu non lottavi ma difendevi il muschio più verde che soavemente coglievi dal pozzo, accesso per l’infinito. Chiare ed inconcludenti le discussioni che colpivano tradendo le tue mani agitate dal vento. Non ti arrendevi ma rischierata ti ridifendevi come vuole il tuo nome.

Uniti nel fuoco, divisi dal tempo, più di dieci anni di lontananza. Piccola e dolce, sua quella notte, lo sguardo altero, noi contro il mondo. Le lotte in silenzio o apertamente, soli a godere dell’aspra impresa. Candidi gli abbracci, bianchi i sospiri, tiranna la voglia di reagire. Persi noi sui bordi cupi del bosco druido, la paura di entrarvi e il desiderio di amarvi. Poi quella guerra, infida, viscida, connotò il nostro bisogno  d’eterno. Senza un appoggio sul pendio, il giuramento con le spade incrociate. Un bacio, poi un altro, vi disarmava. Ardua la lotta illeziosita. La luna riflessa all’acque, la sabbia nei capelli, lenti oramai i vostri lamenti.  Cara, non piangere, lui ti diceva e senza fiato restavi in silenzio, muta! Se ne andò via col tuo fermaglio stretto al cuore. La nave dal molo si allontanava, le lacrime in volto asciugate dal vento.

Dolcissima! È un ricordo che il cuore mi investe offuscato da tempo. Solo a scriverti in chiarissima contemplazione, amore immenso per te! Ti parlai, sì. Non sfiorasti mai le labbra mie con le tue candidissime, col gaudio immenso ed il retrogusto d’eterno. Ti parlai, sì, puerilmente, stupide affermazioni vacue, retorica pura, inconcludente ditirambo, tuttavia profondissime, non te ne accorgesti? Ti scrissi, sì, lettere d’amore con la mia grafia inestricabile. Tu, forse, le conservi ancora. Tanto tempo passato, muta il profondo del senso inverso. Ma i sentimenti son gli stessi come i tuoi occhi, son quelli, come i capelli, cirri purpurei da accarezzare teneri. Dove sei ora, nella limpida selva argentata? Insito nel vuoto il loco indicato dal tuo dito intrecciato all’assoluto. Nel vuoto. Con chi? Cosa è rimasto di noi? Qualcosa di minuto, impercettibile ma presente. Non leggerai, mai arriverai a questa riga. Sarai stupita, lo so, non saprai che pensare, inutilmente cercherai dentro te un appiglio: folle impresa! Questo messaggio ti giungerà vibrando nell’etereo, casualmente, senza preavviso, nell’istante, uno qualunque, del susseguirsi immaginario del tempo. e non dimenticherai, lo so!

Cerco il denaro di notte, sonnambulo, in casa, insonni le notte per guadagnarlo, accumulare, conservare. Se mi presti dieci l’anno venturo avrai diritto ad undici. E da questo sistema dirama, col tempo, che avrai diritto a nove e due di riserva. Grande depressione! Il futuro sarà guadagno, non ha senso, non ha senso questo rapporto sinallagmatico del baratto o della moneta, non ha senso la dialettica credito debito. Ciechi! Accomodati! Rassegnati! Attraverso le vie del paese, mani in tasca, testa bassa, entro in un negozio per la spesa. O Dio! Ho dimenticato i soldi. Segnami tutto sul conto anche se il tempo passa e siamo giunti a 106. In gioielleria miro l’anello, sottile, vero. Entro in osteria, pago il conto più la mancia e per spavalderia, vigliaccheria o semplice follia poso i soldi sul tavolo in bella mostra. Mi manchi amore. Ma l’amore oggi si può comprare. Commino di sera per le strade del paese, il nostro. Domattina confesserò tutto ad un prete che ha perso la fede e chiederà dei soldi. Vorrei dirti tutto ma poi rinuncio, spendo i soldi per le coperture. False restano le vedute. Tali son appellate per follia, vigliaccheria, spavalderia, desio di supremazia. Cinque anni di comunità, furto con scasso la nostra fuga, soldi all’avvocato, neanche per sogno, eredità: sette milioni di contributi svaniti tra cambiali. Hai una sigaretta, io l’avevo ma l’ho persa in una rissa per la supremazia, spavalderia fu o semplice follia. Passa il tempo, il valore del denaro, idolatria dell’uomo, vitello d’oro, sbarcare il lunario, sperperare, cataste di giocate a lotto o nel giro d’azzardo in complotto. Pomigliano peggio di Montecarlo. Finiti i soldi, guardo il tramonto, ora comprendo l’unico valore. Mi puoi aiutare? Ti trovi, mi puoi amare? Non ho una lira ma la disperazione è onesta!

Profonda creatura umana che con forza respingi le mie lodi. Dolce e candido il tuo sapere, ti soffermi sui testi assetata di conoscenza, perversa sei! Tu dolce cammello, due poli invertiti per l’equilibrio e in contrasto col polo di sotto. Risaliamo.  Trasformata sei in superba leonessa. Con orgoglio rigurgiti  ciò che hai imparato e ne vai fiera, sei Achille bellissima, trascini la sconfitta ignoranza fuori le mura della Verità Assoluta.

Ho avuto paura di rimanere solo, lo confesso. Ti ho fatto soffrire in maniera orrende. Sono solo, ora, ripenso a quegli attimi passati assieme, gioia e felicità. Adesso sei labile, mi mancano le tue braccia calde. Resto solo per ore intere senza parlar con nessuno, sguardo fisso nel vuoto, scende una lacrima –la solita-. E per te si propaga, diluvio acceso, non ti scordo la notte, nostra alleanza, tesoro nascosto della vita, la mia. Tesoro nascosto. Ma per un attimo infinito ti stringo la mano eterea, il bacio eterico. Lontano sono i giorni della gioventù più belli. Passeggio per le strade, lo ripeto. Torno a casa, occhi inumiditi. La mia tristezza! Muta come il silenzio accende e spegne ogni rimasuglio di gioia. E noia, disagio, insofferenza, spleen, dominano compiaciuti. Non danno scampo i suoi pugnali malefici, lo spirito è atterrito e vuol cedere ai colpi inflitti. Attanagliano le lame e silente l’anima mia è d’avvoltoi rosicata.

A fiumi sgorgano rompendo il silenzio ed in un vorticoso ingorgo lente spariscono e il silenzio rimane tenue. Parole! Parole scritte che odorano come carta stampata, sapore superbo! Parole per dirti tutto ed il suo contrario, quindi ogni cosa. Parole sottili che infliggono colpi, veloci balestre. Parole sbagliate che ti fanno pentire di averle scritte e poi di eserti pentito. Parole giuste, se ci fosse un metro, axiologicamete sapresti cercarle, fossero giuste finalmente1 parole di fuoco che ardono il cuore, sospira l’anima. Parole che si perdono nel tempo. parole che mostrano immagini di un tempo che fu. Parole, limite ultimo di infinito.

Gelido spasmo mattutino, illustre il candore che ricevi, dono selenico, luna ti rende limpida e risplendente, più del sole. cirri biondi danno refrigerio alla sera spogliandola di ogni pretesa e si riaccende d’un tratto la notte e la vita è ancora la mia insaziabile compagna. Nella notte il tepore è lento, labbra tue sconfinano, limiti invalicabili verso l’altrove, scontrano mandrie di peccati. Soave tu dai nome a ciò che hai intorno, che ti appare improvviso. Sincera in un saluto, oblio d’insetto. Soffi sulle cose, case, diamanti, dai vita al caos e te ne nutri. Così vivi ancora. Sincera? Stringi forte i pugni ed in un rollio sei più limpida di prima.

 

Il turbamento interiore

 

Il turbamento interiore

che sale dal mio cuore

è frutto del ricordo esasperato

e nella mia vita riletto e consumato.

 

Cosa vuoi,

resto sempre qui

a ridipingermi il viso con sospetto

e me lo chiedo se ritrovo spazio ancora.

 

Sorse dal nulla tra di noi

e l’alterità delle barricate

un tumulto disatteso,

 

gli scatti veloci come gatti

impressero un sospiro

 

sul tuo profilo.

 

Si dovrebbe avere coraggio da bestiole

che in te trovano riposo

e ristoro,

 

si dovrebbe contenere il tuo affannato respiro

e dire che ho lottato,

sbagliando

ma di poco.

Eccoli,

 

ecco l’arte,

i vividi monumenti alterati dal progresso

che non piangono più lacrime ma gesso.

 

E silenti estroversi si smarriscono.

 

Poso tutto e corro tra le tue braccia,

peso poco e gradivo il mio corpo si slaccia.

 

E finisce

prima ancora del prologo

il tuo sermone orripilante

e oscuro.

 

Arianna

Il volo per Parigi parte alle otto e trenta, Gianni ha fatto i biglietti e con una piccola ventiquattrore in mano si dirige verso l’imbarco. L’aereo parte con mezz’ora di ritardo, “rulla sulla pista sgombra” e si alza in volo. Le case sono così minuscole viste dall’alto, gli ricordano tante scatolette di fiammiferi, le autovetture e le persone non si scorgono neanche più. Il cielo lì sopra è sempre blu, anche quando giù da noi piove a dirotto in aereo si riesce sempre a scorgere il sole, a volte a contemplarlo per ore intere. Attraversata l’immensa e verdeggiante Pianura Padana e le alte vette alpine giunge finalmente in Francia. Passa solo mezz’ora e l’aereo è atterrato.

Il professore non parla una parola di Francese, si arrangia giusto un po’ con l’Inglese sebbene la pronuncia di quest’ultima non sia granché. Preso un taxi mostra al conducente un foglio dove è scritto l’indirizzo di Alessia. Si tratta di una villetta sita poco distante dall’aeroporto e quindi non ci mette molto ad arrivare, pagato il taxista si avvicina al citofono: non c’è scritto alcun nome ma l’indirizzo coincide e così bussa lo stesso. Risponde la voce di una vecchierella che parla Francese e Gianni cerca di spiegarsi come meglio può:

“Hello! Sono italiano, italien”

“…”

“A-L-E-S-S-I-A c’è”

“…”

“Excuse moi, Alessia”

“Alessia?”

“Eh, addò sta? Do you speak English?”

“No bien”

“Ok, where is Alessia Forino now?”

“Forino? Oh oui, oui! There isn’t. She went in Belgique six year ago”

“Belgique? And where?”

“Oh I don’t know, I think to her parents”

“And where do they live?”

“Oh, I don’t know”

“Have you got her telephone number?”

“Oh, no”>

“Mercì! Bye bye”  ed allontanandosi  “Ma va fa mmocca a soreta, num me ditto nu cazzo”

Non sa a tal punto che fare, il Belgio è una nazione molto grande e lui non conosce la lingua, sarebbe come trovare un ago in un pagliaio. Non gli resta altro che tornare in Italia e cercare di scoprire l’indirizzo esatto.

Giunto al suo paese ritrova in un vecchia agenda il numero di telefono di Arianna, l’amica carissima di Alessia. Non esita e la chiama subito:

“Pronto”

“Ehm famiglia Soldati”

“Si, lei chi è?”

“C’è Arianna per cortesia”

“Arianna, no non c’è nessuna Arianna”

“Come no Arianna Soldati! Sono un suo ex compagno di classe”

“Ah, ma mia figlia è un pezzo che non vive più qui, si è sposata la può trovare al numero “6239852” “

“Grazie mille, arrivederci “

Digitando frettolosamente il numero si domanda come possa la signora non ricordare il nome della figlia, non associare, mah, inizia la conversazione.

“Pronto”

“Pronto, lei chi è?”

“Ciao Ari, sono Gianni, ti ricordi di me? Frequentavo il tuo stesso liceo però un anno avanti a te, o giù di lì”

“Gianni! Ciao, da quanto tempo! Come mai mi hai chiamato?”

“Ti volevo chiedere un favore”

“Dimmi”

“Ti ricordi Alessia”

“Certo che la ricordo, era la mia migliore amica. Voi due all’epoca stavate insieme! Tutto quel bordello, mamma mia! Che mi fai ricordà”

“Si, ed è proprio riguardo a questo che voglio parlarti. Ti ricordi che ce ne scappammo assieme e poi ci divisero per sempre…”

”Certo, come mi ricordo benissimo! Mi sembra ieri che lei si disperava con me perché non potevate più vedervi. Doveva partire per il Belgio”

“Da quanto tempo non la vedi?”

“Da quel periodo, lei è partito per il Belgio e non l’ho vista più”

“Ti ricordi per caso in che parte del Belgio andava? come si chiama il paese? qual è l’indirizzo?…”

“Su due piedi l’indirizzo non lo ricordo però se chiami tra un po’ forse potrei esserti di aiuto. Per un po’ di tempo ci siamo mandate delle lettere e potrei controllare l’indirizzo!”

“Grazie, sei un tesoro! Che ne dici se ci vediamo stasera tipo al Bar Bologna e mi comunichi ciò che hai trovato? Se sei di zona”

“Certo, è un piacere! Madò il Bologna!!! Sì sto a Napoli quindi non è un problema raggiungerlo, non mancherò”

“Va bene alle otto?”

“Alle otto”

Gianni è seduto a tavolino quando vede giungere Arianna, la riconosce subito: sembra che per lei il tempo non sia affatto passato. L’unica differenza che ha con la ragazzina di sedici anni è che porta i capelli molto più corti; la saluta:

“Ciao Ari”

“Gianni? Sei proprio tu! Dio mio quanto tempo è passato, una vita!”

“Accomodati, io insegno al liceo Storia e Filosofia, tu invece?”

“Io sono una casalinga, mi sono sposata quattro anni fa ed ho uno stupendo bimbo di tre anni”

“È meraviglioso! Senti hai trovato l’indirizzo?”

<Non sei cambiato per niente!!! Dritto al sodo, com’era’ odio i preliminari. Ahahaha. Lo dicevi sempre, madò la grezza quando lo dicesti alla prof, non ricordo di che. Sbottò si dice i convenevoli, e tu, noo i preliminari va bene e lei tutta rossa. Ahahahaha. Si eccolo comunque! Ma posso sapere come mai vuoi, beh si come mai vuoi sapere queste informazioni, hai intenzione di incontrare di nuovo Alessia?”

“Si, è una lunga storia, ho saputo cose che non sapevo e… adesso voglio vederla, lei stessa mi ha scritto tempo fa, ma per caso, tu hai detto che ti sei sentita con lei via posta, ti ha mai parlato di me?”

“Sì, era disperata all’epoca della partenza, per un po’ mi chiedeva di guardarti, sìsì, proprio così, guardarti, non salutarti”

“Ma scusa non sapeva che ero in comunità?”

“Sì ma lei, cioè voi, siete sempre stati un po’…diciamo così… poi erano i primi tempi, era molto scossa, quindi non ci ho fatto caso, poi a quell’età sai, comunque ci siamo sentiti non per molto”

“Capito!”

“Ah guarda, a proposito ieri spulciando per cercare l’indirizzo ho letto la sua ultima lettera, era strana, cioè più starna del solito. Parlava di una certa דניאלה, diceva che le aaveva parlato dicendo di essere  una tua ex allieva, che aveva delle cose da dire a te su un ragazzo che nel ’98 avrebbe iniziato il liceo, che però era allo stesso tempo in manicomio nello stesso anno, diceva che da lì partiva tutto…un certo Giovanni mi sembra, che avrebbe fatto dei viaggi, parlava di tempo, strane cose, mamma mia non ci capivo nulla. Esperimenti, mi ha scritto anche diversi nomi di ragazze”

“Allieva? Ma di quando è la missiva?”

“Beh del 1992. Non ci sentivamo da molto. Fatto ancora più starno”

“Anche perché nel ’92 non insegnavo”

“Già ma poi lei diceva che eri il suo prof al liceo classico, non ricordo il nome, nell’anno scolastico 2009/2010”

“Nooo, è impossibile, io insegno da poco e sempre al linguistico. E poi siamo nel 1999, quindi…”

“E che ti devo dire, forse non stava particolarmente bene Ale quando lo ha scritto”

“Che cosa strana. Ma l’hai con te ‘sta lettera”

“Volevo portarla, l’ho messa sul tavolino ieri proprio per questo, stamane non l’ho più trovata”

“Mah, speriamo bene, quando la incontrerò immagino avremo molto da parlare”

“Già, ad ogni modo ti auguro con tutto il cuore vada tutto bene”

“Grazie, sei un amore”

 

Tra il vero e l’irreale lo sciocco e il naturale

E dunque principio qual fu, qual primo varco, difficile a dirsi. Tanti indicati e tutti veri. Da quel ’99 forse il primo seguitando ordini che poi si scossero e apparve in posta lira magica o fatata per l’etate di chi dice ciò che scrive ed è parimenti già in quel tempo in duplice forma e sostanza, nuovo e di poco invecchiato. Tra sciocco e naturale sguazzati siamo a vero ed irreale in loro essenza confusa di anno primo. Di risveglio strano e un po’ paura con lei splendida sul letto, nome rubato dal passato e con dico e immagina e sa chi ogni cosa ha letto da principio. Aggrovigliato tra tessuti persiani e paradossi, parossismi e chiroscuri e Merisi, quadri stanchi, scendiletto di tal guisa e oggetti strani, vasi vasel musicali e condottieri aurighi del sapere e dell’amore, lei in poche vesti e nuda quasi, lei dalla pelle bella e baci tremanti al di là di questi miei stanchi manierismi, lingue incrocite e folli sbarchi, seni dolci e sul petto il sussurro del cuore suo. E giunse il servo del mattino, final stupendo è questo immaginato e vivido. Vestiti a festa toghe belle e tuniche e mantelli e vesti, tanti i busti per li corridoi et altri due servi e poi fuori all’aperto gente strana, antro di spiriti magici e sapienti, barbe lunghe e capi corrucciati. E tutto è qui in epoca ancora anteriore 399 prima del Cristo, e diecimila, dodicimila ancor lontani e prossimi in futuro, libro scritto e Sedonte che con vivido pugnal vigliacco trafisse la schiena e sorse comunque l’accidente per opera di Eschido e dell’altro e dell’amor di lei e di tutte l’altre susseguenti contro il terzo maledetto e i loro nomi. Giunto nell’oasi svenne e si ravvide, et ogni secolo un prescelto che è eso stesso e questa è storia in copertura per celar il velo che in quell’estate era prematuro, un giorno scoperto. Et il ricordo che non ricordo e che svanisce anche quello, e la prescelta e l’altre di cui diremo, che ho già detto. E discussione per tragitto verso Verità Assoluta e divino, Somma Sapienza e Sommo Amore e dunque questa via di conoscenza che non trova altrove se in essa non si crede e nei suoi dogmi, ecclesia immortale e Diva Sposa. E Verità che è in noi da afferrare per riaffiorar sincera. E più si cerca cosa più lontana la si sente e non si scorge che è vicina e bramosia mossa da amor puro che a bellezza dirige pel percorso che in altro scritto è indicato, quello finale del sospir del vento, soffio primordiale. E sulla terra di essi intermediari litterati e poeti e musici e scultori e pittori et ogne gente d’intelletto sincero e candido, e sacerdoti vie maestre nell’interpretazione, e profeti e santi, dottori, beati e l’altri. Ognun di noi è diverso pur se in noi è medesima veritade assoluta, e noi congruenti e non eguali e solo un giorno traslati e sovrapposti ma comunque identitari, triangoli euclidei collisi quel dì d’eterno eppur distinti perché ogni cosa è anche l’altra in contemporanea pur se fatica a ciò, a capir la divina contemplazione, la mente umana e l’identità diversa, e la valenza, et i talenti che uniti in virtude fioriscono come giardino antico. E non è gene veritade né clonato si puote, né mai umana mano può imitare l’illustre dipinto del Divin Maestro Artefice Sommo perché noi sua imitazione terrena e per nostra sventura maledetti pur pel bene di Lui Imperator dei celi e d’ogne cosa. E sine forma e dimensione che geometra possa affrontrare è veritade in noi e noi stessi poco la scorgiamo a guisa di libro in cui ogne cosa è riportata e quando da esperienz cogliamo è come aprire cotesto e sottolineare qunto appreso e molla più grande è creatività et intuizione che legge ove altri non puote. E spesso concetto è il medismo ma umanitate esporlo diverso a seconda di razza e provinienza ma non è scindibile dall’Incarnato per amor nostro et ognuno per comprendere e salvarsi debbe conoscerlo et seguitarlo et amarlo e credere e sperare. e tempo è maledizione ed apparenza, parte immaginaria di numero complesso, e tutto cangia in illusion, noi stessi, terra e natura et universo stesso. Verità relative create per maledizione nostra quando altrui via seguitiamo come angioli che inj sinistra e destra posson guardare e noi di più perché in corpo come il Creatore, Plasmante Sommo.  E vita vissuta quindi come corsa verso l’ignoto, ma erroneamente perché essa è crescita verso la veritade ma se non ama e cade in balia dell’odio e di superbia, lussuria, vanagloria, cupidigia arrogante e inferno divien nostra destinazione che è somma ignoranza e gelo eterno del core. E se non v’è amore veritade dall’uomo è ignorata a guisa di secchio ove acqua diven vapore per inerzia nostra. Amore molla prima verso il conoscer. E tutto il resto spiegherò avante, ossia ho già fatto, autore ora traslato in primo principio euclideo di congruenza triangolar protagonista. Il sospiro del vento!

 

Tistin

Tistin è un piccolo paesino del Belgio molto caratteristico, sembra uno di quei centri della Germania o dell’Austria noti per le particolari costruzioni. Il taxi procede lentamente e lo attraversa per intero, poi si intrufola per una stretto viale alberato della periferia e giunge in prossimità di una villetta.

“Compaesano è questo l’indirizzo “

“Grazie Mario, è stata un fortuna trovare un taxista italiano, per lo meno abbiamo avuto modo di scambiare due chiacchiere”

“Già, capita sempre, come nei film!”

“Infatti, da non credere! Ci vediamo allora, ancora grazie! Eccoti i soldi”

Senza dubbio quella che ha davanti è una casa tutt’altro che modesta, si intona perfettamente con il paesaggio circostante in particolare spiccano i colori molto vividi. Ad aprirlo è la donna delle pulizie, subito le dice il nome del padre di Alessia che compare dietro la porta:

“Oui”

“Lei è Anselmo Forino?”

“Si, e lei chi è”

“Sono Gianni, Gianni De Sanctis”

“Gianni De Sanctis? Mio Dio e con che coraggio ti presenti qui a casa mia dopo tutti questi anni, hai ripreso a frequentare mia figlia forse?”

“No, perché lei non è qui?”

“È un pezzo che è andata via ma se non è per mia figlia che diamine vuoi da me?”

“No è per sua figlia, se mi fa entrare le posso spiegare tutto. Credo che l’ospitalità sia un dovere e non si nega a nessuno”

“A quelli come te dovrebbe essere negata insieme a qualche altra cosa, comunque è passato troppo tempo e sarebbe ridicolo mostrare tanto astio nei tuoi confronti, d’altronde non ti meriti nemmeno quello! Sei una sciagura vivente! Accomodati comunque”

Gianni ubbidisce ed in quattro e quattr’otto prende posto nel salone d’ingresso, è ben arredato anche se abbastanza piccolo; domina il colore smeraldo.

“Allora” pronuncia Anselmo con aria alquanto stufa “Cosa vuoi da me, si può sapere?“

“Voglio solo sapere Alessia dov’è”

“Ecco. E che poteva essere! E perché dovrei dirtelo? Che devi fare con lei?”

“Voglio vederla, ho saputo che ha una figlia che è anche mia figlia ed ho il diritto di vederla”

“Ma quale diritto, quale diritto! Come osi tu parlare di diritto, chi ti credi di essere! Sei convinto che ti presenterai dopo tutto questo tempo e… che farai? Dirai a tua figlia: “Piacere! Sono tuo padre! Mi spiace se non mi sono mai fatto vivo, comunque c’è sempre tempo per recuperare ”, credi che lei ti possa mai dare ascolto, possa mai amare una persona a lei del tutto estranea? Se pensi questo sei un povero illuso, sei rimasto il ragazzino di diciassette anni che andava dietro a mia figlia. Sei un buono a nulla, uno spostato ed hai distrutto la vita della mia unica bambina! È colpa tua se lei ora si trova in questa situazione”

“Quale situazione?”

“Ma che credi di capire tu, povero incosciente!”

“Senta, lei mi sta coprendo di insulti ed io non la sto rispondendo, ma c’è un limite a tutto. In tutti questi anni avrei voluto vedere sua figlia ma come fare? Lei me l’ha strappata! Ho passato cinque anni della mia vita in una comunità che più che un comunità era un carcere…”

“Questi sono problemi tuoi”

“Già problemi miei, è lei che mi ha portato via Alessia”

“Io ti avrei portato via Alessia? Ma cosa credi di averla comprata al mercato? Che fosse tua proprietà? Alessia era mia figlia, capisci bene M-I-A F-I-G-L-I-A!”

“Perché era, ora non lo è più?”

“Certo, per me sarà sempre mia figlia anche se non si fa mai sentire, se sembra che mi abbia dimenticato” nel pronunciare queste parole una lacrima scende piano dal suo occhio destro. Si asciuga con la mano sinistra sollevando con quel gesto gli occhiali e continua: “Io l’ho sempre amata con tutto il cuore, ho sempre fatto di tutto perché lei avesse il meglio dalla vita e guarda come mi ha ricompensato! Se non fosse stato per te la nostra vita sarebbe stata diversa, lei non si sarebbe mai comportata così con me”

“Ma si rende conto che è più che ridicolo ciò che sta dicendo, come può scaricare su di me le sue manchevolezze di padre”

Al che alzandosi in piedi ed urlando risponde: “Questo non te lo permetto” e sbattendo il pugno chiuso sul tavolo davanti a lui insiste: “Non hai nessun diritto proprio tu di giudicare se ciò che ho fatto è giusto oppure sbagliato”

“Già, ma lei ha tutto il diritto di insultarmi, non è vero?”

“Bando alle ciance comunque, non ho alcuna voglia di mettermi a litigare con te e comunque non ho intenzione di dirti dove vive mia figlia ora “

“Ma insomma, per favore, voglio solo vederla per l’ultima volta! La prego!”

“Per favore, tornatene a casa , lascia perdere è troppo tardi ormai”

“Lei non ha mai avuto fiducia in me!”

“Non ricominciamo sai che ti sbatto fuori!”

“Non voglio iniziare altre discussioni, anche lei condivide con me due emozioni: in prima istanza è un padre e può capirmi, in seconda istanza ama Alessia e può capirmi ancora di più!”

“È inutile che cerchi di impietosirmi con ‘ste stanze, con me non funziona!”

“Non voglio affatto impietosirla, le chiedo solo questo favore poi le giuro che non mi farò sentire più, penso che non sa cosa vuol dire avere Gianni alle calcagna. Glielo sconsiglio vivamente perché se lei non mi darà questo benedetto indirizzo io non le darò pace per tutto il tempo che le resta da vivere”

“È inutile che mi minacci, è un fatto morale ed un fatto di principio”

“Io ci toglierei il morale”

“Ed io invece lo sottolineerei centomila volte”

“La prego don Anselmo, la prego! Non mi faccia mettere in ginocchio”

“Per carità! Risparmiami questo gesto pietoso almeno, già sono stanco di sopportare le tue stupidaggini, l’i9nferno mi doveva venire a visita oggi! Come non avessi già problemi!”

“Allora me lo dà quest’indirizzo?”

“…”

“Per favore”

“Con te è inutile parlare, sei tale e quale ad Alessia! Non molli fin quando non hai ottenuto ciò che vuoi, c’hai proprio la testa da criaturo”

“…”

“Però…in fondo…già ormai che posso fare più! Tieni abita qui, o almeno credo. Forse vederti servirà a farla tornare in sé, ormai non ho più niente da perdere, no? Ho già perso tutto!”

“Grazie, grazie! Siete un brav’uomo nonostante tutto”  ciò detto gli stringe la mano.

“Nonostante tutto…” borbotta Anselmo.

 

Arsi Vivi

Durante il timido rientrar di una soave e tiepida luce che cerca di trafigger a lunghi affanni le cupe nuvole della mattina, pomeridiano il senso, ricca di travagli d’occasioni dense perdute nel trotto verticale per l’amico nostro, piangono le colline del mare che azzurro, ruscello riservato in fiume arioso, si infrange su li scogli lontano, anfratto del paese Iavano, Liviano, terra di pomi o pomilia gente di assuefazioni scorte. E d’amor s’io devo e devo raccontar mi accingo e strano e silenzioso mi sedo ed inizio, o amici, ve ne prego, prestate orecchio e sospirate stanchi. Poiché dissi d’amore e debbo dire, ripeto il verso dimenticato tra stalagmiti e delicate spiagge, la voce si scarna e si smarca prima ancora dell’inizio, epilogo di tutto, sento il bisogno di celeste illuminazione, di te divina erato, che d’alto illumini ogni core, Selene, Selenia, trittico stampato al son di luna, continua il viaggio brusco inverso ed ha fine, viaggio che è la vita come vagabondo blasonato fu un tempo avanti duecento a questi in cerca di Thirassia -il suo passato anche quello, paradosso e vorticapo- accendi la mia voce e racconto cotesta storia mettendo un punto. Passata che fu, infatti, la notte, lui e la sua cara furon destati dalla luce che dissi, di cui parlai, che contemplai, ampio spazio trovò l’uscio e guardia il motore, pronunziò solennemente: è l’ora, seguitato da un orgoglioso “e sia”. Notte d’inferno passata dai due, notte contorta e colma di incubi percossa, sogni orrendi che deformavano immagini buie della cella ombrosa e senza vita né romore se non rosichio intermittente. Ed il ragazzo cadde tra le braccia di Psidide, Giangiovanni, Giovanni da nome mutato e da tempo lontano a cavalcar destriero in senso paradosso, trovar calore è amare in quella notte gelo, il cor spaura, spauracchio il verbo, l’ultima notte passata. Arrampicatosi più spesso all’orlo d’abisso scorse a un metro scarso dal muro la luna per l’ultima volta e ricadde tra le braccia amate, incanto tra guizzi euforici nascosti. O miseri, il principio è il nostro nulla. La fine. Il ventidue, il tredici, il nove, felicità spersa, strappa solco nell’alma scomposta pel trambusto. Un dì si coglievano gli attimi migliori, anzi alleanze dolci o patti tiranni. Grande valore delle generazioni umane il multiforme ingegno, loco di culto oggi presente nell’oblio di Iavano al dorso del mare. Et una strega che reca grave omaggio e misteriosi intrugli e guarigioni e cadute, fedele se Satana un tempo Cherubino e Lucifero Serafino, perché invertita la sapienza il primo in arroganza et il calor d’amor il secondo in lussuria e bramosia. Amor genuino volle contrastar costoro ed il terzo presente et in egual modo ribelle, ciascuno per su specie, quando divenne virtù vizio, come i due a questi secondi, eternità resa tempo scandito Baal, e luce sbagliata eros perduto e fluente Asmodeo, e a discender l’altri, stige paludosa Iavano a guisa di Serapin Sirpium Serpin, Rettingfai. Spaziar la mente oltre i confini, al di là del monte, oltre illusionistiche cascate, ed etalagiche storie, e si ricorda di Etalage, simbol nostrano dell’epoca che fu nel suo passato et ora quivi è futuro lontano e per chi scrive altresì passato. Il ragazzo tace. Condotti incatenati in su la piazza gremita in focolaio supplizio e su di un palo smosso e dialogo pressante e disprezzo. Occhi languidi l’una e desio d’abbraccio l’altro. ed in ogni cenere che fu seguente al grido stampo d’amor reto lì appresso. Et anni dopo con Ryma scomparsa al par di Kymery andata, e collocata in loco Muta e fuga che fu principio omai passato, quindi vecchio futuro.

 

L’inizio di Selendichter : alle porte del nuovo millennio

La porta si riapre e Gianni si ritrova faccia a faccia con Alessia. Sono pochi i secondi di silenzio ma molto intensi: lei sembra, lei è così boschiva, l’espressione del viso è come quella di chi viene chiamato d’improvviso per strada. Gli occhi sono quelli di sempre, dolcissimi ed alteri, leziosia, di quel cobalto che sa d’assenzio!  Avvicina immediatamente la mano alla bocca ed inspira in maniera audace poi la avvicina al volto del professore toccandolo, quasi per dissolvere la folle e fanatica idea che possa essere un prodotto della sua immaginazione. Stracolma di meraviglia esclama senza fiato:

“Gia…Gianni?”

“Alessia! A-L-E-S-S-I-A !!!” e nel proferire queste parole la abbraccia, lei resta immobile, assume l’essenza di una roccia. Non parla e rientra in casa appoggiandosi sul divano ma lasciando la porta socchiusa. Gianni la segue e le siede vicino.

“Alessia! Amore mio!”

“Gianni, ma sei tu? È possibile tutto questo?”

“Si, sono proprio io”

“Ma ti rendi conto…mamma mia quanto tempo è passato, ti aspettavo da una vita”

“…”

“Ma le cose sono molto più complicate di quanto tu possa credere, lo sai che ho una figlia e…”

“Si, lo so, e so anche che è pure mia figlia”

“Già, ma lei crede che il suo vero padre è morto e non deve sapere niente”

“Perché?”

“Perché potrebbe non capire, voglio dirglielo a tempo debito e dosando il tutto lentamente nel cucchiaino”

“Col cucchiaino. Guarda, però…”

“Non dire più nessuna parola” sussurra coprendogli la bocca con la mano “stasera lei è a casa di una amica, dormirà lì ed io voglio che tu resti qui con me!”

“Guarda, posso almeno guardare una sua foto? Vorrei vederla, chissà come è diventata, chissà…”

“Basta bla, bla! Spogliati!”

“Come scusa?”

“Ho detto spogliati che devi essere mio!”

“Ma…”

“Basta ”ma” “urla energica “Spogliati e basta!”

Gianni è confuso però si spoglia lo stesso, anche lui muore dalla voglia di possederla anche se non si sarebbe mai aspettato una reazione simile. Comunque sdraiatosi sul letto lei si denuda lentamente ed aperte le gambe si siede sopra di lui movendosi. Dopo appena quindici minuti si stacca e si mette al suo fianco affermando:

“Mi sono scocciata”

“In che senso? Addirittura, bene!!!”

“Nel senso che ho detto, per me basta”

Il professore non risponde, preferisce accendersi una sigaretta; Alessia, invece, apre il cassetto del comodino ed estrae una bustina contenente una polvere bianca. La svuota sulle lenzuola ed inizia a sniffare.

“Ma che fai” le dice alzandosi di scatto “questa è cocaina?”

“Nooo. È come si chiama. Non mi ricordo, ma è buona. Vuoi farti una tirata?”

“No, grazie. Ma da quanto tempo sniffi? E soprattutto cosa, non sai nemmeno che ti rifilano”

“Perché?” domanda irritata

“No no. Domandavo, figurati!”

“Io ho amato tanto”

“Scusa?”

“Quando tu non c’eri io ho amato tanto, come se ci fossi, tu eri parte di ogni ragazzo che mi facevo. Mi piace fare l’amore a me! ahahaha”

“Ho capito…”

<Pure a te vero…Io amoooo!”

“Sìì, ho capito!”

“Perché io amo amare”

“Brava! Però mi stai un po’ spaventando”

“Però amo di più te! Oppure me stessa?”

“Non lo so amore, io ti amo”

“Anch’io, cosa credi “

“Va bene, ci amiamo, adesso perché non ti sdrai e ti calmi un pochino?”

“Io sono calma!”

E ciò detto apre il balcone ed inizia a danzare abbracciandosi i seni e con lo sguardo rivolto alle stelle. Gianni le va incontro e la riporta in camera costringendola a sedersi sul letto.

“Tu lo sai?”

“Cosa?”

“Chi sono io?”

“Alessia ma che ti prende, deliri! Statti appaciata!”

“Moriamo!”

“Cosa stai dicendo ora!”

“Appaciamoci insieme, chiudiamo gli occhi e moriamo tanto bellini, uno di fianco all’altro”

“Ma che dici, pensa che domani mi devi presentare nostra figlia”

“Ma quale figlia, è un po’ che non la vedo, chissà con chi starà facendo la puttana adesso”

“Ale stai calma, ti ricordi? Mi hai detto che stava da una sua amica”

“Ti ho mentito, sono tre giorni che non torna a casa, forse pure di più, non lo so, io sto fatta dalla mattina alla sera, e poi il tempo non esiste! Moriamo, così capiamo chi siamo. Ahahaha. Tu non sai niente, di tutto quello che è già successo, di quello che succederà, Dopo il 2000. Ahahaha. E tu non morirai!”

“Ok, rilassati, non sei in te. Ma non ti interessa di lei? Forse le sarà successo qualcosa, dobbiamo assolutamente cercarla!”

“No, non ti preoccupare, ti ho detto: starà facendo la puttana da qualche parte oppure troverà l’uomo della sua vita e si sposerà, vivrà per sempre con lui e…boh, non mi ricordo che ha detto quella lì, l’ebrea credo, quanti nomi, quante ragazze, poi quello, quell’altro, l’autore, il tempo, i viaggi”

“Ma come puoi essere così insensibile?”

“Insensibile? Per niente, voglio solo il suo bene! I figli non sono figli nostri ma figli del mondo”

Chiude in quell’istante gli occhi e si sdraia lasciando solo una gamba a terra, è come se avesse su quel piede tutto il peso del mondo meno il suo. È estenuata e pallida, sembra quasi addormentata; lentamente però si rialza e con passi minuti scende in cucina per poi risalire con una bottiglia di Vodka e delle compresse tra le mani.

“Gianni”

“Che devi con quella roba?”

“Accompagnami nel mio viaggio, torniamo indietro, loro vivranno dopo di noi solo se torniamo indietro”

“Ferma!, non fare sciocchezze!”

“Voglio morire conte, eri l’unica cosa che mi legava alla terra ed ora voglio finire la mia vita tra le tue braccia, sei tornato finalmente”

“Sei folle? Posa la bottiglia e fatti una dormita, vedrai che domani starai senz’altro meglio!”

“Allora fatti una sniffata! È importante, prendiamo le compresse, loro vivranno”

“Che hai detto?”

“Fatti una sniffata se no mi uccido, mi butto di sotto “nell’affermare ciò si affaccia al balcone scavalcando la ringhiera.

“Tu sei completamente partita Alessia! Dov’è la roba?”

“Nel cassetto c’è un’altra bustina! Poi prendi le pillole”

Gianni sniffa la roba ed ordina ad Alessia di rientrare.

“Ok, andiamo a farci un giro adesso, prendi le pillole”

“Ale, ma dove vuoi andare a quest’ora ed in queste condizioni? Mi hai fatto incapare pure a me mannaggia alla miseria!”

“Un giro in macchina” afferma sorseggiando la Vodka “se no mi riuccido”

“Andiamo!”

Giunti in prossimità di un prato erboso di periferia la donna chiede a Gianni di fermarsi e scende frenetica dall’autovettura buttandosi sull’erba. Il compagno la segue e le da la mano stringendola forte. Alessia dice a questo punto:

”Sei pronto?”

“Per cosa?”

“Facciamo ritorno alla natura che ci ha creati”

“Già, facciamo ritorno”

I due si assopiscono lentamente e Gianni si sveglia alle prime luci dell’alba, al suo fianco Alessia che sembra ancora dormire.

“Ale, sveglia! Guarda l’alba è favolosa!”

“…”

“Ale, Ale, A-L-E”

Lei non risponde ed i professore la scuote, è fredda, solo toccandole il polso so accorge che non c’è più niente da fare. Abbracciandola inizia a piangere come non aveva mai fatto prima. Il sole che lentamente sorge le inonda il volto e per un attimo sembra quasi che lei accenni un sorriso. Ma è solo un attimo. Che gli resta ora da fare? Dovrebbe cercare sua figlia? E come? Dove? L’inerzia lo invade ed è quasi più forte del dolore, si sdraia di nuovo a fianco ad Alessia ed inizia a parlarle:

“Ora che dovrei fare secondo te? Portarti in ospedale, poi andare a cercare mia figlia che neanche conosco? Che c’è, non rispondi? Va a quel paese, perché cazzo non rispondi?”

Presa una bustina dalla tasca dell’amata tira su. Estrae un coltello e si taglia le vene abbracciando di nuovo quella donna. Un lamento lieve si percepisce tutto attorno ai due. Poi è silenzio.

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