J. W. Godward; Summer Flowers; 1903
Così,
silente
la tenebra schiarita
dalla penombra,
emerge ridotta
quella tua immagine
allo specchio
mentre sorretta
da paggi
e da elfi,
gingillo raro,
risorta
e scomposta
dictum
la nostra storia
canticchiando
sorniona
tra l’auto
e il suo retrovisore.
Ed è sbagliato,
continui,
piove e
piangi,
respiri.
Ma riuscimmo
a riveder le stelle
quella notte
nuvolosa
di mezza estate,
l’allodola,
l’ultimo canto
del vento riflesso
nel ricordo
di un
addio
manifesto,
mai più
i nostri sguardi,
piccola,
mai più gli intrecci.
Via,
via per sempre.
Non una lacrima
né isteria
né rimorso,
nemmeno saggezza
ma tenebra
schiarita
e comunque,
nel sospiro finale,
eterna.
E ci sentiamo spersi, quando diciamo,
attoniti e perversi,
il passato arriverà tutto nuovo!
Arriverà,
la storia ed il palpito,
l’immenso in un battito,
inizia il tempo
sospeso,
un tuono
in sottofondo,
luce chiara.
La nostra conversazione
mozzata sul finale,
il nostro
fumo che intero
è fortezza
del mio cuore
ed ora soli.
Allora
riappare agli occhi
ciò che in quell’istante
non era ma è e fu.
Quando
ascoltavi
non sapevi
ricomporre
il mosaico delle mie parole.
E sempre
un’unica
destinataria,
mitto se metti,
sei tu.
E giochetti metrici
mentre sei
bellissima
nonostante il tempo
e tutto il resto.
Quando
senti dondolare
i tuoi occhi
impazziti
solo io e te
conosciamo
ciò che c’è dietro
ma il varco non è qui,
e il treno
in controluce
sbuffa
e stereotipato
va,
musica dimenticata
ti rimane
impressa
appena sveglia
ipnagogica
ed ipogea del sonno
profondo.
Ed è così,
sei tu
e se la volontà
precede
la conoscenza,
intelletto
autoreferenziale,
sei tu,
o mia mistica
apparenza fulminea.
Il passato
arriverà
tutto nuovo.
E arriverà
con quel tuo labbro di fiele ed assenzio,
labbro scolorito
acconto
accordato
nel profondo
della riflessione vana.
E tutto rimane
com’era
mentre naviga imperterrita
la tua visione
dell’immenso
dedotto
in un verso.
Nell’intenso
del verbo
intromesso
alla tua ipotesi
scalfita e fantastica,
la cartapesta
e l’illusione
masticata
allucinata.
E le dolcezze
sono le scordate
assunzioni metafisiche
dal reale
del giorno
appena finito
mentre silente
dici
o fingi,
labbro
scolorito.
E così un po’ sopita
e un po’
attenta
guardi in aria
come a riflettere
sul vago
segnato impronta
dalle mie dita,
dalla mia mano
protesa.
E il tuo fiato
tra gli zigomi miei,
il collo
invernale
è la foto,
l’ultima che ho,
nel mio giardino
d’infinito.
E i mandorli
in fiore
o i limoni gialli
o gli acanti
o le sette segrete
sono misteri
orfici
svelati
dai tuoi desideri
da ragazza svogliata
e stesa
ancella e ninfa
ai bordi del fiume,
nella radura
la solita scusa
è estate di sera
all’ultima ora
per strade e sentieri
la tenebra prima
risponde a digiuno
il riparo del tempo,
ossa infossate
nel gotico armeggio
ormai in disuso
mentre sa
che la nuova realtà
è già qui.
Amore,
ti imploro,
risorgi dal nulla
e schiarisci,
penombra
per sempre,
le anime fragili,
i prigionieri
del senso.
Puoi al limite
non dimenticare
chi è stato speciale
da dittatura
perpetuata
a ricatto morale
del passo occidentale
o odore di chiuso,
pontificando
masticando elucubrazioni
che sono
solo vana
presenza
fumo negli occhi
pronti e precotti
anche per
i filoprotestanti
per laici
e per romantici,
per chi crede che nella storia
sia possibile che il mondo cambi
ma solo a tratti.
Amore,
tremante,
pura e ammiccante,
risorgi dal mare
risplendi tra i colli
e ocra della tua lussuria
da cunicolo e caverna
dai amore
quello vero
a chi ha perso
se stesso
ai bordi del fiume
un’anima persa
è l’unica salva.
Siamo noi,
due voci in un unico fiato,
ecco fatto
il colorito sguardo
perso
nel bosco
ed è la parola
quella muta tua
che senza
pretesa
alcuna umana
cela verità
sopite da anni,
Deucalione annebbia
navigazioni atroci
verso mondi sconosciuti
eppure
il pianeta
nostro
lo avevamo a un passo,
irrealtà.
Tante storie,
sempre le stesse,
nessun argomento
e nulla che stupisce
dalle supposizioni.
Un carillon
suona
stanco.
Io resto qui
in su la riva del mare
fermo
attendendo
parusie
dimenticate
e sei con me
ombra tratteggiata
al fianco
di giullari e re,
di potenze ignote.
Abbiamo il diletto
della scardinatura sistemica
ma non è il neologismo
che va come noi
e viene
come sai,
capisci
la valenza
del nostro abbraccio?
Danzo sulla sabbia.
Cambia il ritmo
se
penso ancora
a ciò che è stato,
passa il tempo
sul motivetto
inizio anni ’90
se è così
allora declinerai
la passione mia
per vanagloria assurda.
Sei tu chi sai.
E noi,
ritmo messicano
nella vudistica
astuzia veduta
vesprosa
veda.
Zuccherosa sei
ma non parli
né animi
le notti
passate
accanto mentre al buio
dicevi
che compromesso
non esiste
se saremo
per sempre
ciò che siamo,
due voci
in un unico fiato.
Corrono i destrieri
in balia dei cavalieri,
e siamo ancora
noi.
Tornerà lo spasmo
nostro d’assoluto.
Ventiquattro Sedici
e un lieve lamento
tra le facce sfocate
e tiepide
mentre bufera dentro di me
quiete lucida
come il senso
di libertà
impone.
E poi io e te
sempre più lontani,
si muore,
o si morì per meno,
molto di meno
sentenza
terribile
inflitta dallo stato
delle cose.
E sinceri
i nostri baci
non furon più
mai più,
pochi anni ancora
e lontano
ogni luccichio,
ogni
trepidazione,
cuore barrato,
soffoco.
Poi c’è da dire
che ormai
nulla ha senso,
strade non ce ne sono,
motivi,
combattere,
a che serve oramai?
Prigioniero
per sempre,
vittima su questa terra
della valenza
negativa
del chiacchiericcio,
del sofismo,
idiota
o pazzo,
a tratti l’uno,
a tratti l’altro.
E la verità
la porterò
con me.
Troppa pietà
per un fiore
appassito
da una lotta
finita
da tempo.
E’ già ora piccola
è già ora piccola
la sera si approssima
tra nuvole
serene
di un domani
che mai saprai,
ricorda,
ricordati
di me;
sai già
oggi che
saranno
filastrocche frastornate
dall’America
Nuova
che cerchi
quando stanca
pelle
passata
al di là,
via di qui.
E segui il senso
segnato
dalla musica,
nell’infinitesimo istante
dell’abbandono
coevo
al coacervo stolto
del pensiero
già parte
manifesta di sé,
velatura sublime dell’ultima tua parola
all’uscio
scosceso
dell’esoterismo
banale
nasconde mistero
già svelato
meccanico ordigno solare
macchinazione meschina
e tutto è uguale.
Chi sono io?
Sono all’aperto
ed è il solstizio
scordato
che pone premesse
ma non è un giorno di sole,
passa
il vento
in sulle strade
verso segnali
che non amano
che l’oggi.
E via così,
scegli pure
tra il tesauro
delle vecchie parole
quelle
vecchie
anzi d’antico
la modernità
contemporanea
di una realtà evidente
e bastevole
all’incremento
del tuo perenne fittizio nocumento.
E procedi,
passo certo,
si, è vero,
ma non si può rinunciare
ad un piccolo particolare
quindi è ovvio
ripetere
le stesse cose
mentre in spiaggia gelida
brilla l’ultima
venatura,
velatura sublima
dell’ultima tua parola,
dell’ultimo motivo.
Al piano bussola
dell’orizzonte
non penso ma corro
in susseguirsi
di respiri,
fai presto,
non c’è bisogno
di altro.
Gira la melodia
stereofonica
e proteica
assuefazione
d’incenso.
Ancora tu,
vedendoti
credo non risolvo nulla
se non sprigionare
rumori
scossi
da platani
da rubicondi
sornioni sentimenti,
mai,
era così,
ma ora
il volto
schiarito
è simile
tuttavia
spingo
a folle il sentire,
concupisce il mio
veliero
tra flutti
di marzapane
negli aneddoti
che dimentichi
da tempo,
brutto segno
lo scirocco
in questo periodo.
E la verità
che sbandieriamo
è la stessa,
nel tempio dischiuso
delle tue promesse
scorgo le mie.
Sei l’unico motivo
per cui vivo ancora,
vivo ab-soluto
ed è tutto un divertimento
metafisico.
Ma tu,
nuova mia virtù
stringimi stasera
mentre piango
alla luna
l’ultimo
lentissimo
canto
che non sa sé
ma sussurro si fa
lieve
adagio scomposto
del fluttuare
qui e lì
come dalla Provenza
la scorta
deruba
la viltà
dei soliti strumenti
in riga
pronti
alla sonata
strana.
E tu straniera
dai mille volti
cento sogni
svaniscono
nelle mani sottili,
entusiasmi antichi,
sei bellissima
nuova mia virtù,
tinta dell’indefinito
a me carissimo
solitario
il sospiro
quando
decisa
punti il dito
tra indecisioni
nostalgiche
e nessuno lo saprà.
Sei ciò che
innamorare mi fa
delle viole
sfiorate
note pizzicate
sulla pelle tua
sottilissima
arpa
che tiepida
si innalza nell’oh!
sono qui con te
a due passi
tu con me,
ti sento
nell’ombra che cerco
da anni,
qui tu accanto
qui tu lontana
ma tenue
raggio
amo te,
e questo basta
se tornerai
o se diversa
leggiadria
mai stata mia
già sei
qui con me.