Il Progetto Policoro, riflessioni di un partecipante al Corso di Formazione Imprenditoriale

p'astorale sociale del lavoro

Pastorale Sociale del Lavoro

 

 

Il Progetto Policoro, riflessioni di un partecipante al corso di formazione imprenditoriale

23 giugno 2018, registratore accesso. Traspare una tenue luce.

Era il 24 gennaio, un giorno qualunque, il compleanno della mia amata madre, non credo che debba essere ricordato da me per motivi altri.

Laureato in Giurisprudenza da cinque anni, il nove ottobre del 2014, una tesi sulla “Inquisizione contro gli Indios d’America”, una tesi che esaltava la Seconda Scolastica ed il contributo speso dalla Chiesa Cattolica tutta per la salvezza degli Indios. Nove ottobre, anno di morte del Che, di cui non ho mai avuto una maglietta, ma che è sempre stato il centro del mio pensiero e della mia formazione, assieme al Cattolicesimo, con la C maiuscola, che mai vidi in contradizione sin dall’età del discernimento. E sì, certe cose si sentono nel cuore, pulsano nelle vene. E quando studi hai come l’impressione di star leggendo ciò che già sapevi dentro di te, che man mano si plasma e si irrobustisce. È come se l’anima recepisse qualcosa di già scritto e si limitasse a darne forma tangibile, ad irrobustirne la sostanza con i grandi del passato. Ipse dixit. Non nel senso dispregiativo, alla Simplicio, ma nel senso che i grandi sono solo la conferma di ciò che già sappiamo. Lo studio a questo serve, vale a capire cosa ci frulla nel cuore e quanta immondizia ci disturba ed insozza. E migliorare quel fango, renderlo creta, ragionando, meditando, ed avendo fede, con la Fede quella materia inerme si ravviva e scopriamo che l’esistenza, sì val la pena viverla. Scopriamo quale è la nostra missione in questo esilio mondano.

24 giugno 2020, dunque, io nato con la penna in mano, anzi la penna nacque il 18 luglio dell’85, io la sera del giorno dopo. Nato con la penna in mano, dopo gli studi di maturità scientifica iscritto e laureato in Legge, fatta pratica forense ma mai intrapreso la carriera, cinque anni all’insegna di corsi formativi, master in Criminologia, etc., sempre alla ricerca di una via, sempre cercando di conciliare i miei sogni. Alla ricerca della Verità. Sempre contrario alla pragmaticità del reale, della realtà che è meramente razionale e quindi consapevole della sua vacuità e della necessità di cambiare lo status quo, o di gettare qualche germoglio.

Giorno normale dunque. Vengo a sapere di questo altro corso formativo, ne leggo casualmente il volantino. “Progetto Policoro”, quattro incontri di formazione imprenditoriale. Progetto nato il  14 dicembre del 1995, voluto da don Mario Operti, un progetto cattolico di contrasto alla disoccupazione. Gli incontri parlano di lavoro e di solidarietà. Non ci penso due volte, lo seguo, perlomeno vado all’incontro introduttivo.

Lo faccio, 24 gennaio. Sede, il Seminario di Nola. Decido. Seguirò gli incontri successivi. Quattro. Uno al mese. Il primo il 15 di febbraio, partecipa, tra gli altri, in veste di relatore, il parroco della mia comunità, don Aniello Tortora. Si parla di encicliche sociali dalla “Rerum Novarum” di Leone XIII alla “Laudato Sì” di Francesco. Due papi molto simili, Leone XIII lo conoscevo abbastanza bene, non un pontefice severo, un pontefice prigioniero dello Sato Italiano, fervente nella fede, scrisse la preghiera all’Arcangelo Michele vedendo la Chiesa assalita dal demonio durante una celebrazione eucaristica. Intuì che in quell’epoca qualcosa non andava, che l’anthropos, l’uomo, stava giocando col fuoco. E non si tratta di faccende ascetiche, visioni, cose da bigotti. Si tratta di un dimonio a cui l’uomo stava dando la sua carne e le sue ossa a spese della povera gente, degli operai, di quelli che, come la buonanima di mio nonno materno, lavoravano sulla catena di montaggio. Alienati. Reificati. Robotizzati. Oggi diremo, usando l’espressione dello scrivente, homo ciberneticum, che è ben peggio dell’homo videns del professor Bruno Romano che vedeva nel mercato la fine dell’homo loquens, dell’uomo che poteva avere libera scelta. Un uomo che era un tutt’uno con la macchina. Che per l’imprenditore valeva come una macchina. Ragazzini di otto anni a lavorare, donne, senza alcuna protezione o tutela, 12 ore o più. Manco i cinesi della medesima epoca costretti ad assumere l’ oppio. I cinesi, beffarda la vita. Eh sì beffarda!  Poi un altro demonio in visione, anch’esso concreto. Un dimonio che si opponeva al Fordismo ma che era pur sempre un dimonio. Il demone della disperazione, “un esercito di popolo”, citando il grande Nino Manfredi in un celebre film, “quando si combatte un esercito in borghese è un esercito di popolo, e con il popolo ci si sbatte il grugno”. E questo demone era ben più pericoloso ed era l’ateismo che ingannava e corrompeva la povera gente. Il Comunismo estremo. Disumano. Leone XIII intuì l’altro pericoloso drago rosso peggiore del nero, perché ambedue le strade portavano ad un’unica via, l’omologazione, l’individuo. Il robot. “studenti di Damasco, vestiti tutti uguali/ l’ombra dell’identità/al cinema o in un bar” parafrasando la canzone del maestro Franco Battiato. Leone XIII, un papa prigioniero ma lungimirante, e a tratti simile a papa Francesco, pensate fu il primo a comparire in una pubblicità di un vino frizzantino che amava. Su cartelloni a Roma. Anche un papa del popolo. Alla mano. Che di notte si svegliava e componeva degli indovinelli, dei cruciverba diremo oggi, in latino, e che venivano venduti nelle edicole, comprati dalla gente comune. Firmati con pseudonimo, ovviamente. Era pur sempre il Vicario di Cristo in Terra.

E poi la “Laudato Sì”, una enciclica semplice ma profonda, dal retrogusto Scolastico, lo stesso di Leone XIII,  papa Francesco che avverte ed ammonisce. “Siate Custodi e non Padroni del Creato”. Noi abbiamo in custodia la Natura, siamo simili a Dio ma non siamo Dio, non dobbiamo abusarne, non dobbiamo fare un passo falso. Se il custode si addormenta al varco del giardino lascia entrare i briganti che la depauperano e lo assediano, se entra egli stesso e ne approfitta, sfrutta, calpesta, prende di più, pretende di più. Eh non fa il custode, fa il proprietario. E come dicevano gli indiani del Nord America, in particolare Capo Seattle in un celebre discorso, quello tenuto al Congresso prima di finire nelle riserve, “noi non siamo padroni della Terra, questa non ci appartiene e non possiamo venderla”. E ammoniva, “un giorno, se non rispettate questa Terra che è la Terra dei nostri padri e dei padri dei nostri padri il Suo Spirito si rivolterà contro di voi”. E cosa c’è di diverso nelle parole del Pontefice. Nella cosiddetta Ecologia Integrale, nel rispetto delle risorse e dell’uomo, del nostro prossimo, degli esseri umani, dei nostri fratelli e sorelle, di qualsiasi credo, religione, di “buona volontà” citando Giovanni XXIII. Cosa c’è di diverso anche dalle parole del patrono dell’Italia San Francesco, nel Cantico delle Creature. Fratelli e Sorelle, tutti. Siamo custodi ed i custodi devono essere Cherubini, cioè forti, possenti, difensori. Non usurpatori e nemmeno correi, nemmeno sopirsi alla porta. Di qui la condanna severa del Papa ai corrotti.

Parole che restano, dopo questo incontro, come direbbe un Re di Francia. “ Il Diluvio”, la Pandemia.

Il corso è continuato in streaming in uno scenario surreale, da brividi.  Come fossimo sprofondati in un abissoidale labirinto, montaliano, cigolante la carrucola della nostra già precaria esistenza. Lock down, apocalisse, piana di Armageddon, millenarismo pandemico. Nessuno dice incubo, tutti: sembra un film. Sembrava un film, siamo in un film. Mai visto nulla di simile. Una parola scarna, una ombra dalla scure possente, Covid19. Una piccola capsula di acido ribonucleico, quella che gli specialisti non elencano nemmanco tra le specie viventi, solo un germe, viscido come serpe antica. Viscido, che affligge il mondo e tutti soggioga, livella. Ma scuote soprattutto i colossi stessi della umanità, anziani e bambini, da un lato la Gedachnins, dall’altra il germoglio della speme.

Non sono i morti solo che pesano, c’è qualcosa di altro, di subdolo, c’è qualche cosa che spaventa. Guardando fosse comuni ove a migliaia e a migliaia venivano gettati morti senza sepoltura a New York, scossi dall’anziano che, magari, non andavamo manco a trovare nelle RSA, dimenticato. Magari a Natale, Pasqua, qualche domenica sì, qualche altra no. Utensili, siamo utensili, siamo sinapsi. Solo questo, conglomerati vacillanti di assoni senza alcuna memoria. Putridi ed imbiancati ed impietriti e statici. Ecco si accorgiamo di loro ora che non possiamo porgergli l’ultimo saluto, non possiamo seppellirli, gettare il pugno di terreno sulla loro tomba. Ma noi siamo tombe. Il Covid non ha fatto altro che metterci davanti brutalmente ed inesorabilmente alla nostra vacuità esistenziale. È il tomismo della Laudato Sì, è Petrarca che apre il Testo Sacro sul Monte Ventoso e legge, parafrasando, e vanno gli uomini a contemplar la vastità degli oceani, il corso degli astri e trascurano sé stessi.

Siamo noi, il tomismo del Vicario dei Cristo che avverte, testimonio con l’agostiniano neoplatonismo del Pontefice Emerito. In questo periodo di sommo smarrimento i due Testimoni ferventi del cattolicesimo sono stati la nostra sola ed unica guida. E non è azzardato dirlo. In questi tre mesi e più la politica tra pseudo stati d’assedio deluchiani e lassismo, tra fedeltà alla Repubblica ed alla Patria e di chi si ricorda del tricolore solo ai mondiali ed agli europei e poi attacca il nord definendolo parassita o il sud definendolo parassita in egual misura, risfoderando le spoglie dei Borbone, dei briganti, altri quelli della forza leghista del Carroccio dei comuni nordici e mercantilistici contro il Barbarossa redivivo nella Germania austera e nell’Europa traditrice e vessatrice. Una politica insozzata di idee destroidi mal abbozzate e populiste. Vittoria del plebiscito sulla democrazia, alla ricerca del Barabba di turno da liberare ed incoronare salvatore della Patria, da marinaio a capitano.

Tre mesi di isolamento, domicilio coatto, salvo qualche uscita, ove consentito. Qualche comunicazione via internet, qualche telefonata. La paura. Genitori anziani. Mia sorella prossima ad un matrimonio che vede adombrato il suo futuro. Ore dedicate alla scrittura, alla lettura, ad ascoltare musica, in mezzo, le altre due lezioni del Progetto Policoro. Ironia della sorte, lavoro, solidarietà, in questi periodi. In questo periodo. In questo tempo. Io dottore in legge, giornalista pubblicista disoccupato in cerca di lavoro ed in cerca di me. Nella nebbia. Le catastrofi amplificano le nostre debolezze. Ma ci rendono anche più solidali. Anche grazie a questi incontri, credo, ho vissuto la concretezza del Vero. La sua Incarnazione. Nella morte. Nell’esser per il nulla sartriano, perché il nulla è più della morte. È scoprendo e capendo il nulla, quel nulla concreto e non da pensatori bigotti, il “nulla “ baustelliano di chi è Van Gogh senza conoscerlo e non di chi scorge l’infinito, il divino, mirando nei salotti un dipinto o nei musei aneddoticando sui Girasoli. Si diventa Van Gogh, si diventa il nulla, si scopre “la bugia che sta alla base del mondo”. L’amato si identifica con l’amante e diviene una sol cosa con ella. Come sintesi della “Caritas Est” e come incarnazione della “Caritas in Veritate”. Si parva licet componere magnis. E sì perché quando si vive il nulla si è davanti ad una inesorabile scelta, sprofondare nell’abisso e cadere nell’apatia o rifugiarsi. E rifugiarsi vuol dire sublimare, planare. Rifugio e sublimazione, in questi mesi ho scoperto essere le parole più belle della lingua italiana. Ed il corso di formazione tanta ala vi ha speso.

Riscoprendo la bellezza della Nostra Carta Costituzionale, ho ripensato ai primi anni di università, a quando credevo in ciò che studiavo, a quello spirito ardente che credeva nell’art 3 comma 2 della Costituzione e nella Eguaglianza Sostanziale e non solo a chiacchiere. A chi difendeva a spada tratta, nella circumvesuviana, con i mie colleghi matricole liberiste l’art 1 Cost, la “Repubblica fondata sul Lavoro”, e non sulla “Libera Iniziativa Economica”, come volevano loro, ritenendola oramai vecchia e superata, sentendosi invincibili, anno 2006, l’Euro è forte. Invincibili. Abbiamo vinto anche i mondiali. Di lì a poco la Crisi Economica. Nata dalla speculazione, nata da quei fighettini che comparavano beni inutili a rate, “inizi a pagare tra tre anni”. E che corrompevano anche noi. Vittime del mercato. Un mercato che corrompe in maniera subdola, rendendo necessario il superfluo. I proletari con lo smartphone. Marx sbagliò ma forse aveva ragione. La dialettica degli opposti non prevedeva la nascita della classe media, ma alla lunga non si sbagliava perché, oggi, non siamo più classe media, non esiste la classe media. Anche nella “Laudato Sì” il Papa lo sottolinea. Divario di ricchezza. Esistono due classi, i ricchi, i proletari che comunque DEVONO, andare a fare le vacanze all’estero e DEVONO possedere una autovettura ultimo modello, a costo di indebitarsi. E DEVONO spendere spandere come effendi, parafrasando Rino Gaetano.

E non sono cambiati. Quei colleghi matricole, che si sentivano sicuri dell’Europa pre-crisi e tremavano se vedevano in circumvesuviana un fratello che leggeva il Corano o una sorella col velo. Eh sì perché loro erano cattolici, e le loro ragazze vestivano alla occidentale, anche in Chiesa senza velo? Forse non c’erano manco entrati in Chiese Cattoliche con le ragazze conciate così. Difendevano il Sacro avendo paura del Sacro.

Quella matricola che ero e che ancora credeva all’art 36, alla dignità del lavoro, che deve comunque essere sufficiente a garantire una esistenza dignitosa. Che credeva nella DIGNITA’. Che vedeva e vede lo straniero come fonte di accrescimento. Che ancora sostiene che noi italiani, soprattutto i meridionali, siamo “i mejo” perché i nostro patrimonio genetico pullula di popoli di etnie e razze differenti. Che ancora crede all’art 41 ed al fatto che NESSUNA IMPRESA e NESSUN IMPRENDITORE può mai svolgere una attività contraria alla utilità sociale, vale a dire bene comune, alla comunità, alla intera umanità. Utilità sociale, da qui le imprese sociali, chiave per il futuro. Di qui l’ala che ha speso tale breve ed intenso corso.

Il Sol dell’Avvenire, la legge 131 del 1991, e le seguenti, sino al decreto legislativo 155/2006 ed alle nuove frontiere. Sino al sogno di una impresa realmente autogestita, una Unconditional Reciprocy nei rapporti che consente di realizzare in tutto e per tutto una comunione di intendi, una fratellanza. Ma l’aspetto centrale, qualsiasi sia l’impresa, è proprio l’oggetto della stessa. Chi lavora crede nel fine sociale. Che è un fine più alto. Molto più alto. Ed è un fine che crea benessere e non benavere. E l’unico referente culturale non può non essere la Chiesa Cattolica con la sua millenaria tradizione. Con i colossi, da un lato il Tomismo, dall’altro il neoplatonismo agostiniano. Tradizione che ben si incarna in questi due testimoni Papa Francesco, felicemente regnante, ed il Pontefice Emerito Benedetto XVI. L’unica via è Cristo. La comunità dei primi Secoli. I martiri che morivano cantando inni a Dio in pasto alle belve del Circo Massimo o dell’Anfiteatro Flavio. Loro avevano incontrato realmente Cristo. Anche chi non l’aveva conosciuto, anche secoli dopo. E per duemila anni. Cristo ha sempre vinto. Contro il paganesimo gnostico, contro il mercantilismo cataro, contro l’empirismo, lo scientismo, l’illuminismo, il positivismo ed il capitalismo filo-protestante. Contro i falsi profeti dell’ateismo vestiti da comunisti o da New Age.

La via è questa, non c’è altra via. La pandemia ha livellato ma gli speculatori ci sono sempre, gli usurai, i corruttori delle anime. Coloro che ci corrompono col consumismo sono le medesime persone che vendono sogni ai migranti. Corrompono giovani ed anziani occidentali vendendogli falsi sogni, corrompendo i loro sogni e la loro onestà, allo stesso modo, grazie anche e soprattutto alla tecnologia, vendono sogni ai migranti, con smartphone gli fanno sognare paradisi per cui sono disposti a vendersi un rene ed affrontare una traversata in mare con mezzi di fortuna ed a rischio di finire in pasto ai pescecani. Sapete qual è la prima cosa che si regala nei Paesi da cui giungono i migranti? Uno smartphone. Per vendergli un paradiso illusorio, per assopirne le coscienze come facevano attraverso la droga con gli “assassini” mediorientali nell’anno mille.

Non c’è voce autorevole, che non sia la Chiesa. Dobbiamo aspettarci un futuro in cui cambieranno i modelli economici e produttivi. Non possono vincere i trafficanti d’organi o le mafie. O i corruttori. Dobbiamo svegliarci e svegliare. Non lasciarci incantare dagli Zauberflöte. I sogni sono i nostri e noi ne siamo custodi e dobbiamo condividerli con gli altri. Il mondo così com’è non sarà più. Non aspettiamoci di poter risolvere problemi nuovi con modelli obsoleti. Dovremo abituarci a vivere in piccole comunità ove ognuno di noi dovrà rendersi utile. L’Impero Romano è caduto, l’USA è vacillante, l’Europa, lasciamo perdere proprio, ora ci sono due potenze, quella Cinese e quella Islamica. E una terza più subdola e nascosta che è quella delle mafie. Dobbiamo impedire che si crei un nuovo e pericoloso Imperialismo, fermare l’avanzata di Annibale, di Attila, rivincere a Lepanto, circondare nuovamente il Führer, far cadere ancora il Muro di Berlino. La posta in gioco è davvero molto alta. Gli adolescenti e le future generazioni hanno tutto nelle loro mani. Sarà compito della politica fare le scelte giuste ed avvalersi della Chiesa di Roma, per tener salda la morale, i principi etici e bioetici, e soprattutto il quadro di riferimento axiotico. “Dovete trattarla bene questa Terra” diceva Capo Seattle, e noi, ma soprattutto gli adolescenti, dobbiamo, parafrasando il Santo Giovanni Paolo II non aver paura.

Il mondo cambierà, dopo la peste del 1348 ci fu il Rinascimento, che nacque in Italia, proprio grazie alla Chiesa ed alle piccole comunità che sorgevano. Piccole comunità, piccole imprese. Custodi e non padroni del creato. Utilizzo di risorse alternative al petrolio. Scienza, politica e filosofia e religione devono divenire un unicum, per funzionare armonicamente come il corpo umano. Ma il corpo umano non è una macchina e noi non siamo macchine. Quindi progresso da un lato ma mai la mente deve agire senza cuore. Sempre occorre una sentinella etica, la Chiesa di Roma. La scienza può condurre ad aberrazioni. Pensate alla clonazione, all’aborto senza ragioni di salute, pensate alla intelligenza artificiale. Pensate che non siamo onnipotenti, Uno solo è onnipotente. Se cerchiamo di sostituirci a Dio, siamo come il custode, il cherubino che posa la spada e la corazza e si fa padrone. Il Padrone verrà un giorno, tornerà alla vigna, tornerà qui, in questo Giardino. E si ricorderà che ci ha lasciato un Giardino Fiorito. Non ne approfittiamo. Già si è messo nei nostri panni e noi ci siamo comportati come Caino con Abele crocifiggendolo. Non esageriamo. Rimaniamo puri, facciamo quel che possiamo. Senza paura.

23 giugno 2018, pomeriggio, si vede una luce tiepida. Il cielo è terso. È estate. Le strade sono ancora deserte. Restiamo uomini. Restiamo donne. Non dimentichiamoci chi siamo. Noi siamo ciò che eravamo e diverremo ciò che siamo.

dottor Giovanni Di Rubba

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