Musica; Edward Burne Jones; 1877
Et Amas!
aspetto da un po’,
tempo bastardo,
l’arrivo all’agognato assunto tramortito
spettro opaco
dalla rimembranza,
è sera già.
Due di coppe,
guarda,
sai chi sono.
Solo o sola,
è così,
sai di che parlo.
Tutta persa
dark side of the moon,
dark dance
under the grin of the stars,
sì, troppo bella.
Stasera non c’ho da fare,
hai carpito l’invito
dicevo, vieni a danzare
sotto le stelle,
sono qui per te,
bellina,
odio gli esseri umani
anzi no
loro non ci sono.
Ma tu mi conosci
ti do l’anima.
Dai è tardi,
vieni stanotte
tredici passo quarantotto.
Spoglia
come l’autunno
laudamus
la guancia destra tua gonfia
nel gorgheggio.
Non sono solo
se tu
mi guardi dal basso.
Lo so,
hai detto tacita tutto con lo sguardo,
ma guarda altrove
dolcissima mia adorata
d’assenzio solubile
e fragile
traslucida riluci incatenata
all’apparenza
che risuona stanca in sordina
a controtempo
nell’atto dell’attacco.
Sono giunto
all’apice
del godimento,
amami.
Dove sai,
tra viuzze di sentimenti dimenticati.
E anche ora davanti a me
piccola mia follia
delle stelle sei lo specchio
quando mi guardi
sento le vibrazioni
astrali dell’amore concentrarsi
tripudio di te.
E sei così
scapigliata
tutta matta
stendi languide lenzuola
e mi arricci
l’entusiasmo
che svogliato fugge
e si ritrova sempre
negli oscuri lucidi
chiarissimi
occhi tuoi.
E ti amo
ma mi perdo
sempre lì
in queste viuzze
di sentimenti dimenticati.
Duplice è la settimina stanza
di prima
incline ad assi scoscesi
e questa la comprende nella somma.
Ed è vendetta terrena?
Semplice oltraggio,
ditirambo etereo
dell’assunto in proporzione
che erode ma con calma
piatta tra specchi rampicanti.
Le lire suonano stanche
nell’eco della cattedrale civile
e tra santicchianti consonanti
slinguetta
una dama nuziale.
Ma lo sposo giocondo
è solo
e non sente
che vilipendio
per la tenebrosa attesa.
Mille frammenti di anime perse
nello sguardo celato e cortese
quando
vassallo è pretesa d’eterno
diritto.
Le lacrime gocciolano amare
le lacrime gocciolano amare e fulminee
tra gli occhi del signore esausto
dell’affronto
che con lacci al collo e alle giunture
spezza il fiore di chi senza colpa
fu vittima di questa
e poi di quella,
in conseguenza dialettica,
terrena giustizia
dal sapore aspro di vendetta.
Vidi la cerbiatta bianca
d’ebano e arcadica semita
capretta rarefatta
innamorata
o in cerca d’amore
dolce principessa
dei boschi
e del cielo schiarito
dalla luna.
Ed hai pretese
o solo sogni desti
in pieno giorno
o quando mi cerchi
pensando intensamente
all’orario fissato
sballottolo selciato
d’ambrosia serale
nello scuotimento ottagonale.
Senza più speranza
il primo della corte si innamorò
di un’ecatombe celeste
e degli occhi
che sai già
in quanto detti
ed in contemplazione eterea
vissuti.
La penombra
sarà la mia vita
di nuovo Orfeo,
disse.
Ma chi guarda
sputa invidia
ed è servito
il lauto banchetto
dei sogni
di una ragazza
persa per sempre.
Persa sola ma comunque salva.
Sento ancora
il tuo sospiro.
Pensi a noi
tempo fa
nell’attico
o
al pian terreno
del limbico palazzo
sotto la luna
anno iniziale
del millennio.
Tesoro
sai
che se scelgo ora te,
dicembre,
il mondo
cambia
e anche noi.
Scelta diversa
la mia,
la nostra.
Nel baratro,
nell’inferno.
E, ne hai ancora memoria,
del ti amo,
dell’innamoramento strano,
volevi me
volevo io te
ma la realtà
non cambiò,
diversa scelta
diversa resa.
Ora solingo
ci ripenso a quell’ennesimo
varco temporale,
roca cara,
amore mio
nella parallela
corrispondenza altera
del mondo accanto
che intuiamo nei sogni.
Di fianco io e te
senza psicotropi,
ammanto io e te
e vivande alte
sciorinanti
verso l’abisso noi
verso il ripiano loro,
tu comunque ti sei salvata.
Salva dal profumo di un amore eterno,
e ho già parlato
credo e penso,
ma stanco riprendo
il tuo volto tra mille.
Piccola mia divina
sei ciò
che manca.
La danza comincia
ma non si può
con le parole superbe
ricrearti
se non nel ricordo.
Cara mia amata
loro
senza ritegno
cercano vita da distruggere.
Nell’aurora
i nostri sensi
troppo ebbri
potrebbero perdersi
tra le profezie di Daniele
e le scardinature categoriche,
loro,
sono terribili
belve inaudite.
Amore cerca
la via
per l’ultimo scampo.
Loro
distruggono
i nostri sogni ingordi.
L’aurora
ci sopisce
e noi avviluppati,
braccia nelle braccia
e sangue nel sangue,
amore mio fuggi lontana
i lupi famelici
distruggono
la nostra iridescenza
e il profumo di un amore eterno.
Ed in dimensione oltrepassata
giunto al qui ed al ora
della dodicesima di undici raggomitolate
che poi è questa
sono pazzo
un pazzo che rincorre un’ombra perduta.
Eccoti,
cosa sei diventata?
Più felice
eppure spietata
contro la verità.
Non lo posso accettare,
tuttavia
vado via
come sempre
ultimi tempi.
Amore di una volta,
indifferente.
Ed io ricordo
il nostro ondeggiare
come danzanti mano nella mano
tra le strade
di una Pomigliano autunnale.
Ma l’inverno
annebbia
i miei tepori
e tu lontana,
io a te ancora vicino.
Amore mio,
guardati e guarda me,
sono divenuto
l’ultimo folle
e più atroce
delirio
dell’inutilità
della mia esistenza
e la tua serenità
sobbalza
e si impone in te
perché figlia dell’oblio
autoimposto.
Le tempeste
di inizio millennio
sono echi oramai lontani
tra le veneziane semichiuse.
Amore di un tempo.
Vita di un tempo.
Passione di un tempo.
Amore mio
racconto ancora
quella storia
di un pazzo che rincorre un’ombra perduta
ma la storia ora
è l’attuale
tempo unità immaginaria
spazio reale
complesso il numero
del dissenso
e sono qui così,
esiliato in terra Tracia
alla ricerca del tesoro,
quello interiormente alchemico
da alambicco spirituale
secernente assurdo astrale.
Tesoro!
Brava!
Ecco svelata la tua
duplice ombrosa
finezza d’intenti.
Nell’istante perduto
in cui ho capito
che ero una semplice abitudine
il coltello
affonda
metafora gira godendo
ma è mia la ferita.
E folle
il fendente
galeotto
fu il vostro verso
a questo avverso
carissime,
il mio fu a me mortale.
Eccoti, brava,
trottetta in sottoscala,
ero il rifugio
di un’anima parva,
solo sciocchezze.
Ma lo sai che la malignità
non mi spaventa più
e un colpo suadente
mi schiude
le tempie
nel momento in cui
il bacio
sporco vostro
cambiò le sorti
del mondo.
Tradito
dal senso,
e tu
dell’arma bianca
su di me
non sentivi
nocumento
e tu
della pietà vendicativa
non ti curavi,
non la sopportavi.
Ma sappi che
l’esilio
in terra Tracia
l’ho sorbito
e l’ho vissuto sulla mia pelle
soltanto.
Ero lì,
sono lì,
in tensione sull’abisso!
Solitario nella notte
il respiro del vento
e il tuo lamento come eco,
l’entusiasmo
spento ormai.
Ti vorrei
ancora qui,
amata
nelle tenebre,
vorrei gli occhi tuoi
d’amarena
nella notturna
sonata.
Attraverso
lo specchio
il tuo sguardo
celato
dalla
pagina bianca
appena letta.
E penso
solo a te
anche in questa nuova vita
sei la linfa
dei miei giorni persi
ad un passo
dalla tua voce
lento serpentino
sussurrio,
tutta mia,
voglio te!
Passa l’anima
ma il corpo
non muore mai
ad essa consustanziale
l’alma la obnubili
ma si ribella
come desiderio bramoso
all’ombra
dell’ultima luna
e non è una serenata.
Godimento,
godimento ciò che conta,
pullulare
ed istinto bestiale,
in tensione sull’abisso.
Sembri una leziosa peccatrice
salvifica perversa
e noi
splendiamo tiranni
alla discesa
verso il mare
ma ciò che facciamo
non è nelle nostre brame;
siamo fulgide speranze di periferia
mentre la tua luce
brilla
candida
e pullula
l’occhio destro
anzi il sinistro scomposto.
Ed eccoci qui
tu non reggi il confronto
armonioso
e l’estetica
si spegne lenta
col passare del tempo,
un amore intrecciato
da mille tormenti
resta l’ultima spiaggia.
Mi senti?
Perché non rispondi?
Sei la solita tu
variopinta
cristiana
ateizzata
dal balzo
immaginifico
sulla ripa che scoscende
nella tempesta
dell’amore
di cui parlavi
e che
non sapevo.
Che fine ha fatto l’entusiasmo?
A trent’anni
due noi
siamo,
sono
il relitto
corsaro
nella fossa delle Bermuda
affondato,
sai
io baciavo
labbra che non erano tue.
Golfo del Messico
e radura ombrosa
per dimenticare
quello che io dico
e tu non sai.
L’inferno
qui
è peggio
del fuoco,
cammina
con me,
volto divino mio
sei lo sguardo
unico
salvifico
leziosa peccatrice perversa,
mio madrigale della terra,
mandrie di sciacalli
sulle nostre orme,
mandrie di selvaggi
ritti tra le fronde.
Tramonta!
Tramonta!
Corna e furore!
Tramonta l’occidente.
Viso e scandalo,
tramonta,
un grido soave.
Nelle acque candide
della rocca
opaca;
la voce è moderna
e postatomica,
l’Impero Romano
rigenerato,
mille fiere,
mille fiere,
tutti schiavi,
più di due terzi
dei mortali,
genti umane,
fisco grande annientamento,
mai italico popolo tanto oltraggiato.
Fiammetta
piange
alla riva,
quella strana.
La Madre terra
in rivolta,
gemito ancestrale,
l’asse terrestre,
epoca di materia
il Seicento
il Nuovo Millennio,
epoca di spirito,
acquario,
Terzo Millennio.
Suona la lira
dei giorni d’oblio,
ninfa alla sorgente,
Pallade,
Gea,
Europa,
essenza è ancora sera,
figli noi della terra.
Nel cuore il viaggio.
Mi assopisco,
suona il flauto
mentre
Morfeo getta
braccia
ai tuoi seni,
sono lucide
le realtà
raggomitolate,
strane,
straripa il sentiero
del mondo
nuovo,
Colombo
soffio di vento
uomo di vele,
uomo di mille pene.
Cantilena,
gira la schiena
dal tritone
sorge il sole,
sorge il sole,
aurora,
terra! terra,
vita,
Terra!
Reverse divertito,
suono d’assenzio,
centrale
nucleare
lumi delle mie brame
sogni germogliati
acidi folletti
e Torquato,
acidi intrugli,
il peyote
e lo sbalzo quantico,
piegatura della rosa,
svolazzo dell’estrella,
nome e gloria.
Dentro il cuore c’è la viola
e nella viola forse il sole muore.
Lì
sulle pendici dell’ultimo pensiero sincero,
lungo le scale
perdute del tempo
come assurde invenzione
escon fuori parole
grigie come giornate
di nebbia
e paure,
forti nel cuore
realtà mai immaginate,
nel sogno
verso il passato,
ed ora
è tutto perso
tra tralicci
di versi
eterni,
ma muta
silente
il tuo
perduto
amore.
Così che
anche le notti
siano più lunghe
e senza più lettere
scrivo col gesso
su muri spersi di sera
mentre tu
lontana
ma vicina all’ostaggio
dell’anima mia
e il treno
senza pudore
sfreccia
ingiallito,
una sigaretta.
L’attesa
verso l’inferno
delle nostre storpie illusioni
ora solo mie.
Deturpano tutto,
l’umana sorte
ed il nostro amore
che è insabbiato
e insudiciato
da chi,
come loro,
senza pietà
ha rubato
per calcolo e valutazione
o per divertimento
parossistico
e stolto
ciò che traslucido
era nelle mani.
Ribellati al tuo destino
sulle pendici
dell’ultimo pensiero
sincero.
Non è forse
ciò che ricordi?
L’unica cosa?
Quella da Melisenda
agli accordi
è ciò che perdemmo.
Ma se tu non tramonti
io continuerò a soffiare.